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Un bilancio dell’azione caucasico-centroasiatica contemporanea della Turchia

Capitolo 4. Il panturchismo nella Turchia repubblicana

4.8 Caucaso e Asia centrale nella politica estera turca contemporanea

4.8.2 Un bilancio dell’azione caucasico-centroasiatica contemporanea della Turchia

La metamorfosi subita dall‟approccio turco all‟Asia centrale turcofona sembra ormai completata. Il progetto di una mai ben definita “unione politica” pare essere stato infatti

214 Ivi, p. 170.

215 Inizialmente prevista per il 2010, la data del completamento del progetto è più volte slittata, sia a causa

del conflitto georgiano del 2008 che di problemi ambientali. Allo stato attuale, la sua inaugurazione è prevista entro l‟anno 2014.

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definitivamente accantonato. Al contempo, anche le speranze di risvegliare nei popoli culturalmente affini un sentimento fraterno si sono scontrate con il desiderio delle nuove repubbliche di completare in modo autonomo il proprio processo di acquisizione di un‟identità nazionale, rivendicando ognuna la propria unicità e perseguendo politiche nazionalistiche che mal si conciliano con un‟attitudine di tipo panturco216. In sostanza, da Astana ad Ashgabat, da Tashkent a Bishkek, in pochi sono davvero disposti a vedere la Turchia come un esempio217. In ciascuna di queste capitali, le élite politiche post- sovietiche, praticamente immutate da due decenni, hanno finito per privilegiare i più consolidati rapporti con Mosca218, rigettando un modello politico turco percepito come inadeguato a fronteggiare separatismi e radicalismi religiosi. Al di là della retorica, tanto pomposa quanto sterile, che ha spesso accompagnato il varo di più o meno ambiziosi progetti tra Turchia e Asia turcofona, i policy makers turchi devono fare propria l‟idea che le ex repubbliche sovietiche accetteranno di trattare con Ankara soltanto su un piano di parità e ricevendo in cambio un preciso tornaconto, come avviene ogniqualvolta si discuta di relazioni tra entità sovrane. A tal fine, essi dovrebbero abbandonare il romanticismo che troppo spesso aveva caratterizzato l‟approccio della Turchia nei confronti dell‟antica “madrepatria” centroasiatica. I legami linguistici e culturali possono certamente essere d‟aiuto nell‟instaurazione di un rapporto privilegiato, ma nella vastità dei campi d‟azione nei quali si confrontano gli interessi statuali non possono assumere carattere esclusivo come in un primo momento si era ingenuamente creduto.

A questo proposito abbiamo avuto modo di osservare come vi siano stati segnali incoraggianti, rispetto all‟orgia euforica dei primi anni Novanta. L‟approccio adottato da Erdoğan, Davutoğlu e Gül, architetti della politica estera turca del XXI secolo, pur non tralasciando la più ristretta area di cooperazione turcofona (come dimostra ad esempio l‟istituzione del Consiglio turcico), sembra volgersi infatti verso un‟azione

216 E. Efegil, Turkish AK Party‟s Central Asia and Caucasus Policies: Critiques and Suggestions, in

“CRIA – Caucasian Review of International Affairs”, Frankfurt am Main, CRIA, 2008, n. 3, p. 171.

217 «In concreto, l‟utopia panturca deve misurarsi con il carattere clanico-dispotico e familistico-

predatorio delle élite dirigenti post-sovietiche. In tale contesto si è affermato l‟affarismo di clan e lobby locali e regionali, propensi a collegarsi col mercenariato economico-finanziario ruotante attorno al “Grande gioco” energetico ed incline ad esprimere tendenze antiturche». A. Aruffo, Il pendolo turco: La

Turchia contemporanea fra passato e futuro, Roma, Datanews Editrice, 2011, p. 108.

218 Questo è particolarmente evidente per quel che riguarda l‟Uzbekistan di Karimov, che da anni ha

sospeso qualsiasi forma di collaborazione istituzionale con la Turchia. Karimov, oltretutto, vede con sospetto il fatto che l‟AKP esprima una sensibilità islamica, in quanto egli considera ogni interferenza religiosa in politica come una minaccia per la stabilità del proprio sistema di potere.

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asiatica di più ampio respiro219. In tale ottica sono da intendersi i costruttivi rapporti instauratisi nel tempo con Russia, Cina e Iran, così come il recente ottenimento dello status di dialogue partner dell‟Organizzazione di Shanghai220. Un fatto di non poco conto, se si considerano sia l‟appartenenza della Turchia alla NATO che la sua domanda di adesione all‟UE, ancora aperta221

. Un cenno a parte meritano i rapporti con lo “Stato fratello” nel Caucaso, l‟Azerbaigian. Anche in questo caso, le seppur evidentissime similarità linguistiche e culturali, da sole, non basteranno a garantire la tenuta di relazioni finora generalmente ottime. Cartina di tornasole della qualità dei rapporti turco-azeri sarà, come sempre, la questione armena, strettamente intrecciata con quella relativa al Nagorno Karabakh222. Dal momento che Baku valuta il grado di affidabilità del proprio interlocutore in base ai rapporti che esso mantiene con Erevan, ogni tentativo di riavvicinamento tra Turchia e Armenia provocherà un raffreddamento delle relazioni turco-azere, oltre che inevitabili tensioni all‟interno degli stessi confini turchi223. Le naturali alternative, per un Paese non solo turcofono ma storicamente

219 «The attempt to create its own sphere of influence based on ethnic and linguistic linkages is

definitively over, replaced by a pragmatic stance which, built upon a “loose” Pan-Turkism, aims at fostering relations with the CARs while at the same time investing in cooperation with the regional powers. As in other regional scenarios, such a stance may enable Turkey to play an important role in fostering stability and promoting dialogue and cooperation among central Asian actors». C. Frappi. op.

cit., p. 11.

220 In occasione della firma del memorandum d‟intesa relativo all‟ingresso del Paese come “membro

dialogante” dell‟organizzazione, Davutoğlu ha ringraziato gli Stati membri per aver permesso alla Turchia di «divenire parte di una famiglia di Paesi che vivono insieme non da secoli, ma da millenni». www.mfa.gov.tr/turkey-and-the-shanghai-cooperation-organization-dialogue-partnership-memorandum- was-signed-in-almaty.en.mfa

221 Per approfondire la questione dei rapporti tra Turchia e SCO: www.mei.edu/content/shanghai-

cooperation-organization-new-alternative-turkish-foreign-policy.

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«Caucasia consists of a group of states, among which, a powerful sense of insecurity has infiltrated and supersedes any attempt at cooperation. From this, one can elicit that Turkey will confront great barriers in attempting to bond the Caucasian nations together into a multi-dimensional partnership. Any rapprochement between Ankara and one of the Caucasian states will inevitably pave way for the alienation of other states of the region: a prime example of this being the Nagorno-Karabakh conflict that has remained frozen since 1994». O. Dilek, E. İşeri, The Limitations of Turkey‟s New Foreign Policy

Activism in the Caucasian Regional Security Complexity, in “Turkish Studies”, London, Routledge, 2011,

n. 1, p. 49.

223

« […] the motto of “the one nation, two states” has shake Turkey-Azerbaijan relations since the early 1990s. However, after the JDP‟s (AKP, N. d. A.) initiative to start a normalization process and the protocols, JDP was harshly criticized by the Republican People‟s Party (CHP) and the Nationalist Movement Party (MHP) on the grounds that, as an Islamist party, the JDP was no longer adhering to the motto of “one nation, two states” which emphasized Turkishness and betrayed “brotherly Azerbaijan”». E. İşeri, Turkish-Armenian Impasse in the Caucasus Security Complex, in Ö. Z. Oktav (ed.), Turkey in the

21st Century: Quest for a New Foreign Policy, Farnham, Ashgate Publishing Limited, 2011, p. 127. Un

esempio emblematico del clima in cui alcuni settori dell‟ultradestra turca trattano la questione armena è dato dalle esternazioni di Kemal Kerinçsiz, leader di un‟organizzazione di avvocati nazionalisti (“Grande Unione dei Giuristi”, Büyük Hukukçular Birliği) costituita allo scopo di portare alla sbarra gli intellettuali, scrittori e giornalisti rei di aver violato l‟articolo 301 del codice penale turco. Tale articolo, contestatissimo, punisce attualmente l‟offesa alla nazione e alle istituzioni, ma, fino al 2008, contemplava l‟indefinito quanto inquietante reato di insulto alla “turchità”. Dopo l‟omicidio, nel 2007, del giornalista

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soggetto a influenze russe e persiane (la maggioranza degli azeri è sciita), sono facilmente individuabili in Russia e Iran224.

Il progetto turco di cooperazione politica con le repubbliche turcofone è sostanzialmente fallito, ma lo stesso non si può dire delle relazioni economiche e commerciali con esse instaurate. Il risultato ottenuto negli ultimi anni, ben lungi dall‟essere eccezionale, è stato comunque, nel complesso, discreto. Allo stato attuale delle cose, pur tenendo conto del continuo incremento del volume del commercio da e per gli Stati centroasiatici, nessuna di questi rappresenta, per Ankara, uno dei partner commerciali di maggior rilievo225. Di converso la Turchia risulta essere uno degli Stati che investono maggiormente nell‟area, in particolar modo nei settori alimentare, edilizio, alberghiero, dei servizi finanziari, delle telecomunicazioni e dell‟estrazione di gas e petrolio226

. Molto deludente si è rivelata invece la politica energetica posta in essere con questi Paesi, dal momento che Ankara non è riuscita nell‟intento di diversificare le sue fonti di approvvigionamento, rimanendo ancora largamente dipendente dalle forniture russe. A tale riguardo, sviluppi interessanti potrebbero provenire dal fronte della cooperazione con Teheran, dal momento che l‟Iran è l‟unico Paese attraverso il quale poter trasportare verso la Turchia e l‟Europa il gas turkmeno senza rivedere il complicato status giuridico del Mar Caspio227. Nell‟ultimo decennio, se la politica centroasiatica della Turchia è stata messa in ombra dal rinato attivismo di Ankara in zone come il Medio Oriente, il Mediterraneo orientale e il Nord Africa, le contingenze del prossimo futuro potrebbero però riportarla in auge. Il ritiro, ormai imminente, degli Stati Uniti dallo scenario afghano, lascerà infatti un certo margine di manovra alla Turchia, Paese con una forte esposizione economica in Afghanistan e, in generale, in Asia centrale e meridionale228. Questa occasione costituirà anche un interessante banco di prova per quanto riguarda il ruolo di Ankara all‟interno dell‟Organizzazione di Shanghai, tenuto conto del fatto che

turco di origini armene Hrant Dink, colpevole di aver sollevato la questione tabù del “genocidio armeno”, Kerinçsiz, condannato nel 2013 all‟ergastolo nell‟ambito del “processo Ergenekon”, si espresse con dure parole: «Dink si è condannato al suo destino con i commenti fatti. E noi non permetteremo, nel nome della libertà di parola, insulti e abusi all‟identità turca. Continueremo a difenderla, insieme ai diritti dei Turchi dall‟Asia centrale fino alla Tracia occidentale. Per la Turchia l‟Unione europea significa solo schiavitù e catene», cit. in M. Ansaldo, Chi ha perso la Turchia. Viaggio al termine dell‟Europa fra nuovi

Lupi grigi e scrittori sotto scorta, Torino, Giulio Einaudi editore s.p.a., 2011, p. 31.

224 Vedi C. Tosi, Azeri sull‟orlo di una crisi di nervi, in “Limes - Rivista italiana di geopolitica”, Roma,

Gruppo Editoriale L‟Espresso, 2006, n. 6, pp. 121-127.

225

www.turkstat.gov.tr (Export by Country and Year e Imports by Country and Year).

226 S. Doğan, M. Kutlay, op. cit., p. 36.

227 M. Bilgin, La geopolitica turca ha bisogno di energia, in “Limes - Rivista italiana di geopolitica”,

Roma, Gruppo Editoriale L‟Espresso, 2010, n. 4, p. 145.

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questa sembra costituire la struttura di cooperazione regionale più completa e meglio attrezzata per affrontare le dinamiche relative alla ricostruzione post-bellica.

L‟azione eurasiatica della Turchia, fondata tanto sulla valorizzazione dei legami con i Paesi e i popoli turcofoni secondo lo schema di un «panturchismo blando»229 del tutto privo di finalità irredentistiche, quanto sulla cooperazione con le grandi potenze regionali, Russia e Cina in primis, costituisce l‟alternativa più credibile al consueto allineamento euro-atlantico. L‟unico possibile rischio che potrebbe profilarsi all‟orizzonte, per Ankara, risiede nella possibilità che la retorica volta a mantenere il vincolo tra Turchia e minoranze turcofone in Russia e Cina230, tradizionalmente percepite da questi Paesi come un pericolo per la sicurezza nazionale231, possa trasformarsi in un‟arma a doppio taglio capace di aprire crepe nei rapporti turco-russi o turco-cinesi, come avvenuto nell‟estate del 2009 in occasione dell‟aspra reazione turca agli scontri dello Xinijang tra han e uiguri musulmani232.

229 Ivi, p. 12.

230 Nell‟aprile del 2012 il Primo ministro Erdoğan è stato il primo leader turco a compiere una visita

ufficiale a Ürümqi, capitale della regione autonoma dello Xinijang (Doğu Türkistan, “Turkestan Orientale” in lingua turca).

231 Per approfondire questo aspetto, si veda F. Mini, Xinijang o Turkestan Orientale?, in “Limes - Rivista

italiana di geopolitica”, Roma, Gruppo Editoriale L‟Espresso, 1999, n. 1, pp. 83-96.

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Conclusioni

Sono passati quasi 1500 anni da quando Bumin Qaghan diede vita, nell’immensità delle steppe asiatiche, alla prima entità imperiale autenticamente turca, il khaganato göktürk. Nei secoli successivi, nel corso dello spostamento verso Occidente, la quasi totalità dei turchi avrebbe abbandonato gli antichi culti sciamanici per sposare l’Islam, andando a ritagliare per il proprio popolo un ruolo di primaria importanza all’interno del Medio Oriente musulmano. L’Impero ottomano, la più grande e duratura entità statuale turca, fu in effetti talmente influenzato dall’eredità araba, persiana e bizantina da “annacquare” i suoi caratteri originari. La sua proiezione del resto non fu mai turca, ma mediorientale ed europea. Non a caso la componente turca dell’Impero sarebbe finita nel dimenticatoio della storia sino a quando, nel corso della seconda metà del XIX secolo, le élite intellettuali turche dell’Impero zarista cominciarono ad accarezzare il sogno panturco, influenzando nei decenni successivi parte della stessa intellighenzia tardo-ottomana.

Volendo tracciare un bilancio dei risultati raggiunti dal movimento panturchista non si può non tenere conto dei fattori di oggettiva difficoltà che hanno complicato non poco il percorso di riavvicinamento tra i turchi anatolici, gli unici dotatisi di un’autentica struttura statuale - prima imperiale e poi repubblicana - e quelli “esterni”. Innanzitutto, la mancanza di coesione politica: nel corso della storia infatti le popolazioni turcofone dell’Asia centrale, disperse in un territorio vastissimo, non si trovarono mai unite sotto un’unica bandiera, accentuando le proprie divisioni e seguendo percorsi diversi. In secondo luogo, l’inesistenza di una contiguità territoriale tra turchi anatolici e centroasiatici; non è accidentale il fatto che il panturchismo abbia vissuto un periodo d’oro al termine della Prima guerra mondiale quando, con l’Impero ottomano in dissoluzione e quello russo in piena guerra civile post-rivoluzionaria, per la prima volta sembrava che nessun confine separasse più i popoli “fratelli”. Terzo, la natura elitaria del movimento, quasi sempre incapace di ottenere un supporto di massa1. Infine, quello che del panturchismo, come di altre ideologie pannazionaliste, è sempre stato il principale limite: la totale assenza di supporto politico, unita alla concorrenza letale dei

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nazionalismi2. Per questa serie di ragioni il panturchismo, se non altro nella sua componente irredentista, non ha mai ottenuto i risultati che avrebbe desiderato. Troppo debole si dimostrò il legame tra i turchi d’Anatolia, nelle cui vene scorreva da secoli abbondante sangue straniero e la cui lingua risentiva ormai fortemente degli apporti persiani e arabi, e quelli dell’Asia centrale, rimasti pressoché incontaminati dalle influenze esterne3. Al contempo un movimento che si poneva in diretta concorrenza con il nazionalismo kemalista non poteva che ottenere un seguito ristretto nella stessa Turchia. Dopo il collasso sovietico, il sentimento panturco, rigettato dall’ortodossia di Stato e confinato per decenni alla sola dimensione accademico-giornalistica, sembrò ritrovare nuova linfa. Nel giro di pochissimi anni esso si dovette però arrendere all’evidenza della rinascita russa in Asia centrale, e a un’altra cocente delusione.

Ma il panturchismo non è stato sepolto. Al contrario, ha saputo adattarsi alle situazioni, pur avendo ormai rinunciato ai suoi obiettivi più ambiziosi. Se il sogno di un’unione panturca, infatti, si è dimostrato del tutto irrealizzabile, il settore della cooperazione economica ha invece registrato, negli ultimi anni, importanti sviluppi. Più impervia, anche se non impossibile, la strada della cooperazione politica. Molto in quest’ambito dipenderà dalla definizione degli ancora incerti equilibri post-bipolari, specialmente riguardo alla questione dell’appartenenza della Turchia alla NATO e al suo rapporto con l’Unione Europea. Nondimeno la «creazione di un hinterland fondato su rapporti culturali, economici e politici storicamente consolidati»4 non può prescindere dalle relazioni che Ankara, centro ideale del mondo turco, riuscirà ad instaurare con la sua “periferia” asiatica.

2 «No Pan movement as such was successful unless, in the absence of Great Power support, it had at least

obtained states commitments. The Italians set up an Italian kingdom largely thanks to the active leadership of King Victor Emmanuel of Sardinia; and it was Bismarck’s Prussia that was instrumental in creating a union of German states. […] Later, Japan’s success with Pan-Asianism during the 1920s and 1930s was due to state intervention: but the support which this ideology obtained in Burma, Indonesia and Indochina (and, to some extent, in Malaya and India) during the Second World War proved ephemeral, disappearing completely after Japan’s defeat in this war. The same was true of the Pan- German thrust of the Third Reich. On the other hand, the Pan-German League failed, as did Pan-Slav circles, because of the absence of committed support by the German and Russian governments […] If Pan-Arabism and Pan-Africanism have made some progress, that has been entirely thanks to the respective states which agreed to meet and approve the desirability and feasibility of union […] Nationalism has a better chance of success than Pan movements in the political arena - as history has often demonstrated - thanks to its ability to generate stronger sentiments and deeper loyalties». Ivi, pp. 190-191.

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Bastino, a tal proposito, le parole del Presidente kazako Nazarbayev: «Certo, abbiamo mandato le truppe verso occidente alcuni secoli fa, i soldati si sono sposati con le donne locali e sono rimasti lì […] ma i turchi più puri sono qui in Kazakhstan», cit. in H. Pope, Il mondo dei turchi, in “Limes - Rivista italiana di geopolitica”, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2010, n. 4, p. 199.

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