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Cristallizzare un momento Rendere eterno quello che ci appare sfuggente Assistere allo spettacolo

IV.III La danza Butoh

Due importanti deviazioni della modern dance, il Tanztheater e il Butoh, cominciarono ad emergere negli anni Sessanta, ma ottengono fama internazionale solo negli anni Ottanta.

« La danza moderna giapponese conosciuta come Butoh, prende il nome dalla frase ankotu butoh, “danza della totale oscurità”. La sua desolata visione del mondo viene attribuita al ricordo di Hiroshima dopo la bomba atomica. È caratterizzata da economia di movimento, con un ritmo così lento da risultare raggelante per la sensibilità occidentale. Ma le immagini che crea sono vivide ed espressive: i corpi possono avere l’aspetto di entità non umane. Lo scopo principale è quello di esprimere l’interiorità dell’essere umano. Emozioni intense vengono presentate in modo altamente stilizzato, mentre le facce e i corpi sono spesso dipinti di bianco per accentuare ancora di più il carattere anonimo e impersonale di molta parte dell’esistenza umana »2.

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La Danza Butoh si riconosce come la “forbidden” dance. Un movimento pregno di emozioni che si fa espressione del complesso rapporto tra organismo, mondo , memorie e le presenze in gioco. Partendo dal pensiero Zen l’estetica Butoh si basa sul concetto di wabi-sabi dove bello e brutto scompaiono nel loro dualismo. Il bello e il brutto appartengono alla stessa fonte e sono parti integranti della stessa cosa come il bocciolo (wabi) e i petali appassiti (sabi) appartengono alla stessa rosa. La danza Butoh porta in scena questo concetto con un ‘ estetica che non divide i movimenti belli da quelli brutti, basta che siano autentici. Quando si danza non si ascolta la musica con le orecchie ma con tutto il corpo. Per il danzatore l’audience non ha bisogno di vedere che si sta muovendo, ma deve sentire che sta crescendo, proprio come accade con un albero.

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Vita, morte e metamorfosi sono i temi fondamentali del Butoh. Nell’apertura di “Jomon Sho” di Ushio Amagatsu, quattro danzatori della compagnia scendono sul palcoscenico a testa in giù, appesi a delle funi, come metafora della nascita. Spesso i danzatori assumono l’aspetto di mutanti o di esseri deformi in un mondo che corre in tutta fretta verso la distruzione.

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IV.IV I Situazionisti

I Situazionisti sono stati i primi ad essersi interrogati sulla trasformazione dello spazio pubblico in spazio mercificato del quale la città è l’espressione più rilevante. La mercificazione dello spazio viene espressa sempre di più dal ruolo dello spettacolo che assedia ogni momento della vita.

« Questa spettacolarizzazione delle esistenze, e dunque del sociale, è la nuova forma di produzione che tende ad omologare l’intero tempo-vita e con esso gli ambienti in cui si esprimono le soggettività nel segno dello spettacolo. Di conseguenza la città si trasforma in uno spazio dell’ a-traverso, che impedisce la sosta e che accelera i ritmi degli spostamenti sempre più prolungati e faticosi che cortocircuitano tra i luoghi incerti del lavoro della vita domestica e del presunto tempo libero. [...]

Tuttavia, l’urbanesimo attuale, che si trova a far i conti con condizioni di continuo sradicamento, offre la proprio meta-narrazione consolatoria tramite lo spettacolo del consumo, e l’erranza come deriva possibile dell’esplorazione e della scoperta, è sostituita dalla resa passiva al diktat dell’informazione »3.

Le pratiche della Derive, cercano di trasformare la vita quotidiana nel tempo della società dello spettacolo. La Derivè è una tecnica di passaggi rapidi attraverso ambienti differenti. Il campo spaziale deve essere predeterminato e mai superiore l’insieme di una grande città comprese le sue periferie, la durata può estendersi massimo all’arco di una giornata.

Il Detournement invece, significa al contempo: deviazione, sottrazione, scarto, ma soprattutto sovversione delle regole.

L’esplorazione della città acquista la funzione di un attento ascolto all’ambiente che descrive le relazioni attraverso paesaggi, arredi, clima, ostacoli.

Secondo le teorie del Derivè e Detournement, occorre trasformare ciò che ci accade ripercorrendo itinerari obbligati, quartieri edificati, spazi insensati per variarne la destinazione. Il primo movimento deve contrastare l’ordine, ripartire dal caos ed attraversarlo.

Nello spazio de Caos il tempo si dissolve nella sua dimensione ludica. L’espressione creativa trasmuta la città quando ne sovverte la dogmatica d’uso in ragione di una spinta ludica che ne metamorfizza la destinazione»4.

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Nella sua prima accezione lo spettacolo è inteso come attrazione amplificata dagli strumenti comunicativi. È questo il senso a cui faceva riferimento Guy Debord nel 1967 parlando di spettacolarizzazione della città. «Secondo il suo ragionamento, il cittadino consumatore diventa spettatore passivo circondato e disorientato dalle immagini che occupano gli spazi della città. La metropoli è il palco cui lo spettatore appartiene. E l’immagine è la protagonista di questa scena continua. Inteso come attrazione quindi, lo spettacolo è l’effetto della nostra percezione visiva del reale. Nella spettacolarizzazione frontale a cui siamo soggetti, si registra una frattura tra immagine e realtà e tra realtà e tempo»5.

Lo spaesamento di fronte a questo fenomeno è l’alienazione di cui parla Debord, che ha come effetto una percezione del tempo dilatata.

A questo si contrappone la seconda accezione di spettacolo ovvero quella che lo identifica come esperienza che avviene in un preciso luogo in un preciso momento. Questa riduzione della forma scenica alla parola, verrà presto superata, favorendo il senso del gesto e della musica. La rivoluzione comincia a New York, con le prime rappresentazione del collettivo del Living Theatre, simbolo di una nuova idea di teatro sociale e politico. È il lavoro che riguarda anche le opere di Luca Ronconi che mette in scena un teatro totalizzante dissacrando e invadendo ogni luogo.

Nel suo libro La société du spectacle, Debord intuisce la centralità dello spettacolo nella società contemporanea mettendo in chiaro come concetti quali alienazione, mercificazione, sfruttamento, deriva consumistica non vivono più nella società capitalista sviscerata da Marx ma piuttosto nel «regno liquido e cromatico» dello spettacolo, un mondo in cui i rapporti sociali e personali sono scanditi da video e la facoltà di immaginare è schiava dello spettacolo collettivo, un mondo in sostanza privo di autonomia.

I Situazionisti, forti dell’idea teorica e pratica del «Superamento dell’Arte», intendono quest’ultima come l’elemento statico che gela il fluire del tempo e avvolge in una sorta di eternità vuota le esperienze vissute, in pratica le uccide. Per questo detestano il carattere elitario della creazione artistica, che considerano una sorta di invalicabile barriera alla comunicazione personale. Essi propongono direzioni multiple quali il gioco, la pittura industriale, l’urbanistica unitaria, il cinema, il Détournement come liberazione delle arti verso una «costruzione superiore» dell’ambiente, e praticano la manipolazione dell’arte attraverso la riappropriazione dei testi tolti dal loro contesto e ricostruiti con significati diversi e stranianti.

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