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Il Brogliaccio ha accompagnato la mia vita di studente

Nel documento giornale studentesco di Ancona (pagine 190-195)

Marco Barletta

Nell’anno scolastico ‘68/’69 frequentavo il quinto di Ragioneria e nel settembre del ’68 avrei compiuto venti anni. Se fossi stato in regola con gli studi il quinto lo avrei dovuto terminare a diciannove anni, ma io non sono mai stato uno studente superficiale, ho sempre amato approfondire non accontentandomi di una sommaria cono-scenza delle varie materie. Ciò spiega il protrarsi degli studi.

All’epoca i miei interessi erano prevalentemente rivolti verso i viaggi per l’Europa che facevo in treno appoggiandomi presso gli ostelli della gioventù dove ho avuto modo di conoscere un’umanità amplissima. Ricordo, tra l’altro, che a Ginevra il mio letto, in una camerata enorme, era tra un arabo ed un israeliano in un momento particolarmente caldo da un punto di vista politico che poi, pochi anni dopo, sfociò nella guerra del kippur.

Quando era in corso l’anno scolastico stavo ovviamente, al meno con il corpo, in Ancona e vivevo la realtà di tutti gli altri studenti.

Ricordo i tanti scioperi che in quel periodo si facevano a cui molti davano una motivazione politica, ma per me e per gli amici che fre-quentavo erano finalizzati soprattutto a far ottenere ad Ancona una sua “Università degli Studi”. Con le nostre azioni cercavamo di dare un concreto appoggio all’ impegno del prof. Alfredo Trifogli che tan-to si prodigava per ottenere quella che oggi è diventata la “Università Politecnica delle Marche”.

Allora come oggi piazza del Plebiscito, volgarmente chiamata piazza del Papa, era un punto di riferimento, ma non per i piacevoli

locali di intrattenimento che attualmente la incoronano, ma per la sede del periodico studentesco “IL BROGLIACCIO” dove spesso mi recavo unitamente al mio fedelissimo compagno di banco Rober-to Paponi che lì aveva la sua fiamma, Patrizia Papini, divenuta poi la donna onnipresente nella sua vita.

Patrizia era ed è una grandissima lavoratrice che si prestava a rico-prire qualsiasi ruolo che fosse necessario all’ interno della redazione del giornale. Mentre loro due facevano i piccioncini, io mi guardavo intorno e cercavo di agganciare qualche altra ragazza che lì si trovava per preparare la nuova edizione del periodico. Di belle ce n’ erano, ma troppo fortemente motivate per lasciarsi distogliere dai miei ten-tativi di approccio e spesso mi andava “buca”.

Mi fa piacere ricordare che nella palazzina coesistevano il “Movi-mento Studenti” animato da don Paolo Paolucci che con incontri settimanali chiamati i “Raggi” affrontava i vari problemi dei giovani alla luce del Vangelo e la redazione del “Brogliaccio”, che occupa-va una stanza nello stesso appartamento del Movimento Studenti, da non confondere con il “Movimento Studentesco”, che si trovava presso il Circolo della Resistenza.

In quell’epoca non avevo la concentrazione necessaria per scrivere qualcosa per il giornale, ma mi rendevo inconsciamente conto che si stava facendo qualcosa di importante che sarebbe rimasta nella nostra memoria e avrebbe potuto costituire un esempio per la po-polazione studentesca futura. Il giornale infatti appariva come un primo tentativo di discussione su tutte le problematiche che riguar-davano i giovani di allora. Che, d’altra patte, non sono così diverse da quelle che riguardano i giovani di oggi, con i dovuti adeguamenti, naturalmente.

Per questo motivo per i cinque anni di frequenza dell’Istituto Tec-nico Commerciale “STRACCA” ho sempre comprato i vari numeri che uscivano del “BROGLIACCIO” conservandoli e facendoli ri-legare al fine di proteggerli dai rischi di smarrimento che avrebbero

corso durante i vari traslochi che la vita mi ha imposto. Con orgoglio posso dire di essere quello che in Ancona ha più copie del giornale.

Oggi sono la memoria tangibile del periodo passato sui banchi di scuola, unitamente ai ricordi di quegli anni (sfilano tante persone:

tutti i miei compagni, il preside Bonci, i professori in particolare Cesare Tenderini, Lanfranco Tappa, Paolo Felici e Bruno Strappa nonché il caro bidello Elio Civerchia).

Riflessioni

Marvi Maroni

Avere diciotto anni è una fortuna. Averli avuti nel ’68 è stata la for-tuna della vita. Anni felici e pieni di speranza, anni in cui, colti da delirio di onnipotenza, il mondo ci sembrava inequivocabilmente nostro.

Siamo cresciuti in un contesto dicotomico, da un lato l’Italietta che cercava di uscire dal fascismo, dall’altra la globalizzazione che si affacciava dagli schermi delle TV. Un’Italia piccolo borghese che si confrontava con i grandi eventi mondiali: JFK e la sua tragica morte, Krusciov e le scarpe sbattute sugli scanni dell’ONU… Tempi eroici e pieni di ideali di giustizia e libertà. Lo so che fa ridere, ma quando sento il famoso discorso di Martin Luther King, io piango ancora a lacrimoni. Per dire dell’effetto profondo che ebbe sulla mia giovanissima coscienza. Ma il personaggio che ha chiuso definitiva-mente il medioevo fu Papa Giovanni XXlll. Il Concilio Ecumenico Vaticano lI è uno straordinario esempio di modernità, non ancora del tutto compreso. Fu questa apertura che indirettamente diede il via all’esperienza de “Il Brogliaccio” e in qualche modo la chiuse.

Entrati cattolici nel gruppo, ne siamo usciti per militare nelle file della sinistra. Spesso mi chiedo: quanto un’istituzione può cambiare senza diventare altro, senza distruggersi?

Sono stata una bella bambina, di quelle che si esibiscono all’ora del tè per le amiche della mamma, recitando poesie. La mia famiglia non avrebbe mai immaginato che sarei diventata un’adolescente ri-belle e di “sinistra”. Erano tutti democristiani e mio nonno era stato iscritto al Partito Liberale. L’amore incondizionato dei miei genitori

fu messo a dura prova. Perché il ’68 fu prima di tutto la contestazio-ne della famiglia. Famiglia il cui intento pedagogico principale era quello di portare le figlie vergini al matrimonio. Poi la contestazione si allargò alla scuola fino a diventare “contestazione globale”.

Fu in questo contesto che un bel giorno un gruppo di primi della classe degli istituti superiori anconetani si riunisce in una soffitta del palazzo della Curia per scrivere un giornalino. Nonostante le perso-nalità forti e molto definite per l’età, non ricordo né uno screzio né un litigio. Eravamo talmente affaccendati da non averne il tempo.

Ecco, quello che ricordo con chiarezza è la frenesia di quegli anni, passavamo da un’occupazione a una conferenza, per infilarci in un cinema che terminava con lunghissimi dibattiti. Parlavamo, parla-vamo tanto, parlaparla-vamo tutti. C’era un’atmosfera carica, ma allegra e festaiola…i girotondi davanti al Comune, i cortei per il Corso Garibaldi, gli anni di piombo sembravano molto lontani e invece erano dietro l’angolo La svolta tragica fu determinata dalla strage di piazza Fontana, che segna un prima e un dopo nelle vicende del ’68.

Il Movimento studentesco, che era un’amalgama di ragazzi dalle idee più diverse (i cattolici, quelli di sinistra e quelli con le idee più strane e fantasiose, tipo gli anarchici di destra…) si scinde e si polverizza in mille filoni con sigle diverse, fino a sparire. Si dissolve anche l’at-mosfera festaiola e la voglia di giocare. A suon di ciclostile e comu-nicati, siamo diventati “grandi”, ci siamo laureati e abbiamo trovato rapidamente un posto di lavoro. La nostra adolescenza si chiude qui, ma noi siamo restati curiosi e anticonformisti, sempre disposti a re-lazionarci con le persone e con gli eventi. Crediamo ancora che un giorno qualcuno costruirà un mondo migliore.

Se mi guardo intorno so che abbiamo perso, ma ne è valsa co-munque la pena perché abbiamo attraversato una storia che ci ha reso quello che siamo: vecchi ancora vivi e forti, capaci di rimetterci insieme come cinquant’anni fa e di costruire qualcosa per i nostri giovani e per la nostra città.

Nel documento giornale studentesco di Ancona (pagine 190-195)