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3.1 BISLI: bilingui con disturbo dello sviluppo del linguaggio

3.1.2 Bilinguismo e dislessia

Diamo ora un breve sguardo anche alla compresenza di bilinguismo e dislessia. È importante osservare anche questa possibile condizione in quanto la presenza di difficoltà nella decodifica della L2 si possono ripercuotere sulle abilità di lettura, scrittura e comprensione del testo (Grelloni & Terribili, 2012). Ciò significa, che come per il disturbo di linguaggio, anche nel caso della dislessia, il bambino si trova a dover affrontare degli ostacoli che deve essere in grado di superare attraverso delle strategie che devono essergli insegnate quanto prima. Il bilinguismo, inoltre, aumenta determinate abilità, quali la capacità di analizzare aspetti diversi della lingua, permettendo così un supporto ed un aiuto alla lettura ed alla scrittura. Non possiamo perciò pensare che il bilinguismo possa essere un ostacolo che comporta la nascita della dislessia, come si è pensato per molto tempo, poiché, al contrario, aiuta l’individuo a colmare alcune difficoltà alleggerendole(Grosjean, 2012). La Consensus Conference del 2007 ha delineato delle linee guida per la diagnosi di DSA nei bambini bilingui, che però appaiono poco chiare.

“Particolare cautela [nella diagnosi] andrà posta in presenza di situazioni etnico- culturali particolari, derivanti da immigrazione o adozione, nel senso di considerare attentamente il rischio sia dei falsi positivi (bambini a cui viene diagnosticato un DSA meglio spiegabile con la condizione etnico-culturale), sia dei falsi negativi (bambini ai quali, in virtù della loro condizione etnico-culturale, non viene diagnosticato un DSA)” (Scortichini et al., 2014: 102).

Come abbiamo visto per il disturbo dello sviluppo del linguaggio, anche in questo caso è infatti molto complesso riuscire a distinguere in un bambino bilingue, un semplice ritardo da una vera e propria disfunzione neurobiologica, con il rischio perciò di sovrastimare o sottostimare il possibile disturbo. Questa difficoltà di distinzione di assenza o presenza del disturbo è causata da fattori che

intervengono, come le componenti emotive ed ambientali, la mancanza di test standardizzati adeguati e l’assenza di linee guida adeguate e criteri di standardizzazione.

Grelloni e Terribili (2012) suggeriscono perciò di tenere in considerazione dei possibili fattori di rischio tra cui:

 “la presenza in anamnesi di una familiarità;

 una scarsa padronanza del linguaggio orale nella lingua nativa;

 una differenza significativa tra la comprensione orale e la comprensione scritta.” (Grelloni & Terribili, 2012: 21)

Inoltre, il documento d’intesa Panel di Aggiornamento e Revisione della Consensus Conference (PARCC) del 2011 esplicita:

“A oggi non si evidenzia la possibilità d’indicare un unico metodo per valutare e

intervenire nel singolo caso […]. Al fine di discriminare situazioni di disturbo specifico e situazioni causate da differenze linguistiche e culturali, devono essere considerati i seguenti fattori: lingua madre, altre lingue conosciute/parlate dal bambino; nazione di provenienza e livello culturale della famiglia; tempo di residenza in Italia dei genitori e del bambino; lingua parlata abitualmente in famiglia; durata della frequenza della scuola; sistema di scrittura inizialmente appreso; presenza di difficoltà fonologiche nella lingua madre; familiarità per difficoltà di linguaggio orale o scritto; confronto delle competenze con altri membri (ad esempio fratelli, sorelle) della famiglia; periodi di prima esposizione sistematica alla lingua italiana; differenze nel sistema fonetico della lingua madre rispetto alla lingua italiana” (PARCC, 2011: 10).

Per poter valutare un bambino è, quindi, necessario l’utilizzo di test che vengano somministrati in entrambe le lingue poiché così si possono andare a studiare le difficoltà ed osservare se queste sono presenti in una sola lingua o in entrambe. La dislessia viene diagnosticata solo nel momento in cui le fragilità siano presenti in entrambe le lingue e comportino perciò il riconoscimento di uno sviluppo atipico. Come nei DSL, infatti, le difficoltà presenti solamente in una lingua permettono di individuare solamente la presenza di un ritardo da parte di quella lingua che verrà successivamente recuperato. Nel documento d’intesa non vengono però specificati le tipologie di test necessari per poter valutare adeguatamente un individuo, per poter porre la diagnosi ed a quale età, visto che

possono modificarsi significativamente i risultati richiesti in base a tutte queste proprietà. Quindi il problema persistente è sempre quello dell’assenza di test standardizzati adeguati ed adattati a ciascuna lingua e conseguentemente a ciascuna coppia di lingue. Per questo motivo, spesso vengono utilizzati test tipicamente valutativi di bambini monolingui che non permettono di valutare correttamente l’individuo ma comportano, invece, un sovrastimare la presenza della dislessia nei bambini.

Inoltre, per riuscire ad effettuare una diagnosi corretta i clinici devono anche conoscere la storia dello sviluppo linguistico del bambino, fase dopo fase, quindi l’anamnesi, anche a livello famigliare poiché tende ad essere un tratto geneticamente caratteristico nelle famiglie, perciò maggiormente incidente in bambini che hanno già un membro famigliare con dislessia.

I bambini con dislessia, quindi, hanno necessità di un supporto da parte dei genitori, degli insegnanti e di tutte le altre persone che li circondano. In particolare, per quanto riguarda i bambini bilingui, vediamo che devono sopportare un maggior affaticamento e difficoltà nel reggere lo sforzo prolungato dovuto all’ulteriore impegno dato dall’assimilazione di due lingue.

È importante tenere in considerazione nei casi di bilinguismo alcune caratteristiche distintive delle lingue, in particolare la tipologia di trascrizione data dal rapporto tra la scrittura e la lettura dei grafemi (lingua trasparente od opaca); la consistenza (consistency), intesa come il rapporto 1:1 tra fonemi e grafemi; la struttura sillabica e la complessità sintattica. In base a queste caratteristiche vediamo, infatti, che la percentuale di bambini con dislessia può cambiare da paese a paese. Focalizzandoci, in particolar modo, sulla tipologia di trascrizione, possiamo trovarci di fronte ad una lingua con una scrittura trasparente, come quella italiana, in cui, quindi, i “fonemi sono rappresentati in modo diretto e inequivocabile” (Scortichini et al., 2014: 104), cioè i grafemi seguono delle regole che sono prevedibili e che permettono in poco tempo l’accesso alla comprensione lessicale; o, al contrario, ad una lingua caratterizzata da un’ortografia opaca, “una stessa lettera può rappresentare differenti fonemi a seconda della sua posizione nella parola e differenti lettere possono rappresentare lo stesso fonema, così che il sistema ortografico viene a mancare della coerenza interna” (Scortichini et al., 2014: 105), come in francese ed inglese.

Queste differenze influenzano il tipo di apprendimento utilizzato per imparare una lingua, risultando più veloce quando vi è una corrispondenza tra suono e segno e più complesso e lungo quando invece vi è la presenza di un suono che corrisponde a più grafemi. Questo processo vale anche per la struttura sillabica. Infatti

“una lingua ad alta coerenza sillabica permette la comprensione lessicale tramite poche unità di memoria verbale; al contrario, l’incoerenza sillabica richieda una buona conoscenza del linguaggio verbale per discriminare tra parole fonologicamente simili ma con significato diverso” (Scortichini et al., 2014: 106).

Dunque, come ipotizzano Coltheart e collaboratori (2001), i lettori tendono ad imparare e creare corrispondenze grafema-fonema oppure tentano il riconoscimento di parole intere. In una lingua trasparente le persone tendono ad utilizzare maggiormente la via fonologica attraverso la lettura di grafema-fonema; mentre in una lingua opaca le persone tendono ad usufruire maggiormente della via lessicale che si basa sulla lettura di parole intere. La complessità della scrittura e della struttura sillabica influisce perciò sulla decodifica linguistica che rende più o meno difficile la lettura.

Con il bilinguismo vediamo che si crea una rete associativa tra le lettere che facilita la lettura nella L2 quando L1 ed L2 hanno lo stesso sistema ortografico, più c’è somiglianza strutturale delle due lingue più veloce sarà l’apprendimento (Schortichini et al., 2014).