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L’aidōs come domanda di riconoscimento

IV. Orgē Passioni, ragion

Il ricorso a espressioni quali nous orektikon e orexis dianoetikē 1 sarebbe di per sé sufficiente a testimoniare l’importanza che Aristotele, nell’ambito della propria teoria delle virtù morali, riconosce al ruolo delle disposizioni emotive. Infatti, se Platone aveva suddiviso l’anima in parti distinte, tra le quali era sempre possibile si scatenasse una lotta intrapsichica (stasis), nella prospettiva psicologica di Aristotele l’anima costituisce un intero (peraltro inseparabile dal corpo2

, di cui si configura come principio vivificatore) che si specifica, differenziandosi a seconda del tipo di vivente cui appartiene, nel prevalere di una determinata facoltà. Tre sono le dynameis fondamentali dell’anima e ciascuna di esse è assorbita nella forma che le è superiore: la facoltà sensitiva è in grado di esercitare anche quella vegetativa, così come la facoltà intellettiva contiene in sé tanto quella sensitiva quanto quella vegetativa3

. L’anima è dunque unitaria e certamente non distinguibile in parti diverse localizzate in sedi corporee differenti4

; d’altra parte, essa risulta definita dalla propria dynamis caratteristica e dalle funzioni che, di conseguenza, sarà in grado di svolgere. Di tali funzioni ve ne è una, di tipo tensionale, che Aristotele chiama orexis: essa è presente nell’anima sensitiva, nella misura in cui la percezione del dolore e del piacere produce il desiderio. Mentre gli stimoli appetitivi di tipo corporeo vengono concepiti dalla facoltà vegetativa, la orexis rappresenta la sede di desideri che non riguardano la dimensione materiale e privata dell’individuo, bensì la sua posizione sociale e il ruolo che gioca a livello relazionale; nell’Etica Nicomachea è considerata capace di partecipare della «regola» (logos)5 non nel senso dell’obbedienza di una componente irrazionale dell’anima che è tuttavia

1 Arist. Eth. Nic. 1139b 4-5.

2 L’inseparabilità dell’anima dal corpo induce Aristotele ad evidenziare la dimensione tanto fisica quanto

psichica dei pathē: «nella maggior parte dei casi si vede che l’anima non ne riceve né produce alcuna senza il corpo: tali la collera, l’audacia, il desiderio» e «le passioni sono forme calate nella materia e di questo, conseguentemente, si deve tener conto nelle definizioni» (De an. 403a).

3 Arist. De an. 414b: «Il caso delle figure è simile a quello dell’anima, giacché sempre nel termine successivo è

contenuto in potenza il termine antecedente e ciò vale sia per le figure come per gli esseri animati. Ad esempio, nel quadrilatero è contenuto il triangolo e nella facoltà sensitiva quella nutritiva. Di conseguenza bisogna cercare caso per caso qual è l’anima di ciascuna specie e cioè della pianta, dell’uomo e del bruto».

4 Arist. De an. 413b 28-29. Il bersaglio critico è Platone, che nel Timeo colloca la parte razionale dell’anima nel

cervello, quella timica nel cuore e la concupiscente nel fegato (Pl. Ti. 69c).

possibile educare con la ragione, ma nella misura in cui è essa stessa, al contempo, irrazionale e razionale6

. Tale partecipazione della orexis al logos si esprime nella necessità pratica che il pensiero sia mosso dal desiderio, poiché esso «di per sé non muove nulla»7

, ma deve essere indirizzato ad un fine: per questa ragione la scelta (proairesis), ovvero il principio dell’azione morale, non può essere compiuta se non congiuntamente dal pensiero e dal desiderio8

. In tal senso vanno intese le espressioni «intelletto desiderante» o «desiderio ragionante»: esse indicano il modo in cui l’uomo, operando una scelta, si compie in quanto essere morale.

L’energia psichica sprigionata dalla orexis rappresenta la capacità stessa di esperire i pathē9, i quali si generano nell’anima10

ed appartengono alla natura morale dell’uomo in quanto oggetto delle disposizioni (hexeis), che controllano la orexis e rappresentano ciò per cui «ci comportiamo bene o male rispetto alle passioni»: disposizioni dell’animo moralmente valutabili in termini positivi sono quelle che sviluppano correttamente la capacità di provare passioni. Le virtù etiche sono infatti virtù del carattere (ēthos) e il carattere è «una qualità dell’anima conforme all’autorità di una ragione che appartiene alla parte priva di regola, ma è capace di obbedire alla regola»11

. Per questo motivo Aristotele non subordina passioni e desideri alla guida della ragione, valorizzandone piuttosto la funzione morale di direzione del pensiero verso un fine. Egli distingue inoltre i pathē in quanto emozioni dalle mere sensazioni di piacere e dolore da cui essi sono accompagnati: in una certa misura i pathē rappresentano la rielaborazione cognitiva degli stimoli esterni12 che, in quanto percepiti e giudicati in base a criteri di beneficio e di danno, si trasformano rispettivamente in sensazioni piacevoli o dolorose e producono l’insorgere della passione. In questo senso le emozioni costituiscono una modalità di accesso al reale che si configura

6 Cfr. Gauthier-Jolif, Commentaire, cit., II.1, p. 97. 7 Arist. Eth. Nic. 1139a 35-36. Cfr. anche De an. 433a.

8 Arist. Eth. Nic. 1139 a 31-34. Si veda anche la critica che nel De anima Aristotele muove a coloro che

affermano che «l’anima è divisa in parti e che con una pensa e con un’altra desidera» (De an. 411b).

9 Arist. Eth. Nic. 1105b 23-25: «[chiamo] facoltà quelle per le quali siamo detti capaci di sentire queste

passioni; ad esempio quelle per le quali abbiamo la capacità di provare collera o di provare dolore o di provare pietà».

10 Arist. Eth. Nic. 1105b 20: ejn th/~ yuch/~ ginovmena. Nel De Anima Aristotele approfondisce la natura

psicofisica delle passioni (vd. nota 2).

11 Arist. EE 1120b 5-6 (trad. mia).

12 Tali stimoli possono essere percepiti nell’immediato (aisthesis) o ricordati con la phantasia, il cui prodotto

presuppone una precedente sensazione in atto (e che in questo senso si distingue, in quanto immaginazione, da ciò che si potrebbe definire “fantasticazione”). Sulla phantasia si veda, tra gli altri, G. Moravia, Psicologia in E. Berti (a cura di), Aristotele, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 143-172 (in particolare il paragrafo 8).

come integrativa rispetto alla conoscenza intellettiva, influenzando la formulazione di opinioni e giudizi, e Aristotele, nella Retorica, le definisce appunto «cause per cui gli uomini, mutando opinione, differiscono in rapporto ai giudizi»13

.

È proprio nella Retorica, del resto, che la dimensione cognitiva gioca un ruolo centrale rispetto alla possibilità stessa di fornire una definizione di ciascun pathos, di cui devono essere distinti tre aspetti: in quale disposizione d’animo esso si generi e in relazione a quali persone e circostanze. Emerge così non soltanto l’elemento intersoggettivo caratteristico di ogni emozione, ma anche il fatto che essa è motivata ed insorge al verificarsi di determinate condizioni e in conseguenza della valutazione che delle medesime il soggetto esprime. Questo tipo di approccio, insieme alla trattazione cui dà luogo nel secondo libro della Retorica, non è esclusivamente finalizzato all’elaborazione di una psicologia di massa che possa essere di una qualche utilità per l’oratore, impegnato nel processo persuasivo; o, se lo è, non si rivela per questa ragione privo di qualsiasi pretesa scientifica; in altre parole, il fatto che Aristotele fornisca una disamina dei pathē di tipo descrittivo non significa che essa non si fondi su di una teoria filosofica14

. Di conseguenza la trattazione del pathos della collera, che nella Retorica trova ampio spazio, può essere considerata in qualità di approfondimento e specificazione della prospettiva aristotelica in materia di psicologia morale ed in tal senso deve essere ripercorsa.