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Gli Alleati e la creazione della Jugoslavia

di Vojislav Pavlović

1. Gli Alleati e la creazione della Jugoslavia

Per gli Alleati (Francia, Regno Unito, Russia, Italia e alla fine della guerra Stati Uniti) la creazione della Jugoslavia supponeva, se non la scomparsa defi- nitiva, almeno la significativa riduzione del territorio degli Asburgo, principale alleato della Germania nella Grande Guerra. Il futuro dell’Austria-Ungheria era considerato esclusivamente nell’ottica della guerra. L’imperativo esistenziale della vittoria imponeva la necessità di non appoggiare il progetto jugoslavo che non soltanto sembrava lontano e quasi futuristico ma per di più costringeva l’esercito imperiale e reale a una lotta ad oltranza per la salvaguardia dello stato degli Asburgo. Per questa ragione nelle pubbliche dichiarazioni sugli obiettivi della loro lotta gli Alleati mai parlarono, prima dell’estate 1918, di smantella- mento dell’Austria-Ungheria.

Lo dimostra la dichiarazione del governo francese di Réné Viviani del 22 dicembre 1914, quando questi affermò che gli obiettivi di guerra della Francia erano limitati alla liberazione dell’Alsazia e della Lorena, alla restaurazione del Belgio e alla richiesta di spezzare il militarismo prussiano. La scomparsa dell’Austria-Ungheria non era quindi un obiettivo del governo francese. Tutta- via, le promesse di compensazioni territoriali a danno dell’Austria-Ungheria ser- virono ad attirare i nuovi alleati. Così, con il Trattato di Londra nell’aprile 1915, gli Alleati promisero all’Italia (oltre al Trentino e all’Alto Adige) Trieste, Gori- zia, l’Istria, la Dalmazia con le isole comprese tra Zara e Capo Planka a sud di Sebenico e il porto di Valona sulla costa albanese. Nello stesso tempo erano in corso colloqui con il governo bulgaro a cui i vantaggi territoriali sarebbero do- vuti derivare dalla resa della parte orientale della Macedonia che era diventata serba dopo la seconda guerra balcanica. Come compenso ai sacrifici richiesti ai Serbi per attirare la Bulgaria nel campo alleato, era stato promesso loro un grande risarcimento territoriale a spese dell’Austria-Ungheria: la Bosnia-Erze- govina, la regione di Srem fino alla linea Drava-Danubio, la regione di Backa e la costa dalmata da Capo Planka (alla fine dell’area promessa agli italiani) al

confine montenegrino con tutte le isole vicine2. Nell’anno successivo, con il

2 Nota data dai rappresentanti francesi, inglesi e russi al governo serbo il 15.8.1915, Ar-

chivio del Ministero degli Affari esteri, Parigi, (da ora in poi AMAE), Documenti degli agenti, archivi privati, Fontenay – vol. 347.

Trattato di Bucarest, alla Romania fu promesso il Banato e la Transilvania3.

Malgrado queste promesse territoriali, la dissoluzione dell’Austria-Ungheria non era desiderata, come dimostra la dichiarazione degli obiettivi di guerra francesi del governo di Aristide Briand del 3 novembre 1915, che terminava con queste parole piuttosto vaghe:

Per quanto riguarda noi, abbiamo deciso di andare fino in fondo; i nostri nemici non devono credere in alcuna stanchezza o fallimento da parte nostra... Abbiamo la vo-

lontà di vincere e vinceremo4.

Dopo che il presidente Wilson chiese il 18 dicembre 1916 che i belligeranti dichiarassero chiaramente le loro finalità della guerra, sia il governo Briand sia tutti i governi alleati furono obbligati di chiarire quali fossero. Tuttavia, la ri- sposta alleata del 12 gennaio 1917 rimase altrettanto vaga, in quanto prevedeva innanzitutto l’evacuazione dei territori occupati, compresi la Serbia e il Mon- tenegro, aggiungendo che la liberazione delle minoranze nazionali faceva parte degli obiettivi di guerra alleati. Non era specificato alcun obbligo esplicito nei

confronti delle nazionalità dell’Austria-Ungheria5.

Tra gli Alleati il governo italiano fu l’unico ad avere una posizione precisa sul futuro dell’Austria-Ungheria. Già nel settembre 1914, il marchese di San- giuliano, Ministro degli Affari Esteri, espresse la sua ferma opposizione alla creazione di uno stato comune dei Slavi del Sud. Nel suo telegramma al mar- chese Guglielmo Imperiali ambasciatore italiano a Londra scrisse:

Ora è noto a V. E. che la ragione fondamentale in forza della quale potrebbe l’Italia decidersi al sovvertimento di tutto il suo indirizzo di politica estera consiste appunto nella minaccia che ai suoi vitali interessi adriatici risulta dalla politica austro-unga- rica. Non potremmo dall’incubo della minaccia austriaca passare all’incubo della

minaccia slava, e per ciò ci occorrono chiare garanzie6.

Sydney Sonnino, successore di Sangiuliano, concluse anch’esso, in un telegramma circolare inviato agli ambasciatori italiani nelle capitali alleate nel marzo 1915, che uno stato jugoslavo dall’altra parte dell’Adriatico fosse assolutamente inaccettabile:

3 Stevenson, David (1988). The First World War and International Politics. Oxford: Ox-

ford University Press, p. 63.

4 Bonnefous, George (19672). Histoire politique de la Troisième République, vol. II, La

Grande Guerre. Parigi: PUF, p. 97.

5 Duroselle, Jean-Baptiste (19982). La Grande guerre des français 1914-1918. Parigi: Per-

rin, p. 282.

6 Sangiuliano a Imperiali, Roma, 16 settembre 1914, Documenti diplomatici italiani (da

Ora non varrebbe la pena di mettersi in guerra per liberarsi dal prepotente predomi- nio austriaco nell’Adriatico quando dovessimo ricadere subito dopo nelle stesse con- dizioni d’inferiorità e di costante pericolo di fronte alla Lega dei giovani ambiziosi

Stati jugoslavi7.

Alla luce delle prese di posizione dei governi alleati, non sorprende che la dichiarazione del governo di Nikola Pašić del dicembre 1914, della sua intenzione di liberare e unire tutti i Serbi, Croati e Sloveni in uno stato co- mune, non provocò alcuna reazione degli Alleati. Quando questa si manifestò fu decisamente negativa. Dopo la creazione del Comitato jugoslavo, compo- sto dagli esuli Sloveni, Croati e Serbi dell’Austria-Ungheria, nell’aprile 1915, il suo presidente Ante Trumbić fu presentato dal ministro serbo a Pa- rigi, Milenko Vesnić, al Ministro francese degli Esteri, Théophile Delcassé. Quando Trumbić e Vesnić presentarono il progetto dell’unione jugoslava, Delcassé concluse che si trattava piuttosto di un ideale che di un progetto pratico e il fatto stesso d’averlo proposto fu considerato in sé un’esagera- zione spropositata. Secondo lui, invece, tutti gli sforzi dovevano essere con-

centrati sulla vittoria8.

Nel 1917 quindi, lo smantellamento dell’Austria-Ungheria, la conditio

sine qua non del progetto jugoslavo era in contraddizione con la strategia

generale degli Alleati. La situazione militare del 1917 portò gli Alleati a ri- vedere i loro obiettivi: il fallimento dell’offensiva di Nivelle e la fatica delle truppe francesi, il disastro italiano a Caporetto, ma soprattutto le rivoluzioni in Russia portarono gli Alleati alla moderazione e a dare una certa impor- tanza alle iniziative pacifiste del nuovo imperatore austriaco Carlo I. Durante i colloqui tra Carlo e suo cognato Sisto di Borbone-Parma, il governo di Ari- stide Briand insistette soltanto, tra le condizioni per una pace separata con

l’Austria-Ungheria, sul ripristino della Serbia e sul suo accesso al mare9. In

questo momento delicato, il programma jugoslavo continuava a non essere all’ordine del giorno. La strategia degli Alleati prevedeva unicamente di indebo- lire la Germania con una pace separata. Tuttavia, tutti i negoziati che avevano questa finalità (Armand-Revetera, Briand-Lacken, Smuts-Mendsdorf) fallirono perché, mentre gli alleati volevano una pace separata con l’Austria-Ungheria, la diplomazia austriaca cercava una pace generale.

7 Sonnino a Imperiali, Tittoni e Carlotti, 21 marzo 1915, DDI, Roma 1985, Vol. III, doc.

164, 134.

8Vesnić a Pašić, Parigi, 2 maggio 1915, Archivio della Jugoslavia, Belgrado (da ora in

poi AJ) , Documenti Jovanović, 80-2-86.

9 Bihl, Wolldieter (1993). «La Mission de médiation des princes Sixte et Xavier de Bour-

bon-Parme en faveur de la paix». Guerres mondiales et conflits contemporains, XLIII/170, pp. 33 e 37.

Il mancato accordo su una pace separata non mutò l’atteggiamento degli Al- leati verso l’Austria-Ungheria. Il Presidente del Consiglio britannico, David Lloyd George, dichiarò pubblicamente il 5 gennaio 1918 che la distruzione dell’Austria-Ungheria non faceva parte degli obiettivi di guerra del Regno

Unito10. Dopo l’ingresso degli Stati Uniti in guerra contro l’Austria-Unghe-

ria (7 dicembre 1917), il Presidente Woodrow Wilson espresse nei suoi Quat- tordici punti dell’8 gennaio 1918 gli obiettivi di guerra americani e le loro condizioni per una pace futura. Fu il primo tra i dirigenti alleati a evocare la questione della nazionalità. Nel decimo dei suoi 14 punti Wilson evocò la sorte delle nazionalità:

Il popolo dell’Austria-Ungheria, il cui posto tra le nazioni che vogliamo vedere sal- vaguardato e sicuro, dovrebbe avere la più libera opportunità di sviluppo auto-

nomo11.

Il cambiamento della politica francese e degli alleati verso la Duplice Mo- narchia ebbe luogo solo nell’aprile 1918, per vari motivi. In primo luogo, come abbiamo visto, si era rivelato impossibile staccare la Duplice Monar- chia dall’alleanza con la Germania attraverso una pace separata. Inoltre, la Duplice Monarchia aveva firmato trattati di pace con la Russia e la Romania e prevedeva di godersi i benefici che ne derivavano. Ma soprattutto per la prima volta, le truppe austriache apparvero sul fronte francese durante le of- fensive di Ludendorff del marzo 1918. Per tutti questi motivi, la politica di indebolimento della Germania, che prevedeva la separazione dalla Duplice Monarchia, fu modificata e si previde per la prima volta lo scioglimento dell’Austria-Ungheria. In Francia, la dimostrazione di questa nuova politica è illustrata dal famoso dibattito pubblico tra il Ministro degli Esteri della Du- plice Monarchia, il conte Czernin e Georges Clemenceau. Czernin accusò incautamente Clemenceau di aver cercato di concludere una pace separata. In risposta, il Presidente del Consiglio francese dapprima pubblicò una let- tera di un agente austro-ungarico che chiedeva le condizioni francesi per una pace separata; in seguito rese pubblica la lettera dell’imperatore Carlo a suo cognato Sisto di Borbone-Parma del maggio 1917. L’ultimo Asburgo, nella sua missiva, cercava di stabilire un clima favorevole nei colloqui con le au-

10 British War Aims Statement by the Right Honourable David Lloyd George January

Fifth, Nineteen Hundred and Eighteen Authorized Version as published by the British Gov- ernment, New York, George H. Doran Company.

11 President Woodrow Wilson’s Fourteen Points (http://avalon.law.yale.edu/20th_cen-

torità francesi ponendo suo cognato come intermediario e sostenendo le ri-

vendicazioni francesi sull’Alsazia e la Lorena12. In questo modo si consumò

la rottura tra gli alleati e la Duplice Monarchia, mentre l’imperatore molto compromesso agli occhi del suo alleato tedesco, dovette accettare tutta una serie di accordi definitivi che collegavano il destino del suo impero a quello tedesco. Clemenceau, da parte sua, dichiarò il 20 aprile 1918 a Edward Be- nes, il capofila del movimento nazionale ceco, che era pronto a riconoscere

il Consiglio nazionale ceco e concedergli le prerogative del governo13.

All’inizio di maggio 1918 Clemenceau e Pichon informarono la commis- sione parlamentare sul caso Czernin, concludendo che la Francia doveva ine- vitabilmente sostenere le richieste di autodeterminazione delle nazionalità

austro-ungheresi14.

Il destino della Duplice Monarchia fu deciso quando divenne chiaro che esso era legato a quello della Germania. La deliberazione di sostenere le na- zionalità austro-ungheresi era stata presa, non solo perché la loro causa era considerata giusta, ma perché in un momento cruciale della guerra si era cer- cato con tutti i mezzi di trovare nuove truppe utili allo sforzo bellico. Il ruolo svolto della legione ceca in Russia dopo l’armistizio di Brest-Litowsk dimo- stra chiaramente l’importanza che l’arruolamento dei battaglioni di prigio-

nieri cechi, polacchi o jugoslavi avrebbe potuto avere per gli alleati15. Nello

stesso tempo, gli alleati speravano che la nuova politica verso le nazionalità oppresse potesse demoralizzare le unità ceche, slovacche e jugoslave che an- cora combattevano sotto la bandiera degli Asburgo. Va sottolineato anche, che il progetto jugoslavo del governo serbo non influenzò in alcun modo la decisione degli Alleati di sostenere le nazionalità che vivevano nell’Austria- Ungheria.

Come è noto, il governo italiano era all’origine della vaga dichiarazione del Consiglio supremo degli Alleati del 3 giugno 1918, che espresse la sim- patia alleata verso la volontà degli jugoslavi e dei cecoslovacchi a soddisfare le loro aspirazioni nazionali. Di conseguenza, gli Alleati poterono fare una dichiarazione pubblica riconoscendo solo il Consiglio nazionale cecoslo- vacco come rappresentante ufficiale di questa nazione e come base del suo

futuro governo16. Una analoga dichiarazione in favore degli jugoslavi non

12 Duroselle, Jean Baptiste (1988). Clemenceau. Parigi: Fayard, pp. 703-705. 13 Ivi, p. 813.

14 Stevenson, David (1988). The First World War and International Politics. Oxford: Ox-

ford University Press, p. 217.

15 Stevenson, David (1982). French War Aims Against Germany 1914-1919. Oxford: Ox-

ford University Press p. 107.

16 Horvo, Kalervo (1975). Cordonsanitaire or barrière de l’Est?: The Emergence of the

era possibile a causa del veto del governo italiano. Lord Robert Cecil, vice- segretario del Ministro degli Esteri britannico, riteneva infatti che nessuna decisione che riguardava il destino degli Jugoslavi poteva essere fatta senza un accordo preventivo con l’Italia. Egli sottolineava inoltre le differenze esi- stenti tra il Comitato jugoslavo e il Comitato ceco, poiché il sostegno al Co- mitato jugoslavo non era unanime e le sue truppe erano quasi inesistenti. Di conseguenza, Cecil consigliò estrema cautela prima di dare a Trumbić spe-

ranze per il riconoscimento del suo Comitato17. Il parere del governo britan-

nico era coerente con il punto di vista del Quai d’Orsay. Il governo della Repubblica non poteva trascurare l’opposizione italiana e provocare l’opi- nione pubblica in Italia con una dichiarazione in favore degli Jugoslavi. Le condizioni per una tale dichiarazione, secondo il Ministro degli Esteri, Ste- phan Pichon, erano due: unità di vedute tra il Comitato jugoslavo e il governo serbo e l’accordo tra loro e il governo italiano. Allo stesso tempo, Pašić fu informato che alla riunione alleata di Londra si era convenuto che non ci sa- rebbero state discussioni politiche sui confini tra l’Italia e la Jugoslavia e che

l’iniziativa alleata nei confronti dello spazio jugoslavo apparteneva all’Italia18.

L’ipoteca italiana gravava pesantemente sulla questione jugoslava nonostante la dichiarazione italiana del 14 settembre 1918 con la quale il governo italiano accettò in linea di principio l’esistenza di uno stato jugoslavo a condizione che

non contravvenisse agli articoli del Trattato di Londra19.