4.5 LO SPAZIO DELL’INTERCULTURALITA’:
4.5.2 PER UN’INTERCULTURA NON BANALIZZATA
Se non la si banalizza fino ad intenderla nei termini di una società in cui semplicemente coesistono gruppi e individui, che in qualche modo si riferiscono a culture diverse, la nozione di società pluriculturale, disegnata come qualcosa di più della mera compresenza, costituisce una sfida capace di consentire effettivamente la verifica della nostra attitudine alla ‘mondialità’ o meglio ancora del nostro grado di civiltà329. Una tale definizione presenta tuttavia diversi problemi, 330 poiché insistere sulle culture può determinare un effetto di distorsione, di travisamento e di mascheramento, che consiste nel guardare ai problemi posti dalla presenza degli immigrati soltanto attraverso la lente delle differenze culturali. In questi termini, la posizione assegnata agli immigrati nella società diviene soprattutto funzione della loro cultura di origine, e della loro capacità di avvicinarsi al nostro centro,331 ragionamento che porta a considerare l’altro come soggettivamente responsabile tanto della propria collocazione nella società, quanto del livello di integrazione che riesce a raggiungere.
328 E. Balibar, Razzismo e Nazionalismo, ibidem, pp. 84-87 e Esiste un neorazzismo?, ibidem, pp.35-36.
329 M. Foucault, cit.in D. Abbiati, Foucault. La dannazione del potere, Swif, Rassegna stampa, Il Giornale, su www.swif.it.
330 K. Homuth, Politica della differenza: la società multiculturale come programma di una egemonia
postfordiana, in M.I. Macioti (a cura di), Per una società multiculturale, Liguori, Napoli 1991, p. 49-
56.
I piani si confondono come sempre accade nella gestione della figura dell’altro, e povertà, immigrazione, fede, credenze, usanze, lingua, capacità, tutto entra a far parte del complesso meccanismo di giustificazione del trattamento differenziale nei confronti del diverso. 332
Così un’intercultura che si limiti a sostenere il rispetto per l’altro, riconoscendone la diversità, e postulando il diritto alla difesa della stessa, non solo non aiuta nella costruzione di uno spazio comune di interrelazione, ma può costituire il collante grazie al quale si rende possibile la costruzione di confini impossibili da attraversare senza esserne deformati. Mentre diviene indispensabile comprendere come i cosiddetti problemi della minoranza sono di fatto problemi della maggioranza333, e che in relazioni strutturalmente asimmetriche, i rapporti di forza svantaggiano ineluttabilmente la minoranza. 334
332 I. Wallerstein, Universalismo contro razzismo e sessismo. Le tensioni ideologiche del capitalismo, in E. Balibar-I. Wallerstein, Razza, nazione, classe. Le identità ambigue, ibidem, pp.47-55. Secondo l’autore, dal punto di vista operativo il razzismo ha preso la forma di quella che egli chiama ‘etnicizzazione della forza lavoro’. Parte dal presupposto che un sistema capitalistico in espansione ha bisogno di tutta la forza lavoro disponibile, dunque l’espulsione dal sistema dell’immigrato o dello straniero perde senso. Wallerstein, scrive come sia sempre esistita una gerarchia occupazionale e salariale, tendenzialmente correlata ad alcuni criteri cosiddetti sociali. Ma mentre il modello di etnicizzazione è stato costante, sono variati i particolari di luogo in luogo e di tempo in tempo in base al disporsi dei diversi gruppi umani in un luogo e tempo specifici e in funzione delle necessità gerarchiche dell’economia in quel contesto. Questo tipo di sistema sebbene sempre presente si dimostra infatti estremamente flessibile e svolge tre principali funzioni: 1) espandere e contrarre il numero di coloro che sono disponibili per i salari più bassi e per i ruoli economici meno gratificanti; 2) origina e ricrea costantemente comunità sociali che socializzano i bambini verso l’assunzione di ruoli adeguati; 3) procura una base non meritocratica per giustificare le disuguaglianze.
333 K. Lewin, I conflitti sociali. Saggi di dinamica di gruppo, Franco Angeli, Milano, 1980, p. 261. 334 Sulla condizione di invisibilità o di mistificazione della figura dello straniero in genere vedi A. Dal Lago, Non persone. L’esclusione dei migranti in una società occidentale, ibidem, pp. 43-50: “loro sono tutti coloro che, per qualsiasi motivo, pretendono di vivere tra noi pur non essendo come noi....ciò che infatti hanno in comune immigrati marocchini, algerini, senegalesi o rumeni, zingari, profughi albanesi, bosniaci o curdi è esclusivamente il fatto di non avere diritto di vivere nel nostro spazio nazionale...perchè non italiani, non europei occidentali, non sviluppati, non ricchi. È del tutto evidente infatti che quanto stiamo dicendo degli stranieri...non vale per i giapponesi, i nordamericani, svizzeri o altri stranieri che ricadrebbero formalmente nella categoria extracomunitari”.
CAPITOLO V
CITTADINANZA CAMPO SPERIMENTALE:
SPAZI D’INCONTRO, TEMPI DI SCONTRO
“…E proprio per questo non è a me dato di vivere quieto, voi non crederete,
penserete che io scherzi. Se poi aggiungo che proprio questo è il tesoro più
prezioso per l’uomo, poter fare ragionamenti, tutti i giorni…sugli altri temi sui
quali mi sentite sempre conversare e far l’esame a me stesso o all’interlocutore, e
che un’esistenza priva di curiosità non è umana vita,ebbene ancor meno
crederete a questo tipo di discorso” 335
Come già sostenuto dunque, la cittadinanza intesa nel senso più esteso del suo significato, come atteggiamento e spazio, potrebbe fornirci la chiave di volta per iniziare a porci le giuste domande.
E mentre, cittadinanza e rapporto tra identità-alterità, assumono in questo momento storico in Occidente, un nuovo ed importante ruolo nella definizione dei percorsi che ci porteranno a rappresentarci nel futuro.
Se da una parte l’identità è senza alcun dubbio divenuta un oggetto non più dato ma da discutere, e non più immune dalla possibilità di presentarsi ambiguo, mutevole e sfuggente alle categorizzazioni.
Dall’altra la cittadinanza, potrebbe rappresentare uno spazio privilegiato di sperimentazione delle nostre stesse capacità di produrci come rappresentanti dei principi fondamentali alla base della dichiarazione dei diritti umani. Mentre
335 Platone, Simposio, Apologia di Socrate, Critone, Fedone, (a cura di) E. Savino, brano tratto dall’
l’immigrazione, dal canto suo, può riprodurre in modo lampante, i limiti dei quali noi stessi non riusciamo ad avere coscienza.