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Aisthesis. La naturale attrazione verso l'effimero

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Academic year: 2021

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Politecnico di Milano, Scuola del Design

Corso di Laurea Magistrale in Design degli Interni

Titolo della Tesi:

Aisthesis. La naturale attrazione verso l’effimero. Relatore:

Professor Davide Crippa

Laureanda:

Silvia Chiarolanza 882805 Anno Accademico 2018/19

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AISTHESIS

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INDICE

II_ La variabile temporale tra danza e progetto II.I Il tempo nella performance

II.II Come il tempo ha cambiato l’approccio alla progettazione II.III Bernard Tschumi, Parco della Villette

I_ Relazione tra spazio e corpo nel progetto I.II Il fruitore al centro di tutto

I.I Il ruolo centrale dell’assenza I.III Punti di vista: soggetto e osservatore I.IV ManatthanTranscripts

III_ Il linguaggio del corpo nella danza III.I Cenni di storia della danza

III.V La danza come linguaggio alternativo: Labanotation III.VI L’influenza del Bauhaus: da Kandinsky a Schlemmer III.II L’evoluzione contemporanea del movimento

III.IV Il caso di Trisha Brown III.III Pina Bauch, Teatrodanza

V_ Manuale di progettazione

V.I Teorie antropomorfe per la progettazione V.II Edward Hall: The Hidden Dimension V.III Tipologie di spazi interni

V.IV Manuale di progettazione V.IV.I Introduzione

V.IV.II Schede di progetto di spazi interni IV.VI Ugo La Pietra, Il sistema disequilibrante IV.VII Progetto Video

IV_ Progetto video: “Soul Rock”

IV.I Lo studio dell’improvvisazione nella danza IV.II Il movimento funzionale: Axis Syllabus IV.III La danza Butoh

IV.IV I Situazionisti

IV.V Guy Debord, The Naked City

IV.VII.I Introduzione IV.VII.II Scelta delle locations

IV.VII.III Attrezzature e tecniche utilizzate

6 10 26 38 54 64 98 158 222 68 82 90 102 110 116 124 136 146 162 168 174 180 184 188 200 226 232 236 238 Bibliografia 254

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ABSTRACT

«

L’uomo che davanti alla stazione cerca di abbracciare la donna

per salutarla, e la donna che certamente è stata, poco prima, la sua

amante, rigida, se ne difende; i movimenti che fanno, stranamente

regolari e concordanti, sembrano un nuovo modo di danzare, più

bello e più vivo di tutte le danze in voga... e io vidi, per così dire,

nascere una danza dalle nostre storie quotidiane...

»

(Peter Handke, Il peso del mondo).

C’è un velo sottile che divide un gesto di danza da un gesto

quotidiano. I semplici movimenti che compiamo ogni giorno hanno

un senso e un fine ultimo. A volte spinti da un bisogno di primaria

necessità, altre volte semplicemente dalla ricerca del piacere. In

entrambi i casi hanno origine da un istinto profondo e spontaneo.

Non si tratta di raziocinio, ma di semplice e puro istinto che

governa le nostre azioni. Se parallelamente si esamina la natura

del motore propulsore che spinge un ballerino ad avvicinarsi e

praticare la danza, ci si ritrova alla stessa identica conclusione. La

difformità è insita nell’esigenza che è alla base del movimento:

nel caso della danza è di natura immateriale e non tangibile; Il

desiderio di esprimere attraverso il proprio corpo una necessità

emozionale.

Lo scopo della tesi è osservare e analizzare, l’effetto prodotto dalle

due tipologie di movimento,comune e danzato, che si manifesta al

mondo esterno. Ciò che ne risulta è la generazione di una forma

che, in maniera più o meno consapevole, ha un’accezione estetica.

Sebbene differiscano gli stimoli di partenza, sia un ballerino

che una persona comune, nel momento stesso in cui sceglie di

muoversi, stabilisce anche di interagire con lo spazio e di plasmare

al suo interno delle figure. In fase progettuale quindi, bisogna

tener conto di questo dato evidente e per nulla trascurabile. Ogni

spazio può essere trattato come la metafora di un palcoscenico,

nel quale gli individui che lo abitano, sono inconsapevoli performer

dello spettacolo della vita.

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ABSTRACT

« The man that in front of the station tries to hug the woman to greet her, and the woman who indeed was, , his lover, rigid, tries to defend; the movements they make, strangely regular and conform, resemble a new way of dancing, most beautiful and lively of all the popular dances... and i saw, in a manner of speaking, a dance arising from our everyday stories...»1.

There is a subtle veil that separates a dance gesture from an everyday gesture.

The simple movements which we execute everyday have a meaning and an ultimate objective. Sometimes driven from a primary need, other times simply from the research of pleasure. In both cases, movements are originated from a deep and spontaneous instinct. It is significant to claim that is not about rationality but this is a simple and pure instinct which governs our actions. If, in parallel, one examines the nature of the propulsive engine which drives a dancer to become interested and practice the dance, one arrives to the same identic conclusion. The difference is bonded with the need at the base of the movement: in the case of dance, it is intangible and untouchable; The desire to express an emotional need using our bodies.

The aim of the thesis research is to observe and analyse the effect produced in the outside world by this two typologies of movement, ordinary and danced.

The outcome is the production of a shape which, in a more or less aware way, has an aesthetic acceptation.

In spite of the different initial incitements, both a dancer and an ordinary person, in the exact moment in which decides to move establishes an interaction with the space and shape figures within it.

During the design phase, it is not possible to find this evidence negligible. Thus, every space can be considered as the metaphor of a stage where the individuals who inhabits that stage are unintentional performers in the show of life.

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I

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Si può comprendere meglio lo spazio e la sua

conformazione, attraverso lo studio del corpo

e di come questo meccanismo si relaziona con

l’ambiente, sul piano fisico o su quello empatico.

La percezione soggettiva dell’utente è di primaria

importanza, per soddisfare i criteri di piacevolezza

che uno spazio deve necessariamente offrire.

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I.I Il ruolo centrale dell’assenza

« Trenta raggi sono uniti nel centro della ruota il foro nel mezzo la rende utile. Plasmare l’argilla in una ciotola. Lo spazio vuoto la rende utile. [...] Pertanto, il valore deriva da ciò che è lì

ma l’uso viene da ciò che non c’è » 2 . Con i suoi versi , Lao Tzu, filosofo dell’antica Cina e padre

del Taoismo, pone l’attenzione sull’importanza del senso del vuoto. Tematica fondamentale delle teorie Zen sulla quale si fondano le radici della mente umana. « La natura opera nel vuoto e l’uomo deve essere in armonia con essa. Il vuoto è, quindi, non semplice negazione del pieno, ma un’entità esistente. Il vuoto è indefinito, indifferenziato e, quindi, con infinite possibilità di trasformazione.

Il vuoto è affrontato dal taoismo classico non solo in termini di spazio, ma anche in termini di tempo. Esaminando i pieni e i vuoti di questo mondo, la misura degli esseri è infinita e il loro tempo non ha termine » 1 .

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16 17 Tadao Ando - Chiesa della luce, Osaka, Japan, 1989

Tenendo come riferimento le teorie sul vuoto del taoismo, il negativo si manifesta vitale per le forme architettoniche e fa in modo che si armonizzino naturalmente tra loro consentendoci di viverle con sensibilità umana.

Il vuoto è necessario anche nelle arti. La musica viene riprodotta sul silenzio tra i toni, oltre che sui toni. Grandi romanzi ci incuriosiscono con ciò che non è enunciato. I dipinti ci affascinano per ciò che omettono. La danza incanta nei momenti di immobilità. Il nulla è presente ovunque. Senza di esso, ci sarebbe il caos.

Il fatto che esistano spazi vuoti privi di materia tangibile, non fruiti, luoghi di distrazione, fa si che possiamo collocarvi qualcosa, muoverci, occupare, in un certo senso ci consente di esistere. Per Tadao Ando, la ricerca di oltrepassare la dimensione spaziale nei suoi edifici, diventa un’operazione naturale. Solo le vibrazioni della luce proiettata e del vuoto si distaccano per suggerire la composizione spaziale. Le forme trascendono la loro natura e diventano invisibili ma non per questo inconsistenti.

Lo spazio non è l’ambito (reale o logico) in cui le cose si dispongono, ma il mezzo in virtù del quale diviene possibile la posizione delle cose. Ciò equivale a dire che, anziché immaginarlo come una specie di etere nel quale sono immerse tutte le cose o concepirlo astrattamente come un carattere che sia comune a esse, dobbiamo pensarlo come la potenza universale delle loro connessioni.

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« La relazione uomo-ambiente è paradossale: il mondo esiste di per sé, ma esiste a partire da un soggetto che lo coglie. In generale i luoghi incarnano specifici modi di concepire relazioni sociali, quando non si preoccupano di naturalizzare forme di gerarchizzazione. La spazialità è quindi un linguaggio. Suggerisce determinati significati a partire da allestimenti, proprio come la lingua esprime i concetti attraverso le articolazioni sonore. Non si può avere un’azione senza uno spazio che la contiene così come non si può avere una percezione dello spazio senza vederci, compiervi o immaginarvi un’azione.

Lo spazio identifica: il luogo di appartenenza è uno dei primi tratti che consentono di individuare una realtà sociale. Lo spazio comunica: ci indica come dobbiamo percorrere le strade, come comportarci in un determinato posto. Lo spazio è il luogo, la forma e il prodotto dell’esperienza e in quanto tale è legato alla soggettività. Anzi è largamente condivisa l’opinione secondo cui spazio e soggetto si interdefiniscono. Ad esempio le distanze tra gli individui, definiscono tipi di relazione e gerarchie sociali » 3.

Soglie, bordi, frontiere e limiti si occupano di definire lo spazio e di distinguerlo da quello che gli sta intorno. Una zona indifferenziata non ha in se una propria identità ed è priva di senso. E’ necessario che essa venga messa in forma, segmentata, perché si crei uno spazio. Soglie e limiti si definiscono a partire da una relazione reciproca. Numerosi elementi nascono da sistemi di soglie e limiti. Guardando un muro e una porta ad esempio, il primo suggerisce un limite, il secondo invita ad oltrepassarlo. Un muro da un lato ci induce a cercare un accesso, dall’altro ci prescrive un divieto.

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20 21

Tadao Ando - Hyogo Prefectural Museum of Art, Kobe, Japan, 2002

L’interno del Museo d’Arte Moderna Prefetturale di Hyogo è straordinariamente minimalista. Come ha fatto nella Chiesa della Luce di Osaka, l’austerità nell’uso di colori e materiali (cemento, pietra, acciaio e vetro) sottolinea la maestosità dello spazio e della luce, che Ando manipola per fornire agli utenti numerose sensazioni di scala e tono, e allo stesso tempo è un ambiente perfetto per ospitare l’arte moderna, spesso colorata e dalla forma unica e stridente.

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L’ opera ambientale più estesa di Serra, Shift, identifica il suo scopo in una sorta di autocoscienza corporea rispetto al territorio. Questa autocoscienza si genera attraverso l’interazione del corpo con una serie di muri che procedono a zigzag e disegnano orizzonti in continuo movimento apparente. La fine di ogni muretto segnala la distanza che un corpo può percorrere senza essere perso di vista da chi si trova all’altra estremità del muro. Al di là di una visione planimetrica e astratta dello spazio, Serra sostiene la centralità del corpo in movimento nello spazio vuoto e di questa esperienza nel tempo. Nessuna installazione ambientale può essere percepita interamente attraverso uno sguardo dall’alto, ma soltanto per mezzo del movimento e il passare del tempo. Le sue sculture infatti, sono spesso testate direttamente sul terreno in funzione della topografia .

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Tomàs Saraceno - On Space Time Foam, Pirelli Hangar Bicocca, Milano, 2012/13

In questa installazione Saraceno pone l’accento sui movimenti che i visitatori compiono nel vuoto che si viene a creare tra le membrane galleggianti, mettendo in scena la variabile temporale. La struttura è impostata ad un’altezza di 14 - 20 metri e composta da tre livelli accessibili al pubblico. Il titolo dell’opera può essere ricondotto alla meccanica quantistica sulle origini dell’universo, secondo la quale, le particelle subatomiche in movimento possono innescare cambiamenti nella materia spazio-temporale. Liberamente ispirato da queste teorie, Saraceno rende i loro movimenti metaforicamente visibili. Il carattere mutabile, rende le interrelazioni tra le persone e lo spazio visibile, un tentativo di superare le leggi di gravità.

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26 27 Nacera Belaza - Les Sentinelles, 2010

Nacera Belaza è una coreografa franco - algerina che studia e sperimenta il lavoro sull’attesa concentrandosi sull’immobilità piuttosto che sulla dinamicità del movimento. In questa performance le ballerine impiegano 50 minuti per attraversare i nove metri di palcoscenico, in un’autentica traversata interiore.« Questi tre quarti d’ora sul palcoscenico possono trasformarsi in un’attesa infinita. Tutto dipende da come si vive il tempo, da come lo si riempie e da quale rapporto instauriamo con la durata. È molto affascinante come un’ora possa essere nulla, oppure qualcosa di interminabile. Il tempo non è misurabile, si tratta piuttosto di atemporalità » 4.

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29 John Cage, 1912/92

Di tutte le figure che hanno contraddistinto la musica del secolo scorso, John Cage è di sicuro una delle più curiose e particolari. Prima di intraprendere gli studi di composizione, apprese i rudimenti di architettura, si interessò di pittura e poesia, palesando un eclettismo fuori dal comune e dimostrandosi già affascinato dalle arti e la loro combinazione. Dopo il progressivo avvicinamento al buddismo zen, produsse la composizione Music for Changes che, essendo composto per metà da pause, esprimeva la sua ricerca di equilibrio tra suono e silenzio. Per approfondire i propri studi sull’assenza del suono e per riuscire a udire il vero silenzio, Cage si recò ad Harvard, per sperimentarlo all’interno di una camera anecoica. Il musicista si rese presto conto che il suo intento era irrealizzabile, perché pur essendo solo all’interno della camera non avrebbe potuto evitare di udire due suoni distinti: uno prodotto dal suo sistema nervoso, l’altro prodotto dal proprio sangue in circolazione. Questo pensiero arrivò a compimento però solamente con 4’33”. In questo componimento Cage attuava un processo sottrattivo, spogliando il brano da ogni scelta razionale da parte del compositore, e metteva in discussione i ruoli canonici, con l’intento di ribaltare la prospettiva e rendere il pubblico il vero esecutore della composizione. La musica viene suonata senza strumenti, rendendola ogni volta frutto di casualità: al silenzio si sostituiscono i rumori dell’ambiente e il mormorio del pubblico, creando così, ogni volta che il pezzo viene eseguito, un risultato diverso.

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I.II Il corpo del fruitore al centro di tutto

« Etimologicamente definire lo spazio è stabilire la sua esatta natura come se fosse una cosa materiale all’interno della quale sono collocate tutte le cose materiali. Secondo Cartesio spazio e tempo sono categorie. Lo spazio era l’oggetto che dominava i sensi e i corpi. In architettura definire lo spazio significa delimitarne i confini » 5 . La funzione di uno spazio ha come unico giudice il corpo nel quale si sente e all’interno del quale si agisce. L’occhio umano è l’unico strumento capace di fornire un’inquadratura rispetto all’intera area di azione. I corpi non si limitano a muoversi all’interno degli spazi prodotti dai loro movimenti, ma li generano.

Ne deriva che le azioni sono in grado di qualificare l’ambiente e la sua specifica funzione.

Questa affermazione è espressa in maniera evidente dall’Effetto Kulešov: due registi sovietici, Lev Kulešov e Vsévolod Pudovkin, tentano un esperimento decisivo per la storia del cinema e non solo. Selezionano un’inquadratura in primo piano dell’attore Ivan Mozzuchin e la montano in successione con tre inquadrature differenti: un piatto di minestra, una donna e una bambina dentro una bara. Seppur l’inquadratura in primo piano dell’attore fosse in realtà la medesima in tutte e tre le situazioni proposte, il pubblico reagì alla visione del montaggio mostrando grande enfasi. La percezione delle emozioni trasmesse dal primo piano di Mozzuchin variava in base all’inquadratura di riferimento: fame, piacere, dispiacere. Allo stesso modo l’architettura non può essere scissa dalle azioni che avvengono al suo interno.

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Tra le architetture che hanno il movimento dei corpi come parte fondante del progetto c’è il Padiglione per l’esposizione della RAI dei fratelli Castiglioni del 1965. Su una superficie di 36 × 11 metri sorge una struttura modulare, con pilastri perimetrali e capriate in ferro, con tetto piano. Il pubblico è obbligato a procedere in fila nel canale orizzontale, guardando all’interno dei telescopi illuminati dalla luce naturale proveniente dalle teste trasparenti. Questa mostra trova la sua forma naturale di spettacolo alla presenza del pubblico: infatti, le gambe mobili degli spettatori creano, sotto il canale orizzontale, una sorta di impressione di un gigantesco millepiedi, usando il pubblico come soggetto.

Un altro esempio è il progetto di Bernard Tschumi per l’Alfred Lerner Hall Student Center di New York. Le rampe di vetro attraversano il vuoto, collegando i diversi livelli e le attività del centro studentesco, mentre un’enorme parete di vetro porta luce nell’edificio e consente una straordinaria vista sul campus esterno. Lo spazio vuoto interno è animato e definito dal movimento di studenti e visitatori lungo le rampe. Durante il giorno, la luce filtra attraverso le rampe di vetro sospese. Di notte la luce artificiale mette in evidenza le silhouette in movimento. Tschumi:” non esiste architettura senza programma,

senza azione , senza evento.” La sua priorità era progettare le condizioni piuttosto che condizionare il progetto, con uno sguardo sempre rivolto al fruitore. Per stimolare i comportamenti del fruitore bisogna inserire elementi non abituali che incuriosiscano e destabilizzino (Antifunzionalismo tipico di B. Tschumi). Attraverso delle contraddizioni si mettono in crisi i principi fondamentali del funzionalismo ed si pone in risalto l’importanza della fruizione anzichè della funzione. « Le interazioni sociali avvengono in uno spazio che non si limita a fornire una cornice, ma contribuisce alla strutturazione dell’esperienza. Da qui l’ampia problematica relativa alla corporeità, proprio perché è il primo luogo attraverso il quale il soggetto si relaziona con il mondo esterno. Il corpo costituisce il primo centro di referenza dello spazio: davanti-dietro, sopra-sotto. Il ruolo attivo della persona rende le architetture emotivamente coinvolgenti dove lo spazio può essere esplorato e messo in relazione » 6 .

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Bernard Tschumu - Lerner Hall Student Center, New York, 1994/99 Achille e Pier Giacomo Castiglioni - XLII Fiera di Milano Padiglione RAI, Milano, 1965

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Gli spazi che integrano nelle proprie forme i comportamenti umani possono servirsi di tecnologie low tech o high tech. Il primo caso è il progetto di Ma0 per Piazza Risorgimento a Bari. Il dispositivo realizzato è costituito da panche rotanti incernierate ad una estremità che gli abitanti possono spostare secondo le proprie esigenze. In questo modo lo spazio pubblico è continuamente riconfigurabile secondo i desideri dei suoi abitanti.

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Una foresta di strisce di carta sospese, una sala conferenze completamente riempita con queste strisce di carta. A tutti coloro che sono venuti per ascoltare la lezione è stato dato un paio di forbici con cui tagliare le strisce. Per incontrarsi con gli altri, poiché c’erano diversi ingressi nella stanza, i partecipanti dovevano creare vari tunnel e liberare uno spazio nel mezzo. Quando tutti raggiunsero il centro della stanza, Gianni Pettena iniziò la lezione con il pubblico seduto sulle strisce di carta tagliate ammucchiate sul pavimento. Questa “lezione” sullo spazio era parte integrante della lezione in quanto lo spazio, sebbene creato in modo abbastanza casuale, era stato identificato e quindi “costruito” da ciascuno dei partecipanti.

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I.III Cambio di prospettiva: soggetto-osservatore

« Se l’uomo che usa lo spazio diventa parte integrante della sua estetica,allora egli non è più un semplice utente dell’architettura, ma è osservatore e attore al tempo stesso, diventando a tutti gli effetti uno “spett-attore” del progetto. Questo ruolo è duplice: da un lato i fruitori svolgono una parte attiva, in quanto attori più o meno consapevoli dei progetti architettonici, dall’altro però assumono anche un ruolo che potremmo definire passivo, perché costituiscono la necessaria controparte al dispiegamento della scena progettuale » 7 .

L’idea di movimento è intimamente connessa all’idea di cambiamento. Ogni spostamento non implica solo la presenza di un soggetto che si sposta, ma anche di un osservatore che lo inquadra. Il movimento quindi presuppone che il soggetto, con il suo campo percettivo, regoli e definisce i rapporti tra le cose che gli si presentano di fronte.

La percezione visiva rende tutto soggettivo e difficile da confinare all’interno di schemi prestabiliti. Uno spazio non può semplicemente essere classificato e trattato in termini scientificamente oggettivi. L’esperienza di ogni singolo utente sarà sempre influenzata da fattori incalcolabili che fanno parte dell’ambiente esterno o di stati d’animo presenti in quel singolo momento.

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L’orizzonte in movimento è un’opera che Studio Azzurro ha ideato per il Padiglione di Banca Intesa Sanpaolo in Expo 2015. Ideale linea di separazione tra terra e cielo, l’orizzonte rappresenta la differenza tra ciò che è realizzato e quello che è ancora da realizzare. Su grandi schermi, un mosaico di paesaggi diversi e perfettamente allineati costruisce uno scenario continuo che avvolge totalmente lo sguardo con visioni del territorio italiano. Con un semplice gesto il pubblico attiva le micro-narrazioni custodite dalla presenza di piccoli animaletti video proiettati a terra, quasi fossero scivolati fuori dagli scenari naturali. Il visitatore, sollevandoli, modifica l’aspetto dello scenario, fino a scoprire un’inattesa sorpresa visiva. Dissolto l’orizzonte, il pubblico si trova immerso nella dimensione del racconto che rivela l’impegno e l’attenzione alla conservazione del patrimonio artistico al supporto della produzione teatrale e musicale, fino al sostegno per le eccellenze, grandi e piccole, del tessuto produttivo e innovativo delle imprese italiane.

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47 Studio Azzurro - Le zattere dei sentimenti, Berlino, 2002

Tre tavoli di legno, ognuno dei quali porta il segno di una rottura, sono le zattere a cui aggrapparsi. Sui bordi del tavolo si scorgono delle mani che tentano di issare il proprio corpo. Il pubblico sperimentando col proprio tatto la superficie del tavolo può aiutare e/o negare la possibilità ai naufraghi di salvarsi, salendo sulla zattera. Così facendo può anche negare o ottenere per lui stesso la possibilità di portare a termine un proprio viaggio dei sentimenti.

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Studio Azzurro - Miracolo a Milano, Palazzo Reale, Milano, 2016

Miracolo a Milano mette in scena una storia sognante che trova il suo luogo di manifestazione in quattro specchi sensibili nel grande ovale centrale del soffitto della sala, dove le immagini video proiettate si inseriscono tra gli affreschi. Un ambiente sensibile, silenziosamente popolato di figure nascoste, che si presentano solo quando il riflesso di un visitatore riempie uno degli specchi. È allora che al posto del riflesso avanza un personaggio, si ferma, racconta un breve racconto su sé e sulla città, e con un salto si solleva e raggiunge il cielo, al centro della sala, nel grande ovale, dove si unisce a tutti coloro che già volano tra le nuvole, nel cielo di Milano.

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Rafael Lozano invece utilizza la tecnologia high tech per coinvolgere le persone che attraversano uno spazio pubblico. I movimenti sono amplificati e texturizzati grazie a fonti luminose poste a pavimento che proiettavano le figure dilatate a seconda della distanza tra il corpo e il meccanismo che generava luce.

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Gianni Pettena - Archithoughts II, Galleria Enrico Fornello, Prato, 2009

Concepito come introduzione ideale alla mostra allestita all’interno della galleria, l’installazione modifica la prospettiva spaziale dell’area antistante l’ingresso attraverso quattro elementi metallici di grandi dimensioni, la cui posizione viene percepita in modo diverso, formando l’immagine perfetta di un cubo mentre procedi verso la galleria. Una lezione sui molteplici modi in cui lo spazio può essere avvicinato e sulla necessità di mettere in discussione le nostre certezze sull’esistenza di uno spazio predisposto.

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« Sul finire degli anni sessanta del secolo scorso uno strano spettacolo deflagra nelle piazze e in altri spazi poco abituali al teatro. L’Orlando furioso che Luca Ronconi mette in scena dal poema dell’Ariosto, con il contributo drammaturgico non secondario del poeta Edoardo Sanguineti, rappresenta una vera e propria rivoluzione teatrale. L’uso di un testo non tratto dalla letteratura drammatica. Il montaggio delle scene operato dal regista, che avvicina lo spettacolo al concetto di “opera aperta” teorizzato in quegli anni in campo letterario, laddove cade ogni possibilità di interpretazione autoritaria. La simultaneità delle azioni che si sviluppano su carrelli mobili in mezzo al pubblico. La dialettica di straniante epicità del testo e di fascinazione emozionale della rappresentazione. Il risveglio dell’attenzione dello spettatore, sottratto alla passività della poltrona di platea e immesso in una situazione di pericolo che lo costringe letteralmente a prendere posizione. Ce n’è abbastanza per sorprendere anche i più smaliziati » 8 .

Al centro del teatro, al posto del testo, si insedia lo spettatore. Anche la drammaturgia dello spazio, viene infatti costruita pensando allo spettatore, o meglio ai singoli spettatori che non costituiscono più una massa omogenea ma possono essere pensati idealmente come tanti pubblici diversi. Uno spettatore costretto a prendere posizione e ad avere libertà di orientamento offerta dallo spettacolo.

Ronconi persegue l’utopia di un teatro infinito, che consenta una totale libertà di scelta da parte dello spettatore. Nella consapevolezza che lo spettacolo vero non è quello che si consuma nella sala teatrale, ma quello che resta nella memoria dello spettatore. Dove azioni, parole, corpi diventano emozione.

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56 57 Luca Ronconi - Orlando furioso, Chiesa di San Niccolò, Spoleto, 1969

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I.IV Manatthan Transcripts

« The Manatthan Transcript rappresenta lo studio impareggiabile della grafica architettonica trasformativa. Bernard Tschumi ha utilizzato una struttura tripartita, rispettivamente con fotografie, disegni architettonici e diagrammi, per trascrivere un’interpretazione architettonica della realtà. L’intento era quello di riuscire a imprimere nero su bianco non solo gli assetti spaziali, ma anche i movimenti dei diversi protagonisti che si intromettevano nel “palcoscenico” architettonico. Il tema dominante è la disgiunzione tra uso, forma e valori sociali. Lo spazio,il movimento e gli eventi sono indipendenti ma si trovano messi in relazione tanto da abbattere i componenti convenzionali dell’architettura »9 .

I Manatthan Transcript sono suddivisi in quattro distinti episodi eseguiti tra il 1979 e il 1981.

L’episodio 1: “The Park “, è ambientato a Central Park e ha come tema centrale della trama un omicidio, in opposizione ad un’architettura indissolubilmente legata all’azione estrema di cui è testimone.

L’episodio 2: “The Street”, si fonda su una tipica strada, la 42nd street, e ne analizza i confini piuttosto che soffermasi sull’evidenza di ciò che contiene. Ogni confine diventa spazio con gli eventi che ospita e con i movimenti che lo infrangono.

L’episodio 3: “The Tower”, raffigura il volo di un personaggio e la successiva caduta per tutta l’altezza di un palazzone di Manhattan. La drastica alternanza di percezioni causata dalla caduta viene utilizzata per esplorare varie trasformazioni spaziali e la loro distorsione tipologica

Infine l’episodio 4:”The Block”, mostra come cinque cortili interni di un semplice isolato testimoniano eventi contraddittori e impossibilità programmatiche. La disgiunzione tra movimenti, programmi e spazi, segue come una logica distinta, mentre i loro scontri producono le combinazioni più improbabili.

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Episodio 1: The Park

« They found the Transcripts by accident. Just one little tap and the wall split open, revealing a lifetime’s worth of metropolitan pleasures - pleasures that they had no intention of giving up. So when she threatened to run and tell the authorities, they had no alternative but to stop her. And that’s when the second accident occurred - the accident of murder. . . . They had to get out of the Park - quick. But one was tracked, by enemies he didn’t know - and didn’t even see - unil it was too late. THE PARK »10 .

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L’origine architettonica di ogni episodio si trova all’interno di una realtà specifica e non astratta. Le trascrizioni presuppongono sempre una realtà già esistente, in attesa di essere decostruita e infine trasformata. Tuttavia, il ruolo delle trascrizioni non è mai quello di rappresentare la realtà. Quindi, allo stesso tempo, gli edifici e gli eventi rappresentati non sono da considerarsi in quanto tali perchè subordinati alla distanza e alla soggettività. Quindi la realtà delle sue sequenze non risiede nell’accurata trasposizione del mondo esterno, ma nella logica interna che queste sequenze mostrano.

Tre livelli disgiunti di “realtà” sono presentati simultaneamente nelle trascrizioni: il mondo degli oggetti, composto da edifici astratti da mappe, piani, fotografie; il mondo dei movimenti, che può essere tratto dalla coreografia, dallo sport o da altri schemi di movimento; il mondo degli eventi, che viene sottratto alle fotografie di giornali. Questi livelli sono così intrecciati tra loro che in qualsiasi momento sono perfettamente intercambiabili.

Infine, va sottolineata l’evidente violenza programmatica: le trascrizioni propongono anche letture diverse della funzione spaziale usuale. La definizione di architettura potrebbe trovarsi anche nella logica del dolore e dell’angoscia, o di stati d’animo legati ad eventi che non vengono abitualmente considerati nel processo progettuale di un’architettura.

Note Capitolo I

1 Carlo di Stanisla, Il Tao e la ricerca del vuoto, <https://it.scribd.com/document/178474199/

Il-Tao-e-La-Ricerca-Del-Vuoto>, (2013).

2 Lao Tzu, Tao Te Ching.Una guida all’interpretazione del libro fondamentale del taoismo,

Urra, Milano, 2009.

3 Alice Giannitrapani, Introduzione alla semiotica dello spazio, Carocci Editore, Roma, 2013,

pg. 18.

4 Alessandra Cava, Scolpire il vuoto. Intervista a Nacera Belaza, < https://www.altrevelocita.

it/archivio/incursioni/3/vie-festival/34/2011/127/interviste/614/scolpire-il-vuoto-nacera-belaza. html >, (2011).

5 Bernard Tschumi, Architettura e disgiunzione, Edizioni Pendragon, Bologna, 2005, pg.27. 6 Alice Giannitrapani, Introduzione alla semiotica dello spazio, Carocci Editore, Roma, 2013,

pg. 26.

7 Davide Crippa, Barbara Di Prete, Verso un’estetica del momentaneo. L’architettura degli

interni: dal progetto al «processo», Maggioli, Rimini, 2011, pg. 205/206.

8 Gianni Manzella, La conoscenza del fare. Il teatro secondo Luca Ronconi,

< http://www.art-o.eu/la-conoscenza-del-fare-il-teatro-secondo-luca-ronconi/ > (2012)

9 Jeffrey Kipnis, Sherri Geldin, Perfect Act of Architecture, The Museum of Modern Art,

New York, 2001, pg. 58

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II

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Tutto ciò che ha una natura di carattere effimero

è soggetto al passare del tempo. In questo suo

tratto distintivo risiede anche il suo fascino. La

naturale attrazione verso qualcosa che esiste solo

nell’attimo stesso in cui la percepiamo.

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II.I Il tempo nella performance

In tutte le definizioni di danza emerge sempre come il movimento sia inseparabile dallo spazio e dal tempo. Coinvolge il corpo e tutti i suoi sensi. A differenza di altre forme di creatività, lo strumento della danza è il corpo umano.

La danza si nutre di spazio, il posizionamento coreografico stesso genera lo spazio. Il vuoto che intercorre tra i corpi dei ballerini è importante come il corpo stesso. Allo stesso modo, attraverso il negativo, l’architettura e la sua forma acquisisce significato. Grazie ad esso si innescano interazioni dinamiche e sociali.

Ma il vuoto non è l’unico fattore da tenere in considerazione se si analizza il movimento. Il tempo infatti, nella danza, stabilisce il ritmo e ne ordina il movimento. Nonostante la sua natura sia di carattere effimero, trascende il tempo e lo spazio. In architettura il tempo svela qualità spaziali attraverso l’esperienza e la memoria.

Con il tempo la performance ha spostato sempre di più la sua attenzione dalle preoccupazioni tecnico - virtuose, a quelle di durata e di corpo come meccanismo funzionale. Il movimento non era più legato al fraseggio musicale ma era il corpo stesso a determinare il tempo impiegato a spostare quel “meccanismo”.

Molti artisti decisero di rompere con la danza convenzionale e sperimentare nuove procedure.

Merce Cunningham studio un metodo alternativo del tutto inedito chiamato metodo “Chance”, che utilizzava come dispositivo coreografico. Il punto focale era la tecnica casuale per fornire un elemento di sorpresa nei suoi brani. I ballerini coinvolti avrebbero sviluppato sequenze basate sul caso usando i limiti di Cunningham. Per raggiungere questi risultati si concentrò su tempo, spazio e peso, sviluppando il metodo attorno a questi principi.

Yvonne Rainer con “Trio A” aveva mirato a esplorare la dinamica corporea intesa come ripetizione e come successione di azioni orientate a eseguire un compito, oltre che la distribuzione dell’energia in un fraseggio non modulato che doveva trasmettere l’idea di una performatività neutra.

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Yvonne Rainer, 1934 Merce Cunningham , 1919/2009

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L’utilizzo del tempo come motore propulsore dell’arte, diviene concreto con l’introduzione del termine “happening” nel 1959, quando A. Kaprow lo usa sul biglietto da visita della sua performance più famosa. L’happening ha lo scopo di abbattere la quarta parete, ovvero quella che divide l’artista e il pubblico. In queste azioni viene inserito l’elemento del tempo, che diventa parte integrante dell’opera stessa. Si tratta di un’esperienza unica che non può essere replicata. L’happening più celebre di Kaprow è “18 happenings in 6 parts” che si è svolto presso la Reuben Gallery di New York. Questa è stata la prima volta in cui un pubblico vasto ha potuto sperimentare questo tipo di esperienza. All’interno della galleria l’azione si è svolta in tre stanze separate ma interconnesse tra loro. Kaprow ha dato a ogni partecipante delle istruzioni scritte da seguire durante tutta la durata dell’azione. Queste ultime riguardano il compimento di azioni quotidiane, come dipingere, spremere un’arancia, spazzare il pavimento o sedersi su una sedia. Le istruzioni sono scritte su delle cartoline e la durata di ogni azione era scandita dal suono di una campanella, dopo il quale si passava alla cartolina successiva. Gli spettatori così si trasformano in un vero e proprio materiale attraverso il quale l’artista può rappresentare la propria visione dell’arte e del mondo.

« Si assiste così alla completa smaterializzazione del concetto di arte, non più ‘cosa’ ma ‘evento’ e ‘azione’, per di più esercitata in spazi non convenzionali, spesso nel tessuto urbano, entro i quali l’Happening irrompe con i caratteri dell’improvvisazione articolandosi su un canovaccio indicativo che lascia larghi margini di arbitrarietà: l’artista mette in scena la sua inventiva, la sua capacità creativa in fieri, lo spettatore diventa contemporaneamente artefice e utilizzatore del prodotto artistico, la creazione, la costruzione e la fruizione dell’opera d’arte coincidono, ognuno degli elementi componenti l’Happening è equidistante da un ideale baricentro che regge l’equilibrio dell’insieme: sembra così chiudersi un cerchio nel quale inizio e fine coincidono, in una perfetta corrispondenza di intenti ed azioni »1.

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78 79 Allan Kaprow - 18 Happenings in 6 Parts, Reuben Gallery, New York, 1959

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Yoann Bourgeois attore, acrobata e danzatore, dedica la sua vita all’ “arte vivente”. Al centro delle sue installazioni infatti, c’è sempre il corpo umano che viene sottoposto a sperimentazioni di carattere scientifico. Le sue “macchine” devono essere abitate da acrobati per diventare dispositivi che esplorano il movimento, attraverso diverse installazioni.

Tra le numerose installazioni e performance c’è “Energie”: nella fisica colui che cade e si rialza si chiama sistema, che non è isolato ma scambia energia con il resto del mondo. Nella caduta la sua energia cinetica determinata dalla velocità, aumenta. Quando si ferma sul trampolino entrambe sono pari a zero. In questo brevissimo momento, quando tutto è immobile, l’energia del movimento sta nella tensione del trampolino. Il trampolino poi restituisce il sistema disponibile e pronto per una nuova caduta. Il tempo non passa. il futuro e il passato sono identici, tutto ricomincia da capo senza una fine e senza un inizio.

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“Pendule de Focault” ha come punto focale il pendolo, un quadro di riferimento rotante e una forza di inerzia. Bourgeois in questo caso, pone la fisica del movimento al centro della nostra vita.

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Una piastra a rotazione rapida è la protagonista di “Inertie”. Alle consuete costrizioni dei nostri movimenti quotidiani, si aggiunge quella indotta da un mondo che ruota rapidamente su se stesso. Bisogna chinarsi per restare in piedi, per bilanciare e mantenersi in equilibrio.

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II.II Come il tempo ha cambiato l’approccio alla progettazione

« I movimenti di danza, sportivi, di guerra, costituiscono l’intrusione degli eventi negli spazi architettonici. Al limite, questi eventi diventano piano di azione o programmi privi di implicazioni morali o funzionali, indipendenti ma al contempo inseparabili dagli spazi che li racchiudono. [...] Tutte le relazione che intercorrono tra una costruzione e chi se ne serve sono improntate alla violenza, poichè l’uso implica l’intrusione di un corpo umano in un dato spazio, l’intrusione di un ordine all’interno di un altro. Questa intrusione è insita nell’idea di architettura. [...] La violenza dell’architettura è intrinseca e inevitabile, poichè l’architettura è legata agli eventi allo stesso modo in cui la guardia è legata al prigioniero, la polizia al criminale, il medico al paziente, l’ordine al caos. Questo suggerisce inoltre che le azioni qualificano gli spazi tanto quanto gli spazi qualificano le azioni, che lo spazio e l’azione sono inseparabili e che nessuna interpretazione adeguata dell’architettura, del disegno o della notazione può trascurare la considerazione di questo fatto »2.

Tschumi suddivide la relazione che intercorre tra azione e spazio in due categorie: simmetrica, nella quale lo spazio e il corpo si influenzano alla pari; asimmetrica, se uno dei due capri predomina sull’altro.

Il secondo caso è proprio quello di cui si parla della violenza dell’architettura inflitta dai corpi. In realtà ci sono casi in cui sono proprio gli spazi ad imporre violenze simboliche ai suoi abitanti. E’ il caso di corridoi o spazi stretti in luoghi affollati, camere bianche di deprivazione sensoriale, scalinate troppo ripide o percorsi pericolosi. Spazi ed eventi posso però viaggiare anche su binari separati ed essere indipendenti. Era stato così per il Crystal Palace e tutte le altre strutture progettate per le grandi Esposizioni che potevano ospitare qualunque cosa. Gli spazi non erano stati pensati e costruiti per uno specifico utilizzo o una particolare categoria di utenti e l’ambiente non prendeva in considerazione gli eventi che avvenivano al suo interno.

Al contrario la Cucina di Francoforte presentata anche all’Esposizione del Werkbund a Stoccarda, era stata progettata in ogni sua componente tenendo conto dei movimenti della casalinga, per facilitarne e favorirne l’esecuzione.

Due esempi agli antipodi nei quali è evidente la differenza di approccio progettuale nel caso in cui si pone al centro il fruitore anzichè la forma o l’estetica.

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Grete Schütte Lihotzsky - Cucina di Francoforte, Francoforte, 1926 Joseph Paxton, Sir William Cubitt - Crystal Palace, Esposizione Universale, Londra, 1851

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Nel mezzo tra il Crystal Palace e la Cucina di Francoforte, c’è il Guggenheim Museum di New York. Al suo interno la forma circolare del percorso espositivo, rende lo spazio e il movimento totalmente interdipendenti, tanto da non capire se uno dei due domina sull’altro o si influenzano a vicenda, senza un inizio ed una fine.

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Prendere in considerazione l’evento come principio demolitore dello spazio, mette in crisi l’idea canonica di progetto. Gli ambienti vissuti diventano imprevedibili e dinamici, relativi agli eventi che ne caratterizzano la forma e soprattutto l’aspetto immateriale.

Questa concezione impone anche di integrare nuove tecniche ai classici strumenti rappresentativi, attraverso i quali non è possibile raffigurare lo scorrere del tempo. « Emerge senza dubbio l’incapacità della triade vitruviana

di rappresentare il mutevole panorama progettuale contemporaneo.

Al posto di venustas, firmitas e utilitas potremmo quindi parlare di dinamicità, flessibilità e transitorietà oppure, riferendoci alle dissertazioni di B. Tschumi, di “spazio, evento e movimento” (B. Tschumi,2005). Certamente questi tre termini, che Tschumi stesso attribuisce all’eredità Situazionista e del Sessantotto, costituiscono criteri di lettura più efficaci di quelli vitruviani.

Ogni progetto contemporaneo, per essere rappresentativo del nostro tempo, dovrebbe dunque essere letto - e progettato - considerato contemporaneamente questi parametri: lo spazio (fisico, materiale), il movimento (del corpo nello spazio) e l’evento (l’uso); essi non devono però essere pensati separatamente, bensì dovrebbero trovare la massima valorizzazione nelle loro influenze reciproche.

Quello che affascina Tschumi sono dunque, essenzialmente,l’uomo e il suo comportamento; non a caso, come si è visto precedentemente, è stato tra i primi progettisti a teorizzare un’architettura pensata “con” l’uomo e non solo “per” l’uomo. Egli è soprattutto interessato a come l’azione scardini i principi dell’architettura e le buone intenzioni degli architetti »3.

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II.III Bernard Tschumi, Parc de la Villette

Il principio guida di questo progetto è quello dello spazio vuoto e di ricostruire l’architettura lungo assi differenti, dimostrando che tra spazio, movimenti ed eventi c’è una relazione intercambiabile.

Una griglia di quarantadue punti tenuta insieme dai movimenti dei soggetti che la vivono.

Evidente in questo progetto sono le influenze che Tschumi attinge dalla cinematografia ma anche dalla coreografia. Il parco è suddividono in uno schema tripartito composto da linee, punti e superfici.

Le Linee modellano un circuito di strade e percorsi che raccordano le varie parti del progetto. I Punti, materialmente dei cubi di dieci metri per dieci a tre piani, sono padiglioni adibiti a servizi di vario genere destinati al pubblico e collocati nei punti di intersezione di una griglia immaginaria. Infine le Superfici sono delle macro-aree tematiche, di forma irregolare, rivolte allo svolgimento di attività che necessitano di spazi ampi come sport o mercati all’aperto.

Il “caos” del progetto era amplificato da alcuni fattori scelti da Tschumi. Il disegno dei giardini era affidato infatti a diversi progettisti; i Punti avevano una forma imposta ma non una funzione prestabilita; per ogni struttura veniva utilizzato un passo diverso così da andare contro qualsiasi ordine.

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« Un altro progetto in cui si sviluppa l’idea di movimento attraverso i “vectors” è l’Interface Flon Railway and Metro Station di Losanna. Si sviluppa dalla caratteristica topografia collinare di Losanna, dove le strade sembrano sospese, gli edifici sembrano sepolti nel terreno e i ponti fungono da incroci a più piani.

L’interfaccia è uno dei quattro “ponti abitati” proposti nel piano generale. Le sue rampe, le scale mobili e gli ascensori collegano i livelli inferiori della valle - che sono attualmente pieni di magazzini industriali - ai livelli superiori della città storica.

Le diverse parti della stazione sono concepite come vettori di movimento in un sistema di circolazione dinamico »4.

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4 Bernard Tschumi Architects, <http://www.tschumi.com/projects/16/>

3 Davide Crippa, Barbara Di Prete, Verso un’estetica del momentaneo. L’architettura degli

interni: dal progetto al «processo», Maggioli, Rimini, 2011, pg. 192.

2 Bernard Tschumi, Architettura e disgiunzione, Edizioni Pendragon, Bologna, 2005, pg.90,98.

Note Capitolo II

1 Vilma Torselli, Happening o arte comportamentale, < http://www.artonweb.it/artemoderna/

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III

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Il corpo è un vettore di senso che si insinua

metaforicamente nello spazio. Danzando si esprime

la proprio anima, i timori oscuri, i desideri celati.

Un linguaggio non verbale che si manifesta molto

più eloquente della miglior orazione mai scritta.

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III.I Cenni di storia della danza

La danza nasce come bisogno espressivo già con l’uomo primitivo che, non possedendo il linguaggio parlato, faceva uso dei gesti per comunicare. La prima forma di danza che si è sviluppata era quella del girotondo/ cerchio, al cui interno si collocava un altare con una divinità. Durante questi veri e propri riti, nacque anche la prima forma di ritmo prodotta soltanto dal battito delle mani.

Con il passare del tempo iniziano a nascere spazi costruiti e dedicati alla danza che diviene così una forma di spettacolo. In Grecia nel 55 a.c. nasce così la pantomima, una forma mimica e coreografica dalla quale veniva esclusa la parola. Gli attori indossavano maschere e tuniche bianche interpretando dei personaggi a tema mitologico o religioso.

Per poter ospitare questi spettacoli, iniziarono ad essere costruite delle strutture architettoniche adatte ad ospitarli che avevano quasi sempre forma semicircolare.

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Con il 1400 e il Rinascimento la danza si sviluppa come arte codificata, inizialmente con l’Intermezzo. Era una sorta di balletto coreografato che veniva eseguito durante i cambi di scena di alcune opere teatrali, allo scopo di intrattenere il pubblico. Il suo fascino però colpì gli spettatori tanto da diventare uno spettacolo autonomo e anche a pagamento.

In questo periodo compare anche la figura del maestro di danza che aveva il compito di trasmettere la tecnica, la musica e le coreografie.

Nel 1600 poi sorgono i primi teatri pubblici, che avevano uno stile molto ricco e pomposo che si rispecchiava anche nei costumi di scena. In particolare nel 1661 viene fondata l’Académie Royale de Danse da Re Luigi XIV a Parigi. Per la prima volta un sovrano investe una grossa somma di denaro per la costruzione di un luogo destinato alla preparazione tecnica dei ballerini. Da questo momento infatti la danza diventa un fenomeno a carattere professionale con regole ben precise e passi codificati.

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Nel ‘700 nasce Le Ballet d’Action nel quale la danza non ha più funzione secondaria di accompagnamento al canto ma diviene forma di spettacolo autonoma. I ballerini abbandonarono i costumi pesanti e le parrucche in favore di abiti più leggeri che gli consentissero di eseguire movimenti più naturali. Tutto il corpo doveva esprimere emozioni e raggiungere il pubblico. La musica non doveva essere più da ornamento ma coincidere con il movimento. Nel 1789 viene messo in scena dal coreografo Jean Dubervall, il primo esempio di balletto, “La fille mal gardèe”. Per la prima volta in uno spettacolo di danza si ritrae la realtà sociale quotidiana di quel periodo.

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Con il Romanticismo si afferma definitivamente il balletto moderno e vengono introdotti il tutù e l’utilizzo delle punte per le ballerine, che si avvicinavano sempre di più all’idea della figura romantica della donna, leggiadra e sfuggente. Fra i primi balletti romantici ricordiamo “La Sylfide” di Filippo Taglioni del 1832, storia di un’amore finito in tragedia, tipica tematica del romanticismo. Del 1841 invece è la “Giselle” di Coralli e Perrot nella quale viene rivalutata la figura maschile. Il primo atto è ambientato in campagna dove Giselle era una contadina. Si innamora di un principe ma impazzisce e muore poichè l’oggetto del suo amore era già promesso ad un’altra donna.

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III.II L’evoluzione contemporanea del movimento

Alla fine dell’ 800, l’inaridimento era giunto al limite. Il terreno era propizio alla reinvenzione della materia, ed è su queste basi che si innestano le rivolte della danza libera europea e della modern dance americana. In America, Isadora Duncan si lancia contro le costrizioni del balletto classico accademico, ipotizzando un ritorno alla naturalità del movimento danzante. Isadora e gli altri pionieri della modern dance, iniziano a ricercare nuovi sistemi oggettivi da poter trasmettere. Questa ricerca porta però alla formazione di linguaggi multipli generati da un presupposto soggettivo: devono essere validi nella pratica personale di ciascun coreografo. L’esistenza di varie tecniche si costituisce come la fondamentale caratteristica della modern dance.

In tutte queste tecniche sono individuabili una serie di principi comuni, il primo dei quali consiste nella precisa e unificante attitudine a considerare la danza da un punto di vista dinamico. Questo dinamismo implica un allontanamento dalla logica della tensione per aprirsi all’impulso e allo slancio. Le sequenze di movimento sono concatenate da una necessità dinamica. Non esistono pose statiche, ogni punto d’arrivo è implicitamente anche il punto di partenza del movimento successivo.

La legge dominante di questo procedimento è l’espressività: niente può qualificarsi a prescindere dalla sua natura espressiva.

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Questa nuova prospettiva implica un diverso rapporto con il ritmo che viene sentito e interiorizzato. Questo ritmo interiore nasce da un centro propulsore e si irradia a tutte le periferie del corpo. A tutto ciò è connesso anche il rapporto con il suolo: ci si deve orientare verso le forze naturali del corpo soggetto alla forza di gravità e di conseguenza al suo peso. Un’ altra caratteristica della modern dance è il rifiuto di un estetismo precostituito in favore del vero. In questa ricerca si avvicina sempre di più a temi che riguardano il suo presente storico, ristabilendo un rapporto tra danza e cultura contemporanea. Da questa volontà nasce anche la connessione tra modern dance e femminismo. Isadora Duncan a tal proposito, parla di una “donna nuova, libera, scevra da imposizioni moralistiche, in grado di prendere coscienza del proprio ruolo attivo nella società e nella cultura, capace di danzare la propria esistenza”.

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A perseguire questi principi fu poi Martha Graham, fondatrice di una sua personale tecnica e di una compagnia. Il suo repertorio conta più di cento coreografie e si concentra principalmente su due settori: drammatico e tecnico. Lavora molto su una teatralità totalizzante, che coinvolge il corpo nella sua totalità, fino ad arrivare anche al volto. Alla Graham va inoltre riconosciuta l’innovazione nella scelta dei temi volti alla psicoanalisi, alla politica, alla scienza. Il virtuosismo acrobatico perde di senso e di funzione, poichè la tecnica si trasforma in mezzo, non in fine. Le sue danze sono puramente espressive e devote al senso di gravità e di costante aderenza al suolo.

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III.III Pina Bausch, Teatrodanza

Pina Bausch, nata a Solingen nel 1940, è l’esponente di punta dell’odierno filone dell Tanztheater tedesco. Sin da subito opera una frattura con il balletto convenzionale, lavorando prevalentemente sulle percezioni del quotidiano. Cerca di riappropriarsi della realtà e dell’esperienza comune, basata sui particolari e sulle singole situazioni. Inserisce e fonde elementi di teatro parlato, filmati, elaborazioni coreografiche del gesto. Il quotidiano è sempre rivissuto attraverso un filtro di una dimensione fuori dal campo, in cui realtà e immaginazione si intrecciano di continuo. Così la rappresentazione, tende a coinvolgere il pubblico in una partecipazione emotiva diretta, per questo definito “teatro dell’esperienza”. La sua particolare impostazione registico - coreografica ne costituisce il marchio di fabbrica e rappresenta il punto di arrivo di tutta la sua carriera in costante evoluzione. Con Cafè Muller mette in scena nel 1978, l’ossessione dell’incontro, del contatto, dell’inafferrabile equilibrio tra i sessi. « Lo spossante inseguimento di tre coppie si sublima in una coazione senza contatto, che insegue il distacco, l’amore, la morte: composto e ricomposto come una ciclica unione tra spettri, o sonnambuli, il rapporto a due viene ripercorso come un labirinto che non dà respiro, nell’immobilità del tempo e delle emozioni »1.

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Attraverso i danzatori è come se ogni volta Pina volesse dire: viviamo rappresentandoci, ci rappresentiamo vivendo. E il teatro, come la vita, consiste in una grandiosa auto rappresentazione in cui l’emozione del rappresentarsi coincide con l’emozione stessa di esistere. Si sviluppa on questo senso, l’idea di spettacolo come esperienza, come rappresentazione teatrale che avviene in un preciso luogo in un preciso momento.

« Ma questa riduzione dell’esperienza scenica alla parola, verrà presto superata, rivendicando il senso della presenza e del gesto, delle musica e della durata. In queste nuove condizioni si fa teatro con la voce, con il corpo, con il suono, con il vuoto. Il tempo dello spettacolo si dilata e si contrae liberamente. Si fa teatro in teatro, nei negozi, nei garage, per le strade »2.

Amarezza, rabbia e brutalità sono le atmosfere dominati in molti lavori della Bausch, davanti alle quali lo spettatore può anche rimanere perplesso. Ma non si può non riconoscere che sia riuscita nel suo intento: provocare una risposta emotiva nel pubblico, che è costretto ad affrontare a viso aperto emozioni che preferirebbe tenere nascoste. START 1 2 3 4 5 6

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III.IV Il caso di Trisha Brown

Il lavoro di Trisha, che debutta con Trillium nel 1962, si caratterizza da subito per la grande raffinatezza dello stile compositivo, per il suo vocabolario gestuale, articolato secondo rapporti matematici, variazioni, dove unità minime di gesto si dispongono per poi deflagrare nel tempo e nello spazio in improvvise collisioni.

Attraverso un esercizio consapevole e costante di “pienezza della presenza”, l’astrazione diventa poetica e raggiunge il territorio di una profonda emozione, priva di retorica, dove entità di movimento sono ingabbiate, trattenute in un’instabile struttura molecolare fino a liberarsi in una partitura coreografica di ampiezza spaziale, quasi architettonica.

Interrogata sulla natura della danza, Trisha Brown rispondeva definendola come un rapporto tra spazio, tempo e intensità, che la coreografa statunitense ha declinato con forme e metodologie sempre inedite, in ognuna delle oltre cento produzioni che hanno segnato la sua prolifica carriera.

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Trisha Brown ha portato, pioneristicamente, la danza negli spazi museali, sulle pareti dei grattacieli, nelle gallerie, nei parchi, aprendola alla dimensione urbana, profondamente pubblica, coreografando lo spazio, il tempo, l’architettura.

Memorabile è uno dei suoi lavori: Walking Down on the Side of a Building, presentato per la prima volta nel 1970, all’interno della serie Equipment Pieces. Allestita all’interno di un’area abbandonata della città di New York, sulla superficie di un palazzo di sette piani dove risiedeva una delle prime Fluxhouse cooperatives di George Maciunas, la performance rappresentava una sfida alla gravità. Trisha, sospesa nel vuoto, a 90 gradi rispetto alla verticalità della parete, simulava l’atto del camminare affidando il peso a corde tenute da collaboratori situati sul tetto. Un lavoro sul limite, fisico e percettivo, in cui il corpo del performer e lo sguardo dello spettatore venivano sottoposti, con grande semplicità e purezza, a una condizione estrema.

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Walking Down on the Side of a Building rappresenta una tappa importante di un percorso artistico che insiste sulla soglia tra arte visiva e coreografia, intesa come scrittura dello spazio attraverso il movimento, partitura ritmica del frame visivo.

Questo rapporto appare ancora più importante oggi, in un periodo storico di urgenze profonde, quando la danza travalica la porta di studi e teatri per aprirsi al tessuto urbano, dando sfogo alla propria vocazione pubblica, alla propria forza scultorea, alla sua intrinseca necessità relazionale.

La libertà e la gioia nella composizione hanno caratterizzato la ricerca di Trisha Brown sino alla fine, anche quando, attraverso il confronto con i compositori classici, si è spinta a indagare un territorio inesplorato e a definire una nuova relazione con la partitura musicale e con la storia, in un percorso a seguito del quale il ritorno all’astrazione non sarebbe più stato possibile.

« Il desiderio di creare una “clear dance” sembra andare nella direzione di un’arte asciugata da elementi canonici tradizionali e molto vicina alle ricerche dell’astrattismo e del minimalismo. Il legame con la città emerge in maniera lampante del pezzo Roof Piece.

“ Rappresenta la mia idea di trasmettere a distanza. Così sono salita sul tetto della mia casa mentre i danzatori erano distribuiti sugli edifici circostanti. La città a volte è schiacciante e si sente il bisogno di sentirsi liberi. E così io facevo dei movimenti e la persona sull’altro edificio mi seguiva.”

Come per gli artisti minimalisti, concettuali ma anche per coloro che facevano Land Art, per lei lo spazio non è più il fondale dove si realizza l’opera o dove il corpo del danzatore si muove, ma diventa una componente fondamentale dell’opera »3.

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La Brown ha lavorato con la linea come strumento rudimentale che la guidò in una serie di scoperte a livello geometrico, ma la ispirò anche per la qualità del movimento trasferito in un corpo reale. Studiò la connessione tra disegno e danza attraverso la linea, fino ad utilizzarlo come strumento per generare nuovi movimenti.

In un’analisi anatomica di base, gli arti sono paragonati alle linee. Tutti i movimenti complessi degli arti possono essere analizzati attraverso le azioni di flessione, raddrizzamento e rotazione. La combinazione di questi tre movimenti crea l’intera gamma di articolazione, il che implica il dinamismo e l’energia creata dalla tensione e dalla direzione.

Sperimentando il virtuosismo e la fisicità dell’esecuzione del disegno e, sperimentando le caratteristiche essenziali, dell’espressione lineare, è stata in grado di incarnare la qualità cinestetica della linea nel movimento. Il disegno Locus riecheggia le idee di Sol LeWitt sull’arte concettuale, sottolineando l’importanza dell’idea della forma. La partitura di Locus permette di studiare il movimento attraverso la forma del cubo, che non solo collega visivamente il corpo del danzatore ad uno spazio tridimensionale, ma lo spinge anche a pensare alle transizioni spaziali tra movimenti e composizione danzata. La qualità fondamentale del cubo è la sua combinazione di uniformità e adattabilità. Le sue parti sono equivalenti tra loro, e per questo con un potenziale

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III.V La danza come linguaggio alternativo: Labanotation

« La sorprendente struttura del corpo umano, con le sue incredibili possibilità d’azione, rappresenta uno dei maggiori miracoli dell’esistenza. Ogni fase del movimento, ogni minimo trasferimento di peso, ogni singolo gesto di qualsiasi parte del corpo rivela un aspetto della nostra vita interiore.

Il movimento ha una sua qualità che non è il suo aspetto utilitaristico o visibile, ma la sensazione… Si devono fare i movimenti, così come si devono ascoltare i suoni, per apprezzare pienamente il loro potere e il loro significato»4. È il 1950 quando Rudolf Laban pubblica The Mastery of Movement, il testo destinato a diventare il più completo studio del movimento generato dall’impulso interiore, riferimento imprescindibile non solo della moderna danza europea, ma del teatro in genere.

Nel definire lo scopo e l’essenza del movimento, Laban cita l’episodio più famoso della Bibbia, quello di Eva che raccoglie la mela dall’albero della conoscenza con un gesto teso a un fine tangibile e intangibile al tempo stesso. La donna desidera cogliere il frutto per gustarlo, ma soprattutto per avere accesso a quel supremo sapere e libertà fino a quel momento negatole.

Come rendere allora il gesto sulla scena? Attraverso le innumerevoli possibilità d’azione legate al movimento, Laban indica il senso intangibile che il movimento reca con sé. Movimento rivelatore del profondo, di quei processi nascosti che appartengono al desiderio. Movimento come manifestazione intrinseca della vita e teatro come esaltazione di essa, per coglierne e padroneggiarne i principi generativi.

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Con il suo testo Laban mira a formalizzare un linguaggio scritto universale per la trascrizione dell danza.

Questo linguaggio, noto come Labanotation, non si basa su uno stile o una tecnica particolare, ma sui principi generali della cinetica che regolano il movimento del corpo umano.

Nel suo intimo legame con la natura, il movimento, e quindi la danza, possiedono la capacità di comunicare in maniera immediata. La volontà di costituire un linguaggio per scrivere la danza, non deriva dalla limitata capacità comunicativa, ma ha lo scopo di sottrarla alla dimensione effimera che la lega indissolubilmente al momento dell’esecuzione.

Egli parlava di “danza della natura”, ritenendo che la costruzione formale della natura avvenisse sulla base delle stesse leggi spaziali e fisiche che sono all’essenza della danza.

Laban trovò dei principi per includere le sequenze di movimento, nei solidi geometrici regolari. Nel suo studio considerava alcuni parametri fondamentali: il peso, lo spazio, il flusso, il tempo e l’energia.

Basandosi sulle spiegazioni razionalistiche delle leggi fisiche, sosteneva che il peso del corpo soggiace alla legge di gravità e lo scheletro umano è un sistema di leve attivate da nervi e muscoli, attraverso le quali vengono determinate le direzioni nello spazio. Il flusso del movimento è controllato dai centri nervosi che reagiscono a stimoli interni ed esterni. I movimenti occupano un determinato lasso di tempo e vengono azionati dall’energia prodotta da un processo di combustione interna del corpo.

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Graficamente pensò di utilizzare un asse verticale per rappresentare il corpo in posizione eretta, frazionandolo in due parti simmetriche.

Parallelamente all’asse, a destra e a sinistra, disegnò delle barre verticali che consentivano di individuare e differenti parti del corpo.

La scrittura si sviluppava dal basso verso l’alto. Il simbolo di base era il rettangolo e la sua posizione nelle colonne parallele, indicava la parte del corpo in movimento. Per indicare le direzioni, il rettangolo veniva modificato tagliandone gli angoli.

La colorazione del simbolo indicava l’altezza del movimento e la lunghezza invece la durata.

In conclusione, ogni simbolo conteneva quattro informazioni principali:

_ la lunghezza esprimeva il tempo; _ la direzione era espressa dalla forma; _il livello dal colore;

_la parte del corpo interessata era individuata dalla posizione rispetto all’asse.

L’introduzione di ulteriori simboli ad integrare quelli di base, aveva lo scopo di precisare la descrizione.

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Utilizzare un linguaggio scritto per la danza non è una tecnica che appartiene soltanto a Rudolf Laban. Le più antiche forme di danza scritta infatti, appartengono ai geroglifici egizi raffiguranti processioni e danze rituali. Furono ritrovate testimonianze anche in epoca romana e sui bassorilievi dei templi indiani.

« Scrivere di movimenti di danza è contraddittorio, perchè attraverso parole o segni bisogna rappresentare immagini fisiche che cambiano nello spazio ma soprattutto nel tempo. Nel corso della storia alcuni artisti e coreografi hanno realizzato diagrammi durante la formulazione dei loro lavori. Questi schemi sono considerati un metodo di pianificazione per il ballerino e un mezzo per “leggere” la danza per lo spettatore.

Lucinda Childs in Congeries on Edges for 20 Obliques del 1975, basa il suo lavoro sulla notazione a supporto dello schema coreografico: cinque ballerini viaggiano in gruppi di diagonali che attraversano lo spazio. Durante il pezzo vengono esplorate varie combinazioni di raggruppamenti, ottenendo così un sistema di ripetizioni. Guardando la performance si percepisce un accumulo di frasi in movimento, che formano strati visivi nello spazio mentre il pezzo di dispiega »5.

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Il misterioso Ground Drawing di Alex Hay traccia urti e deformazioni accidentali lasciati sulla carta dopo essere stata bagnata. Le frecce e le linee sono i vettori che tracciano il movimento della carta, ma sono stati creati dalla stessa mano che tracciava quei movimenti, come se carta e corpo si fondessero. Come se la carta fosse un corpo che registra la memoria dell’azione.

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III.VI L’influenza del Bauhaus: da Kandinsky a Schlemmer

L’istituto d’arte e mestieri Bauhaus, che negli anni Venti divenne uno dei maggiori centri del design in Germania e nel mondo, fu un’esperienza totalizzante. Coinvolgeva arte, teatro, artigianato, architettura e cucina.

Oscar Schlemmer insegnò al Bauhaus dal 1920 al 1929 e vedeva nel teatro il luogo privilegiato dove è possibile ristabilire un rapporto di armonia tra individuo e ambiente, tra arte e vita: “Partire dal corpo, partire dallo spazio, dalle sue leggi e dal suo mistero per lasciarsi ammaliare e coinvolgere di nuovo. Partire dalla posizione del corpo, dalla semplice posizione eretta per poi passare all’andatura e infine al salto e alla danza. Dal momento che fare un passo è un’avventura, lo è anche alzare una mano e muovere un dito. Temere e rispettare allo stesso tempo ogni movimento del corpo umano particolarmente quando è sulla scena. Questo mondo che vive a parte, questo mondo dell’apparenza, questa seconda realtà dove tutto è immerso in un atmosfera magica.”

Proprio a Schlemmer è attribuito il merito di aver cercato di reinventare la danza attraverso il suo “Balletto Triadico”.

Uno spettacolo di danza in cui i ballerini eseguono movimenti preci ed essenziali, obbligati da vestiti ingombranti e geometrici. La prima messa in scena ebbe luogo nel 1922 al Landestheater di Stoccarda.

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