• Non ci sono risultati.

Il controllo sul patrimonio mediante guardie giurate

Nel documento Il controllo del datore di lavoro 2.0 (pagine 109-113)

Sezione III - Il controllo nei rapporti di lavoro non standard

3.1. Il controllo sul patrimonio mediante guardie giurate

Dell’origine e della ratio art. 2, l. 300/1970 si è già parlato in precedenza (cfr. Cap. I, sez. II), per cui in questa sede ci si concentrerà sull’interpretazione giurisprudenziale del divieto di controllo disciplinato dalla norma, mostrando come la stessa sia stata delimitata e come questi confini abbiano costituito il punto di partenza per il principio della tutela del patrimonio aziendale nell’ambito della facoltà di controllo.

In primo luogo, è bene ricordare quali sono i contenuti dell’art. 2, l. 300/1970. Questa fattispecie contiene tre diverse condotte vietate:

– il divieto per l’imprenditore di adibire le guardie particolari giurate «alla vigilanza sull'attività lavorativa», potendo, queste, essere impiegate «soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale»;

– il divieto per le guardie particolari giurate di «contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale»;

– il divieto per le guardie particolari giurate di accedere nei locali nei quali si svolge l’attività lavorativa «durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze» legate alla tutela del patrimonio.

L’art. 2, l. 300/1970, come si vede, è diretto a vietare il controllo sul lavoratore con norma precettiva indirizzata a due diversi soggetti: l’imprenditore e la guardia giurata.

In una delle prime pronunce in materia, il Pretore di Torino individuò i limiti dell’attività delle guardie giurate: «esse sono deputate, a norma degli articoli 2 l. 300/1970, 133 R.D. n. 773/1931 e 249 R.D. n. 135/1940, unicamente a scopi di tutela del patrimonio aziendale, è che esse non possono contestare ai lavoratori dell'azienda a cui appartengono ed a fortiori ai lavoratori di aziende terze, fatti diversi da quelli che attengono alla tutela ridetta; che pertanto alla stregua delle norme richiamate, e tutte cospiranti ad escludere la possibilità di impiego delle guardie particolari giurate per scopi diversi da quelli della vigilanza e custodia dei beni mobili ed immobili»; pertanto, l’intervento delle guardie particolari giurate fuori dai predetti limiti, va ritenuto «assolutamente illegittimo, per avvenire al di fuori dei limiti di azione loro consentita, traendo profitto dal timore generato dalla qualifica rivestita»14.

Nel caso di specie le guardie particolari giurate impedirono e disturbarono in varie occasioni lo svolgimento dell’assemblea sindacale presso l’impresa, sia attraverso ripetute “incursioni” nei locali in cui aveva luogo, sia impedendo l’accesso agli stessi ai dirigenti sindacali invitati a prendervi parte.

In questo caso il giudicante diede bene adeguato valore al lato giuridico del divieto in parola, affermando che il controllo dev’essere circoscritto alla tutela dei beni aziendali; inoltre, sul 14Pret. Torino, 10 luglio 1972, in RGL, 1973, II, p. 498 ss.

versante “sociale”, ha pure chiarito che simili condotte sono illegittime in quanto ingeneranti uno stato di timore.

L’orientamento della giurisprudenza di merito15 venne anche rafforzato dalle prime pronunce della Cassazione. In proposito resta emblematica una delle prime sentenze della Suprema Corte, pronunciata a ridosso dell’entrata in vigore della l. 300/1970, in occasione della quale venne pronunciato il principio secondo cui: «anche prima dell'entrata in vigore dello statuto dei lavoratori, il datore di lavoro non aveva il potere di affidare a guardie giurate mansioni attinenti alla diretta sorveglianza e vigilanza dell'attività degli operai. Pertanto, lo stesso datore di lavoro non poteva tener conto, ai fini del licenziamento, di accuse, rilievi ed osservazioni fatte dalle guardie giurate nei confronti dei lavoratori, al di fuori dell'ambito delle mansioni proprie di tali guardie, attinenti esclusivamente alla tutela del patrimonio aziendale»16.

La Suprema Corte gettò così le basi per un orientamento che, tuttavia, non sarà costante nel tempo. Rimandando a dopo l’analisi di questo aspetto, va detto che i giudici di legittimità, con un’interpretazione estremamente formale furono chiarissimi nell’individuare il divieto in commento: le guardie giurate non possono svolgere un controllo diretto sull’adempimento del lavoratore.

Segnato il limite invalicabile del controllo effettuato dalle guardie particolari giurate, la Suprema Corte, richiamando la lettera dell’art. 2, l. 300/1970, escluso che il controllo si potesse estendere alle «mansioni» svolte dal lavoratore, individuò chiaramente l’oggetto proprio della loro attività di vigilanza, la quale può essere rivolta «esclusivamente alla tutela del patrimonio aziendale».

Così statuendo la Suprema Corte da un lato escluse che il controllo sulla prestazione potesse avvenire mediante un soggetto “paramilitare”17, qual è la guardia giurata; dall’altro, attenendosi rigidamente alla lettera della legge, distinse le attività che, a rigore di norma, la stessa può svolgere, cioè il controllo sul patrimonio aziendale, da quelle che non può svolgere, cioè il controllo sulla prestazione.

Ovviamente ogni pronuncia va calata nel contesto per cui è richiesta e non sempre il rigore della legge può trovare applicazione letterale; ciò non perché si vuole ammettere che l’interpretazione debba essere flessibile quanto, piuttosto, perché la sua applicazione va riferita al bene protetto e alla condotta vietata.

Così non deve sorprendere la sentenza del Tribunale di Milano, che, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della condotta della guardia particolare giurata consistente nel controllare l’ingresso e l’uscita delle vetture (guidate dai dipendenti), durante l’orario di lavoro, nonché la circolazione delle stesse nel perimetro dei cancelli dell’azienda automobilistica, stabilì che: «il compito di custodia e sorveglianza della guardia giurata non può ridursi alla mera presenza fisica, senza alcun elemento positivo di attivazione» concludendo per la legittimità della «attività di sorveglianza sull’entrata e sull'uscita di macchine di servizio, di quelle di collaudo, di quelle dei clienti in riparazione, di quelle di provenienza doganale»18.

Il giudicante in questo specifico caso stabilì che laddove l’incarico della guardia particolare giurata risulti direttamente improntato alla tutela del patrimonio impiegato dai lavoratori per 15Di cui una fedele ricostruzione sarà pressoché impossibile fino a quando non verranno messe a disposizione banche dati delle sentenze di merito anche più risalenti. Pertanto, gli orientamenti e le sentenze riportate saranno solo quelle presenti nei repertori e nelle riviste maggiormente diffuse. Per questo le conclusioni cui si perverrà saranno il frutto di un’analisi parziale e controvertibile ma pur sempre fondata sui dati di cui si dispone.

16Cass. 26 novembre 1973, n. 3190, in FI, 1974, I, 351

17Sul punto si rinvia nuovamente alle considerazioni svolte nel cap. I sez. II 18Trib. Milano 31 gennaio 1978, in OGL, 1978, p. 35 ss.

ragioni di servizio, non può certo opporsi che da questo tipo di controllo derivi un controllo sulla prestazione; infatti, nel caso di specie ciò che osserva la guardia particolare giurata non è l’adempimento del lavoratore ma che il bene impiegato non subisca danneggiamenti.

Come detto la sentenza va calata nel contesto in cui è stata pronunciata, per cui va vincolata al solo caso di specie; infatti, se questa statuizione venisse elevata a principio generale sui limiti del controllo, allora il divieto di cui all’art. 2, l. 300/1970 cadrebbe nel nulla, posto che il lavoratore, durante l’orario di lavoro, difficilmente non impiega strumenti o beni propri dell’impresa.

Nello stesso senso va letta la pronuncia del Pretore di Milano che limitò ulteriormente la portata della tutela dell’art. 2, l. 300/1970 nel caso di un’ex guardia particolare giurata adibita a mansioni di controllo sulla prestazione. In questa occasione il giudice stabilì che: «il divieto di accesso dei corpi militarizzati ai reparti durante la lavorazione, di cui all'art. 2 dello Statuto, non può essere esteso al personale non militarizzato comunque privo della tutela rafforzata garantita la guardia giurata. Il divieto di utilizzare il personale Comune per la sorveglianza di beni potrebbe solo scaturire in concreto e in relazione a modalità di esecuzione o ad obiettivi incompatibili con la dignità e la libertà dei lavoratori. Essendo l'azienda astrattamente libera d’impiegare personale di sorveglianza sui beni aziendali senza incontrare i limiti dell'art. 2 dello Statuto e potendo parimenti impiegare personale di vigilanza al di fuori e parallelamente alle strutture produttive esistenti, può ben impiegare ex guardie giurate in attività promiscue di vigilanza e sorveglianza»19.

La norma, in effetti, è chiaramente diretta a vietare che le guardie particolari giurate entrino in azienda per effettuare controlli sulla prestazione; tuttavia, se la medesima attività fosse svolta da altro soggetto, privo di divisa (e quindi non vincolato al contenuto dell’art. 2, l. 300/1970), nulla potrebbe essere eccepito all’impresa, purché vi sia il rispetto dei limiti posti dall’art. 3, l. 300/1970.

Queste sentenze mostrano un orientamento restrittivo della giurisprudenza nell’individuare la portata della disposizione in commento, teso a escludere dal campo di applicazione della norma tutte quelle situazioni che non siano perfettamente coerenti con la lettera della legge.

In questa corrente interpretativa può essere letta altra pronuncia del Pretore di Milano che, chiamato a stabilire se l’accesso ai locali aziendali, da parte di una guardia particolare giurata, fosse lecito benché non eccezionale e in difetto di una specifica e motivata esigenza, stabilì che: «è sufficiente ad integrare gli estremi della contravvenzione prevista dall'art. 2, comma 3, legge 20 maggio 1970 n. 300 il fatto che, senza giustificato motivo, le guardie giurate assunte per la tutela del patrimonio aziendale accedano ai locali dove viene prestata l'attività lavorativa, durante lo svolgimento della stessa. Configurando, infatti, la violazione del predetto art. 2, comma 3, una tipica ipotesi di reato di pericolo, la minaccia al bene protetto della norma è da individuare anche nella semplice ingiustificata presenza delle guardie giurate nei locali dove è in corso attività lavorativa. Di conseguenza, l'imprenditore risponde della contravvenzione in esame non solo quando abbia disposto l'illegittima vigilanza, ma anche quando abbia tollerato o non impedito l'accesso delle guardie giurate nei locali di lavoro, in difetto di specifiche e motivate esigenze di tutela del patrimonio aziendale».20 19Trib. Milano 27 maggio 1978, in OGL, 1978, p. 31 ss

20Pret. Milano 06 novembre 1979, in RGL, 1980, IV, p. 101 ss. Fu poi una storica sentenza del Pret. Milano 20 marzo 1981, in RGL, 1981, IV, 605 ss a descrivere chiaramente qual’è la logica che accompagna il divieto di adibire le guardie giurate al controllo della prestazione del lavoratore, stabilendo che: «è indubbio che scopo dell'articolo 2, legge 20 maggio 1970 n. 300 nell'intenzione del legislatore fosse di inibire il controllo sulla normale attività lavorativa ivi compresa l'attività sindacale, da parte di quel personale che per la sua stessa essenza ( la divisa, l'eventuale arma, la qualifica, il verbale di servizio che fa fede in giudizio fino a prova contraria) poteva ingenerare un particolare clima di timore e preoccupazione». Per questo ancora una volta viene ribadito che: «anche la sola presenza di guardie giurate può quindi determinare il reato di cui all'articolo 2 della legge n. 300, non essendo necessaria la prova che tale presenza sia finalizzata ad un controllo dei

La pronuncia del Pretore di Milano, sebbene risulti chiaramente favorevole ai lavoratori, statuendo l’illegittimità del controllo, segnò anche un primo cedimento nell’assolutezza del divieto di controllo mediante guardie particolari giurate, stabilendo che nell’evento vietato dalla disposizione non rientrasse la «presenza occasionale o non attiva, non giustificata né eccezionale», dalla quale, se realizzata, «non [può, ndr] derivare una violazione della fattispecie»21.

La pronuncia del Pretore di Milano sembrerebbe essere indicatrice di un mutato rigore interpretativo, attento a situazioni di obiettiva assenza di offensività della concotta della guardia giurata, laddove, però, il divieto è assoluto e non ammette eccezioni che non possano essere giustificate da esimenti.

Tra i vari orientamenti merita, però, particolare attenzione e condivisione una pronuncia del Pretore di Cassino, il quale, chiamato a giudicare sulla legittimità del controllo (occulto) operato tramite dipendenti dell’impresa non aventi qualità di guardie particolari giurate, stabilì che laddove il controllo sia realizzato per documentare un’attività avente natura (presunta) di truffa contrattuale: «appariva necessario inviare un rapporto alla Procura della Repubblica, con conseguente opportunità di sospensione del procedimento civile senza dubbio subordinato all’accertamento penale. In sede penale, infatti, doveva accertarsi sia la legittimità degli accertamenti condotti dalla società, con la loro conseguente utilizzabilità nel giudizio civile, sia la configurabilità di eventuali reati ascrivibili al lavoratore»22.

Questa soluzione esprime chiaramente la portata del divieto di controllo tramite persone operato con finalità di tutela del patrimonio ma, allo stesso tempo, rende chiara la portata della norma e l’impatto che ha sull’impresa; infatti, non c’è dubbio che vincolare l’accertamento di fatti integranti illecito penale alla sola autorità competente, per l’impresa, rappresenti un forte limite.

Va notato, però, che la soluzione del Pretore di Cassino è perfettamente in linea con i principi costituzionali e con le regole della procedura penale, dato che l’autotutela – per quanto possa rappresentare una risorsa talvolta essenziale – non può costituire una garanzia per l’impresa più di quanto non lo sia per il singolo cittadino. Pertanto, come l’individuo non ha diritto di ergersi a

“poliziotto” così l’impresa non può arrogarsi lo stesso potere.

lavoratori. Ciò è confermato dal fatto che qualora si avesse tale finalità di controllo si potrebbe ricadere con l'estrema facilità nelle violazioni dell'art. 8 (divieto di indagini) o dell'art. 28 (comportamento antisindacale) dello stesso statuto»; tuttavia, ond’evitare una eccessiva dilatazione della portata del divieto il giudicante aveva chiarito che quest’ultimo: «impone un legame tra la causa che vieta (l'accesso delle guardie) e l'effetto che vuole evitare (il deterioramento del clima aziendale), ma ciò senza rendere necessario un accertamento circa l'effettivo manifestarsi di questo deterioramento, ma solo valutando se la quantità è la qualità della presenza delle guardie fosse potenzialmente sufficiente a produrre l'effetto che la legge vuole evitare»

21Orientamento che trova conferma nella sentenza del Pret. Cuneo 12 aprile 1991, in IGL, 1991, p. 269, il quale chiamato a giudicare della legittimità dell’ingresso delle guardie particolari giurate nei luoghi di lavoro per svolgere attività di primo soccorso di cui sono incaricate, ha stabilito che «l'intervento delle guardie particolari giurate per necessità di primo intervento sanitario nei giorni di sabato e domenica in cui, di norma, le infermerie di fabbrica non sono presidiate, non contrasta con l'art. 5 del r.d.l. 26 settembre 1935 n. 1952 e con le disposizioni di servizio approvate dall'autorità di pubblica sicurezza, atteso, tra l'altro, lo scarsissimo impegno che tale mansione, del tutto marginale ed episodica, può richiedere. Parimenti l'attribuzione di detto compito non viola l'art. 2 l. 20 maggio 1970 n. 300, in quanto da tale norma non può desumersi il divieto di adibire le guardie giurate ad altri compiti aggiuntivi, diversi dalla custodia e dalla sorveglianza dal patrimonio aziendale, nel contesto di una prestazione lavorativa essenzialmente discontinua».

22Pret. Cassino 22 marzo 1982, in GC, 1982, I, p. 2858

La soluzione che individuò il Pretore di Cassino avrebbe dovuto fungere da monito per le imprese, disincentivandole dall’operare una sorta di giustizia “fai da te” ma, come si vedrà, non fu così.

Nel documento Il controllo del datore di lavoro 2.0 (pagine 109-113)