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Accanto alla metafora del mantello, con la quale tanto le immagini pittoriche quanto quelle letterarie rielaborano l’elemento della visibilità rispetto allo sguardo altrui, l’espressione di aidōs può avvenire anche tramite il proprio sguardo, sottraendolo allo

52 Per esempio: CVA Italy 7, 44.3 (figura 9). 53 ARV 20; ARV 31; ARV 115, 1626; ARV 785.

54 ARV 1570 (figura 10). Del pari, in un’anfora a figure rosse, risalente alla tarda età arcaica, ove compare la

rappresentazione del rapimento e dello stupro di Leto, la fanciulla solleva il mantello per coprirsi il viso; le iscrizioni riportano il nome di Apollo e di Leto (al genitivo) e la parola AIDWS (accanto alla figura di Artemide): ARV 23, 1. Cfr. Ferrari, Figures of Speech, cit., p. 272 nota 72, Cairns, Aidōs, cit., p. 319 nota 203 e Id., «Veiling, aijdwv", and a Red-figure Amphora by Phintias» in «The Journal of Hellenic Studies», 116 (1996), pp. 152-158.

55 Hdt. I.8,3: a{ma de; kiqw~ni ejkduomevnw/ ejkduvetai kai; th;n aijdw~ gunhv. Il motto è citato anche come

un apoftegma di Teano, moglie di Pitagora, in Diogene Laerzio, VIII 43, ove aidōs è sostituita da aischynē; inoltre, il proverbio compare due volte nei Moralia di Plutarco, che richiama espressamente il brano erodoteo (37c, 139c). Cfr. anche il commento di D. Asheri a Hdt. 1.8,3 in Erodoto, Storie, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori, Milano, 1988, vol. I, pp. 269-270.

56 Od. XVI, vv. 414-416: «e quando l’illustre donna fu tra i pretendenti, / si fermò in piedi accanto a un

pilastro del tetto, / tirando davanti alle guance il velo nitido» (cfr. anche XVIII, vv. 208-210).

57 Ap. Rhod. III 442-445: «fra tutti splendeva / il figlio di Esone per la bellezza e la grazia; / e addosso a lui la

scambio diretto e rivolgendolo verso il basso. Come è stato notato con un’interpretazione particolarmente suggestiva della proverbiale residenza di aidōs negli occhi, l’idea che lo sguardo si diriga verso terra (e dunque verso i piedi) simboleggia il controllo che colui che possiede l’aidōs esercita sui propri passi, al fine di evitare che una falcata troppo ampia possa sfociare nella hybris58

. La più celebre formulazione del nesso oppositivo di aidōs e hybris è senz’altro quella di Esiodo nelle Opere e i giorni: nell’età del ferro, per gli uomini sciagurati «la giustizia è nel pugno» e non vi è più spazio per aidōs (dikē d’en ch’ersi, kai aidōs ouk estai), tanto che la sua personificazione in figura di dea abbandona i mortali e si dirige, avvolta in bianchi veli, verso l’Olimpo59

. L’incompatibilità di aidōs con la legge del più forte («la giustizia nel pugno») e con la prevaricazione hybristica è tematizzata anche nel celebre mito platonico narrato da Protagora nel dialogo a lui intitolato. Quando gli dèi plasmarono le stirpi mortali degli animali e degli esseri umani a Prometeo ed Epimeteo fu assegnato il compito di distribuire le capacità, in modo da rendere possibile la sopravvivenza di ciascuna specie; Epimeteo volle occuparsene personalmente, ma si trovò ad avere esaurito la scorta delle capacità a vantaggio degli animali e a dover lasciare dunque la stirpe umana completamente sprovvista di mezzi. Fu così che Prometeo rubò il fuoco ad Efesto e il sapere tecnico ad Atena, per consentire agli uomini la sopravvivenza; il sapere politico, però, restò presso Zeus. Di conseguenza, gli umani svilupparono le tecniche produttive, ma non la capacità di combattere contro le fiere; dovettero perciò riunirsi insieme, cercando la salvezza nella forza del gruppo: «ma anche quando si radunavano, continuavano a commettere ingiustizie l’uno contro l’altro, sempre perché non conoscevano l’arte politica, e così, disperdendosi nuovamente, perivano». Fu a quel punto che Zeus chiese a Ermes di portare presso di loro aidōs e dikē e di concederli a ciascuno, poiché se solo pochi ne avessero partecipato le comunità politiche non sarebbero potute sorgere; gli chiese inoltre di porre come legge divina che fosse ucciso, in quanto rovina della città (ōs noson poleōs), chiunque non sapesse avere aidōs e giustizia60

. La trasformazione dell’homo faber in homo politicus avviene dunque, sul piano oggettivo, all’insegna dell’istituzionalizzazione della giustizia tramite la posizione di leggi (dikē) e della loro garanzia in virtù del rispetto, generato dal senso di appartenenza ad una rete di rapporti tutelati dal diritto, della misura da esse indicata (aidōs); sul piano soggettivo, il dono di Zeus rende operative dikaiosyne e

58 Cfr. A. Carson, Eros the bittersweet, Dalkey Archive, 1998, p. 21. 59 Hes. Op. vv. 192-201.

sōphrosyne61

, che rappresentano le virtù corrispondenti, rispettivamente, a dikē e aidōs. Che aidōs sia in qualche modo riconducibile a sōphrosyne62

è confermato da Platone nel Carmide; infatti, la seconda definizione di sōphrosyne che Carmide propone a Socrate viene formulata come segue:

mi sembra che la saggezza produca il provare vergogna, cioè renda l’uomo capace di vergognarsi e sia lo stesso che aidōs 63

.

Carmide afferma dunque che nella misura in cui rende l’uomo capace di vergognarsi, sōphrosyne coincide con aidōs. Il controargomento socratico si fonda su un richiamo ad Omero, secondo cui aidōs può talvolta essere ouk agathē64

, ovverosia qualcosa di non giovevole e di conseguenza, poiché sōphrosynē è invece sempre un bene, non può esistere coincidenza tra le due; d’altra parte, se sōphrosynē è qualcosa di più ampio di aidōs, quest’ultima, nella sua versione “buona”, rientra senz’altro nella sōphrosynē. La medesima teoria è esposta da Tucidide nella Guerra del Peloponneso per bocca del re spartano Archidamo, qualificato come sōphrōn: aijdw;" swfrosuvnh" plei~ston metevcei, aijscuvnh" de; eujqyuciva, ovverosia «aidōs partecipa di sōphrosyne e il coraggio della vergogna»65

. Del resto il governante che per eccellenza non è sōphrōn - cioè il tiranno - non conosce aidōs:

non mi sono mai comportato da tiranno e più di una volta l’aidōs è stata la mia rovina66.

61 Pl. Prt. 323a.

62 Tale affinità, peraltro, può riconfermare il nesso di opposizione tra aidōs e hybris, riflettendo quello tra

sōphrosyne e hybris (cfr. supra, p. 23 ss.).

63 Pl. Chrm. 160e: dokei~ toivnun moi aijscuvnesqai poiei~n hJ swfrosuvnh kai; aijscunthlo;n to;n

a[nqrwpon, kai; ej~nai o{per aijdw;" hJ swfrosuvnh (trad. mia).

64Od. XVII, v. 347. Lo stesso verso si trova in Hes. Op. v. 317 (cfr. supra, p. 36). 65 Th. I.83,3.

66 Queste le parole con cui Creonte si rivolge a Medea (trad. mia). E. Med. vv. 348-349: h{kista toujmo;n lh~mV