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Brevi considerazioni circa le fattispecie impresa e rapporto di lavoro subordinato

Nel documento Il controllo del datore di lavoro 2.0 (pagine 38-43)

Sezione II - La facoltà di controllo nel rapporto di lavoro privato

2.1 Brevi considerazioni circa le fattispecie impresa e rapporto di lavoro subordinato

Il codice civile dedica alla disciplina generale del lavoro il libro V, appunto intitolato Del Lavoro, in cui sono compresi taluni rapporti di lavoro subordinato e autonomo.

La norma cardine dell’argomentazione che si sta svolgendo, e da cui si deve partire, è l’art. 2094 c.c., che così stabilisce: «è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».

Definendo il lavoratore, la disposizione individua le componenti essenziali del rapporto di lavoro: il debitore è colui che collabora nell’impresa svolgendo le proprie mansioni; il creditore, è l’imprenditore che dirige la prestazione e da cui dipende il prestatore; la prestazione consiste nella collaborazione mediante lavoro; l’ambito di applicazione della disciplina (salvo il disposto dell’art.

2239 c.c.) è il lavoro nell’impresa, entro la quale il lavoratore è specificamente individuato in una gerarchia (art. 2086) al vertice della quale sta il capo dell’impresa, cioè l’imprenditore, che organizza l’attività produttiva (art. 2082) e specifica le mansioni del lavoratore (art. 2104 co. 1) direttamente o mediatamente, nel vincolo gerarchico, attraverso i sovraordinati del lavoratore stesso (art. 2104 co. 2).

Nell’organizzazione il lavoratore entra per il tramite del contratto di assunzione, nel quale vengono posti i limiti del rapporto di lavoro, secondo le specifiche esigenze sottese all’inquadramento del lavoratore.

Questa non pare nemmeno la sede adatta per ripercorrere il dibattito sulla natura contrattuale85 o a-contrattuale86 del rapporto di lavoro. In proposito basti precisare che: «la stipula del contratto di assunzione genera, in mancanza e/o in attesa dell'inizio della prestazione lavorativa, soltanto

84 M.A. IMBRENDA, Controllo...cit., p. 398 ss.

85 Per questa tesi: G. F. MANCINI, La responsabilità...cit., p. 37 ss; G. SUPPIEJ, La struttura del rapporto di lavoro, CEDAM, 1957, p. 23 ss.; M. PERSIANI, Contratto...cit., p. 3 ss. U. ROMAGNOLI, La prestazione di lavoro nel contratto di società, Giuffré, 1967

gli obblighi di far lavorare e di lavorare e in caso di inadempienza di risarcimento del danno e non le situazioni soggettive, attive e passive, che presuppongono l'effettivo svolgimento del rapporto»87.

Pertanto, il controllo esercitato dal datore di lavoro deve ritenersi limitato al rapporto contrattuale che lo lega al lavoratore e, in particolare, alla prestazione dovuta da quest’ultimo, nell’ambito di una collaborazione diretta a realizzare l’attività dell’impresa.

In altri termini, la natura contrattuale del rapporto di lavoro subordinato lega strettamente il lavoratore all’organizzazione, poiché trattasi di un contratto di collaborazione, che, come si è detto, è un contratto di gestione di attività.

Nel contesto specifico del rapporto di lavoro, l’attività oggetto di gestione, cioè quella per la quale opera la collaborazione, è l’attività d’impresa.

In proposito è di dominio comune che l’impresa rappresenta la realtà economica di maggiore flessibilità; l’impresa fornisce beni o servizi sul mercato, quindi è esposta alle turbolenze dello stesso e ciò la rende necessariamente adattiva. Una struttura adattiva richiede, per definizione il costante mutamento in relazione ai fattori esterni che la stimolano88.

Basti pensare all’evoluzione del sistema produttivo negli ultimi anni per rendersi conto di quanto l’impresa sia mutevole: dal 2013 al 2017 le start up innovative sono passate da 544 (marzo 2013) a 8315 (18 dicembre 2017)89. Il mutamento del sistema produttivo non può che avere un certo impatto sulle dinamiche aziendali e, in special modo, su quella organizzativa.

Anche la dottrina commercialistica si è accorta dell’importanza del tema; infatti, nei più recenti contributi in materia si nota un rinnovato interesse per la nozione d’impresa90, a fronte del mutamento strutturale della stessa91.

Cogliendo lo spunto offerto da alcuni autori, nella crisi definitoria del concetto d’impresa, ci si dovrebbe orientare verso la valorizzazione dell’attività dell’impresa, che «consiste esclusivamente 86 V. la suggestiva tesi di R. SCOGNAMIGLIO, Lezioni di diritto del lavoro, parte generale, Cacucci, 1963 e più di recente in R. SCOGNAMIGLIO, La natura non contrattuale del lavoro subordinato, in RIDL, I, 2007, p. 379 ss.

87 R. SCOGNAMIGLIO, La natura...cit., p. 400 ss. Vale la pena notare come - sebbene l’Autore si opponga anche a questa tesi - la precisazione di cui nel testo riporti i termini del discorso verso i confini della nota tesi di G.

SUPPIEJ, La struttura...cit., p. 99 ss. secondo il quale il rapporto di lavoro consiste in un rapporto fondamentale, entro il quale sottostanno le situazioni giuridiche in cui si esplica la dinamica del rapporto.

88Dal SABATINI-COLETTI: «Che favorisce l'adattamento all'ambiente/Che è in grado di adeguarsi» nonché sinonimo di «flessibile».

89S. FIRMPO, Relazione Annuale 2017 sullo stato d’attuazione e sull’impatto delle policy per startup e PMI innovative, in

http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/documenti/presentazione_rapporto_2017_startup . pdf

90 «Il compito di collegare la nozione di impresa alle diverse discipline a essa applicabili in ragione della dimensione e delle attività svolte è stato dunque essenzialmente svolto in questi anni dalla dottrina e, in misura non trascurabile, dalla giurisprudenza. Un compito non agevole se si considera, da un lato, la rapidità con la quale le imprese modificano i loro assetti organizzativi per adattarsi alle mutate esigenze dei mercati; dall’altro, i numerosi interventi con il quale il legislatore, nazionale e comunitario, ha cercato in questi anni di aggiornare il quadro normativo in materia di impresa, pervenendo a soluzioni non sempre coerenti con l’originario impianto codicistico» così G. OLIVIERI-G. PRESTI, Editoriale, in AGE, 2014, 1 p. 8 91Un compito non agevole se si considera, da un lato, la rapidità con la quale le imprese modificano i loro assetti organizzativi per adattarsi alle mutate esigenze dei mercati; dall’altro, i numerosi interventi con il quale il legislatore, nazionale e comunitario, ha cercato in questi anni di aggiornare il quadro normativo in materia di impresa, pervenendo a soluzioni non sempre coerenti con l’originario impianto codicistico» così G. OLIVIERI G. ᴇ PRESTI, Editoriale...cit., p. 8

nella produzione di beni e servizi nella accezione più ampia del termine, con carattere di non occasionalità»92.

Questa accezione d’impresa va ora calata nel contesto della disciplina codicistica del lavoro.

In primo luogo, si deve analizzare il concetto d’impresa sotteso nell’art. 2094 c.c. coordinando la norma con gli art. 2082 e 2086 c.c.

Dalla lettura sistematica degli articoli menzionati, per imprenditore deve intendersi chi

«esercita professionalmente un’attività economica organizzata», che «è il capo dell'impresa e da [cui, ndr] dipendono gerarchicamente i [...] collaboratori».

Dal combinato disposto degli artt. 2094-2082-2086-2104 co. 2 c.c., emergono almeno due elementi fondamentali per la presente analisi:

– l’impresa è organizzazione, nel senso che in tanto esiste in quanto viene svolta un’attività di coordinamento dei fattori produttivi per mezzo dei quali può essere conseguito il risultato perseguito dalla stessa;

– chi organizza è il capo dell’impresa, cioè quel soggetto che per mezzo dell’attività organizzata consegue uno scopo, che trova nell’impresa lo strumento di realizzazione.

Vista la rilevanza dei due fattori nell’ambito dell’analisi dell’impresa, se ne deve verificare la rilevanza nell’ambito del rapporto di lavoro, posto che il lavoro costituisce uno dei fattori di produzione organizzati dall’imprenditore per realizzare l’interesse dell’impresa.

In primo luogo, va ricordato che il codice civile non identifica l’imprenditore con il datore di lavoro, poiché – come detto – il datore di lavoro può essere anche non imprenditore93.

In secondo luogo, va notato che l’organizzazione non pare essere un elemento scindibile dall’impresa, poiché la stessa nozione d’imprenditore la prevede come requisito costitutivo della fattispecie94.

Ciò detto, si deve constatare come l’attività dell’imprenditore sia funzionale all’organizzazione d’impresa, nel senso di permettere lo svolgimento della stessa; pertanto, riprendendo l’impostazione summenzionata: l’imprenditore è chi svolge attività d’impresa95.

Attività e organizzazione, come notato dalla migliore dottrina, sono concetti collegati; infatti:

«l'organizzazione è creata per l'attività e serve all'attività»96.

In questo scenario, il rapporto di lavoro subordinato – che è un contratto di collaborazione, dunque uno strumento per mezzo del quale si realizza l’attività imprenditoriale – rappresenta il mezzo che introduce nell’organizzazione l’attività lavorativa, cioè quel fattore di produzione che l’imprenditore deve coordinare al fine di realizzare l’obiettivo per cui ha costituito l’organizzazione imprenditoriale97.

Questo coordinamento, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, si esplica per mezzo del potere direttivo, il quale ha la funzione di dare concretezza all’obbligazione di lavoro, la quale

92P. MONTALENTI, Dall'impresa all'attività economica: verso una nuova sistematica?, in AGE, 2014, 1 p. 51

93In particolare, si v. M. BARBERA, Trasformazione della figura del datore di lavoro e flessibilizzazione delle regole del diritto, in GDLRI, 2010, n. 2, p. 216-217

94 Una posizione radicale sull’organizzazione era quella di A. ROCCO Principi di diritto commerciale, UTET, 1928, p. 195 ss, che faceva consistere l’organizzazione con l’attività imprenditoriale d’intermediazione del lavoro.

95P. MONTALENTI, Dall'impresa...cit, p. 52; non difforme P. SPADA, Impresa...cit.

96 G. OPPO, L’impresa come fattispecie, in RDC, 1982, I, p. 112.

97 Secondo M. PERSIANI, Contratto di lavoro e organizzazione, CEDAM, 1966, p. 255 ss., la collaborazione consiste nell’«interesse tipico del datore di lavoro» e permette la realizzazione dell’interesse finale, conseguito per mezzo dell’organizzazione dell’impresa.

«deve dirsi che non esiste, finché non ne venga determinato l’oggetto mediante le disposizioni dell’imprenditore»98.

Pertanto, se il potere direttivo è il mezzo mediante il quale l’imprenditore specifica il contenuto della prestazione di lavoro – cioè adatta la prestazione di lavorare alle esigenze dell’attività imprenditoriale – allora il presupposto della sua applicazione è l’organizzazione, dalla quale va fatto derivare, poiché è solo in funzione di questa che la collaborazione del lavoratore nell’impresa può assumere concretezza (cioè, può essere specificata)99.

Va subito chiarito che il potere di specificare la prestazione nell’interesse dell’impresa non consiste unicamente nel potere direttivo, poiché, come si è visto, vi sono forme di etero-regolazione che si atteggiano come forme di potere direttivo attenuate, presente in altri contratti caratterizzati dalla collaborazione nell’impresa. Un rapido confronto tra le fattispecie di collaborazione, mandato e rapporto di lavoro, permette di riconoscere la simmetria tra eteroregolazione ed eterodirezione;

la differenza tra le due fattispecie sta nell'intensità del potere di indirizzare la prestazione del debitore: nel primo caso il creditore potrà impartire istruzioni che valgano a modificare il programma di mandato, nel secondo caso il datore potrà specificare la prestazione del debitore individuando le mansioni da svolgere.

Nei fatti, la differenza tra le due fattispecie può risultare assai sottile, considerato che tanto maggiore è il grado di autonomia decisionale o di specializzazione del prestatore, tanto minore sarà il grado di eterodirezione100.

98 Così G. SUPPIEJ, La struttura del rapporto di lavoro, vol. II CEDAM, 1957, p. 70.

99 Tesi già sostenuta, sulla base dell'elaborazione teorica di Mancini, da A. PERULLI, Il potere direttivo dell’imprenditore, Giuffré, 1992, p. 143-145 il quale, descrive il potere direttivo come «un potere puro (originario e non mediabile) dell'impresa» per poi aggiungere che «il potere direttivo va ricondotto essenzialmente alla dimensione decisionale dell'azione imprenditoriale: al processo decisionale inteso come attività di scelta e anche come attuazione della scelta [che configura, ndr] quella posizione di potere che, nei limiti sanciti dall'ordinamento, istituzionalmente compete all’imprenditore e che appare intraducibile in termini di teoria delle situazioni soggettive».

100La Suprema Corte, in proposito, parla ormai da tempo di subordinazione “attenuata”. Cfr. Cass. 27 ottobre 1956 n. 3997, in CED: «per aversi subordinazione, quale elemento del rapporto di lavoro, non si richiede un vincolo di soggezione particolarmente appariscente e intenso, potendo anche bastare (quando cosi in special modo comportino il grado elevato delle mansioni e la fiducia dell'imprenditore),un assoggettamento anche attenuato e discreto all'autorità dell'imprenditore medesimo, intesa quale espressione di quella somma di poteri di propulsione, direzione e vigilanza coordinati al fine del conseguimento degli scopi dell'impresa»

(analogamente Cass. 13 marzo 1964, n. 543, in GI, 1965, I, p. 505 ss.; Cass. 27 giugno 1968, n. 2181, in CED;

Cass. 12 aprile 1978, n. 1744, in CED; ). Per individuare, in questa zona grigia, il lavoro subordinato, la S.C.

ha individuato dei parametri ben precisi. Cfr. Cass. 09 ottobre 1979, n. 5208, in CED: «Qualora non sia possibile - per l'attenuazione notevole del vincolo della subordinazione e per la presenza di una certa liberta nell'organizzazione del lavoro - fondare la distinzione fra lavoro autonomo e lavoro subordinato sull'elemento della subordinazione del prestatore d'opera al potere direttivo del soggetto a cui favore l'opera e prestata, la distinzione fra i due tipi di rapporto deve essere fondata: a) sulla precisa identificazione dell'oggetto della prestazione (che, nel caso di contratto di lavoro subordinato e l'energia lavorativa esplicata, secondo le direttive, la vigilanza ed il controllo dell'altra parte); b) sull'accertamento concreto di un'organizzazione di impresa, anche se minimo, da parte del lavoratore (esistente nel lavoro autonomo e non rinvenibile, almeno normalmente, nel campo del lavoro subordinato); c) sulla valutazione dell'incidenza del rischio attinente all'esercizio dell'attività produttiva (che incombe in misura evidente e completa sul lavoratore autonomo, mentre ricade sul datore di lavoro in ipotesi di lavoro subordinato)» (analogamente Cass. 02 febbraio 1982, n. 620, in CED).

Ciò che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato da altre fattispecie di lavoro latamente intese, è il grado di ingerenza nella prestazione del lavoratore che caratterizza la subordinazione: essere lavoratore subordinato vuol dire essere giuridicamente vincolato alle decisioni del datore di lavoro, che si manifestano nella forma delle direttive proprie o dei suoi collaboratori cfr. art. 2104, co. 2 c.c.). Detto altrimenti, rispetto al lavoratore etero-regolato, il lavoratore eterodiretto non vanta autonomia decisionale nella realizzazione del risultato richiesto.

Quanto poi al risultato, basti ricordare che il lavoratore subordinato si obbliga a un fare in conformità alle direttive dell’imprenditore mentre il lavoratore autonomo si obbliga a un fare nei limiti dell’interesse dell’imprenditore. Pertanto, quest’ultimo coordina la propria attività con quella del committente (cfr. art. 409, co. 1, n. 3) c.p.c.), mentre il primo è inserito nell’organizzazione, dalla quale dipende la stessa specificazione della sua prestazione.

Tutto ciò considerato, a chi scrive pare che, nell’ambito della disciplina del lavoro subordinato, si possano distinguere due funzioni del creditore di lavoro:

in qualità di datore di lavoro che assume il lavoratore per inserirlo nell’organizzazione e ne retribuisce la prestazione;

in qualità d’imprenditore che organizza il lavoro del collaboratore101.

Incidentalmente, vale la pena notare come questa impostazione pare coerente con la tesi di Scognamiglio sulla natura non contrattuale del rapporto di lavoro: il contratto di assunzione determina la figura del datore-creditore; il rapporto di lavoro determina, invece, la figura dell’imprenditore-creditore102.

La scelta di adottare, comunque, un approccio contrattualista è data dalla più convincente tesi elaborata da chi sosteneva che: «in sede di contratto non si fa questione della destinazione dell’attività promessa, mentre è proprio sul piano di tale destinazione (e cioè in vista del risultato finale) che si enuclea la necessità di un potere coordinante del creditore. L’accenata “reazione” del risultato in senso pregnante, perciò, non investe il contratto, ma il rapporto di lavoro, inteso come il

Con specifico riferimento all’obbligazione del lavoratore, statuisce Cass. 2001, n. 9167, in CED che l’obbligazione consiste nel «porre a disposizione del datore le proprie energie lavorative e di impiegarle con continuità secondo le direttive di ordine generale impartite dal datore di lavoro ed in funzione dei programmi cui è destinata la prestazione per il perseguimento dei fini propri dell’impresa» (Cass. 5 maggio 2004, n. 8569, in CED).

Con riferimento all’organizzazione, Cass. 15 maggio 2012 n. 7517, in GC 2013, 5-6, I, p. 1098 ha statuito che: «Ai fini della configurazione del lavoro dirigenziale - nel quale il lavoratore gode di ampi margini di autonomia ed il potere di direzione del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma essenzialmente nell'emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con la natura ampiamente discrezionale dei poteri riferibili al dirigente - il giudice di merito deve valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l'esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell'organizzazione aziendale, idonea a ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se nell'ambito di un contesto caratterizzato dalla cd. subordinazione attenuata» (Cfr.

anche Cass. 10 maggio 2016 n. 9463, in CED)

101 Risultano efficaci in proposito le osservazioni di G. OPPO, L’impresa..cit, p. 112-113: «L'organizzazione come tale non può infatti giocare, sul piano considerato, un ruolo autonomo perché come organizzazione di beni si appartiene al campo degli oggetti di diritto, come organizzazione di persone al campo dei rapporti giuridici (o, se vuolsi, dell’istituzione), l'uno e l'altro estranei così alla nozione come al valore della fattispecie giuridica. [...] In una teoria dell'impresa [è logico] che l'iniziativa e la funzione dell'organizzazione di persone sono, all'origine, quelle stesse dell'organizzazione patrimoniale e che il legame con l'impresa si costituisce col meccanismo del rapporto obbligatorio e del diritto dell'imprenditore alla prestazione dell'opera altrui».

102 R. SCOGNAMIGLIO, Lezioni di diritto del lavoro...cit., p. 63

concreto complesso dei poteri e dei doveri intercedenti tra le parti e lo arricchisce di altre posizioni giuridiche che non siano quelle direttamente discendenti dal contratto»103.

In effetti le due posizioni, rispetto all’esercizio del potere direttivo, sono strutturalmente poco distanti; in entrambi i casi il potere direttivo emerge quale effetto del rapporto e non del contratto104.

Anche nell’impostazione contrattualistica di Mancini e Suppiej, quindi, può cogliersi quella duplice natura del creditore di cui si è detto: da un lato quella del datore, che acquisisce la forza lavoro e, dall’altro, quella dell’imprenditore che la organizza. Per dirla con le parole di Oppo «il legame con l'impresa si costituisce col meccanismo del rapporto obbligatorio e del diritto dell'imprenditore alla prestazione dell'opera altrui», sicché il contratto genera il contatto impresa-lavoratore e il rapporto disciplina il modo in cui la prestazione del impresa-lavoratore è organizzata nell’impresa105.

In conclusione, posto che la facoltà di controllo non ha origine contrattuale e che l’organizzazione è il modo con cui l’imprenditore svolge la propria attività di coordinamento dei fattori di produzione, il potere direttivo, tramite il quale il datore di lavoro specifica il “ruolo”

della forza lavoro nella produzione, può collocarsi nell’organizzazione. Il potere direttivo, in sostanza, è uno degli strumenti di cui dispone l’imprenditore per gestire la forza lavoro nell’ambito del più articolato coordinamento di fattori produttivi che è l’organizzazione dell’impresa106.

2.2 Interesse dell’imprenditore all’organizzazione del fattore produttivo lavoro e facoltà di

Nel documento Il controllo del datore di lavoro 2.0 (pagine 38-43)