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Breve escursus sull’evoluzione del rapporto tra agricoltura e detenzione

CAPITOLO 2 RESTITUZIONE DI UMANITÀ, RESPONSABILITÀ E ABILITÀ

4.3 Breve escursus sull’evoluzione del rapporto tra agricoltura e detenzione

Il rapporto tra agricoltura e detenzione risale all’inizio dell’Ottocento con la nascita delle

Colonie Agricole Penali405, istituite dal governo italiano sotto l’influenza dell’esperienza di

altri Paesi406. Con un’estensione totale di 17.748 ha407 lavorati, già a partire dai primi anni del

Novecento si registrava la presenza di cinque colonie agricole in Sardegna (Castiadas, Mamone, Is Arenas, Isili, Asinara) e tre nell’arcipelago Toscano (Pianosa, Gorgona e Capraia). In principio, il rapporto tra l’agricoltura e la detenzione possedeva tutt’altra valenza rispetto a quella assegnatagli oggi. Infatti, il confinamento delle persone detenute all’interno delle colonie agricole penali consisteva, sottoponendoli al lavoro agricolo, in un

aggravamento dell’afflittività della pena408. «Spesso di origine rurale, erano sottoposti a lavori

faticosi e insalubri. Venivano impiegati più per il dissodamento e la bonifica di terreni incolti,

aridi o malarici, che per la coltivazione vera e propria»409.

Sul finire degli anni ’80 del secolo scorso, prese avvio una progressiva chiusura delle colonie che derivò dalla difficoltà da parte degli operatori carcerari di lavorare all’interno di tali

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Le prime ricerche sono state condotte dall’ARSIA (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura) e dall’Università di Pisa in Toscana e dall’Università della Tuscia nel Lazio.

405 Tra le quali, le prime furono create nell’Agro Romano e nell’isola di Pianosa.

406 In alcuni paesi europei (Olanda e Inghilterra) e negli Stati Uniti si rintraccia una relazione tra agricoltura e

detenzione dai tempi più antichi. In Il lavoro agricolo, potente strumento di riabilitazione dei detenuti, (a cura di) Ciaperoni A., in Agricoltura e sociale: le risposte dell’agricoltura ai bisogni della società, RRN Magazine, la Rivista della Rete Rurale Nazionale, Numero Quattro Giugno 2012, Registrazione Tribunale di Roma n. 190/2011 del 17/06/2011, p. 30.

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Ciaperoni A., Il lavoro agricolo strumento del processo di rieducazione e reinserimento dei detenuti, Giornata di studio: “Agricoltura e detenzione: un percorso di futuro”, Casa di Reclusione di Milano Opera, 30 settembre 2009, p. 2, www.aiab.it

408 «L’invio nelle colonie era considerata una doppia condanna», in Agricoltura e detenzione: quando lavorare non

stanca, (a cura di) Ciaperoni A., AIAB, Associazione Italiana Agricoltura Biologica, p. 2, www.aiab.it

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istituti a causa della loro collocazione così isolata. L’attività agricola degli istituti penitenziari riacquista rilevanza nel 2000, quando l’Amministrazione Penitenziaria decide di rilanciare l’attività, attraverso la riconversione al biologico, dei tenimenti agricoli esistenti. Il rapporto del DAP del 2009 afferma a riguardo: “è proseguito nel 2008 l’impegno per avviare attività agricole specializzate ad indirizzo biologico….. Le attività spaziano dall’orticoltura biologica, alla produzione in serra, dall’allevamento di conigli alla floricoltura, all’itticoltura e

all’apicoltura”410. Al momento, secondo quanto sostenuto anche all’interno del progetto

“Costruzione di un modello di impresa agricola con finalità sociali volte alla promozione di

filiere corte e all'inserimento di lavoratori svantaggiati”411, le Colonie agricole attive sono

quattro, tre dislocate in Sardegna (Mamone, Isili e Is Arenas) e una in Toscana, nell’isola di Gorgona. Queste, per via delle caratteristiche pedoclimatiche del loro territorio, si sono strutturate secondo un indirizzo produttivo di tipo zootecnico (allevamento allo stato brado di bovini, caprini, suini, ovini, equini e avicunicoli). Se in passato il lavoro all’interno delle Colonie Agricole Penali poteva garantire un’autogestione assicurata della struttura, oggigiorno, le lavorazioni in ambito agricolo all’interno delle Istituzioni carcerarie comprendenti anche quelle nei vari tenimenti agricoli, a causa del fatto che le conoscenze zootecniche-agricole non sono più patrimonio comune come un tempo, ciò unito alle

problematiche legate alla gestione del lavoro412, comportano una diminuzione di produttività a

livello aziendale413. Tuttavia, la ricerca sulle colonie e i tenimenti agricoli presenti all’interno

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Ciaperoni C., Il lavoro agricolo, potente strumento di riabilitazione dei detenuti, in Agricoltura e sociale: le risposte

dell’agricoltura ai bisogni della società, RRN Magazine, la Rivista della Rete Rurale Nazionale, Numero Quattro

Giugno 2012, Registrazione Tribunale di Roma n. 190/2011 del 17/06/2011, p. 30.

411 Costruzione di un modello di impresa agricola con finalità sociali volte alla promozione di filiere corte e

all'inserimento di lavoratori svantaggiati, AIAB, Cooperativa sociale ONLUS Amici si Areté, p.7,

http://www.reterurale.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/c%252Fb%252F4%252FD.feae0c4b60205d8f6aa6 /P/BLOB%3AID%3D7628

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Ciò è confermato da Paolo Madonna, direttore della Casa Circondariale di Modena, che gestisce un’azienda di 3 ettari interamente riconvertita alla produzione di ortofrutta biologica: «non si possono tralasciare alcune criticità, la principale delle quali consiste nella difficoltà di conciliare sicurezza ed efficienza produttiva a causa della rigidità dei tempi e dell’organizzazione penitenziaria che spesso confliggono con le esigenze della produzione. E ciò è aggravato per le attività agricole le cui produzioni hanno tempi obbligati. Le potenzialità sono, infine, limitate dalla mancanza di un quadro di riferimento unitario tale da consentire di mettere a “sistema” l’attività produttiva, ma anche dalla normativa che rende problematica la commercializzazione dei prodotti agricoli da parte degli istituti. Da ultimo, i tagli alla spesa pubblica, che colpiscono anche il sistema penitenziario, limitano lo sviluppo di tali attività. In questo contesto diventa determinante rafforzare il rapporto carcere - territorio, promuovendo tutte quelle iniziative rivolte a creare lavoro per i detenuti, anche attivando tavoli regionali ad hoc, composti da soggetti imprenditoriali, istituzionali e del volontariato, previsti dalla stessa normativa, ma largamente disattesi, se si escludono alcune Regioni. Processi che contribuiscono a sconfiggere lo stigma e i pregiudizi verso i detenuti e a rompere il diaframma che divide il carcere dalla società civile. Un modo per rendere la pena utile e un efficace deterrente contro le recidive». In Il lavoro agricolo, potente strumento di riabilitazione dei detenuti, (a cura di) Ciaperoni A, in Agricoltura e sociale: le risposte

dell’agricoltura ai bisogni della società, RRN Magazine, la Rivista della Rete Rurale Nazionale, Numero Quattro

Giugno 2012, Registrazione Tribunale di Roma n. 190/2011 del 17/06/2011, p. 31.

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Giaré F., Agricoltura dentro e fuori le mura, Agricoltura sociale e qualificazione professionale per il mondo là fuori, primo piano: Dossier, BioAgriColtura, marzo/aprile 2009, pp.26-27.

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delle carceri italiane risalente al 2007414, ha registrato che il ripristino e la valorizzazione dei

tenimenti agricoli all’interno degli Istituti Penitenziari, attività rientranti nelle pratiche di Agricoltura sociale, ha sviluppato progetti di agricoltura, zootecnici e di trasformazione dei prodotti, nonché l’attivazione di corsi professionalizzanti, evidenziando una ripresa del settore lavorativo agricolo all’interno degli istituti di pena. Tra questi, la maggior parte, pratica l’agricoltura biologica a basso impatto ambientale, con una prevalenza di colture orto-floro- vivaistiche, con attenzione alla vocazione del territorio di insediamento.

All’interno della «relazione sullo svolgimento da parte dei detenuti di attività lavorative e di

corsi di formazione professionale per qualifiche richieste da esigenze territoriali»415 risalente

all’anno 2013, è stato evidenziato che le riduzioni di bilancio delle ultime finanziarie hanno riguardato anche il capitolo 7361 art, 2 "agricola", volto a finanziare il lavoro penitenziario nelle colonie e nei tenimenti agricoli, comportando una diminuzione da € 7,978,302,00 del 2010 a € 5.400,000,00 del 2011 e a € 1.200.000 nel 2012. Ciò ha implicato una messa in discussione della possibile sussistenza delle colonie agricole e l’impossibilità di dar vita a progetti legati ai diversi tenimenti agricoli presenti nei diversi istituti penitenziari. Il 2013, fortunatamente, ha ribaltato la situazione attraverso un incremento delle risorse sul capitolo di bilancio (reintegrate a € 5.400.000), portando ad un aumento delle persone detenute e

occupate in tale ambito416. Inoltre, sempre nello stesso anno, sono stati ottenuti i fondi

comunitari per l’attivazione dei corsi professionalizzanti in "apicoltura"417

, per un massimo di 740 detenuti da destinare in 37 istituti penitenziari. L’accoglimento della proposta si evince dal dato numerico sulla partecipazione al corso sopraddetto: 534 i detenuti che lo hanno a compimento. Nel 2011 i detenuti occupati presso le colonie e tenimenti agricoli ammontavano

a 392, ossia il 3% del totale dei detenuti lavoranti418. È da sottolineare che, tali dati DAP non

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Ricerca rientrante all’interno del Quaderno 1 AIAB, «L’agricoltura oltre le mura», e realizzata all’interno del

Progetto «Agricoltura sociale e detenzione: un percorso di futuro», finanziato dal Ministero del Lavoro, della Salute e

delle Politiche Sociali, di cui è responsabile Ciaperoni A., Annualità 2007.

415 http://www.camera.it/temiap/t/news/post-OCD150009691 416

«In questo settore il numero dei detenuti lavoranti presso le aziende agricole è passato dai 359 del 31 dicembre 2010 ai 268 del 31 dicembre 2011, ai 266 del 31 dicembre 2012, ai 279 al 30.6.2013 (ultimo dato disponibile)», in Ministero della Giustizia: relazione sullo svolgimento da parte dei detenuti di attività lavorative e di corsi di formazione professionale per qualifiche richieste da esigenze territoriali, in http://www.camera.it/temiap/t/news/post- OCD150009691

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Il primo corso di Apicoltura in ambito carcerario risale al 1996. Attraverso un progetto pilota avviato tra il DAP e la FAI (Federazione Apicoltori Italiani), fu dato avvio ad un corso professionalizzante presso la colonia di Pianosa. Nel 1999, il progetto fu esteso ad altri sette carceri, mediante l’utilizzo dei fondi del Regolamento n. 1221/97 dell’Ue. Nel 2007 si registrava un’attività di apicoltura e di produzione del miele in ben 25 istituti penitenziari. Il lavoro agricolo fuori e dentro le mura, in Agricoltura e detenzione. Un percorso di futuro, (a cura di) Ciaperoni A., Dossier AIAB, 2007, p. 32

418 Ciaperoni A., Il lavoro agricolo, potente strumento di riabilitazione dei detenuti, in Agricoltura e sociale: le risposte

dell’agricoltura ai bisogni della società, RRN Magazine, la Rivista della Rete Rurale Nazionale, Numero Quattro

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comprendono però la quota dei lavoratori detenuti che lavorano in aziende e cooperative agricole esterne al carcere. Infatti, vengono considerati “detenuti agricoltori” coloro che lavorano negli istituti che svolgono attività agricola in maniera strutturata. L’indagine di AIAB del 2009 condotta sui 205 penitenziari della penisola, validata dallo stesso DAP, ha rilevato attività agricole denominate “informali”, in ben 55 altri istituti. Questo vale anche per

quanto concerne i dati DAP risalenti al 30 Giugno 2014419; i quali mettono in rilievo che

all’interno degli istituti penitenziari si registra la presenza, legata alla tipologia di lavorazione “Vivaio/Serra/Tenimento Agricolo/Allevamento”, di 32 realtà, di cui 31 attive. Tra queste, 20 vengono gestite dall’Amministrazione Penitenziaria, le altre undici da cooperative sociali che lavorano all’interno del carcere. Si sottolinea inoltre che dei 164 posti disponibili, ne sono effettivamente occupati 142. Nello specifico, per quanto concerne la Regione Veneto, le statistiche presentate registrano la presenza di una sola attività in ambito agricolo, all’interno della quale sarebbero occupati sei detenuti. Considerando esclusivamente la Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova, si evidenzia come questo dato non sia strettamente attendibile perché non considera le realtà agricole esterne al carcere che prevedono inserimenti lavorativi per persone detenute. Tenendo in considerazione solo il padovano, nello specifico l’orto all’interno del carcere «Due Palazzi» e l’Azienda Agricola Solidalia, si registrano sette persone internate lavoranti presso l’orto , e l’inserimento socio-lavorativo presso l’azienda di una persona in art. 21 e di un’altra in semilibertà.

Come già affermato, rientrano tra le pratiche di agricoltura sociale anche le attività di

trasformazione420 e tra queste meritano di essere segnalate le realtà legate ai dolci degli istituti

di Padova421 e Siracusa, il caffè e il cioccolato di Torino, la birra e i biscotti di Saluzzo. Inoltre, tra le realtà maggiormente significative, la ricerca «Agricoltura sociale e detenzione: un percorso di futuro» evidenzia: la «Cascina Bollate» cooperativa sociale che all’interno della Casa di Reclusione di Milano si occupa di attività Florovivaistiche, la Colonia agricola della Gorgona, attraverso attività di allevamento e la produzione di olio e vino, l’attività di orticoltura gestita dalla cooperativa sociale Gulliver nella casa circondariale di Perugia, l’Orto delle Meraviglie, ossia attività ortoflorovivaistica gestita dalla cooperativa sociale Rio Terà

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Detenuti lavoranti in lavorazioni e in ambito agricolo - 30 giugno 2014,

http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.wp?facetNode_1=0_2&facetNode_3=0_2_6_11&facetNode_2=0_2_6& previsiousPage=mg_1_14&contentId=SST1059905

420

Il rilancio delle attività lavorative all’interno degli istituti di pena si deve alla legge 193/2000, la cosiddetta “Smuraglia”, la quale ha permesso ai soggetti terzi di svolgere attività produttive all’interno degli istituti, riconoscendo agli operatori autonomia gestionale e commerciale e incentivi fiscali e contributivi, e contribuendo anche al rilancio dell’agricoltura carceraria e allo sviluppo dell’attività di trasformazione.

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La Cooperativa sociale Giotto, denominata Officina Giotto, in carcere tra i diversi laboratori si occupa altresì della produzione di panettoni e colombe conosciute in tutta Italia.

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dei Pensieri presso la Casa Circondariale Femminile della Giudecca- Venezia, l’attività di ortocultura presso la Casa circondariale di Ivrea, la «Casa del coniglio leprino», attività rivolte alla coltivazione di piante officinali, coniglicoltura, apicoltura, ortoflorovivaismo, gestite dalla cooperativa Sociale La Zaffa presso la casa circondariale di Viterbo, e i prodotti da forno «Dolci evasioni», gestite dalla cooperativa sociale L’arcolaio presso la casa circondariale di Siracusa. Queste e altre citate anche all’interno del secondo capitolo del presente elaborato, sono le esperienze di lavoro legate all’ambito dell’agricoltura e della trasformazione dei suoi prodotti che rientrano all’interno delle attività di Agricoltura sociale. Come si può notare, trattasi generalmente di attività gestite da cooperative sociali le quali, attraverso la creazione di prodotti di qualità, puntano alla vendita esterna. Tali esperienze possono essere evidenziate quale punto di incontro tra società e carcere, in quanto contribuiscono a riflettere un’immagine positiva del percorso rieducativo della persona in percorso penale, comportando un miglioramento rispetto all’immagine del detenuto nella società.

4.4 I servizi alla persona nei contesti socio-relazionali dell’Agricoltura in