• Non ci sono risultati.

L’importanza della geografia e della mitologia nazionalista

di Alessandro Gallo

2. L’importanza della geografia e della mitologia nazionalista

L’utilizzo di cartografie tematiche, realizzate a sostegno delle proprie ra- gioni, è, quindi uno degli aspetti più evidenti di questo confronto apparente- mente culturale. Il discorso politico trova in una disciplina, cui si attribuisce

indiscussa oggettività, una delle armi su cui basare rivendicazioni territoriali che alcune volte appaiono di difficile sostegno con altri mezzi. La produ- zione di carte, basate – secondo gli estensori – su aspetti geografici ritenuti certi perché rappresentati da fatti e fenomeni evidenti nella realtà, costituisce uno degli aspetti fondamentali utili a giustificare rivendicazioni territoriali. Queste ultime traggono, invece, la loro evidenza soltanto dalla manipola- zione di dati geografici fisici e statistici, unita ad un’accorta metodologia di rappresentazione grafica degli stessi.

È necessario, a questo punto, ricordare che a partire dalla seconda metà dell’Ottocento la notevole espansione della geografia in ambito accademico si compie insieme al ruolo ad essa attribuito dalla politica a sostegno delle proprie mire di espansione coloniale, fuori d’Europa, e di allargamento delle proprie sfere di influenza, all’interno del Vecchio Continente. Non si vuole, ovviamente, ridurre la creazione delle varie Società Geografiche nazionali ad un’operazione di pura assistenza alla politica, ma si deve riconoscere che il discorso geografico viene sicuramente utilizzato per finalità non solo scientifiche. A ciò va aggiunta la considerazione che sia il mondo politico che quello culturale si appropriano – nel sostegno delle loro tesi – di consi- derazioni, metodologie e terminologie di carattere geografico. In questo pro- cesso di appropriazione terminologica spesso l’originario termine geografico viene applicato in modo del tutto distante dal vero e proprio significato ori- ginario.

Anche in Romania, così come in altre realtà nazionali, l’istituzionalizza- zione della geografia ricopre un ruolo molto importante nel creare, prima, e sviluppare, successivamente, l’idea del discorso nazionalista: in buona parte dell’Europa si osserva l’uso da parte delle élite del discorso geografico per legittimare il processo di State-building e di una successiva espansione terri- toriale del nucleo originario. La visione di uno stato romeno «authentic, na-

tural and organic»3 è alla base dell’implementazione di un certo tipo di po-

litica tesa a giustificare l’espansione in direzione della Dobrugia, Transilva- nia, Bucovina e Bessarabia; e, in complesso, del processo di Nation building romeno. Processo, quindi, che vede il rapporto Stato-Nazione strutturato in

modo che è il primo termine a creare il secondo4.

Fondata nel 1875 la Società Geografica nazionale romena ha il compito di valorizzare l’approccio geografico che viene sviluppato al fine di

3 Paul, Cosmina (2013). «Uncovering Romania by Geography: How Geography Culti-

vated Lands and Romanians». Central European Journal of International & Security Studies, 7(2), p. 6.

4 Goina, Călin (2005). «How the State Shaped the Nation: An Essay on the Making of the

putting geography into the light was to take people, and land, out of the darkness, to discover them, to describe them, to represent them. Simply, it was about embodying

a nation5.

Dunque, scopo della geografia è quello di illuminare – attraverso la sco- perta, descrizione e rappresentazione delle caratteristiche e distribuzione di territori e popolazioni – un qualcosa di oscuro, non determinato da limiti o confini e, comunque, nel cui ambito è difficile o impossibile tracciare linee di cesura nette e incontestabili. L’interpretazione della Grande Romania come un’entità che si pone naturalmente, un’unità organica in cui il legame tra popolo e terra si pone da tempo immemorabile che assume un carattere sacro, costituisce il punto di partenza su cui sviluppare una politica legata a concetti granitici e inoppugnabili. Identico è, comunque, l’approccio di altre realtà statuali dell’Europa centro-orientale e non solo: l’ancoraggio di richie- ste territoriali ad elementi ritenuti oggettivi offerti dalla descrizione geogra- fica è, in questa fase storica, assai comune. È, in certo qual modo, l’evolu- zione stessa della disciplina geografica a fornire gli elementi necessari a que- sto tipo di discorso. Si può affermare che la geografia descrittiva, molto at- tenta agli oggetti fisici, offre ampio materiale disponibile ad essere utilizzato nelle politiche intraprese tra la fine dell’Ottocento e la Seconda Guerra Mon- diale. Un uso frequentemente strumentale sia dal punto di vista concettuale che per la partecipazione di molti geografi alla vita politica di allora, talvolta in posizioni di rilievo. Dobbiamo, altresì, osservare come a partire dalla fine dell’Ottocento i concetti di spazio e territorio subiscono un profondo cam- biamento, passando dall’essere intesi come semplici superfici razionalmente intese fino a diventare qualcosa di immaginato, frutto di una creazione men-

tale e socioculturale6. Da un approccio cartesiano si passa, quindi, ad uno in

cui la narrazione crea essa stessa una realtà facilmente utilizzabile a fini po- litici; trasmessa in modo da essere accettata dalla maggior parte della popo- lazione e, allo stesso tempo, ritenuta scientificamente valida dalle élite poli- tiche che la possono utilizzare nel quadro dei loro scopi.

Si osserva, nel caso romeno, come sia la geografia e non la storia a costi- tuire le fondamenta necessarie per edificare una nazione. In sintesi, in campo geografico si assiste ad un passaggio della disciplina «as imagining ‘land and

people’ to geography as imagining ‘space and race’»7; affermazione nella

5 Paul, C. «Uncovering Romania by Geography», pp. 6-7.

6 Suveica, Svetlana (2017). «Between Science, Politics and Propaganda. Emmanuel de

Martonne and the Debates on the Status of Bessarabia (1919-1920)» [on line]. Cahiers du

monde russe, 58 (4), p. 590. URL https://cairn.info/revue-cahiers-du-monde-russe-2017-4- page589.htm (2019-8-6).

quale emerge una sorta di politicizzazione della disciplina geografica che, quindi, va a ricoprire un ruolo di elemento primario di supporto alla politica stessa. La terminologia geografica utilizzata dalla citazione appena ricordata marca un passaggio non di poco conto, con una forte accentuazione del ca- rattere metaforico del metodo utilizzato: un deciso spostamento in direzione di un approccio e una metodologia che portano all’affermazione e allo svi- luppo della geopolitica e della cartografia quali strumenti di affermazione di politiche estere nazionali anche molto aggressive. Fenomeno che, nato nel primo quarto del Novecento, trova la sua consacrazione tra le due Guerre Mondiali, periodo nel quale la cartografia diventa la modalità privilegiata della comunicazione – o meglio della propaganda – politica.

Tra i geografi romeni spicca Simion Mehedinţi (1868–1962), formatosi in Francia e Germania, a lungo direttore del Dipartimento di Geografia dell’Università di Bucarest e considerato il fondatore della geografia del suo Paese. È un profondo sostenitore dell’unità etnica della Romania e della mis- sione storica ad essa affidata. La sua influenza, essendo anche un pedagogo, esce dall’ambito puramente geografico e la possiamo ritrovare nell’autore- volezza che esercita in un campo, quello scolastico, fondamentale per la crea- zione di una coscienza nazionale.

La sua presenza nella storia della geografia europea è indiscutibile: figura, quindi, di studioso e di uomo politico insieme. La sua formazione avviene in tre centri rilevanti nella storia della disciplina e ne spiega compiutamente il suo pensiero. Si tratta di Parigi, Berlino e Lipsia, università nelle quali entra in contatto tra alcuni dei più importanti esponenti della geografia dell’epoca: ricordiamo Vidal de la Blache, von Richthofen, Bastian e Ratzel. A Lipsia inizia, proprio con quest’ultimo, la sua tesi di dottorato su un argomento ̶ la carta quale mezzo della ricerca geografica ̶ che ben evidenzia il ruolo che avrà la cartografia per lui stesso e per tutta la geografia romena. In questo caso si deve precisare che tale argomento è scelto in contrasto con la proposta

di Ratzel8. Altrettanto significativo è il fatto che il titolo definitivo sia Über

die Kartographische Induction. Mehedinţi ha «in mind the idea that geogra-

phy means map as a specific method»9. A ciò unisce una visione della realtà

che possiamo definire olistica in cui la civilizzazione e la cultura hanno un posto fondamentale perché sono

the sum of all soul creations that facilitate the adaptation of individuals to their social

creations10.

8 Ianoș, Ioan et al. (2018). «Simion Mehedinţi’s Contribution to Modern Romanian Ge-

ography». The Professional Geographer, 70(3), p. 507.

9 Ivi, p. 506. 10 Ivi, p. 507.

Il pensiero di Mehedinţi presenta, in pieno accordo con la sua formazione, aspetti derivati sia dalla cultura tedesca che da quella francese che applica alla propria realtà territoriale romena. Le due culture attribuiscono grande importanza alla geografia anche se le attribuiscono ruoli differenti. La prima ripone attenzione agli aspetti culturali della nazione, come la ricerca di miti fondanti, che trovano nella geografia un basilare supporto della storia nazio- nale. Ricordiamo, infatti, che

Herder, the great prophet of modern nationalism, insistently invokes geography in sup- port of national history. For him, it has marked out from the beginning, with its immu-

table structures, the direction of the evolution of the various human communities11.

La geografia francese, diversamente, sviluppa un discorso legato al con- cetto di regione come motivo primario nell’identificazione di un’entità na- zionale, e nel cui ambito le caratteristiche di unità e omogeneità giocano un ruolo di primo piano.

L’ossessione di identificare le modalità e i tempi della formazione di un distinto popolo romeno – nei suoi aspetti linguistici e culturali – costituisce la base della storiografia romena che si accoppia con la necessità di definire lo spazio entro cui tale processo si realizza. Questo secondo aspetto ri- chiede il riconoscimento di una verità geografica che, di fatto, crea una

«national obsession»12, la quale trova nella politica e nell’ideologia le sue

esplicazioni più evidenti. Questa evoluzione si materializza in un contesto territoriale le cui vicende, a partire dalla Dacia romana, sono ancora oggetto di discussione e i cui confini presentano delimitazioni discordanti. La ri- cerca di una unità culturale che indichi una specie di predestinazione poli- ticamente unitaria deve, quindi, accompagnarsi ad una predestinazione geografica. Quest’ultima è necessaria per trovare negli oggetti geografici

la conferma dei propri diritti di delimitare confini certi13. In breve una storia

unitaria non può che svolgersi in un altrettanto spazio geografico unitario.

Secondo questo punto di vista14, può essere difficile delineare un confine

naturale di una realtà romena circa la quale lo stesso Alexandru D. Xenopol afferma che

the Carpathians are the decisive factor in the political division of the Romanians. We shall see that the Romanians, after remaining for a long time in the fortress of the

11 Boia, Lucian (2001). History and Myth in Romanian Consciousness. Budapest: Central

European University, p. 123.

12 Ivi, p. 106. 13 Ivi, p. 123. 14 Ivi, p. 124.

mountains, at a certain time began to move out towards the valleys and plains of the Black Sea. Thus were born the two states of Muntenia and Moldavia, while on the other side of the mountains, internal ranges divided the Romanians into a number of different lands: Transylavania, Maramureş, Crişana, and the Banat. […] This move- ment of the Romanians out from the fortress of the Carpathians by way of two open- ings in particular, one in the south through Făgăraş and the other in the north through Maramureș, explains why it is that in the eastern and southern plain, even on a con- tinuous territorial unit, it was possible for two states, Muntenia and Moldavia, to coalesce, instead of there being just one. So strong was the divergent orientation imprinted on them from the beginning that they were to go living separately, even

as enemies, for more than half a millennium15.

Leggendo queste considerazioni si arriva alla conclusione che i Carpazi uniscono e dividono – impedendo l’individuazione di un confine naturale – allo steso tempo e, quindi, «the Romanians are obliged to fight against geo-

graphy»16. Contraddizione che, come si esplicita più avanti, trova soluzione

– vera o di comodo – nelle indicazioni del geografo francese de Martonne. È necessario, di conseguenza, ricorrere alla ricerca di miti fondanti, tra i quali ha un grande posto l’individuazione dei diritti storici derivanti dalla continuità del possesso dei territori della costruenda Grande Romania da parte delle popolazioni da cui discenderebbero i Romeni: Traci, Daci, Ro-

mani e Daco-Romani17. In particolare, questo aspetto riguarda la disputa

circa i diritti storici sulla Transilvania. Un confronto-scontro di carattere cul- turale con i sostenitori delle ragioni ungheresi che si tramuta in confronto politico: sostenendo, i romeni, che esistono prove della continuità della loro presenza in quest’area c affermando, gli ungheresi, che si tratta di un’asser- zione priva di fondamento. Fisher-Galaţi riconosce che il nazionalismo romeno:

as formulated and presented by Romanian historians, has been suspected. To claim, as has been done since the nineteenth century, that modern Romanian nationalism is

rooted in the Daco-Roman experience is clearly absurd18.

Il medesimo autore, d’altra parte, smentisce il carattere fondante della Grande Romania riposto in alcune figure quali Vlad III di Valacchia, Tudor Vladimirescu, Nicolae Bălcescu o Avram Iancu. Nemmeno il presunto ca-

15 Ibidem. 16 Ibidem.

17 Fisher-Galaţi, Stephen (1981). «Miths in Romanian History». East European Quar-

terly, 15 (3), p. 328.

rattere rivoluzionario del popolo romeno, pronto ad opporsi a invasori o pre- sunti tali, costituisce un fattore unificante. Come ricorda Fischer-Galaţi, in- fatti, la natura del popolo romeno è tutt’altro che rivoluzionaria. Lo stesso autore sottolinea che tale affermazione può essere definita in nessuna altra

maniera se non come frutto di una «political imagination»19.

Un’altra icona del mito nazionalista, frequentemente ricorrente nella let- teratura romena, è rappresentata da Michele il Coraggioso che viene utiliz- zata al fine di creare una inesistente mitologia politica. Molto esemplificative sono, al riguardo, le parole di Nicolae Iorga riportate da Boia:

the conquest of Moldova was carried out quickly, but we should not imagine that the Moldavians were happy about it. At that time, as we know, each land was used to living according to its own customs, with its ancient dynasty. […] Thus many of the subjects of Ieremia Vodă looked on Michael when he arrived not as braver, more effective, and more glorious Romanian lord, come to fulfill the unity of the people in a single political form, but as a foreign conqueror, ambitious and unruly, who was

upsetting the countries around him20.

Un’altra corrente di pensiero, che si manifesta nella prima parte del No- vecento, è ben rappresentata da Iuliu Moldovan il quale sviluppa una teoria basata su fondamenti biologici, i cui elementi costituiscono un programma che in sintesi può essere definito biopolitico. Secondo Turda utilizzando il termine biopolitica

Moldovan was not just adopting a characteristically versatile modernist term, he was also investing it with a specific national mission: to direct disparate narratives of historical experience and cultural traditions toward the idea of improving the racial qualities of the nation. The nation was portrayed as a living organism, functioning according to biological virtues transmitted from generation to generation. Equally important, the relationship between nation and state was turned into a specific sci- entific form of knowledge, one based on biology. Biopolitics thus operated through investigations of biological processes regulating the triadic relationship between in-

dividual, nation and state21.

19 Ivi, pp. 330-331.

20 Boia, L. History and Myth…, cit., p. 125.

21 Turda, Marius (2007). «The Nation as Object: Race, Blood, and Biopolitics in Interwar