II. Da Regina coeli a Gissi: Molinelli e la persecuzione sotto il
6. Nelle carceri italiane
Stando alle carte del Ministero dell’Interno e di quello della Giu-stizia, dopo la condanna del Tribunale Speciale Molinelli rimase a Regina Coeli almeno fino al marzo 1928, non sappiamo se in isolamento, almeno per alcuni periodi, o in compagnia di altri car-cerati, anche politici. Se il suo trasferimento dal carcere romano è da collocare proprio in questa data, si può ipotizzare che le autorità abbiano voluto impedirgli contatti con i protagonisti del cosiddetto
“Processone”, lo spettacolare processo che, fissato per il maggio di quell’anno, avrebbe visto alla sbarra davanti al Tribunale Speciale, tra gli altri, Gramsci, Terracini e Scoccimarro.
Nei quattro anni successivi Molinelli avrebbe vissuto una vera e propria odissea attraverso le prigioni di tutta Italia. Secondo no-tizie confuse, nel luglio del ’28 si sarebbe trovato nuovamente ad Ustica, e da qui, almeno secondo la Questura di Palermo, sarebbe stato inviato all’isola di Ponza, dove in realtà non giunse mai79. In data ignota fu quindi trasferito ad Avellino, per poi essere rinchiuso a partire dal 5 maggio 1930 nel carcere di Saluzzo, in Piemonte80. Nemmeno la macchina repressiva fascista riusciva a tenere sotto controllo le proprie vittime.
Il 19 febbraio 1931 Molinelli entrò nella casa penale di Soriano nel Cimino, un borgo collinare in provincia di Viterbo81: il carcere
79 ASAN, Questura, cit., Lettera del Questore di Palermo al Questore di Ancona (26 aprile 1930) e Lettera del Questore di Napoli al Questore di Ancona (6 maggio 1930).
80 Ibidem, Lettera del Questore di Cuneo al Questore di Ancona (5 luglio 1930). Il documento conferma che Molinelli trascorse un periodo, non definito, anche nel carcere di Avellino. Da ulteriori comunicazioni tra le questure, sempre con-servate all’Archivio di Stato di Ancona, si evince che a volte nemmeno le auto-rità di P.S. erano in grado di tenere sotto i controllo i movimenti dei prigionieri tra i penitenziari del paese.
81 CPC-Molinelli, Nota per il prospetto biografico di Guido Molinelli inviato dalla
aveva sede nell’antico castello degli Orsini, una fortezza medievale che dominava il paese e il paesaggio sottostante. Qui trovò come compagno di prigionia, tra gli altri, Athos Adone Lisa, dirigente comunista toscano, arrestato nel dicembre 1926 e poi condannato dal Tribunale Speciale a 9 anni e 10 mesi di reclusione. Lisa, che fu anche nel carcere di Turi, dove ebbe modo di conoscere Gramsci e di discutere con lui, ci ha lasciato un volume di ricordi sul periodo trascorso in prigione, che costituisce ancora oggi una preziosa fon-te sulla storia dei comunisti italiani duranfon-te il fascismo82. Assieme a Molinelli ed altri compagni di partito nella prigione di Soriano (non tra le più ospitali) Lisa divideva un camerone, in cui si trova-vano anche detenuti comuni, che era munito di due finestre a bocca di lupo che però lasciavano vedere la ridente e tranquilla pianura sot-tostante illuminata dallo sferzante sole di agosto83. La vita quotidiana si svolgeva come in altre prigioni, grigia, monotona, fatta di ritua-li, ma anche di qualche banale diversivo: in particolare il fumo. Il comunista toscano confessò che tutti i suoi compagni di prigionia erano fumatori, capaci di fumare il crine vegetale dei materassi se il tabacco ci avesse fatto difetto84.
Lisa, da poco arrivato da Turi, fu subito sommerso di domande su Gramsci. Poi, iniziò a partecipare alle vivaci discussioni sull’at-tualità che, anche a Soriano come in altri reclusori, si svolgevano
Prefettura di Ancona al Ministero dell’Interno - Dir. generale di P.S. - Servizio schedario (Ancona 15 maggio 1932).
82 A. Lisa, Memorie. In carcere con Gramsci (Dall’ergastolo di Santo Stefano alla Casa penale di Turi di Bari), prefazione di Umberto Terracini, Feltrinelli, Mila-no 1973. Si veda anche la scheda biografica di Lisa, redatta da Ivan Tognarini in F. Andreucci, T. Detti, a cura di, Il movimento operaio italiano - Dizionario biografico, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 120-123.
83 A. Lisa, Memorie, cit., p. 105.
84 Ibidem, p. 109.
tra i prigionieri politici. Si trattava, per dirla con Paolo Spriano, di una delle tante “università in carcere”, organizzate nelle prigioni e nelle località di confino, le quali, assieme alle letture, contribuirono alla formazione non solo delle nuove leve, alla educazione politica e non solo di tanti fra operai e contadini, che ne approfittarono tra-sformandosi in individui più consapevoli e preparati: naturalmente anche la vecchia generazione di comunisti, che, grazie alle discus-sioni in qualche modo si teneva aggiornata sull’attualità politica e sociale, poté dimostrare ancora la propria vitalità, rendendosi utile verso i nuovi arrivati85.
A Soriano proprio Molinelli era uno tra i più qualificati. Era lui che dirigeva le discussioni e le lezioni, ma secondo Lisa sosteneva una tesi particolare su un’eventuale caduta del fascismo, tesi che il comunista toscano non aveva mai sentito da nessun altro compa-gno: l’ex-deputato, infatti, affermava con ardore e convinzione che si sarebbe potuto abbattere il fascismo solo nel caso in cui fosse scoppiata una guerra, certo non un evento auspicabile, tuttavia ne-cessario per liberare l’Italia da una dittatura che altrimenti, sempre secondo Molinelli, sarebbe durata almeno un secolo. Lisa colse una contraddizione nelle teorie del suo compagno di prigionia, quando gli chiese se i comunisti dovessero diventare fautori della guerra:
il marchigiano rispose negativamente, ma al tempo stesso confer-mò che se la guerra fosse scoppiata avremmo dovuto salutarla come la liberatrice dal fascismo. A ben vedere si avverte in questa posi-zione un’eco dello spirito insurrezionale, che aveva caratterizzato Molinelli negli anni dell’immediato dopoguerra. Si potrebbe anche riandare all’intervento da lui pronunciato alla Camera nel marzo 1925 durante il dibattito sull’Associazione Nazionale Combattenti.
85 P. Spriano, Gramsci in carcere, cit., pp. 355-363.
Interrotto più volte dai deputati di maggioranza, ad un certo punto Molinelli, richiamandosi al Risorgimento, esclamò: Quando il po-polo di Lombardia cacciò i tedeschi da Milano alzò le barricate. Così il popolo italiano non può sperare di liberarsi del fascismo se alle armi non contrappone altre armi86. La violenza per lui, perciò, era uno strumento perlomeno di difesa dal fascismo, come emerge anche in alcuni degli interrogatori, a cui fu sottoposto nel 1927. Si può supporre che, durante gli anni trascorsi in carcere, in Molinelli si sia riacceso lo spirito del combattente, del giovane socialista corri-doniano che, fallito il tentativo di combattere al fianco della Fran-cia nel 1914, mantenne l’idea secondo cui le guerre, pur nella loro crudeltà, possano anche contribuire a rovesciare i tiranni, e partì per il fronte l’anno successivo; o del barricadiero che difese Ancona dalle squadracce fasciste nei primi anni Venti. Athos Lisa, ad ogni modo, non la vedeva in questo modo: secondo lui, le idee del pur autorevole ex-deputato erano le teorie di un disperato, lontane dalle analisi proprie del marxismo classico; poiché si temeva che Molinel-li, saldo nella sua teoria, avrebbe potuto contaminare i comunisti più giovani ed inesperti, per decisione comune le discussioni furono ridotte. Probabilmente dalla dirigenza del partito, attraverso canali clandestini, fu consigliato di non andare oltre con simili argomenti.
Nonostante ciò nello stanzone del carcere di Soriano proseguì con intensità almeno lo studio, visto che, sempre parole di Lisa, studiare quando ci si trovava in simili condizioni rappresentava il più forte antidoto contro i disagi, le amarezze, le disillusioni: tante erano le discipline affrontate, dalla storia all’economia politica, alle lingue, ma c’erano numerose difficoltà per i pochi libri a disposizione, per lo stretto controllo delle guardie carcerarie, soprattutto per la
cen-86 AP - CD, Legislatura XXVII, seduta del 12 marzo 1925.
sura del prete della prigione, che come in altri reclusori si occupava, oltre che delle anime dei detenuti, anche del controllo censorio su ciò che leggevano87.
Torniamo all’odissea carceraria di Molinelli. Dopo aver trascorso un anno a Soriano, il 20 luglio del 1932 fu trasferito nel peni-tenziario di Civitavecchia88. Da un elenco dei detenuti del carcere laziale veniamo a sapere che con Molinelli si trovavano alcuni dei più importanti esponenti del partito comunista, tra cui ex deputati, dirigenti, giovani leve: Girolamo Li Causi, Emilio Sereni, Mauro Scoccimarro, Eugenio Reale, Luigi Battista Santhià, Ezio Riboldi, Onorato Damen, Pietro Secchia, Igino Borin, Umberto Terracini, Riccardo Ravagnan, Altiero Spinelli, Aladino Bibolotti, Vittorio Flecchia, Celeste Negarville89.
Se le posizioni ideologiche di Molinelli erano sembrate poco ortodosse ad Athos Lisa, questo non aveva scalfito la fiducia che la dirigenza comunista in esilio nutriva per il chiaravallese. Infatti, poco dopo il suo arrivo a Civitavecchia, ricevette una lettera scritta con inchiostro simpatico dalla centrale del partito comunista, allora a Basilea, e firmata da Ercoli, vale a dire Palmiro Togliatti, lettera che però fu subito sequestrata dalle guardie carcerarie90. La missiva
87 A. Lisa, Memorie, cit., pp. 106-107.
88 ACS - fondo “Ministero di Grazia e Giustizia - Detenuti politici”, b. 53, f.
“Guido Molinelli”, Lettera del direttore dello Stabilimento penale di Soriano nel Cimino al Ministero della Giustizia - Dir. Gen. per gli Istituti di Prevenzione e Pena (Soriano, 20 luglio 1932); ASAN, Questura, cit., Lettera del Questore di Viterbo al Questore di Ancona (Viterbo 12 settembre 1932).
89 ACS-DGPS, 1932, f. “Detenuti comunisti: corrispondenza clandestina”, Lette-ra del Ministero della Giustizia al comm. Leto, della Direzione geneLette-rale della P. S.
con elenco detenuti politici nel carcere di Civitavecchia, (Roma 17 agosto 1932).
90 Ibidem, Lettera della Segreteria del Partito Comunista, firmata da Ercoli (datata giugno 1932). Protocollata il 28 luglio 1932 dal Ministero dell’Interno. Citata anche in P. Spriano, Storia del Partito Comunista, cit., vol. IV, p. 364 e nota 3.
in apparenza chiedeva immediate notizie sulle sorti dello stesso Mo-linelli, che da tempo non aveva avuto più contatti con i dirigenti comunisti ancora in libertà. Ma l’argomento principale era la smen-tita ad alcune voci messe in circolazione dalla rivista del movimen-to «Giustizia e Libertà», secondo la quale molti comunisti italiani avrebbero nutrito forti simpatie per Trotskij. A testimonianza di un rapporto che, clandestinamente, non si era del tutto interrotto, To-gliatti incaricò Molinelli di sondare umori e opinioni dei compagni rinchiusi con lui a Civitavecchia e di verificare la veridicità delle voci sulle infiltrazioni trozkiste. La dirigenza del partito infine pretende-va che il collettivo comunista, costituitosi a Civitavecchia, prendes-se una netta posizione contro le «insinuazioni» diffuprendes-se da «Giustizia e Libertà», con la consegna dell’assoluta intransigenza verso quanti manifestassero posizioni divergenti dalla linea ufficiale comunista.
Come se non bastasse, dati i rapporti tesi tra le varie forze antifasci-ste, si richiedeva esplicitamente anche di essere inflessibili non solo nei confronti dei compagni comunisti, ma anche verso carcerati di tendenze politiche differenti. Così si chiudeva la lettera ricevuta da Molinelli a Civitavecchia: Verso i detenuti di altre correnti è giusto che voi conduciate un lavoro volto alla loro conquista, ma ogni rinunzia o attenuazione nei confronti delle posizioni programmatiche della IC. e del partito è da condannarsi nel modo più reciso91.
Purtroppo nessun’altra testimonianza della prigionia di Molinel-li a Civitavecchia è disponibile. Sappiamo soltanto che scambiava lettere con alcuni familiari, tra i quali la moglie e la figlia, che ri-siedevano a Chiaravalle, la cognata, il suocero, nonché ovviamente l’anziano padre ed i fratelli92. In quel periodo Giuseppina Molinelli,
91 Ibidem.
92 CPC-Molinelli, Lettera del detenuto Guido Molinelli al Direttore della casa pe-nale di Civitavecchia (Civitavecchia 25 luglio 1932) e Lettera del Direttore della
lasciata Roma, viveva in casa dei genitori assieme alla sorella Maria e alla piccola Franca. Quirino Molinelli, la moglie Rosa e i figli Ubaldo, Tullio, Fernando, Zeno e Clara abitavano chi alla Grancet-ta, chi a Chiaravalle. Gli uomini di casa Molinelli erano stati, chi più chi meno, tutti attivi nel partito comunista, ma nel 1932 solo Fernando, operaio alla Manifattura Tabacchi, manteneva ancora un certo interesse, che lo faceva considerare degno di attenzione da parte della polizia93. Anche per questo lo scambio epistolare di Molinelli con la famiglia non era ben visto dalle forze dell’ordine:
c’era difatti il sospetto che il partito comunista inviasse all’anziano Quirino lettere per il figlio e che, quindi, proprio lui fungesse da intermediario. In un rapporto dei Carabinieri di Chiaravalle, che tenevano sotto controllo i Molinelli alla Grancetta, il padre dell’ex-deputato tuttavia sarebbe stato un tramite inconsapevole, perché individuo pacifico e ben pensante che deplora anzi la condotta politica del figlio Guido, mentre più sospetto risultava il ruolo di Fernando94.