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Il controllo nell’interesse all’utilità e nella? cooperazione del creditore all’adempimento

Nel documento Il controllo del datore di lavoro 2.0 (pagine 24-0)

Sezione I - La natura giuridica del controllo nel diritto delle obbligazioni

3.3 Il controllo nell’interesse all’utilità e nella? cooperazione del creditore all’adempimento

rende dinamico il comportamento del creditore

La ricerca del fondamento positivo della facoltà di controllo nel codice civile, come svolta, non esaurisce le premesse dello studio che si sta conducendo43; infatti, finora l’argomentazione si è concentrata sulla ricerca della facoltà di controllo in itinere in un dato positivo che potesse sottenderlo.

Questo approccio ha permesso d’individuare delle fattispecie che prevedono un vero e proprio potere di controllo in modo esplicito - da cui però non è possibile ricavare un principio generale, trattandosi di tipi contrattuali - nonché almeno un istituto della disciplina generale che non presumendo l’inadempimento, apre al controllo in itinere come strumento di autotutela.

Rimandando momentaneamente i ragionamenti conclusivi, si vuole ora concentrare l’attenzione su un altro elemento caratteristico del rapporto, cioè il comportamento delle parti nell’esecuzione (cd. collaborazione in executivis).

Il libro IV del codice civile è notoriamente strutturato ex parte debitoris, tuttavia presenta diverse disposizioni volte a disciplinare il comportamento cui è tenuto il creditore nello svolgimento del rapporto (in particolare artt. 1206 ss c.c.). Tale disciplina attiene propriamente all’ambito della tutela del debitore avverso la condotta del creditore che non si attivi nel ricevere la prestazione dovuta.

A ben vedere, da questa disciplina non pare corretto trarre argomenti funzionali alla verifica dell'esistenza del controllo in itinere poiché la stessa è dettata con il fine specifico di tutelare il debitore dalla condotta del creditore da cui possa derivare un danno, qual è primariamente la mora debendi.

42V. ROPPO, Il contratto...cit., p. 925 43cfr. supra paf. 1

Vi sono tuttavia altre disposizioni rilevanti in tema di cooperazione del creditore nel rapporto obbligatorio; ci si riferisce all'art. 1375 c.c.: «il contratto deve essere eseguito secondo buona fede».

La disposizione menzionata è di primaria importanza in quanto: attiene al campo dell'esecuzione del contratto, quindi ne rileva il profilo dinamico, cioè il comportamento delle parti; pone un obbligo di carattere generale alle parti del contratto senza attendere che si verifichino delle situazioni da cui possa derivare una tutela rimediale.

È appena il caso di rilevare come la dottrina definisca questo obbligo, noto come dovere di correttezza, anche in termini di «lealtà, cooperazione con controparte, sensibilità alle sue ragioni, salvaguardia dei suoi interessi, atteggiamento solidale nei suoi confronti»44

Inteso in questi termini, si vuole verificare se dalla cooperazione del creditore all’adempimento del debitore possa ricavarsi qualche argomento per confermare l’esistenza della facoltà di controllo come fenomeno giuridicamente rilevante nell’esecuzione della prestazione.

In premessa si è detto che la facoltà di controllo sarebbe funzionale a garantire l’interesse del creditore nella soddisfazione del credito, cioè a realizzare un’utilità dall’operazione economica di cui questi è parte. Ebbene al fine di conseguire questa utilità, il creditore deve fare qualcosa? E, di più, può fare qualcosa?

Sotto un profilo strettamente formale non è semplice svolgere tale ragionamento, poiché la formulazione della norma non permette di trarre degli spunti testuali. Per questo motivo l'indagine che si sta svolgendo deve muovere dalla corrente interpretazione giurisprudenziale e dottrinale della norma.

Circa la funzione della buona fede oggettiva, la dottrina ha da tempo affermato che, in difetto di specifica manifestazione di volontà, la buona fede costituisce fonte d’integrazione del contratto «in quanto richiamata dall’art. 1374 sub specie di legge»45. Tale funzione, come dimostra l’analisi storica46 della norma, incide sul regolamento contrattuale come espressione di libertà di autodeterminazione, permettendo a fatti esclusi dal regolamento contrattuale d’integrarlo, qualora risultino coerenti con l’interesse delle parti.

Ne discende chiaramente che la correttezza opera come principio volto alla soddisfazione dell’interesse delle parti, con ciò integrando il regolamento che le vincola; sicché la condotta di adempimento delle parti non potrà consistere in una mera esecuzione del comportamento dovuto ma dovrà risultare conforme all’interesse cui è diretta.

In questo senso si esprime anche la giurisprudenza, statuendo che: «il principio della buona fede oggettiva, ossia della reciproca lealtà della condotta delle parti, non solo vincola i contraenti nella fase dell'esecuzione del contratto ed in quella della sua formazione, ma deve intendersi riferito anche agli interessi sottostanti alla stipula del regolamento negoziale, a tale conclusione pervenendosi sull'assunto che la clausola generale di correttezza e buona fede costituisce un autonomo potere giuridico espressione del generale dovere di solidarietà sociale e come tale è idonea ad imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire preservando le ragioni dell'altra»47

L’orientamento giurisprudenziale che valorizza la solidarietà non è diretto a negare che il contratto sia dominato dal conflitto tra le parti, quanto a valorizzare il contratto come momento 44V. ROPPO, Il contratto...cit., p. 465

45G. ALPA, Appunti sulla buona fede integrativa nella prospettiva storica del commercio internazionale, in i Contratti, 2001, p. 723; cfr. anche S. RODOTÀ, Le fonti d’integrazione del contratto, Giuffré, 1969, p. 118

46Cfr. G. ALPA, Appunti…, cit.; E. RUSSO, Jean Domat, la buona fede e l’integrazione del contratto, in Studi in onore di C.M. Bianca, Giuffré, 2007, p. 769 ss.

47Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, in Contratti, 2009, 11, 1009; cfr. anche Cass. 10 ottobre 2003, n. 15150, in Contratti, 2004, 4, 357

risolutivo del conflitto, nell’incontro degli interessi di entrambe.

In questo senso la correttezza gioca un ruolo primario, poiché permette alle parti d’indirizzare la condotta dell’una propriamente verso l’interesse dell’altra. Ciò, peraltro, avviene in un momento successivo a quello della conclusione del contratto, durante l’esecuzione dello stesso; sicché anche questa tensione alla soddisfazione dell’interesse dev’essere, come l’esecuzione, un elemento dinamico del rapporto.

La cooperazione non snatura il conflitto sinallagmatico, che resta ancora fondato sulle prestazioni dedotte in contratto; inoltre la giurisprudenza ha da sempre avvertito che: «la buona fede nell'esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del "neminem laedere", trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell'interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell'interesse della controparte, nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico»48.

Ne discende un chiaro bilanciamento d’interessi tra la posizione del creditore e del debitore: al creditore è dovuta una prestazione per ottenere la quale egli non è onerato da alcuno sforzo;

tuttavia, una condotta disinteressata dello stesso creditore ovvero una sua condotta ostile od ostativa verso l’adempimento del debitore, integra una condotta contraria al dovere di lealtà.

La Suprema Corte ha pure chiarito che: «la buona fede è criterio di integrazione del contenuto contrattuale rilevante ai fini dell'"esecuzione del contratto" stesso ( art. 1375 c.c. ), vale a dire della realizzazione dei diritti da esso scaturenti. La violazione del canone di buona fede non è riscontrabile nell'esercizio in sè considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso»49.

La giurisprudenza appena citata permette, in primo luogo, di rispondere ai quesiti di partenza in modo affermativo: il creditore deve essere parte attiva dell’adempimento del debitore entro il limite del comportamento funzionale all’adempimento stesso, quindi non si potrà mai esigere dallo stesso uno sforzo attivo nel conseguire quanto gli è dovuto e per il quale ha già sacrificato una contropartita (trattasi sempre di contratto del tipo do ut des).

Inoltre, e con ciò si può giungere verso le conclusioni, il creditore può tenere una condotta attiva nell’esecuzione del contratto, entro il limite in cui ciò sia funzionale alla tutela del proprio interesse, che, come chiarito dalla Cassazione, va messo in relazione al caso concreto in modo da salvaguardare l’utilità della controparte.

A questo punto il discorso dev’essere spostato sull’elemento su cui opera la buona fede oggettiva, cioè l’interesse delle parti. In particolare, l’indagine procederà da questo interrogativo: il creditore come può sapere quale condotta dovrà tenere per comportarsi secondo buona fede oggettiva?

Come osservato dalla migliore dottrina: «l’interesse al controllo sull’esecuzione è strumentale e rafforzativo in ordine alla realizzazione degli interessi sottesi all’obbligazione. Il controllo si può atteggiare: come attività strumentale all'acquisizione di conoscenze e/o di informazioni, utili per gestire le sopravvenienze, allorché la determinazione in concreto della prestazione sia rimandata ad un tempo successivo alla nascita del vincolo; ovvero come vigilanza ispettiva a tutela degli interessi sottesi al rapporto in ipotesi nelle quali appare opportuno valutare se il debitore stia

48Cass. 4 maggio 2009, n. 10182, in CED

49Cass. 19 ottobre 2017, n. 24675, in FI 2017, 11, I, 3274

rispettando gli obblighi assunti e dunque strumentale ad evitare un danno definitivo o a soddisfare un interesse di protezione della propria sfera»50.

Il controllo sulla prestazione risulta quindi un’attività strumentale alla soddisfazione dell’interesse creditorio che può essere leso solo dall’inadempimento. Va anche notato che la lesione dell’interesse può non essere istantanea; pertanto, se il creditore avesse controllato l’esecuzione della prestazione, avrebbe potuto realizzare il proprio interesse, imponendo una modifica del comportamento tenuto dal debitore.

Il controllo, allora, non opera tanto sul comportamento del debitore in sé ma sulla discrezionalità nel comportamento; dunque non sarà sindacabile una condotta determinata ma lo sarà la sua idoneità a realizzare l’interesse creditorio.

In questo senso, il controllo assolve una funzione di bilanciamento tra la discrezionalità del debitore rispetto all'esecuzione della prestazione e l'interesse del creditore a realizzare l'utilità economica: il controllo ricade dunque sulla discrezionalità del debitore nell’esecuzione, ch’è diretta alla realizzazione dell'interesse del creditore. Detto altrimenti «le regole di controllo altro non sono che una parte delle regole che presiedono al governo della discrezionalità»51

Da quanto esposto pare evidente che il controllo non costituisce una situazione giuridica autonoma, bensì dipendente da altre posizione giuridiche, tanto che si è parlato di esigenza di controllo: «si può considerare implicitamente contenuta nel potere di esigere una prestazione esatta;

intesa come prestazione in concreto indirizzata alla soddisfazione degli interessi meritevoli nel singolo rapporto»52.

4 Interesse e controllo nei contratti ad esecuzione non istantanea

La facoltà di controllo, ricostruita come strumento di tutela dell’esatto adempimento della prestazione, volta a garantire la soddisfazione dell’interesse creditorio, dev’essere ora calata nel contesto che più interessa per il prosieguo, cioè nell’ambito dei contratti a esecuzione non istantanea.

La scelta di questo genere di contratto è doverosa, sia per il fine dell’indagine (ricostruire il controllo nell’ambito del rapporto di lavoro) sia per la funzione della facoltà di controllo; infatti, come detto, questo è funzionale a verificare l’idoneità della prestazione a realizzare l’utilità economica desiderata dal creditore.

Ragionando in termini pratici, è difficile pensare a una prestazione istantanea da cui non derivi la contemporanea soddisfazione o la non soddisfazione dell’interesse53; al contrario nei contratti ad esecuzione non istantanea, l’elemento temporale incide fortemente sull’interesse, che potrà essere soddisfatto solo dopo che sia trascorso il termine di adempimento.

L’elemento temporale, nei contratti ad esecuzione non istantanea, espone il creditore all’incertezza circa il conseguimento dell’utilità attesa, per tutto il periodo di pendenza del termine di adempimento - salvo che il temine non sia fissato in suo favore ex art. 1186 c.c. - con il rischio di dover subire un inadempimento che - nei fatti - si sarebbe potuto verosimilmente evitare, mediante una sua partecipazione attiva all’esecuzione del contratto.

50G. ROMANO, Interessi..., cit., p. 110 51 G. ROMANO, Interessi..., cit., p. 115 52 G. ROMANO, Interessi..., cit., p. 120

53Con la dazione della cosa si adempie all’obbligazione di consegna derivante dalla compravendita; solo dopo il perfezionarsi della condotta si può avere accertamento della soddisfazione dell’interesse creditorio.

In questo caso, però, o si ha adempimento o si ha inadempimento.

In questo genere di contratti è lecito chiedersi se esista uno strumento di tutela che il creditore possa invocare prima che l’inadempimento si sia realizzato.

Considerando tutto quanto esposto in precedenza si potrebbe ritenere che questo strumento possa essere proprio la facoltà di controllo, la quale, tuttavia, si è fatta derivare dalla regola di correttezza e dal combinato disposto degli artt. 1460-1461 c.c. Ciò significa che si dovrà verificare se detta facoltà sia compatibile con le prestazioni non istantanee.

Parlare di prestazione non istantanea, piuttosto che di contratti di durata, è una scelta voluta. La ricostruzione dottrinaria54 dei contratti di durata è ancora oggetto di discussione e le posizioni della dottrina sono così distanti da escludere o includere contratti come l’appalto, la prestazione d’opera, la locazione - che per loro natura sono realizzati in un tempo non istantaneo - nell’ambito dei quali, come si è visto, esiste un potere di controllo ad hoc.

Ora potrebbe facilmente rilevarsi che proprio perché l’elemento temporale caratterizza la prestazione, il legislatore ha voluto attribuire al creditore, destinatario della prestazione, un potere di controllo a propria tutela, nella pendenza dell’adempimento.

Così facendo, però, si finirebbe per escludere dal novero dei contratti in parola il mandato, in cui l’elemento temporale è pure caratteristico, ma la cui disciplina non menziona espressamente un potere di controllo.

Nel prosieguo si farà riferimento al contratto qualificato dall’elemento temporale, senza voler per questo prendere una precisa posizione sull’ambito di applicazione della disciplina del cd.

contratto di durata.

Sulla scorta dell’elaborazione dottrinale del contratto di durata - concentrandosi sulle argomentazioni in cui è valorizzato l’elemento temporale - si può collocare il controllo nell’ambito del rapporto prolungato nel tempo, legandolo tanto alla prestazione55, tanto all’interesse56.

I contratti di durata si caratterizzano per l’elemento temporale poiché la durata connota la causa del contratto, con la conseguenza che la ripetizione dell’attività del debitore soddisfa in modo continuativo l’interesse del creditore57, individuato in modo preventivo, indipendentemente dalla necessità di specificare, durante il rapporto, la condotta dovuta dal debitore58.

Ebbene, dato il contesto del rapporto, il controllo, come strumento diretto alla salvaguardia dell’interesse del creditore, permette di verificare che la condotta tenuta dal prestatore sia continuativamente idonea a questo fine.

A questo punto, però, pur avendo trovato un fondamento alla facoltà di controllo, ricavandolo dall'esatto adempimento, si può solo affermare che il creditore può verificare che la condotta del debitore sia idonea a soddisfare il suo interesse; ciò può ritenersi sufficiente?

Limitarsi a riconoscere solo un mero diritto al controllo significa fornire uno strumento di tutela ma senza una reale tutela: rilevata l'inidoneità della condotta del debitore a realizzare l'interesse creditorio, il creditore può richiedere un adeguamento della prestazione all'interesse? Se sì, che limiti incontra nel farlo? In caso di mancato adeguamento, che tutela si pone a favore del creditore?

Ebbene, se è vero quanto detto nel precedente paragrafo, in mancanza di una situazione giuridica che permetta al creditore d’incidere sulla prestazione del debitore, si deve concludere che il controllo non potrebbe avere altro effetto che quello di permettere l’osservazione del 54Per una recente ricostruzione v. A. LUMINOSO, Il rapporto di durata, in RDC, 4, 2010, p. 501 ss

55Così seguendo l’impostazione più risalente - ma certamente la più autorevole - di G. OPPO, I contratti di durata, in RDC, 1943, I. p. 143-180 e 227-250 e RDC, 1944, I, p. 18 ss. ora in G. OPPO, Scritti giuridici, III -Obbligazioni e negozio giuridico, CEDAM, 1992, p. 200 ss. (in seguito si farà riferimento alla versione del 1994) 56In questo senso la più recente ricostruzione di Lᴜᴍɪɴᴏꜱᴏ Il rapporto...cit, p. 527,

57G. OPPO, I contratti...cit, p. 298 58G. OPPO, I contratti...cit, p. 309

comportamento del debitore; ciò peraltro significa proprio permettere un controllo fine a sé stesso59.

Si è pure detto, però, che il controllo non è proprio della sola pretesa all’adempimento ma anche dell’interesse del creditore a prevenire l’inadempimento, discendendo dal suo diritto di sospendere l’esecuzione avverso il rischio d’inadempimento.

Ebbene, si crede che anche questa soluzione possa portare a poco, poiché il creditore potrà legittimamente pretendere di osservare la condotta del debitore proprio al fine di prevedere se il proprio interesse verrà soddisfatto; tuttavia, ove verificasse che l’attività del debitore non sia idonea a realizzare questo fine, potrebbe “solamente” manifestare l’intenzione di sospendere il rapporto, così ottenendo l’anticipazione del termine di adempimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 1460-1461 c.c.60

Tutto quanto esposto induce a concludere per l’esistenza - ma pure per la limitata utilità pratica – della facoltà di controllo. A fronte di un «evidente pericolo» d’inadempimento, il creditore potrà attivare il rimedio della sospensione della prestazione, laddove l’alternativa è tra l’inadempimento e l’aspettativa dell’adempimento a fronte di fatti tali da renderlo poco plausibile.

Bisogna anche notare che il combinato disposto dell’art. 1460-1461 c.c. sembrerebbe rimettere il regolare svolgimento del rapporto alla discrezionalità del creditore, poiché non vi sono indici positivi che fungono da parametro di valutazione dell’”evidente pericolo”.

In proposito la migliore dottrina ha chiarito che: «il richiamo al principio di buona fede servirebbe appunto a limitare l’impiego di siffatto paradigma argomentativo alle sole ipotesi in cui il pericolo appaia sufficientemente serio o comunque connotato da qualche indice di oggettività idoneo ad escludere che esso dipenda da meri timori soggettivi del creditore»61.

Ancora una volta, approfondendo l’analisi dell’eccezione d’inadempimento, si vede come il creditore possa controllare la condotta del debitore, poiché senza il controllo non potrebbe formulare l’eccezione in parola; tuttavia, ancora una volta si conferma la natura strumentale del controllo, dunque la sua idoneità a realizzare il solo rimedio finale previsto dalla norma di diritto positivo.

Ora, assunto che la facoltà di controllo deriva da un’altra situazione giuridica e considerando il contesto generale del contratto di durata, si deve verificare quali sfaccettature della stessa possono essere individuate nel contratto di durata sulla base delle regole proprie di questa fattispecie.

In effetti la disciplina legale del contratto di durata è quantomai limitata: artt. 1360, 1373, 1458, 1467 c.c. In tutte queste fattispecie è sotteso un duplice principio:

a) l’estinzione del rapporto ha efficacia ex nunc, dunque quanto eseguito dalle parti, prima che si verifichi la condizione da cui deriva tale evento, non può essere condizionato dallo stesso;

b) la disciplina generale del contratto a prestazioni periodiche o continuative è retta dal principio di conservazione, per il quale a fronte dell’eccessiva onerosità della prestazione dovuta, il

59G. ROMANO, Interessi..., cit., p. 120, in particolare nota 104

60L’assunto viene applicato anche dalla giurisprudenza che ha già avuto modo di considerare in svariate occasioni: «L'"exceptio inadimpleti contractus" di cui all'art. 1460, benché, di regola, presupponga che le reciproche prestazioni siano contemporaneamente dovute, è tuttavia opponibile alla parte che debba adempiere entro un termine diverso e successivo, qualora questa abbia dichiarato di non volere adempiere, ovvero sia certo o altamente probabile che essa non sia in grado di adempiere, indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempimento» Cass. 14 marzo 2003, n. 3787 in GC, 2004, I, p. 458; Cfr. Cass., 28 novembre 1984, n. 6196; Cass., 9.6.1993, n. 6441; Cass., 19.4.1996, n. 3713; Cass., 14.3.2003, n. 3787; Cass., 4.11.2003, n. 16530,

61A. VENTURELLI, Principio di buona fede e inadempimento “anticipato”, in PeM, 2017, p. 95

debitore può domandare la risoluzione mentre il creditore può conseguire l’utilità economica offrendo la modificadelle condizioni del contratto (riduzione).

Sebbene l’effetto di conservazione abbia spinto la dottrina62 a qualificare la verifica della prestazione come uno strumento finalizzato proprio alla conservazione del rapporto, ogni riflessione che si puo svolgere dev’essere avviata, come sopra assunto, rispetto alla situazione giuridica da cui il controllo deriva.

Come visto la normativa generale riferita al contratto di durata, contro il rischio d’inadempimento della prestazione, offre come garanzia la verificabilità in itinere della condotta e la sospensione del rapporto.

Finora tale elemento è stato valorizzato solo verso l’interesse del creditore e rispetto alla funzione di conservazione. Un ulteriore elemento contribuisce a delineare i caratteri propri della facoltà di controllo, cioè il nesso tra durata del rapporto e inadempimento.

Il contratto di durata, come visto, è qualificato dalla migliore dottrina63 come un contratto mediante il quale l’interesse del creditore è soddisfatto in modo continuativo dalla prestazione del

Il contratto di durata, come visto, è qualificato dalla migliore dottrina63 come un contratto mediante il quale l’interesse del creditore è soddisfatto in modo continuativo dalla prestazione del

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