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1.2 LA PENSABILITA’ DELLA CITTADINANZA:

1.2.1 UNA BREVE PREMESSA: LA CITTADINANZA

“Che cosa è dunque il cittadino è chiaro da queste considerazioni: chi ha facoltà

di condividere l’autorità consiliare o giuridica diciamo ora che è cittadino di

questa pòlis; e per parlare semplicemente, pòlis è l’insieme di tali individui in

numero sufficiente per vivere secondo autarchia”96

Una ricerca, che abbia come oggetto un tema qual è la cittadinanza, ed i diritti ad essa collegati, ci porta, almeno di passaggio, al ‘lavoro’di Aristotele.

“La tal cosa si dice in molti modi”, affermava il filosofo, e “se si argomenta

logicamente, e ad un tempo ci si richiama a fatti di esperienza universalmente

noti, sarà più facile riuscire persuasivi: ciascuno infatti, contribuisce con

qualcosa di suo alla verità”97.

La verità, dunque, è un patrimonio comune, tramandato di generazione in generazione, ma che di volta in volta va accettato e discusso. E rappresenta l’oggetto, che va compreso attraverso l’analisi del come è divenuto tale.98

Prima di ogni altra cosa, è bene specificare, che per i greci dell’età arcaica, e Aristotele non lo mise mai in discussione, la vita del singolo e la sua attività nella comunità, costituiscono una ‘unità’.

Non esiste infatti ciò che intendiamo per coscienza o personalità individuale, tale da manifestare vita e realtà totalmente autonome rispetto alla vita della comunità.

96 Aristotele, La Politica, traduz. It. (a cura di) L. Sichirollo, Le Monnier, Firenze, 1985, l. III, p. 83. 97 Aristotele, Etica Eudamia,trad. it. (a cura di) P. Donini, Laterza, Bari, 1999, I, 6.

Un altro fatto, è che il pensiero politico greco era essenzialmente pratico, o meglio, il primo vero problema era come intervenire nello stato di cose esistenti per migliorarle.

In effetti, la pòlis che il filosofo ha in mente è indubbiamente idealizzata, piccola, ordinata, vicina al mare ma non troppo, organizzata intorno alla sua agorà. È dunque uno spazio che deve poter essere ‘abbracciato con lo sguardo’, poiché se fosse troppo estesa, “chi potrebbe comunicare qualcosa al popolo, anche possedendo una voce stentorea?”99. Una volta stabilite queste ‘condizioni ideali’, ciò che interessa è il carattere dei cittadini, la loro educazione e la loro uguaglianza, che esige un avvicendamento di tutti al potere, regolato secondo l’età.

Aristotele parla infatti della vita politica del buon cittadino come della ‘capacità’ di colui che è, e sa essere padrone del proprio tempo.

Tanto che libertà, indipendenza ed agi, consistevano in un tutt’uno nella valutazione greco-romana dell’uomo, che non denotava solo una ‘condizione’, ma al contrario presupponeva un’attività dinamica, un comportamento attivo dei cittadini, educati “ad impiegare in modo giusto il proprio tempo”.100

Per i Greci dunque, “la libertà individuale era qualcosa di molto importante” e “non essere schiavi (di un’altra città, di coloro che ci circondano, di coloro che ci governano, delle proprie passioni) era un tema assolutamente fondamentale”.101 Il filosofo inizia la trattazione dell’argomento della cittadinanza, e dei diritti ad essa collegati, facendo una prima osservazione circa la necessità di considerare attentamente, chi “è il cittadino”, e cosa questo termine, invece, non si indica. 102

99 Aristotele, La Politica, ibidem, libro VII. 100 Aristotele, La Politica , ibidem, libro VII.

In base a quanto già sottolineato prima, non è cittadino chi semplicemente dimora in un territorio, o chi ha il solo diritto di subire o intentare una causa. Il cittadino esiste per il filosofo principalmente in democrazia, ed in senso assoluto è definito

“dal solo fatto di prender parte al giudizio ( nei tribunali ) ed al governo”,

ovvero dalla sua ‘partecipazione’.

Come conseguenza di tali considerazioni, dunque, non si possono considerare cittadini, tutti coloro senza i quali la pòlis non potrebbe esistere, e, coloro che non hanno la possibilità di educarsi, e di accedere alle cariche non possono essere considerati cittadini completi.

Sebbene non ci sia alcun dubbio sul fatto che Aristotele condividesse i pregiudizi prevalenti della sua epoca, egli fu comunque tra i primi ad analizzare il ruolo dell’appartenenza e della partecipazione, come elementi della cittadinanza e base della vita dell’uomo.

Resta dunque indubbio, al di là delle letture fatte tempo addietro della sua opera, che per la prima volta Aristotele abbia reso evidente l’esistere necessario di una relazione tra morale, società civile e stato, in un tutt’uno complesso e legato alla storia dell’uomo che vi partecipa.

Guardando alla pòlis anche nel periodo del suo tramonto, Aristotele riuscì a coglierne il destino, la ragione più alta che la trascendeva, il senso della politica, della storicità del sapere, dell’agire dell’uomo.

La sua analisi fu in grado di promuovere, al di là delle aspettative legate al proprio tempo, una coscienza dell’universalità del sapere, dell’uomo come essere politico dotato di parola e pensiero.

102 Aristotele, La Politica , ibidem, libro III, p. 80-97.

E pur facendo nella pratica riferimento alla ristretta realtà della piccola pòlis arcaica, ebbe forse influenza sul pensiero di uomini come Alessandro o come i ‘padri’ della Costituzione americana nei “Federalist Papers”103.

Resterebbe a questo punto da considerare quanto del pensiero dell’antico filosofo greco, si possa ritrovare nella cultura e nel diritto occidentale ed europeo, “per mostrare affinità e differenze, ed attraverso il loro gioco, mettere in luce come un consiglio dato dalla morale antica, possa agire diversamente nello stile della morale contemporanea”.104

Ed a questo riguardo si potrebbe forse affermare, che proprio principi quali la verità, l’appartenenza, l’importanza della comunità nella definizione del diritto, appaiano oggi temi tanto attuali quanto problematici, se è corretto affermare, come fece Aristotele, che “ciascuno contribuisce con qualcosa di suo alla definizione della verità”.

1.3 CONFINI INTERNI: DIRITTI, CITTADINANZE, ORDINI E