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“Nessuno mi ha riconosciuto sotto la maschera dell’identità con gli altri, né ha

mai saputo che ero maschera, perché nessuno sapeva che a questo mondo

esistono i mascherati. Nessuno ha supposto che a mio lato ci fosse sempre un

altro che in fondo ero io. Mi hanno sempre creduto identico a me stesso”303

Il tema della diversità culturale, o, se si preferisce, il classico problema dell’identità, è problema ‘antico’, e la domanda “Chi siamo?”, attraversa la nostra storia comune in quanto esseri umani, al punto da diventare un luogo ‘complessivo’, e per questo stessa caratteristica apparentemente inafferrabile e fuggevole da ogni definizione.

301 N. G. Canclini, Ripensare l’identità…., ibidem. 302 M. Foucault, Archivio Foucault…, ibidem, p. 26-27.

Eppure, ci sono luoghi e momenti storici in cui ci sentiamo quasi forzati a tornarci sopra, situazioni in cui per qualche ragione siamo obbligati a chiederci, che cosa fa di noi una comunità di persone.

E a giudicare dal numero di libri, studi, dibattiti, polemiche e azioni politiche dedicati, al tema del multiculturalismo e dell’intercultura, si direbbe che ci troviamo in una di queste situazioni.304

La diversità, come già sottolineato, non è più qualcosa che si va a contemplare nei paesi esotici e lontani, sebbene, anche questa non è una novità assoluta, cioè legata alla globalizzazione dell’economia, ai media, a Internet, o al progresso tecnologico.

In effetti il problema di far convivere razze, religioni e culture diverse si pone oggi come ai tempi dell’impero romano o a Costantinopoli dopo la conquista ottomana.

Sta di fatto che ogni volta questo vecchio problema ci appare diverso e appassionante, e non è quindi inutile cercare di capire che fisionomia stia assumendo oggi.

Non si tratta però soltanto di studiare mondi e mentalità diversi dalla nostra, di leggere libri, di fare analisi comparative, di oggettivizzare insomma in una qualche maniera astratta la diversità o le differenze, ma di entrare in contatto diretto con questi mondi raccontati spesso con troppo scientismo, di stabilire un

304 R. Rorty, A. Balslev, Noi e loro, trad. it. a cura di S. Morini, Il Saggiatore, Milano, 2001, p.4 e ss. Il testo riporta la corrispondenza sull’argomento della diversità tra i due autori. Questo breve, ma intenso, scambio di lettere ha preso spunto dalla relazione presentata da Rorty alla Sixth East West

Philosophers' Conference tenutasi a Honolulu nell'agosto 1989, sul tema 'Cultura e modernità:

l'autorità del passato'. Il primo di questi convegni fu organizzato negli anni Trenta, con il preciso intento di far dialogare intellettuali appartenenti a diverse culture, e di iniziare un nuovo stile di scambi interculturali, che non si limitasse al comparativismo imperante nella cultura accademica tra l'Ottocento e i primi del Novecento, a un parlare di altre culture, ma a un vero dialogo tra intellettuali di diversi paesi.

dialogo, ovvero di comprendere le modalità del passaggio dallo studio degli

‘altri’ al dialogo, se vogliamo più complesso ed imprevedibile, ma proprio per questo produttore di creatività.

E un’analisi del genere porta con se un riorientamento imponente, che ci invita “a vedere come anatre, quelli che fino a ieri ci sembravano conigli”, o meglio a cercare nell’indeterminatezza più che l’oggettività.305

Ed alla domanda “cos’è l’uomo”, dovrebbe quindi sostituirsi la domanda politica: “Quale ideale unificante può trasformarci da una folla in un esercito, da una massa di persone accidentalmente messe assieme in un gruppo di persone unite da un obbiettivo comune?”306.

Dove l’immagine dovrebbe essere quella di un mondo complesso e interrelato, “simile più a un bazaar, che non a un club per gentiluomini inglesi”307.

E dove si torni a chiedersi che cosa fa di questi abitanti un ‘noi’, seppure locale e temporaneo, una comunità unita in un dato luogo e in un dato momento da una reciproca fiducia, da ideali e obbiettivi comuni.

Pur considerando indiscutibile il fatto che l’uomo accetti di stare insieme a patto che esista sempre un confine mobile ma non cancellabile tra noi e loro.308

In effetti la difficoltà, lungi dall’essere quella della totale eliminazione, per altro non necessariamente desiderabile dei confini, sta prevalentemente nella modalità del porli, stabilendo quali dovrebbero essere gli obbiettivi comuni, come dovremmo sceglierli, chi può proporli, in base a che cosa.

305 R. Rorty, A. Balslev, Noi e loro, ibidem. 306 R. Rorty, A. Balslev, Noi e loro, ibidem.

307 C. Geertz, cit. in F. Remotti, Contro l’identità, ibidem, p. 15.

Forse, si potrebbe proporre la conoscenza come una “continua ritessitura di una rete di credenze piuttosto che l’applicazione di criteri a casi”309, arrivando a condividere l’idea che non tutti i valori supremi perseguiti dall’umanità in tutti i tempi, debbano essere necessariamente compatibili tra loro o addirittura implicarsi reciprocamente.

Sino a divenire coscienti del fatto che i valori possono scontrarsi tra loro ed essere incompatibili, e non solo tra culture diverse, ma anche fra gruppi della stessa cultura, fra individui diversi, e perfino all’interno di uno stesso individuo.310

Sembrerebbe in questi termini possibile continuare a credere negli ideali della cultura occidentale, solo a patto che si sia in grado di smettere di sperare che debbano valere sempre e ovunque, e senza cercare di fondarli, giustificarli o portare argomenti ‘oggettivi’ a loro favore.

Resta chiedersi a questo punto perché mai altri dovrebbero accettarli.311

E probabilmente la difesa dei valori democratici e la loro capacità di far convivere modi di pensare e di vivere anche molto distanti tra loro, dipenderà dalla capacità o meno, che essi dimostreranno, di liberare le energie umane per essere in grado di agire autonomamente.312

Così, finché “non abbandoneremo la metafora dell’indagine, e dell’attività umana, come qualcosa che converge piuttosto che proliferare, come qualcosa che

309 R. Rorty, A. Balslev, Noi e loro, ibidem.

310 N. G. Canclini, Ripensare l’identità in tempi di globalizzazione, ibidem. 311 R. Rorty- A. Balslev, Noi e loro, ibidem.

diviene più unitario invece che maggiormente differenziato, non saremo mai liberi dai motivi che una volta ci hanno condotto a postulare gli dei”.313

C’è dunque bisogno di pensare globalmente, senza tuttavia abolire le differenze locali, di essere disposti all’ipotesi che la propria tradizione sia una forma di chiusura, e c’è bisogno che tradizioni diverse, entrino a far parte dei sistemi educativi occidentali.

E per diventare cittadini del mondo non sarà sufficiente accumulare conoscenze, ma bisognerà coltivare quella capacità di immaginare in maniera simpatetica, che ci consenta di comprendere le motivazioni e le scelte dell’altro che sempre si esprime con e nella diversità.

4.4 IL RUOLO DEI MEDIA NELLA RAPPRESENTAZIONE