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II. Da Regina coeli a Gissi: Molinelli e la persecuzione sotto il

8. Milano

Agli occhi della Polizia che continuava a sorvegliarlo, Molinelli nel corso della permanenza a Chiaravalle dopo l’amnistia condu-ceva vita appartata e appariva disinteressarsi del tutto della politi-ca110. Questo periodo comunque sarebbe terminato ben presto. Il 3 gennaio 1934 ricevette da Milano un telegramma di Cino Del Duca, che lo invitava a raggiungerlo per un impiego stabile presso la sua azienda: così già il giorno dopo Molinelli con una valigia carica di ricordi, speranze e amarezze partì alla volta del capoluogo lombardo, dove prese alloggio in via Albani 29, dalle parti dell’al-lora nuovo quartiere fieristico111. Avrebbe lavorato come produttore e collaboratore presso la casa editrice La Moderna112, fondata pochi anni prima da una delle più interessanti figure dell’imprenditoria marchigiana, Cino Del Duca113, affermatosi anche in Francia, che divenne per lui una seconda patria. Molinelli e Del Duca si co-noscevano sin dal primo dopoguerra: entrambi avevano aderito al Partito Comunista e nelle Marche avevano partecipato alle lotte che avevano caratterizzato gli anni precedenti l’avvento del fascismo.

Del Duca per le proprie idee politiche perse l’impiego di ferroviere

110 Ibidem, Rapporto del Comandante della Tenenza di Ancona della Legione Territo-riale dei Carabinieri al Questore, (Ancona 19 dicembre 1933).

111 Ibidem, Minuta di telegramma della Questura di Ancona alla Questura di Mi-lano, (5 gennaio 1934). In realtà nel testo il nome “Cino Del Duca” risulta storpiato in “Duca Gino”: Ibidem, Lettera della Questore di Milano al Questore di Ancona, (20 febbraio 1934).

112 CPC-Molinelli, Notizie per il prospetto biografico di Guido Molinelli inviate dal-la Prefettura di Ancona al Ministero dell’Interno - Dir. generale P.S. - Servizio schedario (Ancona 22 febbraio 1934).

113 Per una biografia, anche politica, dell’editore marchigiano si veda C. Marcel-lini, Cino Del Duca: la fortuna di un editore marchigiano, in P. Giovannini, B.

Montesi, M. Papini, a cura di, Le Marche dalla ricostruzione alla transizione.

1944-1960, Il lavoro editoriale, Ancona 1999, pp. 496-505.

e fu spedito prima al confino ad Agropoli, poi nel 1924 nel carcere di Vallo di Lucania. Uscito di prigione e trasferitosi a Milano, si allontanò progressivamente dalla politica: inizialmente lavorò come piazzista di libri, poi in società con i fratelli Alceo e Domenico mise in piedi una propria casa editrice, La Moderna, che iniziò a pubbli-care a dispense romanzi, soprattutto d’avventura e rosa.

Non aveva dimenticato tuttavia i vecchi compagni caduti in di-sgrazia e, forse anche per i buoni uffici di Maffi, invitò Molinelli a Milano, visto che gli sarebbe stata assai utile nel lavoro editoriale l’esperienza maturata dal chiaravallese come pubblicista sulle pa-gine di «Bandiera Rossa», il periodico comunista anconetano pub-blicato nel dopoguerra. Infatti nel 1933 Del Duca, sull’onda del successo di pubblico dei romanzi da lui editi, aveva avviato un’al-tra iniziativa, questa volta nel settore della stampa per ragazzi, con la pubblicazione di «Monello», seguito nel ’35 da «Intrepido». È proprio nella redazione di questi due periodici che Molinelli poté trovare quell’impiego, divenuto fondamentale per permettergli di sopravvivere e di mantenere la moglie e la figlia, che lo raggiunsero a Milano, probabilmente solo dall’inizio del 1936: Giuseppina Mo-linelli si portò dietro persino la qualifica di sospetta sovversiva, come segnalato dal Prefetto di Ancona al suo collega milanese114.

Non fu l’unico comunista ad essere stato aiutato concretamente da Del Duca: infatti l’editore offrì un’occupazione anche ad altri ex-compagni politici, come Aristodemo Maniera e Bruno Corbi, quest’ultimo assunto presso gli uffici parigini della casa editrice di Del Duca115. Non c’era nell’editore di Montedinove, però, nessun

114 CPC-Molinelli, Lettera della Prefettura di Ancona al Ministero dell’Interno - Dir.

Gen. P.S. e p.c. al Prefetto di Milano (Ancona 10 marzo 1936).

115 Per la presenza di Maniera e Corbi tra i collaboratori di Del Duca vedi C. Mar-cellini, Cino Del Duca, cit., p. 499.

intento di riunire intorno a sé un gruppo di dissidenti anti-regime:

infatti si era allontanato dall’impegno politico, pubblicava rispon-dendo il più possibile alle direttive del fascismo, anche se, per cer-care un’uscita di sicurezza, per usare il titolo dell’opera di un altro celebre (ex)comunista, Ignazio Silone, nei primi anni Trenta aveva aperto, come visto, una filiale in Francia. Qui i comunisti locali però non lo vedevano di buon occhio: lo consideravano un rinne-gato arricchito, peggio ancora, un trozkista. Sicuramente la figura di Del Duca è ancora oggi abbastanza controversa. Studi recenti sono tornati sull’ambiguo comportamento da lui tenuto nei pri-mi anni dell’occupazione tedesca in Francia: all’editore è imputato un atteggiamento ai limiti del collaborazionismo, che lui riuscì in qualche modo a far quasi dimenticare con l’adesione alla Resistenza a partire dal ’43116.

Fatto sta che, in pieno regime fascista, non aveva esitato ad ac-cogliere chi aveva condiviso con lui, negli anni della giovinezza, gli stessi ideali e gli stessi pericoli. Sul suo rapporto personale e pro-fessionale con Molinelli, però, si sa poco altro. Di questa fase della sua vita, infatti, il chiaravallese ha accennato solo nel corso di un dibattito in Assemblea Costituente, rievocando un piccolo episo-dio, legato proprio all’attività presso Del Duca:

116 Al completamento della stesura di questo intervento non è ancora stata pubbli-cata la tesi di dottorato di Isabelle Antonutti (Cino del Duca (1899-1967): de la bande dessinée à la presse de cœur, un patron de presse franco-italien au service de la culture de masse), discussa presso la Université Versailles Saint Quentin en Yvelines nel gennaio 2012, la cui uscita in volume, come dichiarato dall’autrice al sottoscritto, era prevista per il dicembre dello stesso anno, mentre l’edizione italiana dovrebbe apparire nella primavera 2013. Per una sintesi della ricerca vedi I. Antonutti, Cino del Duca (1899-1967) dai fumetti alla stampa rosa, in «La fabbrica del libro» (Bollettino di storia dell’editoria in Italia), a. XVIII 1/2012, pp. 45-47.

Durante il periodo fascista sono stato per qualche tempo impiegato in una casa editrice che stampava un periodico [si tratta probabilmente di

«Intrepido», N.d.a.] e della quale casa editrice non faceva parte nessun fascista e quindi nessun iscritto all’albo dei giornalisti. Per pubblicare il periodico era necessario avere un direttore responsabile, iscritto all’albo dei giornalisti. Ebbene: il direttore veniva una volta al mese, quando si trattava di riscuotere lo stipendio117.

C’era solo il lavoro per Molinelli in questi anni? Alla polizia, che lo teneva costantemente sotto controllo, risultava che si tenes-se fuori della politica, ma le autorità continuavano a considerar-lo pericoconsiderar-loso, tanto da mantenere aperto il suo fascicoconsiderar-lo presso il Casellario Politico Centrale. Eppure dalle comunque scarse notizie sul periodo milanese si può a ragione pensare che Molinelli avesse riallacciato dei contatti con qualche vecchio compagno e che avesse ripreso ad agire, in clandestinità, per conto del partito comunista. A conferma di tale ipotesi vi sono due documenti, che al tempo stesso testimoniano quanto i comunisti, pur assai più organizzati di altri gruppi antifascisti, agissero in modo non sempre coordinato, sot-toponendosi a rischi ancora maggiori nei confronti dell’efficiente polizia politica di Bocchini.

Il primo riguarda il comunista anconetano Alfredo Spadellini, il futuro comandante partigiano “Frillo”: siamo nel novembre 1936 e Spadellini doveva fuggire dalle Marche, anche perché aveva inten-zione di espatriare e raggiungere la Spagna per combattere a fianco dei repubblicani. Mario Alberto Zingaretti, altro comunista di An-cona, che aveva avuto un ruolo di primo piano negli anni Venti, lo mandò a Milano proprio da Molinelli, in quanto era stato

informa-117 AP - Assemblea Costituente, Intervento di Guido Molinelli nella seduta del 14 gennaio 1948: si discuteva del disegno di legge relativo alle nuove disposizioni sulla stampa.

to del fatto che questi fosse rimasto in qualche modo in contatto con la dirigenza del partito in esilio e con i compagni lombardi. Ac-compagnato da un altro comunista marchigiano, Spadellini giunse pieno di fiducia a Milano, ma venne deluso: infatti il chiaravallese, che non aveva ricevuto nessuna comunicazione da Zingaretti (vi erano state di mezzo le festività dei Santi e forse la posta da Ancona non gli era arrivata in tempo), si rammaricò di non potergli essere d’aiuto; ma soprattutto, pur credendo alle parole di Spadellini, mi disse che da anni non si occupava più di politica e che col partito non aveva rapporto alcuno. Scoraggiato, il giovane marchigiano tornò ad Ancona: qui i comunisti locali, che non potevano credere alla so-pravvenuta “apoliticità” dell’ex-deputato, affidarono Spadellini ad un altro vecchio antifascista appena scarcerato, Cafiero Cola, che aveva conosciuto Molinelli nei primi anni Venti. I due partirono di nuovo alla volta di Milano: per precauzione prima viaggiarono in automobile fino a Rimini, da lì proseguirono in treno. Il resto del racconto di Spadellini ci svela il perché della prima reazione di Molinelli, che si rileverà invece essere ancora in contatto con il par-tito, e che, sfidando i controlli della polizia, cercava di tenere in vita l’attività clandestina in una città in prima linea nella lotta contro il regime fascista. Così andarono le cose nel secondo incontro tra il chiaravallese e Spadellini:

appena mi presentai a casa di Molinelli e gli dissi che «fuori c’è Cola», egli si affacciò alla porta, lo salutò e lo pregò di rimanere in strada ad attendere: a me fece un sorriso e una carezza, si scusò di come mi aveva respinto la volta precedente, spiegandomi che non avrebbe potuto comportarsi in altro modo non avendo ricevuto alcuna comunicazione.

La figlia ci portò il caffè, egli mi istruì che ora che uscivamo, qualora fossimo stati fermati, avrei dovuto dichiarare ai poliziotti d’essere andato da lui perché mandato da mio padre, sarto, ad acquistare filo e bottoni.

Con Cola prendemmo il tram, scendemmo in piazza del Duomo,

entrammo nel primo caffè a destra in galleria, bevemmo qualcosa poi Molinelli disse a Cola: «È tanto tempo che non ci vediamo, vorrei stare un po’ con te ma è impossibile; arrivederci saluta i compagni di Ancona». Accompagnai Cola fuori del caffè, pioveva a dirotto, un’altra stretta di mano ed egli si allontanò nella pioggia, confuso tra i passanti. Molinelli mi accompagnò da un compagno falegname; da allora non lo rividi più118.

L’altro episodio sul Molinelli “milanese”, parzialmente contrad-dittorio rispetto alla testimonianza di Spadellini, è legato ad una lettera di Mario Montagnana, firmata con lo pseudonimo «Ronco-li», risalente al luglio 1935. L’autore, importante esponente dell’In-ternazionale Comunista, riferisce sulla situazione delle attività clan-destine nell’Italia del Nord, dove si era recato spesso per coordinare l’azione dei comunisti rimasti o rimessi in libertà. In un colloquio avuto con quel Pietro Farini, presso cui Molinelli aveva abitato pri-ma dell’arresto nel 1926, Montagnana venne a conoscenza di inte-ressanti notizie sul chiaravallese. Se ne evince innanzitutto che all’e-poca i responsabili del partito, ignorando che Molinelli si trovasse a Milano, lo credevano ancora ad Ancona; il suo comportamento inoltre avrebbe lasciato per dir poco, a desiderare, anche perché, pur ricevendo dai sovietici uno stipendio di 1.000 lire mensili, non con-tribuiva in alcun modo alle spese di sostegno alle attività clandesti-ne. Anzi, a dimostrazione dell’esistenza di falle nell’organizzazione sotterranea comunista, essendo stati mandati soldi direttamente proprio a Molinelli, si temeva che fossero finiti invece in cattive mani119.

Stipendio dai sovietici? Quindi Molinelli nel 1935 non era più

118 A. Spadellini, Un giovine anconitano dalla cittadina natale alla Spagna, in E.

Rava, a cura di, I compagni, Editori Riuniti, Roma 1961, pp. 346-347.

119 BTM, Lettera di “Roncoli”, Mario Montagnana, (6 luglio 1935).

alle dipendenze di Del Duca? Il progetto di farsi assumere presso la Delegazione Commerciale dell’URSS, di cui aveva parlato nella lettera a Maffi di due anni prima, si era finalmente concretizzato in un impiego che sostituisse, o molto più probabilmente, integrasse quello editoriale? Le date sono abbastanza contraddittorie, perché, almeno stando a quanto rilevato dalla Questura di Milano, Moli-nelli sarebbe stato in servizio presso la rappresentanza commerciale sovietica nel capoluogo lombardo non prima del 1937120: in più sappiamo soltanto che già al dicembre del 1938 risultava esserne stato licenziato121. Di questo impiego non esistono altre notizie, né sull’incarico che ricopriva, né sui possibili contatti con esponenti comunisti italiani o sovietici: erano diversi, infatti, gli ex-membri del PCd’I che in quegli anni avevano trovato una sistemazione pres-so le Delegazioni Commerciali dell’URSS presenti in alcune cit-tà italiane. Dopo essere stato licenziato dai sovietici, fu sempre la Questura di Milano a rilevarlo, Molinelli tornò a collaborare con Del Duca per l’«Intrepido»: aveva intanto trovato casa in piazzale Lotto 2, sempre in zona Fiera122.

Sicuramente non è facile ricostruire questa difficile fase della sua vita e lo stesso, come si è visto, vale anche per altri periodi del per-corso umano e politico di Molinelli. Il quale, dal canto suo, non ha mai contribuito particolarmente a far luce sugli anni del carcere

120 CPC-Molinelli, Notizie per il prospetto biografico di Guido Molinelli inviate dal-la Prefettura di Midal-lano al Ministero dell’Interno - Dir. generale P.S. - Servizio schedario (Milano 20 novembre 1937).

121 Ibidem, Notizie per il prospetto biografico di Guido Molinelli inviate dalla Prefet-tura di Milano al Ministero dell’Interno - Dir. generale P.S. - Servizio schedario (Milano 13 dicembre 1938).

122 Ibidem, Notizie per il prospetto biografico di Guido Molinelli inviate dalla Prefet-tura di Milano al Ministero dell’Interno - Dir. generale P.S. - Servizio schedario (Milano 29 marzo 1940).

e del dopo-amnistia. Per cui, in molti casi, mancando una docu-mentazione più ampia, non si è potuto fare altro che andare per supposizioni.