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PRIMA PARTE

4. Le donne ed il carcere Un progetto di equilibri, uno

4.2 Bambini dentro e affettività

Come è stato già detto la questione femminile implica, tra le varie condizioni che si aggiungono rispetto alla detenzione maschile, la presenza di madri e quindi di bambini.

Per casi specifici, la normativa italiana permette alle madri detenute la possibilità di poter tenere i propri figli fino all’età dei 3 anni21. Secondo i dati, forniti dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria, nelle carceri italiane (all’interno delle sezioni nido) sono presenti 52 madri con 62 bambini22. Negli Icam, istituti a custodia attenuata per madri, dove la legge23 prevede la permanenza di bambini fino al sesto anno di età, sono presenti 18 madri con 15 bambini.

Questo aspetto costituisce un elemento importante all’interno di questa ricerca, ponendo l’attenzione non solo ai dati spaziali per ciò che riguarda la risocializzazione della detenuta ma anche alla presenza di minori che di fatto devono vivere in una condizione non idonea alla crescita di un bambino.

Ci sono molte accortezze affinché le condizioni ambientali delle sezioni nido si discostino il più possibile dalla dimensione carceraria, acquisendo dei connotati maggiormente accostabili alla vita libera. Per esempio c’è il tentativo di dissimulare le sbarre del blindo, ravvivare gli spazi colorando le pareti, mettere al primo posto le esigenze dei minori pensando a degli spazi a misura di bambino, fare in modo che il minore possa uscire il più possibile dal carcere grazie alle organizzazioni di volontariato e avvicinarli alla società facendogli frequentare l’asilo all’esterno prison in Europe is growing. Despite this increase, however, women are still only a minority of the prison population. Prisons are indeed designed with men in mind. Because of this, and because women prisoners often have lower social and educational levels than their male counterparts, prisons, prison regimes and prison rehabilitation and education programmes often do not address the specific needs of women.” (t.d.a.).

21 Legge 354/1975, art. 11. 22 Dato risalente all’agosto 2018. 23 Legge 62/2011.

4.11

4.12 icam, camera di pernottamento tipo

dell’istituto. L’icam è stato realizzato con l’unico scopo di riunire le madri con i figli in strutture che tutelassero in primo luogo le esigenze dei bambini e, tra le varie accortezze, in queste strutture il personale di polizia penitenziaria non indossa la divisa e non vi sono sbarre alle porte.

Oltre alla presenza dei bambini in carcere si devono tener presente le visite che i genitori, in questo caso le madri, ricevono da parte dei figli durante il periodo di detenzione. A tal proposito si fa riferimento alla Carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti24 che riconosce il diritto dei minorenni alla

continuità dell’affettività nei confronti dei genitori detenuti e a questi ultimi il diritto di genitorialità anche all’interno del carcere. Nell’articolo 2 della carta si specifica che sia prima dei colloqui, negli spazi d’attesa, che durante, all’interno degli spazi destinati agli incontri, dovrebbero essere realizzati degli spazi dedicati ai bambini, “dove i minorenni possono sentirsi accolti e riconosciuti”25.

Questo argomento permette di introdurre un altro tema, quello dell’affettività in carcere. Occorre puntualizzare che si intende considerare queste questioni soprattutto dal punto di vista femminile, senza sottovalutare la dimensione maschile, sia per la distribuzione geografica degli istituì femminili che molte volte ostacola le relazioni familiari dovute alla distanza del carcere dal luogo di residenza della famiglia sia perché, come già menzionato nell’introduzione, le donne molto spesso vivono un doppio senso di colpa, quello dovuto al reato commesso e quello nei confronti della propria famiglia, risentendo maggiormente del distacco familiare e della perdita della dimensione affettiva. 24 La carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti nasce da un proto- collo di intesa tra il Ministero della giustizia, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e l’associazione Bambinisenzasbarre Onlus, 6 settembre 2016. 25 carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti, art. 2, comma 3, p.4 file:///C:/Users/Letizia/Downloads/Protocollo-Carta-dei-figli-di-genitori-dete- nuti.pdf (consultato nel giugno 2019).

4.13

Con il termine affettività qui si intende indagare i rapporti che legano la detenuta all’esterno del carcere, soprattutto afferenti alla dimensione familiare. Nello specifico quando si parla di affettività si fa riferimento al sistema delle “visite affettive”, ossia all’incontro privato tra detenuti e partner, consentito in 31 Stati su 47 componenti del Consiglio d’Europa. Questo tipo di visite non sono autorizzate in Italia, l’impedimento normativo cardine è costituito dall’articolo 18 dell’Ordinamento Penitenziario (legge 354/1975 e D.P.R. 230/2000) che prevede il controllo visivo di tutti i colloqui.

Secondo la Costituzione italiana e considerando la normativa europea e internazionale, il fine delle pene dovrebbe essere quello del reinserimento sociale del detenuto e vista in questi termini la possibilità di mantenere i legami affettivi che si trovano nel “mondo di fuori” dal carcere è da ritenersi una buona pratica al fine di incentivare questo proposito. In questi termini il diritto all’affettività può essere considerato sotto l’aspetto trattamentale della pena.

Attualmente in Italia i detenuti hanno diritto a 6 colloqui mensili della durata circa un’ora, come stabilito dall’articolo 18 della legge del 1975. A questi si aggiungono dei colloqui speciali, la cui gestione dipende dai regolamenti dei singoli istituti e che consentono di passare più tempo con i propri familiari. Per esempio nel caso di Rebibbia femminile circa una volta al mese si può fare richiesta di questo colloquio speciale permettendo di trascorrere le ore centrali della giornata con la famiglia non all’interno della sala colloqui ma in un’area verde appositamente attrezzata all’esterno. Questo consente di poter vivere una parte della quotidianità affettiva esterna di cui il detenuto è privato.

Questo tipo di “colloqui” diventa molto importante nel caso femminile, sia per un fattore psicologico sia per un fattore territoriale come già è stato accennato. Trovandosi in carcere

la donna non può essere madre, compagna, e ciò provoca un senso di frustrazione maggiore rispetto al caso maschile. Il fattore territoriale implica che in molti casi ci sono delle distanze fisiche notevoli tra l’istituto e il nucleo familiare, il che costringe la famiglia a lunghi spostamenti anche solo per un’ora di colloquio.

In diverse occasioni il mondo politico, accademico, legislativo ha mostrato l’interesse nel modificare l’istituto dei colloqui. Uno degli ultimi tentativi è stato quello promosso dal tavolo 6, mondo degli affetti e territorializzazione della pena, organizzato presso gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, 2016. In questo ambito viene promosso l’istituto della “visita” che andrebbe a sostituire quello del “colloquio”, la cui differenza sostanziale è la mancanza di controllo visivo durante l’incontro. Nella relazione finale del tavolo si legge: “La visita si distingue dal “colloquio”, già previsto dalla normativa, poiché garantisce l’esercizio del diritto all’affettività del detenuto e quindi la possibilità di incontrarsi con chi è autorizzato ad effettuare i colloqui, senza però che durante lo svolgimento della visita vi sia un controllo visivo e/o auditivo da parte del personale di sorveglianza”26. Nella stessa sede si esplicita chiaramente la necessità di “unità abitative” apposite allo svolgimento di tali incontri. Una delle ultime proposte di legge è quella del 2017, Proposte per l’attuazione della delega penitenziaria, a cura di Glauco Giostra e Pasquale Bronzo, che riprendendo il corpus normativo penitenziario in maniera globale, dedica la sezione XII all’affettività in cui si evidenziano importanti modifiche sia a livello legislativo che semantico. Tra questi l’introduzione delle “visite coniugali” e delle “visite con i familiari”, infatti come si legge dalla relazione illustrativa: “La mancanza di luoghi, tempi e spazi adeguati a garantire il mantenimento di relazioni affettive significative, da un lato ostacola il percorso 26 https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/sgep_tavo- lo6_relazione.pdf, p.2 (consultato nel maggio 2018).

di reinserimento sociale dei detenuti […] dall’altro, rischia di compromettere la salute psico – fisica, tutelata dall’art. 32 Cost.”27. In queste proposte rientrano due derivazioni del tema dell’affettività, una legata alla sfera familiare, l’altro che impone maggior riservatezza e che riguarda maggiormente la sfera sessuale.

Questo disegno di legge non ha avuto seguito, anche se già si sono verificate delle sperimentazioni in questo senso. Per esempio a Milano Bollate nel 2005 si diede il via al progetto pilota della “stanza dell’affettività”, un luogo dove i colloqui tra detenuti e familiari avvengono in un ambiente che si avvicina ad una dimensione residenziale e domestica più che detentiva. In questi termini si può considerare il tema dell’affettività in carcere un tema architettonico, soprattutto legato alla dimensione femminile.

Lo spazio destinato ad un’attività è in grado di influire sull’atteggiamento dei suoi fruitori. Quindi avere la possibilità di trascorrere il tempo del colloquio in uno spazio dotato di determinate qualità e caratteristiche conferirà la stessa qualità al tempo trascorso in esso.

Pensare di poter passare una parte della giornata in uno spazio che richiami nell’immaginario l’idea di casa vuol dire dare una certa qualità al tempo trascorso in questo spazio. Dare la possibilità alle detenute di usufruire di uno spazio del genere, può stimolare le detenute ad assumere piena consapevolezza dell’uso di questo ambiente e attivare dei processi di responsabilizzazione che sono di per sé trattamentali e aiutano il detenuto ad affrontare quel processo di risocializzazione di cui il carcere dovrebbe essere il promotore.

27 Giostra, G., Bronzo, P., (a cura di), Proposte per l’attuazione della delega penitenziaria, Sapienza università editrice, R 248.oma 2017, p.248.