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BENI COMUNI E AUTONOMIE NELLA PROSPETTIVA EUROPEA: CITTÀ E CITTADINANZE

Fabio Giglioni

SOMMARIO:1. Introduzione. 2. Unione europea e beni comuni. 2.1. Esiste una nozione di beni comuni in Europa? 2.2. Il principio europeo di neutralità dei regimi proprietari. 2.3. Il nesso di causalità tra UE e beni comuni. 2.4. Il contributo dell’UE ai beni comuni: l’integrazione per valori. 3. Unione euro- pea e autonomie pubbliche. 3.1. L’UE e l’autonomia dei poteri pubblici eserci- tata sui territori subnazionali. 3.2. Lo sviluppo locale. 3.3. La costruzione di un’Agenda urbana europea. 3.4. Gli strumenti giuridici del diritto europeo a sostegno delle autonomie territoriali. 3.4.1. Gli aiuti di Stato. 3.4.2. I fondi strutturali e di coesione. 4. Unione europea e doveri di cittadinanza. 4.1. I doveri di solidarietà. 4.2. I principi europei al servizio delle libertà solidali. 5. Unione europea e l’apertura di nuovi spazi per il diritto. 5.1. Prime osser- vazioni conclusive. 5.2. Ordinamenti in trasformazione: verso un diritto delle città? 5.3. Tendenze in attesa di conferme.

1. Introduzione

La centralità assunta negli anni più recenti dal tema dei beni comu-

ni1 presenta senza dubbio una connotazione strettamente nazionale, an-

1 Non occorre qui essere esaustivi del lungo dibattito dottrinale che si è sviluppato

in Italia, perché ne tiene conto il contributo di F.CORTESE,Che cosa sono i beni comu- ni?, nel presente volume, 37 ss. Tuttavia, in termini meramente essenziali si ricordano:

E. BOSCOLO,Beni comuni e consumo di suolo. Alla ricerca di una disciplina legislativa,

in P. URBANI (a cura di), Politiche urbanistiche e gestione del territorio. Tra esigenze del mercato e coesione sociale, Torino, 2015, 69 ss.; A.LALLI, I beni pubblici. Impera- tivi del mercato e diritti della collettività, Napoli, 2015, 287 ss.; P.MADDALENA, Il territorio come bene comune degli italiani. Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico, Roma, 2014; V.CERULLI IRELLI,L.DE LUCIA, Beni comuni e diritti collettivi, in Pol. dir., 2014, 3 ss.; S.SETTIS, Azione popolare. Cittadini per il bene co- mune, Torino, 2014; R. LOMBARDI, Ambiente e mercato: note minime per una nuova prospettiva d’indagine sui beni comuni, in R. FERRARA, C.E. GALLO (a cura di), Le politiche ambientali, lo sviluppo sostenibile e il danno, in R. FERRARA, M.A.SANDULLI,

che se non è rimasta confinata nello spazio di un unico ordinamento ma è condivisa da molti tra loro. Tuttavia è fin troppo semplice argomenta- re che una questione di questa natura non può essere esaurita in dibattiti

Trattato di diritto dell’ambiente, I, Milano, 2014, 67 ss.; M.PROSPERO, Beni comuni. Tra ideologia e diritto, in N.GENGA,M.PROSPERO,G.TEODORO (a cura di), I beni co- muni tra costituzionalismo e ideologia, Torino, 2014, 1 ss.; D.MONE, La categoria dei beni comuni nell’ordinamento giuridico italiano: paradigma per la lettura del regime dei beni pubblici alla luce della Costituzione, in Rass. dir. pub. eur., 2014, 2, 63 ss.;

R. MESSINETTI, Nuovi diritti della persona e beni comuni, in N.GENGA,M.PROSPERO,

G.TEODORO (a cura di), I beni comuni tra costituzionalismo e ideologia, Torino, 2014,

87 ss.; E.BOSCOLO, Oltre il territorio: il suolo quale matrice ambientale e bene comu- ne, in Urbanistica e appalti, 2014, 129 ss.; U.MATTEI, Materiali per un costituzionali- smo dei beni comuni, in Il ponte, 2013, 1, 137 ss.; P.MADDALENA, I beni comuni nella crisi finanziaria, in Il ponte, 2013, 1, 142 ss.; S.RODOTÀ, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e sui beni comuni, Bologna, 3^ ed., 2013; S.MAROTTA,La via italia- na ai beni comuni, in Aedon, 2013, 1; A.GAMBARO,Note in tema di beni comuni, in Aedon, 2013, 1; T.BONETTI,I beni comuni nell’ordinamento giuridico italiano tra “mi- to” e “realtà”, in Aedon, 2013, 1; E.VITALE, Contro i beni comuni. Una critica illumi- nista, Roma-Bari, 2013; A.DI PORTO, Res in usu publico e «beni comuni». Il nodo della tutela, Torino, 2013; E.BOSCOLO, Beni pubblici, beni privati e beni comuni, in Riv. giur. urb., 2013, II, spec. 363-372; E. VITALE, Contro i beni comuni, Roma-Bari, 2013;

P.CHIRULLI, Beni comuni, tra diritti fondamentali, usi collettivi e doveri di solidarietà,

in AA.VV., Studi in onore di Claudio Rossano, II, Napoli, 2013, 601 ss.; A.FARÌ, Beni e funzioni ambientali. Contributo allo studio della dimensione giuridica dell’ecosistema,

Napoli, 2013, spec. 103-108; N.GIANNELLI, Beni comuni e servizi pubblici: utilità so- ciale e gestione democratica, in Ist. fed., 2013, 583 ss.; A.LUCARELLI, La democrazia dei beni comuni. Nuove frontiere del diritto pubblico, Roma-Bari, 2013; A.CIERVO, I beni comuni, Roma, 2012; S.RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, Bari, 2012, spec. 105-

108; G. ARENA,C.IAIONE, L’Italia dei beni comuni, Roma, 2012; M.R.MARELLA (a

cura di), Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Verona, 2012; U. MATTEI, Beni comuni. Un manifesto, Roma-Bari, 2011; M.R.MARELLA, Il diritto dei beni comuni. Un invito alla discussione, in Riv. crit. dir. priv., 2011, 118 ss.; M.REN- NA, Le prospettive di riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, in Dir. econ., 2009, 11 ss.; M.RENNA, I “beni comuni” e la Commissione Rodotà. Un nuovo regime per le proprietà collettive, in www.labsus.org, 2009; V.CAPUTI JAMBRENGHI, Beni pubblici tra uso pubblico e interesse finanziario, in A.POLICE (a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano, 2008, 459 ss.; G.CARAPEZZA FI- GLIA, Oggettivazione e godimento delle risorse idriche. Contributo ad una teoria dei beni comuni, Napoli, 2008; U.MATTEI,E.REVIGLIO,S.RODOTÀ (a cura di), Invertire la rotta. Idee per una riforma dei beni pubblici, Bologna, 2007.

esclusivamente nazionali. La porosità degli ordinamenti nazionali ri- spetto a quelli sovranazionali rende il confronto scontato e questo anche a prescindere dalla nozione che si assume di beni comuni. L’amplia- mento delle prospettive di studio dei beni comuni è inevitabile per quel- li che sostengono una diretta relazione tra beni comuni e diritti fonda- mentali: il richiamo di questi ultimi, infatti, proietta il tema oltre i con-

fini nazionali e investe direttamente gli ordinamenti sovranazionali2.

Connessioni analoghe, però, possono essere rintracciate anche se si adottano altri significati, specie se si prende in considerazione l’ordina- mento europeo.

In via del tutto intuitiva, infatti, non esistono oggetti di carattere giu- ridico oggi che non debbano essere misurati con l’ordinamento euro- peo. Il dibattito sulla crisi dell’UE è principalmente di natura politica; da un punto di vista giuridico, l’integrazione europea è progredita sta- bilmente raggiungendo intensità e forme ancora inedite proprio in que-

sti anni di crisi, come il caso dell’unione bancaria può ben dimostrare3.

Sicché i temi giuridici, quand’anche originino da spinte nazionali, han- no una naturale propensione a essere trattati in sede europea e nel con- fronto con l’ordinamento sovranazionale. Non è un problema di “se” ma un problema di “come”, come, cioè, nello specifico caso dell’Unio- ne europea, questa si collega con la questione dei beni comuni.

Si aggiunga a questo dato la circostanza storica consistente nella coincidenza – almeno per l’esperienza europea – tra emersione della nozione di beni comuni e la crisi economica e finanziaria più grave dal dopoguerra. Questo collegamento coinvolge direttamente l’UE, spesso additata tra le cause della crisi, soprattutto con riferimento a quella del-

2 Sono riconducibili nella categoria degli atti internazionali che hanno in potenza la

forza di aprire a una gestione condivisa di beni di interesse generale la Convenzione di Aahrus del 25 giugno 1998, ratificata nel 2013 anche dall’Unione europea, la Conven- zione europea del paesaggio del Consiglio d’Europa, che valorizza il paesaggio come espressione anche culturale, la Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, il nuovo piano delle Nazioni unite approvato a settembre 2015 sulle Sustainable Development Goals e l’accordo finale di Cop21, con particolare riferimento agli art. 11 e 12.

3 Alle implicazioni giuridiche e amministrative dell’unione bancaria è dedicato il

recente studio di G.VESPERINI,E.CHITI (eds.), The Administrative Architecture of Fi- nancial Integration. Institutional design, Legal Issues, Perspectives, Bologna, 2015.

la seconda fase che ha riguardato i debiti sovrani. Il circuito prodotto tra beni comuni e crisi finanziaria ed economica richiede quantomeno un approfondimento sul ruolo che l’UE può aver prodotto. Anche in questo caso il problema non è tanto di giustificare le ragioni che inducono a credere presente un ruolo della UE, quanto capire come dal punto di vista europeo i beni comuni sono rappresentati a partire dalla crisi eco- nomica che ha travolto in modo molto acuto la zona europea.

Le ipotesi di studio consistono, pertanto, nel verificare se i beni co- muni ricevano una protezione diretta dall’ordinamento europeo o, se così non fosse, se possano ricevere almeno un sostegno indiretto attra- verso il supporto garantito agli Stati nazionali che ne offrano una diretta tutela, da un lato; dall’altro, occorre verificare se l’UE concepisca i beni comuni solamente come un frutto della crisi rispetto alla quale saranno anche da indagare gli effetti prodotti dalle politiche europee o se, inve- ce, essi rappresentino anche una risposta possibile alla stessa, trasfor- mando gli stessi beni comuni in una funzione pubblica, anche in questo caso distinguendo tra un’ipotesi di funzione diretta ed esclusiva o fun- zione indiretta dell’UE.

Tenendo in mente questi obiettivi della ricerca, gli argomenti che seguono si presenteranno secondo paragrafi raggruppati in quattro parti: la prima tenterà di verificare se esiste in ambito europeo una nozione di beni comuni e se riceva diretta protezione; nella seconda si vedrà se l’UE favorisca il rafforzamento delle autonomie delle pubbliche autori- tà quale condizione di sviluppo dei beni comuni e in che modo; la terza parte cercherà di comprendere se esista a livello europeo un sistema di regole o di istituti che proteggono gli esercizi dei doveri di solidarietà che i cittadini liberamente svolgono a favore delle comunità di apparte- nenza; infine, la quarta trarrà spunti conclusivi da quanto analizzato, verificando in che termini UE e beni comuni siano tra loro collegati.

2. Unione europea e beni comuni

2.1. Esiste una nozione di beni comuni in Europa?

L’espressione “bene comune” è assente nei Trattati fondativi del- l’UE ed è sostanzialmente irrintracciabile anche negli atti di diritto de- rivato. In modo del tutto generico l’espressione è talvolta utilizzata per riferirsi al mercato interno che, benché non possa più essere considerato l’unico mezzo impiegato per realizzare gli obiettivi europei, continua ancora oggi a costituire la principale trasformazione degli ordinamenti giuridici nazionali. È evidente, tuttavia, che tale associazione è irrile- vante e sembra più prossima a quella deriva che ha colpito anche i commentatori e gli studiosi nazionali dei beni comuni per alcuni dei quali l’estensione del termine si è così dilatata da divenire inutilizzabile e priva di ogni capacità descrittiva.

Ciononostante l’UE ha avuto l’opportunità di misurarsi con tale no- zione. Organizzazioni civiche di carattere transnazionale hanno elabo-

rato la Carta europea dei beni comuni4 con l’ambizione espressa di far-

ne il presupposto di un nuovo diritto costituzionale europeo, nella prin- cipale direzione di invertire le politiche di privatizzazione e liberalizza- zione che hanno caratterizzato le scelte degli ultimi tre decenni. Nono- stante la sollecitazione rivolta alle istituzioni europee, la Carta, però, è stata totalmente ignorata. Analogo esito hanno avuto finora il Manifesto

per i Beni Comuni nell’Unione europea5 e un’azione gemella tesa a

sollecitare l’impegno dei candidati al Parlamento europeo nel 2014 ad adottare iniziative riassunte nell’appello Per un’Europa dei diritti e dei

beni comuni6, promossi da altre organizzazioni della società civile. Le

4 Il testo rintracciabile ancora in rete (sul sito http://www.vialiberamc.it/wp-content/ uploads/2011/12/Carta-europea-dei-beni-comuni.pdf) è il frutto di un documento ap-

provato all’International University College, il 2 e 3 dicembre 2011, che raccoglie ini- ziative, idee e proposte di diversi istituzioni pubbliche di ricerca e non, e di organizza- zioni associative come European Alternatives.

5 Il Manifesto, diversamente dalla Carta, ha più un’impronta politica ed è collegato

al movimento della tutela delle acque: cfr. http://europeanwater.org/it/notizie/notizie-

locali/397-manifesto-per-i-beni-comuni-nell-unione-europea.

6 L’appello ha la caratteristica di individuare obiettivi politici ma richiamando alcu-

pressioni provenienti dalla società civile non sono dunque bastate per indurre le istituzioni europee ad agire su questo terreno.

Una prima timida reazione si è registrata nel 2015 attraverso la co- stituzione di un intergruppo nel Parlamento europeo denominato Beni

comuni e pubblici servizi7, che ha avviato le prime riflessioni e i primi

studi a cominciare dalla ricerca di una definizione condivisa di beni comuni, ma il cui esito è ancora ignoto. D’altra parte gli atti degli inter- gruppi non hanno la forza di atti formalmente vincolanti per l’istituzio- ne parlamentare, anche se possono avere una funzione importante di sensibilizzazione politica.

Ben altro esito avrebbe potuto dare un’altra iniziativa della società civile che si è avvalsa dell’istituto dell’Iniziativa dei cittadini europei previsto dall’art. 11, p. 4, TUE. Infatti, diversamente dai casi finora descritti che sono irrilevanti da un punto di vista giuridico, l’Iniziativa dei cittadini europei obbliga la Commissione europea a un pronuncia- mento espresso finalizzato alla presentazione di un nuovo atto legislati- vo conforme all’istanza dei cittadini. Il richiamo di questo istituto è re- so necessario dalla circostanza che la prima concreta applicazione è avvenuta in occasione dell’iniziativa intitolata L’acqua è un diritto, presentata alla fine del 2013 e analizzata dalla Commissione europea a febbraio del 2014. Il comitato promotore, infatti, nel reclamare l’affer- mazione del diritto all’acqua come diritto universale di cui occorre as- sicurare l’accesso a tutti con sottrazione alle «logiche del mercato in- terno», richiedeva la promozione di un’iniziativa legislativa coerente da parte della Commissione europea, tesa ad affermare il bene come pa- trimonio comune.

Questa volta l’obbligo giuridico posto a carico dell’istituzione euro- pea impediva la sottrazione alle proprie responsabilità da parte della Commissione europea, che in effetti si è pronunciata con una Comuni-

borg del 1994 e Lipsia del 2007 sulle città sostenibili, allorquando vi fu un espresso richiamo all’attuazione di Agenda 21, su cui poi si avrà modo di tornare.

7 L’elenco dei componenti di questi intergruppi è consultabile sul sito http://www. europarl.europa.eu/pdf/intergroupes/VIII_LEG_06_Common_goods.pdf. Tra le attività

compiute dall’intergruppo c’è stato anche l’incontro con l’unità locale trentina di ricer- ca nell’ambito della ricerca PRIN, in cui è maturata questa ricerca, il 15 settembre 2015 a Bruxelles.

cazione formale8. Tuttavia la risposta della Commissione europea è pri-

va di ogni riferimento esplicito a considerazioni relative ai beni comuni e ha ritenuto non necessario avviare un nuovo iter legislativo, giacché la specialità delle acque sarebbe già nota all’ordinamento europeo che, infatti, lascia fuori i servizi idrici all’applicazione di alcune norme di carattere generale. Un’evidente riprova di questa condizione dei servizi

idrici è l’art. 12 della direttiva sui contratti di concessione9, che ne

esclude l’applicazione per identificati casi del settore idrico. In questo modo, pertanto, la Commissione elude il tema di carattere generale an- che se implicitamente – riconoscendo che i servizi idrici presentano delle particolarità – sembra non voler contraddire neppure le tesi soste- nute dai promotori dell’iniziativa. È interessante, da questo punto di vista, il collegamento che la Commissione compie con il considerando n. 40 della direttiva menzionata in cui si riconosce che la concessione dei servizi idrici è sottoposta a regimi speciali anche per l’importanza «dell’acqua quale bene pubblico di valore fondamentale per tutti i citta-

dini dell’Unione»10. In qualche modo sembrerebbe ricavabile che la

Commissione europea, pur non ricollegando espressamente i beni co- muni a una precisa determinante giuridica, li consideri parte dei valori dell’ordinamento europeo, almeno per quanto concerne l’acqua.

Simili conclusioni possono essere avanzate anche alla luce di un al- tro caso giuridico che ha investito le istituzioni europee, questa volta di natura giurisprudenziale. Il caso giurisprudenziale a cui si fa riferimen-

to è la causa Valle Pierimpiè, giudicata dalla CEDU11, il cui pronun-

ciamento, sebbene faccia riferimento alla Convenzione europea sui di- ritti dell’uomo, può ben essere considerato espressivo di principi che valgono per l’ordinamento dell’UE a seguito dell’entrata in vigore del

8 Si tratta della Comunicazione relativa all’iniziativa dei cittadini europei Acqua po- tabile e servizi igienico-sanitari: un diritto umano universale! L’acqua è un bene co- mune, non una merce!, COM(2014) 177 final.

9 Il riferimento è evidentemente alla direttiva 2014/23/UE. 10 Cfr. COM(2014) 177 final, 5-6.

11 Gli estremi esatti della sentenza sono i seguenti: CEDU,sez. II, 23 settembre

2014, Valle Pierimpiè Società Agricola s.p.a. c. Italia. Si vedano i commenti di C. PA- TERA, in www.labsus.org, 2015 e M.GRECO,T.GRECO, Valli da pesca, demanialità marittima ed “espérance légitime” del privato nella giurisprudenza CEDU, in Danno e resp., 2013, 2, 134 ss.

trattato di Lisbona. Il caso è molto rilevante perché costituisce la prose- cuzione di una di quelle sentenze gemelle pronunciate dalla Corte di cassazione nel 2011, divenute famose perché riguardanti il caso molto complesso delle “valli di pesca”, in occasione delle quali la suprema Corte ha utilizzato proprio il concetto di beni comuni per risolvere la

controversia12. Si è offerta così l’occasione alla CEDU di valutare se

tale concetto potesse trovare qualche sostegno nell’ordinamento euro- peo.

Nel caso di specie la contestazione riguardava la contesa sviluppata da una società per azioni e il Governo italiano per la rivendicazione della natura di proprietà privata di alcune zone lacuali, denominate «valli di pesca», nelle quali detta società fino al 1989 ha svolto le sue attività di piscicoltura senza alcuna obiezione da parte delle autorità pubbliche. A partire dal 1989, però, in considerazione di alcune valuta- zioni tecniche sulla funzione delle valli attigue alle acque lagunari ve- neziane, le autorità nazionali diffidano la società a porre termine alle loro attività economiche in quanto svolte su beni di demanio pubblico. Da qui l’inizio del caso giudiziario molto complesso che verrà portato all’attenzione della Corte di cassazione, la quale, respingendo l’azione proposta dalla ricorrente che si basava perfino su documenti risalenti al XV sec., sviluppa un’argomentazione di supporto alle tesi governative facendo uso della qualifica di beni comuni attribuita alle “valli di pe- sca”. Sulla base di questa qualificazione che viene sostenuta tenendo conto di alcuni riferimenti costituzionali che qui non interessa ripercor- rere, la Cassazione sottolinea il valore ambientale delle acque interessa- te e il bisogno di garantire una tutela che consenta l’assicurazione del

12 La sentenza appellata alla CEDUè quella della Corte di cassazione, ss.uu., 14

febbraio 2011, n. 3665, ma fa parte di un gruppo di sentenze similari che comprende anche Corte, ss.uu., 16 febbraio 2011, n. 3811, sul cui commento si vedano S.LIETO, «Beni comuni», diritti fondamentali e stato sociale. La Corte di Cassazione oltre la prospettiva della proprietà codicistica, in Pol. dir., 2011, 348 ss.; F.CORTESE, Dalle valli di pesca ai beni comuni: la Cassazione rilegge lo statuto dei beni pubblici?, in Gior. dir. amm., 2011, 1170 ss.; F.SAITTA, La demanialità dei beni tra titolarità e fun- zione: verso un definitivo superamento delle categorie codicistiche?, in Riv. giur. urb.,

2011, 331 ss.; F.BELOTTI, Beni pubblici e beni comuni: categorie giuridiche alla prova della giurisprudenza di Cassazione, in Il n. dir. amm., 2012, 1, 31 ss.; A.LALLI, I beni pubblici. Imperativi del mercato e diritti della collettività, cit., 268 ss.

godimento dei servizi ambientali alla collettività. Il ricorso alla CEDU, pertanto, poteva essere l’occasione per verificare la conferma o meno delle argomentazioni utilizzate dalla Corte di cassazione italiana secon- do il diritto europeo. Anche in questo caso, però, l’istituzione europea non entra nella qualificazione del bene che qui interessa e quindi manca di fornire indicazioni chiare in merito; oltretutto, accoglie parzialmente il ricorso della società privata nel limite in cui la spoliazione del bene non sia stata accompagnata da forme di indennizzo.

Ciononostante, tuttavia, vale la pena osservare che la CEDU non contesta la finalità pubblica che ha indotto le autorità pubbliche a inclu- dere le “valli” tra i beni demaniali, dal momento che preservare l’am- biente e l’ecosistema naturale con destinazione a uso pubblico costitui- sce sicuramente «uno scopo legittimo di interesse generale» (m. 67). Si può così intendere che, pur mancando riferimenti certi ai beni comuni, gli interessi speciali a essi sottesi non sono estranei al diritto europeo, il quale però preferisce rimettere agli ordinamenti nazionali la questione riferita alla qualificazione dei beni. In un altro passaggio della sentenza,