Come rilevato dalla dottrina statunitense, «la relazione contrattuale at-will è la risultanza di
un [originario] intervento legislativo, dell’interpretazione giudiziale e dei contemporanei usi nei
luoghi di lavoro»
434.
La centralità del contratto individuale di lavoro risulta pressocchè dogmatica in un
ordinamento in cui la legislazione sembra concentrarsi più che altro su questioni di
public law, che generalmente incidono solo in via indiretta sui rapporti interprivati.
Non per caso, dunque, si ravvisa uno scarso interesse per la materia sindacale - se
non per l’intero ambito giuslavoristico, almeno come lo intendiamo in Europa
435- e
si comprende quindi una così limitata diffusione dello strumento “tipico” (agli occhi
di un osservatore europeo) della contrattazione collettiva.
Riprendendo le parole di Summers, «il contratto individuale di lavoro costituisce una
prospettiva privilegiata per analizzare i diritti ed i doveri della relazione contrattuale, sia quando il
rapporto di lavoro è disciplinato dalla contrattazione collettiva sia quando è definito [solo] dalla
contrattazione individuale» tenendo conto che «quando i lavoratori non sono protetti da un
contratto collettivo, ma devono contrattare individualmente, essi sono spesso alla mercè del datore di
lavoro»
436.
In tale quadro, «l’inattività sia [di alcune] delle Corti che del legislatore rispetto al tema
dell’employment at-will altro non è che l’esito di una scelta sovrana e consapevole di non
434 K.W. STONE, Revisiting the At-Will Employment Doctrine…, 101 (2007).
435 Come rilevato dalla dottrina americana, «gli studiosi del rapporto di lavoro hanno tradizionalmente concentrato la loro
attenzione sugli sviluppi della disciplina relativa al settore sindacalizzato dell’economia: disciplina che gli avvocati americani comunemente indicano con il termine ‘diritto del lavoro’. Negli ultimi decenni, tuttavia, […] l’importanza relativa del ‘diritto del lavoro’ si è ridotta e sia i giudici sia i legislatori hanno creato una serie innumerevole di nuove regole riguaranti i luoghi di lavoro nei quali il sindacato non è presente» [così J.H. VERKERKE, Un approccio di Law and Economics …, 293 (1998)].
Sembra dunque superata l’impostazione statunitense “classica” incentrata sul ruolo del sindacato, secondo cui «labor law … [is] the legal relationship between employers and unions and between unions and members» [così J.R. GRODIN, The Story of Pugh v. See’s Candies, Inc. …, 9 (2007)].
intervenire»
437, tenendo comunque a mente che per parte (pur minoritaria) della
dottrina «il contratto at-will rappresenta in gran parte dei contesti una soluzione efficiente nelle
relazioni di lavoro»
438.
Anche l’approccio di law and economics - di cui si è detto nel cap. I - seguìto da parte
della dottrina statunitense
439per supportare le singole prospettive de iure condendo
440non è sembrato dirimente. Più nello specifico, nonostante «il libero mercato non può
condurre [ex se] ad un livello efficiente di protezione contro i licenziamenti illegittimi se i lavoratori
sono eterogenei»
441, nè la spiegazione Paretiana, nè l’allocazione dei property rights
teorizzata da Calabresi
442- pur con argomenti di indubbio spessore giuridico - sono
riuscite a convincere le lobbies di riferimento, vero ago della bilancia, ad accettare
l’ipotesi di una legislazione sui licenziamenti individuali.
Nemmeno la situazione di incertezza in cui si trova il datore di lavoro, che - a
seconda dello Stato territorialmente competente - rischia la astratta sussimibilità del
licenziamento irrogato nella spire della disciplina antidiscriminatoria o di una delle
tre eccezioni all’Eaw rule, ha avuto quella spinta propulsiva auspicata dalla dottrina,
posto che la casistica, pur “drammatica” nell’ottica datoriale, è sempre stata
numericamente limitata e, dunque, poco incidente nel bilanciamento tra costi
(ovverosia, la perdita della possibilità di licenziare at-will) e benefici (non rischiare più
di ricadere nelle spire succitate) di una disciplina legislativa.
Ma quindi non è vero che una semplificazione legislativa non avrebbe una sua utilità
a prescindere?
437 C.J. PECK, Unjust Discharges From Employment …, 24 (1979). 438 R.A. EPSTEIN, In Defense of Contract at Will…, 951 (1984).
439 Ci si riferisce alle già citate teorizzazioni di M. BERGER (1997), J.L. HARRISON, (1984), A.B. KRUEGER (1991), J.H. VERKERKE (1995), in accordo con chi ha ritenuto che «nessun duello mortale, dunque,
tra diritto ed economia, ma, al contrario, un contributo essenziale che dall’economia può venire (sia nel momento della creazione della norma, sia in quello della sua interpretazione) al rafforzamento del diritto, cioè dalla sua capacità di produrre effettivamente un essere economico corrispondente al dover essere della norma» [così P. ICHINO, Il dialogo tra economia e diritto …, 198
(2001), in ideale risposta alla marcata contrapposizione tra diritto e relazioni economiche proposta da P. LOI,
L’analisi economica del diritto e il diritto del lavoro, in Dir. lav. rel. ind., 547 e ss.].
440 Nel tema in esame le proposte dottrinali sembrano - beninteso, per necessità - invertire la successione logica del ragionamento comune: in un sistema di common law ed in una peculiare situazione di vacatio legis occorre partire dagli sviluppi de iure condito per poi formulare - in un secondo momento - eventuali proposte de
iure condendo.
441 D.I. LEVINE, Just-Cause Employment Policies …, 294 (1991). 442 G. CALABRESI, A.D. MELAMED, Property rules…, 1089 (1972).