II. Da Regina coeli a Gissi: Molinelli e la persecuzione sotto il
10. Gissi
La stessa Pina Molinelli tentò varie strade per migliorare la situa-zione del marito, il quale, come ricordato da lui stesso in una delle sue suppliche, non riceveva più nemmeno il modesto stipendio da collaboratore che gli versava la casa editrice economica Aurora. La signora Molinelli chiese che almeno, se non proprio vicino a Mila-no, il marito fosse comunque trasferito al domicilio coatto lontano dalla vita collettiva del Campo di concentramento, che gli impediva di dedicarsi proficuamente all’attività editoriale: in tal modo, con un’eventuale ripresa della collaborazione con la casa editrice, Mo-linelli avrebbe potuto alleviare le grandi difficoltà economiche che opprimevano la donna, ormai priva di mezzi per pagare l’affitto, far studiare la piccola Franca, curare i propri malanni nervosi139.
La richiesta fu infine accolta il 23 settembre 1941: al prigionie-ro, oltre al trasferimento in un piccolo comune della provincia di
137 Ibidem, Lettera di Quirino Molinelli al Ministero dell’Interno - Dir. Generale P.S.
(Chiaravalle 28 aprile 1941).
138 Ibidem, Lettera del Prefetto di Milano al Ministero dell’Interno - Dir. Generale P.S.
e p.c. alla Prefettura di Chieti (Milano 17 maggio 1941).
139 Ibidem, Lettera di Giuseppina Belvederesi al Ministero dell’Interno - Dir. generale P.S. - Servizio internati di guerra (Milano 21 agosto 1941). La moglie di Moli-nelli parla erroneamente, di una casa editrice Ausonia, di cui il marito sarebbe rimasto collaboratore almeno fino al marzo di quell’anno.
Chieti, Gissi, fu concesso un sussidio giornaliero di 8 lire ed un contributo per il pagamento delle 50 lire mensili per l’affitto di un alloggio140. Il 3 ottobre Guido Molinelli giunse sotto stretta sorve-glianza in soggiorno obbligato a Gissi141, un paesino di un migliaio di anime posto su un colle a cinquecento metri sul mare, distante ben 95 km da Chieti. Alla fine di novembre dello stesso anno otten-ne che anche moglie e figlia potessero risiedere con lui142. Ricevette un ulteriore modesto sussidio, appena sufficiente però a coprire le spese per il mantenimento della famiglia, tanto più che Molinelli fu costretto a invocare in alcuni casi la concessione di una licenza per tornare a Milano, dove aveva necessità di regolare alcune pendenze finanziarie, come la disdetta all’appartamento, in cui abitava prima dell’internamento e per il quale stava ancora pagando l’affitto143.
Rileggere le celebri pagine di Cristo si è fermato ad Eboli di Car-lo Levi potrebbe aiutare a capire come Molinelli abbia vissuto il confino. Presumibilmente anche lui arrivò con le mani impedite e accompagnato dai rappresentanti dello Stato, dalle bande rosse ai pantaloni e dalle facce inespressive144. E come nello scrittore torine-se, anche in Molinelli l’esperienza del confinato in una terra
appa-140 Ibidem, Lettera del Ministero dell’Interno - Dir. generale P.S. - Servizio internati di guerra alla Prefettura di Chieti e p.c. alla Prefettura di Milano (Roma 23 set-tembre 1941).
141 Ibidem, Lettera di Guido Molinelli al Ministero dell’Interno - Dir. generale P.S. - Servizio internati di guerra (Gissi 5 novembre 1941); CPC, f. Guido Molinelli, Nota per il prospetto biografico di Guido Molinelli dalla Prefettura di Chieti al Ministero dell’Interno - Dir. generale P.S. - Servizio schedario (Chieti 23 dicem-bre 1941).
142 Ibidem, Lettera della Prefettura di Milano al Ministero dell’Interno - Dir. generale P.S. - Divisione A.G.R. III sez. e p.c. alla Prefettura di Chieti (Milano 30 novem-bre 1941).
143 Ibidem, Lettere di Molinelli al Ministero dell’Interno - Direzione Generale di P.S.
- Servizio Internati di Guerra (Gissi 5 novembre 1941 e 16 febbraio 1943).
144 C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, Torino 1951, p. 11.
rentemente inospitale e isolata dal resto del mondo, tuttavia, non avrebbe lasciato in lui risentimenti verso la gente del posto, con cui i rapporti furono incentrati su una cordiale convivenza e condivi-sione della vita quotidiana nel piccolo paese. Si può anzi afferma-re che proprio gli anni trascorsi a Gissi lo indirizzarono verso una maggiore consapevolezza dei problemi e dei bisogni del Meridione, che si sarebbe esplicitata nel suo ruolo di rappresentante del rinato Partito Comunista dal 1944 e di cui abbiamo ampie testimonianze anche in numerosi suoi articoli.
In uno di questi, pubblicato nel ’46 su «l’Unità», si lasciò andare ad un commosso ricordo delle ore solitarie trascorse quando, du-rante il confino, avendo ottenuto il permesso di passeggiare nelle vicinanze del paese, osservava con attenzione quegli stessi paesaggi dell’Abruzzo, che pochi anni dopo avrebbe ritrovato durante una missione per conto del Partito Comunista. In particolare, gli torna-no in mente le riflessioni d’internato fatte sulle rive del fiume Sinel-lo, che scorre vicino a Gissi, da lui così descritto:
non è affatto azzurro. L’estate è bianco; d’inverno, e più particolarmente nella stagione delle piogge, è lotolento. Gli abruzzesi, che sono gente col cuore grande così, ma un po’ enfatici, come il loro poeta felicemente defunto, lo chiamano fiume. In realtà non è che un torrente maledu-cato - sarebbe più esatto dire: malalveato - impulsivo e mangiaterra.
Insomma, oltreché lotolento, lotofago.
Molinelli si concedeva, grazie al tanto tempo a disposizione, una sorta di silenzioso dialogo con il Sinello:
siamo rimasti faccia a faccia; lui, come avrebbe detto Carducci, nume indigeno; io straniero trapiantato d’autorità sulle sue rive perché peri-coloso all’ordine costituito e nocivo ai preordinati piani della guerra fascista.
Le sue meditazioni però erano piuttosto pratiche: quel corso d’acqua, come molti altri simili nell’Italia del Sud, sarebbe potu-to essere meglio governapotu-to, gestendo le rovinose piene autunnali e prevenendone le secche estive. Non solo, ma il regime irregolare del Sinello aveva come conseguenza, soprattutto dopo la stagione delle piogge, il formarsi di acquitrini, in cui si insediavano le zanzare por-tatrici della malaria. Molinelli all’epoca collegava questo pensiero alla propaganda fascista, che aveva motivate le guerre coloniali e la partecipazione al conflitto mondiale con la ricerca di spazio vitale in altri paesi come se in Italia non avessimo più nulla da fare. Ed ecco che in un torrido meriggio d’agosto, contemplando l’immenso letto arido e petroso del Sinello gli venne in mente l’idea per cui a quel maleducato e rovinoso torrente si potesse con poca spesa e meno materia prima porre il freno di due argini, valendosi delle stesse pietre che trasportava, dandone l’incarico, si badi bene, a gerarchi e giornalisti di regime, schiuma del popolo italiano, allora in galloni e camicia nera, della quale a guerra finita il popolo stesso avrebbe inteso il bisogno di liberarsi. Quindi stava maturando in lui il desiderio di rivalsa, ma non di cruenta vendetta:
A me, che rifuggo dal sangue, quello dei campi di lavoro obbligatorio e bonificatore si presentò dunque come di gran lunga il migliore [metodo]
per efficacia pedagogica ed utilità sociale145.
Per il resto i due anni di permanenza nel piccolo centro abruz-zese trascorsero soprattutto nella continua battaglia per ovviare alle difficoltà economiche di ogni genere, per rendere meno disagevo-li le ristrettezze procurate dalla disagevo-limitazione della disagevo-libertà, seppure come soggiornante obbligato. Ebbe anche dei problemi con la loca-le polizia in quanto, nella primavera del ’42 la moglie, rientrata da Milano, aveva portato con sé senza autorizzazione la nipote Maura, figlia del fratello Mario, che nel capoluogo lombardo lavorava come
145 G. Molinelli, Il Sinello è un torrente impulsivo che mangia la terra abruzzese, in
«l’Unità», 28 agosto 1946.
operaio della Manifattura Tabacchi146. Nell’aprile 1943, tornato da una licenza di dodici giorni, durante la quale era riuscito ad evita-re che i mobili del suo appartamento milanese fossero buttati per strada, protestò presso le autorità, che gli avevano sospeso assegno e indennità di alloggio a Gissi proprio per il periodo di assenza, no-nostante in paese fossero rimaste moglie e figlia, costrette comun-que a pagare la pigione del loro alloggio non prevedendosi in nessun contratto d´affitto che l´assenza temporanea del capo famiglia sospenda il pagamento del canone147.