II. Da Regina coeli a Gissi: Molinelli e la persecuzione sotto il
2. Il 18 Brumaio di Mussolini
Questo il clima in cui i comunisti agivano durante quello che lo stesso Mussolini, in un articolo del gennaio del ’26, aveva definito anno napoleonico12: un anno che sarebbe risultato effettivamente de-cisivo per le sorti del regime fascista e, da un punto di vista
negati-11 Di questa difficile fase nella vita del PCd’I riferisce C. Ravera, Diario di trent’anni, cit., pp. 242-243 e 282-283.
12 R. De Felice, Mussolini il fascista. II. L’organizzazione dello Stato fascista. 1925-1929, Einaudi, Torino 1968, p. 200.
vo, dei suoi oppositori sempre più in difficoltà, come visto nel caso di Molinelli, per la crescente pressione della polizia; ma l’antifasci-smo era indebolito anche dalle persistenti, profonde divisioni, che facilitarono il lavoro sempre più repressivo dell’apparato fascista.
Il 1926, infatti, fu caratterizzato da una serie di provvedimenti, che restrinsero ancor più le libertà e delinearono progressivamen-te la natura del progetto autoritario di Mussolini. A giustificare la necessità di una draconica severità contro gli oppositori, come da più parti auspicato all’interno del PNF, soprattutto dalla corren-te oltranzista di Farinacci, furono anche tre falliti atcorren-tentati che il Duce subì nell’arco di pochi mesi, quasi a dimostrare all’opinione pubblica, fortemente turbata dai tentativi di uccidere Mussolini, che l’ordine non era ancora del tutto ristabilito e che era necessario portare a termine l’opera di pacificazione autoritaria promessa dal nuovo governo.
Ma se i primi due attentati andati a vuoto, quello dell’anzia-na cittadidell’anzia-na irlandese Violet Gibson (7 aprile) e la bomba lanciata dall’anarchico carrarese Gino Lucetti (11 settembre), scatenarono sì una nuova ondata di violenze e arresti, tuttavia non condussero nei riguardi dell’antifascismo a conseguenze politiche immediate particolarmente evidenti. Più significativi si dimostrarono gli effetti sul Governo e sulla sua composizione: la posizione del Ministro dell’Interno Federzoni si indebolì (e ne vedremo tra breve il risul-tato), mentre a capo della polizia in settembre arrivò una figura chiave per la costruzione e la difesa del regime negli anni seguenti:
l’ex-prefetto Arturo Bocchini.
Il terzo attentato del 1926 determinò la svolta definitiva. 31 ottobre: in occasione della visita ufficiale in Emilia-Romagna, a Bologna Mussolini fu sfiorato da un colpo di pistola partito dalla folla assiepata per le strade della città. Il sedicenne Anteo Zamboni,
appartenente ad una famiglia di anarchici, individuato come pre-sunto colpevole, fu linciato sul posto: il suo cadavere venne prima trascinato per le vie della città e poi esposto pubblicamente13. Se, a distanza di tanto tempo, il caso Zamboni è ancora molto oscuro, nell’immediato l’ennesimo fallito tirannicidio scosse ancor di più l’opinione pubblica italiana, permettendo ai fascisti di cogliere l’oc-casione per collocare la pietra tombale su quel poco che era ancor rimasto del sistema liberale nel Paese.
Il clima già incandescente degli ultimi mesi lo divenne ancor di più proprio dopo i fatti di Bologna. Nel giro di pochi giorni Mussolini e i più intransigenti tra i suoi collaboratori nel governo e nel partito, con la tacita approvazione del Re, infatti, ne approfit-tarono per completare la trasformazione dell’autoritarismo, con cui il paese era stato guidato negli ultimi quattro anni, in un Regime vero e proprio. Il 5 novembre fu varato dall’esecutivo il nuovo Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza, che, proposto dall’ancora per poco Ministro dell’Interno Federzoni (si dimise proprio quel giorno, ma di fatto venne defenestrato da Mussolini, che ne prese ad interim la carica) e dal Ministro della Giustizia Rocco, attraverso una serie di provvedimenti liberticidi cancellava quanto ancora lo Statuto albertino garantiva per la libertà personale del cittadino:
furono deliberati, fra l’altro, l’istituzione della pena di morte per coloro che commettessero atti diretti contro la vita, l’integrità e la libertà personale di re, regina, principe ereditario e capo del governo;
lo scioglimento di tutti i partiti, escluso quello fascista ovviamente;
l’istituzione del confino di polizia per i sospetti sovvertitori degli or-dinamenti sociali, economici o nazionali costituiti dallo Stato; inoltre,
13 Sul caso Zamboni: R. De Felice, Mussolini il fascista, cit., pp. 205-207 e C.
Ghini, A. Dal Pont, Gli antifascisti al confino. 1926-1943, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 24.
provvedimento proposto dal Guardasigilli Rocco ed ufficializzato successivamente, fu creato il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato14. Non va infine dimenticato che polizia e MVSN grazie a tali decisioni acquistarono poteri arbitrari incontrollabili.
Formalmente il provvedimento sarebbe dovuto essere discusso e approvato da Camera e Senato: si trattava di un passaggio puramen-te di facciata, vista l’ampia maggioranza di cui Mussolini disponeva anche presso la Camera Alta. La discussione del Testo Unico di P.S.
fu fissata a Montecitorio per il 9 novembre, ma già la sera dell’8 la normativa decisa dal Governo apparve sulla Gazzetta Ufficiale, divenendo così effettiva. Intanto il 7 Farinacci, da qualche tempo esautorato dalla guida del PNF, ma ancora molto influente, fece pubblicare su un giornale a lui vicino, Il regime fascista un articolo, in cui preannunciava una mozione, che lo stesso ras di Cremona avrebbe presentato alla Camera per chiedere la decadenza di tutti i deputati aventiniani, che, dopo l’omicidio di Matteotti, da più di due anni avevano disertato i lavori in aula: e i comunisti non erano certo tra questi, come la stessa lista pubblicata sul giornale confer-mava15.
Intanto, in vista del dibattito parlamentare di lunedì 9 novem-bre, Molinelli, nella sua veste di segretario amministrativo del grup-po comunista alla Camera, sabato 6 aveva già inviato un telegram-ma a quei deputati che si trovavano fuori Rotelegram-ma (Graziadei, Ribol-di, Alfani, Borin, Srebrnic e Lo Sardo), per convocarli nella capitale per il lunedì successivo, insieme agli altri colleghi già presenti nella
14 R. De Felice, Mussolini il fascista, cit., pp. 209-214.
15 Ibidem, pp. 217-218. Secondo Fiori il testo della mozione Farinacci era già sta-to reso pubblico il giorno precedente sulla prima pagina del quotidiano fascista romano «Tevere»: G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Bari 1981, p.
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capitale, tra questi Gramsci16. La mattina dell’8 novembre Moli-nelli, il cui nome in codice era Verdi, ricevette un messaggio dal Comitato Esecutivo del PCd’I a firma Micheli, cioè Camilla Ra-vera: gli fu ricordato che era prevista quella sera una convocazione del gruppo parlamentare, in vista della quale Rugg., cioè Ruggiero Grieco gli aveva inviato le direttive e per la riunione del gruppo e per la seduta parlamentare del giorno successivo. In più era allegata la dichiarazione che sarebbe dovuta essere letta in aula a nome dei deputati comunisti: avrebbero potuto farlo o lo stesso Molinelli o Picelli o un altro a scelta. Che la tensione fosse alta e che si avvertis-se la difficoltà del momento è chiaro dalla chiusa del messaggio: È necessario che il collegamento fra di noi sia mantenuto il più possibile.
Tu sai che la possibilità esiste, col solito modo17.
Il partito confidava nel dibattito parlamentare come estremo strumento di lotta in una situazione critica. La seduta del 9 no-vembre era di tale importanza che Gramsci, a cui pure da molti era stato consigliato di espatriare in Svizzera, aveva ritenuto più oppor-tuno restare a Roma per seguire i lavori parlamentari: il capitano non poteva abbandonare la nave in quel momento, e nemmeno
16 ACS-DGPS, anno 1926, b. 117, f. “Partito Comunista”, Fonogramma della Prefettura di Roma al Capo della Polizia, (Roma 8 novembre 1926, ore 13). Il testo del telegramma indirizzato da Molinelli ai colleghi recitava semplicemen-te: «Trovati Roma lunedì».
17 CPC-Molinelli, Messaggio dattiloscritto firmato da “Micheli” e indirizzato a
“Verdi”, (8 novembre 1926). Si tratta di uno dei documenti che Molinelli ave-va indosso al momento dell’arresto. La lettera, già intercettata dalla polizia, fu consegnata “per visione” anche al Ministro delle Comunicazioni, Costanzo Cia-no. Vedi ACS-DGPS, anno 1926, b. 117, f. “Partito Comunista”, cit., Nota del Ministero dell’Interno, (8 novembre 1926). Il testo della dichiarazione era stato deliberato in una riunione dell’Ufficio Politico del PCd’I, nella quale furono stabilite non solo la partecipazione dei deputati comunisti alla seduta del 9, ma anche la lettura della dichiarazione. P. Spriano, Storia del Partito Comunista, cit., vol. II, p. 63.
i suoi compagni più vicini, quelli con importanti responsabilità, come Molinelli18. Egli così come il leader comunista e i loro com-pagni deputati inoltre confidavano sul fatto che la mozione Fari-nacci, ormai di dominio pubblico, in teoria non comprendeva il loro gruppo, rientrato da tempo alla Camera: in più vi era ancora fiducia nel fatto che mai Mussolini avrebbe osato metterne in di-scussione l’immunità parlamentare, per cui nessuno aveva pensato di mettersi al sicuro. Qualcosa però era già in movimento, anche al di fuori della capitale. Ad esempio, su ordine personale del nuovo capo della Polizia, Bocchini, nello stesso giorno gli agenti di Chia-ravalle ricevettero l’ordine di perquisire accuratamente la casa della famiglia Molinelli alla Grancetta, dove vivevano i genitori e alcuni fratelli del deputato, allo scopo di rinvenire e sequestrare armi illegal-mente detenute e documenti inerenti all’attività comunista esplicata dal suddetto deputato: la perquisizione ebbe esito negativo. Lo stesso accade a tutti i deputati comunisti e alle loro famiglie19. Di questo significativo segnale d’allarme, probabilmente, lo stesso Guido ri-mase all’oscuro, altrimenti avrebbe potuto rendersi conto di quanto la situazione fosse drammatica.
Perciò, come previsto, la sera di quel fatidico 8 novembre alcuni deputati comunisti, tra i quali lo stesso Molinelli, Gramsci, Picelli, Ferrari e Riboldi, si incontrarono in una sala di palazzo Montecito-rio per consultarsi sul da farsi nella seduta parlamentare dell’indo-mani. Alla fine fu Ezio Riboldi, avvocato milanese, ad essere incari-cato di parlare in aula contro le nuove leggi sulla pubblica sicurezza:
Gramsci gli fornì alcuni suggerimenti per controbattere al progetto fascista sulla reintroduzione della pena di morte, uno dei
provve-18 G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, cit., p. 253.
19 ASAN, Questura, Politici A\8, b. 73\A, f. Guido Molinelli, Rapporto del Com-missario di P.S. di Chiaravalle, (8 novembre 1926). Cfr. P. Spriano, Storia del Partito Comunista, cit., vol. II, p. 62.
dimenti più gravi inseriti nel pacchetto delle leggi eccezionali. Ter-minata la riunione, Riboldi andò subito ad iscriversi come oratore presso l’ufficio di Presidenza della Camera20.
I comunisti ignoravano, però, che nelle stesse ore non lontano da lì il Capo del Governo e i suoi collaboratori stavano decidendo le ultime mosse per chiudere la partita con gli oppositori più agguer-riti: e loro erano diventati i primi della lista. Nel disegno generale di liquidazione di ogni forza di opposizione, di ogni gruppo anti-fascista, Mussolini doveva a quel punto eliminare tutto quello che, in Parlamento e fuori, non desse l’idea di un unanime consenso alla sua politica. Fu così che Mussolini, dopo un’accesa discussione a Palazzo Chigi con Farinacci e Turati, e sollecitato da Vittorio Ema-nuele III, non ebbe più alcuna esitazione e dispose personalmente per l’arresto immediato di tutti i deputati comunisti, anche loro in-seriti di sua volontà nella lista dei parlamentari dichiarati decaduti, nonostante la contrarietà di Farinacci, che pure aveva promosso il provvedimento contro gli aventiniani21. Secondo Mussolini, il vec-chio socialismo, che sopravvive in Farinacci, lo espone all’irrazionale pietà per il vinto, mentre Turati fu pienamente d’accordo nel libe-rarsi anche dei deputati del PCd’I22.
20 D. Zucaro, Vita del carcere di Antonio Gramsci, Edizioni “Avanti”, Milano 1954, p. 11.
21 Ibidem, p. 12; G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, cit., p. 253. Riboldi anni dopo confermò l’ipotesi, secondo la quale lo stesso sovrano avrebbe imposto l’inserimento dei comunisti nella lista dei parlamentari decaduti. Tuttavia De Felice ritiene improbabile un simile svolgimento dei fatti, addossando la re-sponsabilità dell’aggiunta dei deputati comunisti allo stesso Mussolini e a Tu-rati. Vedi R. De Felice, Mussolini il fascista, cit., p. 218, in cui si fa riferimen-to anche alla testimonianza di Riboldi (E. Riboldi, Vicende socialiste, Milano 1964, p. 144).
22 Y. De Begnac, Taccuini mussoliniani (a cura di Francesco Perfetti), Il Mu-lino, Bologna 1990-2010, p. 461. Nelle confidenze fatte qualche anno dopo