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Dal divieto totale di controllo diretto al controllo per ragioni organizzative e di sicurezza. La

Nel documento Il controllo del datore di lavoro 2.0 (pagine 126-155)

Sezione III - Il controllo nei rapporti di lavoro non standard

4.1. Dal divieto totale di controllo diretto al controllo per ragioni organizzative e di sicurezza. La

distanza mediante l'analisi della struttura e funzione concreta degli strumenti presenti nei locali dell'imprenditore.

Le prime pronunce da prendere in considerazione sono quelle emesse dai giudici nel primo decennio di applicazione della l. 300/1970.

Le pronunce in materia di art. 4, l. 300/1970 sono state abbastanza sporadiche nel primo decennio di applicazione della norma e ciò probabilmente ha contribuito a limitare l’applicazione della stessa, seguendo un’interpretazione formale.

L’analisi che segue riporta gli orientamenti della giurisprudenza e i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro, suddivisi per singolo strumento.

Il cronotachigrafo e il disco-orario

Prima ancora dei provvedimenti giurisprudenziali, però, va rilevato come il primo intervento orientativo dell’interpretazione dell’art. 4 originario sia stato emanato dall’Ispettorato del lavoro, il quale, interpellato sulla natura dei tachigrafi presenti sui mezzi di trasporto, stabilì che questi:

«possono costituire efficace mezzo di controllo a distanza, sia pure a posteriori, dell’attività svolta dai piazzisti, che peraltro sono lavoratori non soggetti alle ordinarie limitazioni dell’orario di lavoro». A fronte di tale qualificazione, l’Ente stabilì che: «deve ritenersi applicabile alla fattispecie i divieto posto dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori all’uso di apparecchiature che consentono il controllo a distanza dell’attività lavorativa»61.

In giurisprudenza, tra le prime pronunce, si rinviene quella del Pretore di Venezia, il quale, chiamato a decidere se la punzonatura del disco orario costituisse una forma di controllo a distanza, stabilì che: «l'obbligo della punzonatura del disco orario ad ogni ora, imposto dal datore di lavoro

60In tema si rinvia al Cap. I, sez. II; per tuti cfr. A. SITZIA, Il controllo (del datore di lavoro) sull’attività dei lavoratori: il nuovo articolo 4 st. lav. e il consenso (del lavoratore), in LLI, 2/2016, p. 89 ss.

61ITL Milano, 26 luglio 1971, in DL, 1972, II, p. 110. Il provvedimento viene confermato dal Min. Lavoro 15 dicembre 1975, in OGL, 1972, p. 28 ss.

al dipendente addetto al turno di notte per la verifica degli impianti, qualificati pericolosi per l'uso dell'ammoniaca, non integra mezzo vietato dall’art. 4, l. cit., non potendosi qualificare strumento di controllo a distanza»62.

Il Pretore giunse a questa conclusione ritenendo che l’art. 4, l. 300/1970 costituisce una forma di limite esterno al potere direttivo63 «nella misura in cui [la verifica dell’esattezza della prestazione, ndr] si estrinseca in controlli a distanza, i soli che il legislatore abbia vietato ed abbia perciò implicitamente ritenuto lesivi della dignità del lavoratore».

Il giudice è anche puntuale nell’individuare i caratteri del controllo a distanza, che può essere inteso come: «controllo continuo o comunque attuabile in qualsiasi momento dalla direzione aziendale senza la conoscenza del personale controllato». Detto ciò, il giudicante puntualizza che non integra la fattispecie vietata dalla norma in commento il controllo effettuato mediante: «mezzi tecnici, diversi dal controllo a distanza: e tali sono quelli che non si attuino in forme di vigilanza continua anelastica, effettuabile in qualsiasi momento e senza la conoscenza del personale controllato e quindi in strumenti dalla natura potenzialmente vessatoria, in quanto tesa a registrare il controllo, così come rettamente è stato rilevato», anche in momenti di distrazione e di disimpegno che sono naturalmente presenti nel lavoro di chiunque e che si debbono tollerare perché la stessa produzione si deve adeguare a tali limiti, che sono proprio i limiti di applicazione del lavoro umano».

In giurisprudenza è anche nota la vicenda dei cronotachigrafi Kienzle, nei fatti assai simile a quella appena vista, poiché ai lavoratori veniva richiesta la medesima condotta, cioè di applicare e rimuovere il disco durante il proprio turno.

La vicenda originava dal rifiuto dei lavoratori di consegnare i propri cronotachigrafi all’impresa, avendone scoperto il potenziale di controllo; a fronte di questa condotta la società datrice di lavoro aveva adottato sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori.

La questione giunse sino alla Suprema Corte, la quale va qui esaminata, vista la sostanziale conferma delle argomentazioni dei giudici dei precedenti gradi.

Il giudice di legittimità qualificò i dischi Kienzle come strumenti di controllo sul presupposto che: «il solo conoscere l’esistenza del funzionamento dei dischi in parola certamente non implica che l’operaio abbia per ciò stesso sentore di essere controllato a sua insaputa»64.

In questa sentenza si ribadisce in parte quanto già detto nel giudizio di merito, cioè che l’installazione di questi impianti, che hanno le caratteristiche di strumenti di controllo preterintenzionale.

A rendere particolarmente interessante la sentenza, però, è proprio quell’inciso appena ricordato, da cui si ricava che la conoscenza dello strumento non è sufficiente per far venire meno il carattere lesivo dello stesso, poiché i lavoratori possono anche non rendersi conto del potenziale controllo che si rivela nel funzionamento dello strumento65.

In questo senso, la sentenza in parola, individua una regola che non verrà messa in dubbio dalla giurisprudenza successiva: il fatto che il lavoratore abbia conoscenza della presenza di strumenti da cui

62P. Venezia 26 giugno 1973, in MGL, 1973, p. 363, con nota di G. Conti, L’organizzazione del lavoro e lo statuto dei lavoratori.

63In ciò il giudice fa propria la tesi di G. SUPPIEJ, Il potere direttivo dell’imprenditore e i limiti derivanti dallo Statuto dei lavoratoti, in RGL, 1972, I, p. 3

64Cass. 18 febbraio 1983, n. 1236, in GC, 1983, I, p. 1755; cfr. Trib. Milano 7 luglio 1977, in OGL, 1977, p. 716 65Cfr. Cass. 6 marzo 1986, n. 1490 in DL, 1986, II, p. 83 ove viene affermato lo stesso principio in relazione all’installazione di telecamere non attive, di cui erano stati informati i lavoratori, fatto quest’ultimo ritenuto inidoneo a rendere lecito il controllo.

può derivare il controllo sulla sua attività, non rende legittimo il controllo, se l’impresa non ha acquisito il consenso del sindacato o l’autorizzazione amministrativa, prima d’installare lo strumento stesso66.

Controllo in cuffia e centralini elettronici

Particolarmente analitica risulta una delle prime pronunce del Pretore di Milano, il quale, chiamato a decidere sulla legittimità del cd. controllo in cuffia, ha preliminarmente stabilito che «per meglio comprendere le ragioni che hanno indotto il legislatore ad adottare la norma di cui all'art. 4 dello Statuto, sembra opportuno prendere le mosse dalla più ampia categoria della difesa della

«privacy» nella quale l’ipotesi di specie trova la sua più ampia cornice: un discorso più riduttivo rischia, invero, di lasciare inombra tutto il retroterra della norma e di non consentire una comprensione sufficiente della sua importanza vitale nell'ambito di un sistema in cui «razionalità»

tecnologica crescente e controlli sempre più persuasivi vanno di pari passo»67.

Il giudicante, dopo aver disaminato il contenuto del cd. diritto alla privacy, rileva che «il fenomeno [delle intrusioni nella sfera individuale, ndr] colpisce coloro che lavorano in imprese pubbliche o private, qualora queste abbiano posto in essere sistemi di controllo spersonalizzati ai quali il prestatore di lavoro è assoggettato durante il tempo di lavoro»; nonché «ogni dipendente sa che ogni suo gesto, anche il più innocente, è sotto il controllo di un occhio o di un orecchio nascosto».

Da questo scenario di controllo totale68, il giudicante deduce l’illegittimità del cd. controllo in cuffia, cioè quel «controllo che viene esercitato sulla attività di lavoro dei centralinisti, mediante l'inserimento, nelle conversazioni tra centralino ed utenti, di sorveglianti cui fanno capo derivazioni delle linee che hanno il loro terminale naturale nel centralino»69.

Il controllo in cuffia avviene in modo occulto, a campione, con trascrizione della comunicazione, senza filtro tra chiamate private70, per finalità organizzative e potenzialmente disciplinari e permette di «avere un quadro di quelle che sono le abitudini, le tendenze, i discorsi dei dipendenti».

In un altro caso, il Pretore di Milano ha stabilito per la legittimità dell’impiego di uno strumento che consente il rilevamento delle chiamate quando il sistema è configurato in modo tale da garantire che il controllore non possa sapere con precisione chi è il soggetto che ha chiamato e possa solo vedere da quale terminale (non personale) è stata effettuata la chiamata, senza conoscerne il contenuto, poiché questa non viene registrata71.

66Diametralmente opposta la pronuncia del P. Genova 3 ottobre 1982, in DL, 1984, il quale stabilisce che

«quando […] il lavoratore sia consapevole del controllo, per l'installazione dei relativi impianti non è necessario l'accordo con la RSA».

67P. Milano 12 maggio 1972, in OGL, 1972, p. 260

68Per usare la felice espressione di A. BELLAVISTA, Il controllo…cit., p. 128, oltre il limite del controllo tecnologico cui la riferisce l’Autore.

69A distanza di anni – durante i quali, come si vedrà nel testo, le imprese, avevano nettamente affinato la tecnica del controllo in cuffia, eliminando il fattore di controllo totale e limitandosi solo al controllo generico – il P. Camerino, 24 gennaio 1992, in Dir. Lav. Marche, 1992, p. 326, torna sulla questione, confermando che

«l’installazione nell'utenza telefonica usata dal lavoratore nell'esercizio delle sue mansioni lavorative di un impianto di intercettazione ed ascolto delle conversazioni, è lesivo del diritto assoluto e personale alla riservatezza e dà diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti, non costituendo alcuna preclusione la circostanza che sul fatto-reato commesso, di rilevanza penale, previsto e punito dagli art. 4 e 38 l. n. 300/1970, sia mancato un accertamento giurisdizionale penale».

70Nel caso di specie si trattava di chiamata autorizzata.

In quest’ultimo caso la soluzione adottata dal giudice teneva debitamente conto delle modalità operative dello strumento di controllo.

Anche in altro caso il Pretore di Milano ha analizzato con puntualità il caso dell’installazione e dell’impiego di un centralino elettronico ha stabilito per l’illegittimità dell’impiego di questo mezzo per contrarietà all’art. 4, laddove dal suo impiego sia «possibile rilevare analiticamente i dati relativi a ogni singola telefonata effettuata dai dipendenti e quando possibile per alcuni utenti inseritisi nelle telefonate di altri mediante la cd. intrusione»72.

Il caso, deciso in sede penale, è interessante anche rispetto alla decisione del giudice di ammettere l’imputato all’oblazione in quanto si era attivato al fine di rendere meno invasivo l’utilizzo del centralino elettronico, rimuovendo la possibilità di ricorrere ad alcune funzionalità, tra le quali il controllo in cuffia.

Il fatto che l’imputato sia stato ammesso all’oblazione comporta, di per sé, che il giudice non abbia affatto escluso l’antigiuridicità della condotta, anche laddove il controllo potenziale sia risultato non effettivo, essendo ancora effettiva la potenzialità, per così dire, strutturale – cioè propria del meccanismo dello strumento - del controllo73.

Il Pretore di Roma, chiamato a decidere se un sistema di invio di messaggio d’identità (del tipo Imi), che informa l’utente contattato dall’operatore dell’identità di quest’ultimo, ha stabilito che: «le finalità perseguite dal sistema Imi ed il più comune tesserino di riconoscimento o numero di matricola [non possono essere completamente sovrapposte; infatti, ndr] se entrambi i meccanismi rispondono alle sopracitate esigenze di trasparenza e di «immagine» nello svolgimento dell’attività aziendale, solo il dispositivo tecnico-operativo dell’Imi, nel consentire quel potenziale controllo a distanza attuabile all’insaputa del lavoratore e nel costituire (a differenza di altri sistemi) anche in senso tecnico un «impianto» o una «apparecchiatura» ai sensi dell’art. 4 cit., rientra nella previsione della norma (sotto i profili indicati dal 2° comma) e richiede quindi l’osservanza delle statuizioni ivi stabilite»74.

Torre di controllo

Un caso particolare di controllo a distanza, ritenuto illegittimo, è quello dell’installazione della cd. torre di controllo, cioè «di un locale rialzato con pareti di vetro destinato ad un ufficio» anche laddove sia funzionale al controllo della produzione nel suo complesso, poiché «la legge non proibisce solo l’uso di apparecchiature dirette ad esercitare in via esclusiva il controllo a distanza (1° comma, art. 4) bensì vieta la predisposizione di qualsiasi mezzo che possa eventualmente consentire il controllo a distanza (2° comma, art. 4), purché, naturalmente, tale scopo sia raggiungibile concretamente».

La decisione sembra eccessiva, poiché – almeno al tempo in cui si scrive – non è in dubbio che una torre di controllo non sia affatto un mezzo di controllo a distanza; infatti, consiste in una struttura che, semmai, amplifica il controllo personale.

71P. Milano 2 luglio 1981, in OGL, 1984, p. 679 con nota di R. Zallone, Art. 4 statuto dei lavoratori e nuove tecnologie: profili interpretativi. In un caso simile il P. Milano 4 ottobre 1988, in NGL, 1989, p. 436, decideva per l’illegittimità di detto controllo (operato con centralino telefonico automatico del tipo Alcatel 2506/MI), sebbene i caratteri dell’apparecchio fossero gli stessi

72P. Milano 9 novembre 1984, in RGL, IV, p. 255

73Contra P. Milano 5 dicembre 1984, in FI, 1985, II, p. 285 74P. Roma 22 dicembre 1988, in FI, 1989, I, 1309

Il giudice argomenta questa scelta, sulla base dell’assunto per il quale «la legge […] ha inteso escludere che il controllo si profili financo come mera possibilità da parte del datore di lavoro»75, traendo la conclusione che l’installazione avrebbe dovuto formare oggetto di accordo sindacale o autorizzazione amministrativa.

Videosorveglianza

Verso la fine degli anni ’70 il Pretore di Milano si è pronunciato anche sulla principale forma di controllo a distanza dei lavoratori, cioè quella attuata mediante telecamere, in un caso in cui l’imprenditore aveva installato detti strumenti di controllo in modo tale da renderne operativa solo una (quella posta a sorveglianza della cassaforte aziendale) e non delle altre due (poste in aree prossime ai locali in cui i lavoratori svolgevano attività lavorativa).

In questa occasione il giudice stabilì che era «irrilevante che le telecamere, collegate con monitors esistenti negli uffici della direzione, [fossero, ndr] temporaneamente disattivate purché risulti accettata la finalità di controllo dei dipendenti in assenza di esigenze organizzative, produttive o di sicurezza sul lavoro».

Rispetto alla questione dell’effettività del controllo, cioè rispetto alla circostanza che le telecamere risultassero inattive, il giudicante stabilì che: «non [fosse, ndr] necessario che si [verificasse, ndr] un controllo continuo, essendo sufficiente la semplice possibilità di un controllo attuabile dalla direzione aziendale in qualsiasi momento, senza la conoscenza del personale controllato»76.

Anche la Suprema Corte, nei primi anni ’80, ha confermato l’orientamento della mera possibilità del controllo, del resto perfettamente in linea con il disposto di legge, nel caso dell’installazione di telecamere senza il previo accordo sindacale o l’autorizzazione amministrativa, sebbene queste non fossero attive e comunque non potessero riprendere l’attività lavorativa.

Nello specifico la Cassazione ha statuito che «il divieto di controllo a distanza […] non può essere escluso dalla messa in avviso dei controllati».

La Suprema Corte ha però affermato anche che «il riferimento del secondo comma dell’art. 4 dello statuto alla “possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” non esclude l’ipotesi di controlli discontinui o esercitati su locali per attività saltuarie o per temporanea sottrazione ad attività dovute»77.

L’inciso non è di poco conto se si considera che fino ad allora la dottrina si era espressa nel senso opposto, aderendo alla ratio storica della norma, che è bene espressa nella relazione governativa alla l. 300/1970, laddove stabilisce che: «la vigilanza sul lavoro […] non [va, ndr]

esasperata dall’uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia dello svolgimento del lavoro»78.

La Cassazione, così, sembra aver esteso il concetto di controllo a distanza oltre il limite del controllo continuativo, ammettendo che anche forme di controllo saltuario o intermittente (a intervalli) vanno ricomprese nell’ambito dell’art. 4, l. 300/197079.

75P. Roma 27 settembre 1973, in OGL 1973, p. 753, confermata da Trib. Roma 10 luglio 1974, in RDL, 1975, II, p. 228

76P. Milano 26 gennaio 1978, in RGL, 1978, IV, p. 95; Contra, rispetto alla sussistenza del reato di cui al combinato disposto degli artt. 4-38, l. 300/1970, P. Grosseto 8 gennaio 1976, in GC, 1986, I, p. 592

77Cass. 18 febbraio 1983, n. 1236, in FI, 1985, I, 2076, con nota di F. Rossi; conforme Cass. 6 marzo 1986, n.

1490, in OGL, 1986, p. 919; Cass. 16 settembre 1997, n. 9211, in OGL, 1997, p. 927 ; P. Catania 21 ottobre 1996, in DL, 1997, II, p. 213

78In dottrina cfr. A. BELLAVISTA, Il controllo…cit., p. 67

79Conferma quest’orientamento Cass. 6 marzo 1986, n. 1490, in Lavoro80, 1986, p. 758

Decisamente poco problematica, per l’evidenza degli interessi coinvolti e del bene protetto, è la pronuncia del P. Milano dei primi anni ’90, con la quale dichiarato legittimo «il comportamento del datore di lavoro che abbia predisposto l'installazione di alcune telecamere per la vigilanza di uno sportello bancario automatico, per la sicurezza dei clienti e dei lavoratori, previo accordo con la (sola) maggioranza delle rappresentanze sindacali aziendali»80

Nel contesto dell’evoluzione della giurisprudenza in tema di controllo a distanza – oltre che di controllo occulto tramite persone diretto alla tutela del patrimonio – non desta particolare sorpresa che all’inizio del 2000, la Suprema Corte abbia stabilito che: «sono […] legittimi, in quanto estranei alle previsioni delle suddette norme, gli accertamenti operati dall'imprenditore attraverso riproduzioni filmate dirette a tutelare il proprio patrimonio aziendale, al di fuori dell'orario di lavoro e contro possibili atti penalmente illegittimi messi in atto da terzi e quindi anche dai propri dipendenti i quali a questi non possono non essere in tutto equiparati allorquando agiscano al di fuori dell'orario di lavoro»81.

In questa occasione può dirsi apertamente violato il limite posto dall'art. 4 originario che non prevedeva affatto la causale della tutela del patrimonio aziendale tra quelle che possono dare luogo all'installazione degli strumenti di controllo a distanza. Eppure la decisione della Suprema Corte non lascia margine di dubbio su quale sia stata la finalità perseguita dall'imprenditore al momento dell'installazione.

Badges e Gestionali

Tra gli strumenti che hanno sollevato il maggior interesse della giurisprudenza e delle amministrazioni pubbliche va ricordato il badge.

Il primo provvedimento che si rinviene in tema è quello dell’Ispettorato del lavoro di Alessandria, il quale ha ritenuto che sia: «legittima l’installazione di un impianto finalizzato al rilevamento e alla gestione dei dati relativi agli avanzamenti della produzione, alla contabilità industriale e all’amministrazione delle retribuzioni sempre che non possano essere assunti a base di provvedimenti disciplinari fatti accertati o comunque rilevati in qualsiasi momento o fase della procedura per mezzo dell’impianto, che attengano all’attività dei lavoratori diversi comunque dalla semplice osservanza dell’orario di lavoro praticato nello stabilimento, con riferimento esclusivamente all’ora d’inizio e di termine del lavoro e degli intervalli di riposo»82.

Analogamente stabiliva il Pretore di Milano in relazione a un sistema elettronico anche connesso a strumenti di accertamento delle presenze all’interno dei luoghi di lavoro: «che sia programmato ed utilizzato in modo da registrare solo dati relativi al servizio mensa, alle telefonate interurbane in uscita ed ai lavori di raccolta dati per i clienti».

In questa occasione il giudicante riconosceva la legittimità dello strumento rilevando che «il sistema è stato utilizzato esclusivamente come congegno di comando per l’apertura delle porte di accesso alle aree segretate, previo controllo, da parte dell’elaboratore, del codice contenuto nel tesserino magnetico (badge) introdotto nell’apposito lettore, collegato all’elaboratore centrale»83; in pratica la funzione del badge non è affatto diversa rispetto a quella di una chiave che apre una porta, poiché non lascia alcuna traccia dell’apertura.

Ancora una volta è il Pretore di Milano, chiamato a decidere se un sistema di rilevamento degli ingressi e delle uscite dal luogo di lavoro (del tipo Honeywell) fosse legittimo, a ritenere che il badge 80P. Milano 23 luglio 1991, in RIDL, 1992, II, p. 8

81Cass. 03 luglio 2001, n. 8998, in

82ITL Alessandria 16 aprile 1977, in OGL, 1977, p. 412 83P. Milano 2 luglio 1981…cit.

non costituisca strumento di controllo, stabilendo che: «il divieto di cui all'art. 4 postula l'uso di un'apparecchiatura esterna che operi autonomamente senza l'intervento determinante del lavoratore che si suppone controllato. L'apparecchiatura di cui è causa viene, invece, attivata di volta in volta da ciascun dipendente con l'inserimento del suo tesserino magnetico e, inoltre, la registrazione dell'entrata e dell'uscita avviene su impulso esclusivo del lavoratore e, quindi, non a distanza, bensì in presenza dello stesso»84.

La decisione viene confermata in appello dal Tribunale di Milano, che, aderendo alla decisione del giudice di prime cure, aggiunge un inciso di estrema rilevanza ai fini dell’individuazione della fattispecie di cui all’art. 4, l. 300/1970: «la maggiore snellezza delle operazioni effettuate con il computer [mediante il quale vengono trattati i dati relativi all’entrata e all’uscita del lavoratore, ndr] non rende illegittima la rilevazione, nelle aziende con pochi dipendenti il controllo degli stessi dati è infatti altrettanto agevole, anche senza l'utilizzo dci sistemi elettronici»85.

Nell’apparente banalità della decisione si vede come il Tribunale abbia, invero, assimilato il badge al cartellino marcatempo e il computer al foglio presenze – non immotivatamente, dato che era stato accertato che la funzione del badge fosse proprio quella e che le modalità di tenuta dei dati

Nell’apparente banalità della decisione si vede come il Tribunale abbia, invero, assimilato il badge al cartellino marcatempo e il computer al foglio presenze – non immotivatamente, dato che era stato accertato che la funzione del badge fosse proprio quella e che le modalità di tenuta dei dati

Nel documento Il controllo del datore di lavoro 2.0 (pagine 126-155)