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I cambiamenti nel divario territoriale tra Nord Centro e Sud

4. I GRANDI CAMBIAMENTI DELLA POPOLAZIONE E NELLE

4.1. I cambiamenti nel divario territoriale tra Nord Centro e Sud

Per vedere l‟evoluzione delle forti differenze territoriali esistenti al momento dell‟Unità d‟Italia è utile analizzare il lavoro di Sylos Labini (1986) su “Le classi sociali negli anni ottanta”.

Queste differenze si sono, infatti, per molti aspetti accentuate. Nel 1881, infatti, la situazione occupazionale nelle tre ripartizioni geografiche era sostanzialmente uniforme e strettamente legata all‟agricoltura con quote di popolazione attiva superiori al 60% al Nord e al Centro e del 53% al Sud. Addirittura i tassi occupazionali nell‟industria risultavano più elevati nel mezzogiorno, col una quota 37% del totale del Sud, mentre Nord e Centro erano fermi al 27 e 26% del loro totale.

0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 1951 1961 1971 1981 1991 2001 2009 (a)

Nell‟immediato secondo dopoguerra invece la situazione si era capovolta e le disparità erano più evidenti. Infatti al Sud permaneva un‟importanza notevole dell‟agricoltura, di oltre il 50% della popolazione attiva, mentre si riduce quella dell‟industria e artigianato, che scendeva al 25%. Viceversa al Nord si vede come l‟industrializzazione stia prendendo il sopravvento sugli altri settori col 42%, mentre al Centro si ferma al 35%. Parallelamente scende il peso dell‟agricoltura al 35% al Nord e 42% al Centro.

Tabella 7 - Popolazione attiva nei principali settori per circoscrizione (Valori in %) (anni 1881, 1951, 1983)

1881 1951 1983

Nord Centro Sud Nord Centro Sud Nord Centro Sud

Agricoltura 63 62 53 35 42 56 9 9 20

Industria 27 26 37 42 35 25 42 40 27

Servizi 6 7 6 16 15 12 35 37 36

Pubb. Amm. 4 5 4 7 8 7 14 20 17

Fonte: Sylos Labini, Le classi sociali negli anni „80, Laterza Ed. 1986

Nel 1983 la popolazione attiva in agricoltura scende al 9% al Nord e Centro ma le diminuzioni più forti si registrano al Sud dove passa dal 56% al 20%, a vantaggio però, non dell‟industria che sale di soli 2 punti percentuali, ma del settore dei servizi che arriva al 37% del totale della popolazione attiva, quota in linea coi valori di Nord e Centro, dove però prevale ancora l‟industria.

Tra i fattori che si ritiene abbiano portato alle accentuazioni del divario tra Nord e Sud del Paese si possono ricordare in particolare la liberalizzazione delle tariffe doganali avvenuta al momento dell‟unificazione che hanno portato maggiori vantaggi al Nord, nonché le scelte di politica economica per rispondere alle crisi economiche. Nel Mezzogiorno infatti con l‟unificazione si abbatterono anche nuove tasse, volte a ripianare il debito pubblico del nuovo Stato, accumulato dal Piemonte per la politica espansionistica e per la creazione delle infrastrutture. I governi della Destra storica che, si succedettero fino al 1876 imposero un modello amministrativo di tipo centralista, armonizzando la struttura amministrativa dei vecchi Stati pre-Unitari, abolì le barriere doganali interne ed unificò i sistemi di misura, quello monetario e la pubblica istruzione.

Intorno al 1880 inoltre ci fu una crisi dei prezzi del settore agricolo, in particolare dei prodotti cerealicoli che subivano la forte concorrenza

statunitense, che colpì in particolare gli affittuari. In seguito scesero i prezzi degli affitti e quindi la crisi colpì anche i proprietari, soprattutto quelli di aziende medio piccole che dipendevano maggiormente dalla congiuntura economica. I Paesi Europei affrontarono la crisi in modo diverso: alcuni come Danimarca, Olanda e Inghilterra per superare la crisi si adeguano riducendo le superfici coltivate a grano aumentando la zootecnia e le colture pregiate, altri Stati, Italia Germania, Francia, invece prendono provvedimenti protezionistici per sostenere il prezzo del grano e per tentar di frenare il disagio sociale e i mutamenti delle campagne (Carrocci, 1998).

Per capire l‟importanza del settore cerealicolo in Italia bisogna far riferimento ai lavori di Emilio Sereni “Capitalismo e mercato nazionale” (1974) e “Il capitalismo nelle campagne 1860-1900” del 1968. I cereali rappresentavano nel 1861 circa il 27% della produzione agricola italiana e contribuivano a produrre circa il 17% del PIL. La produzione era quasi interamente destinata ai tanti mercati locali e quindi al consumo interno, mentre le esportazioni erano scarse. Il settore, vista anche l‟assenza di grandi produttori, era quindi particolarmente fragile e vulnerabile nei confronti della concorrenza internazionale. Difatti, nel 1887 venne introdotto un dazio doganale sul grano, questo su pressione in particolare degli imprenditori e proprietari settentrionali, soprattutto veneti e piemontesi, appoggiati politicamente dai cattolici per difendere il profitto delle aziende capitalistiche, sia grandi che piccole, e per controbilanciare gli effetti della cosiddetta sperequazione fondiaria, visto che al Nord si pagavano più imposte fondiarie rispetto al Sud (Carrocci, 1998).

Nel Mezzogiorno invece i piccoli proprietari tentarono di adeguarsi alla crisi avviando un processo di conversione e razionalizzazione delle colture estendendo vigneti ed agrumeti a sostituzione della granicoltura. Tale processo che avrebbe portato ad uno sviluppo del settore agricolo meridionale verso colture più redditizie, venne però bloccato appunto dai dazi sul grano. Quindi a differenza di altri Paesi, l'Italia subì solamente gli effetti negativi della crisi (calo della produzione) senza avere gli effetti positivi dell‟ammodernamento delle colture (D'Angiolini, 1969). Nel Mezzogiorno si accentuò quindi il

dell‟arretratezza del Sud, come documentato dalla già citata “Inchiesta Jacini”, problema che nelle regioni meridionali durerà fino al secondo dopoguerra. In parallelo calò il numero dei salariati e aumentò quello dei contadini poveri estendendo il problema tipico della disgregazione sociale. I grandi proprietari terrieri invece subirono in misura minore la crisi visto che le loro rendite erano legate soprattutto dalla richiesta della terra che non diminuì affatto (Carocci G., 1998).

In seguito la politica di sviluppo demografico e l‟autarchia promosse dal regime fascista fecero peggiorare la situazione del mezzogiorno, che da un lato fece aumentare la pressione demografica sulla terra e dall‟altro con la “battaglia del grano” limitò lo sviluppo di produzioni più intensive e fornitrici di maggiore reddito, con possibilità di esportazione sui mercati esteri. Inoltre si perpetuò la presenza di larghe aree coltivate male ed in modo estensivo, ma anche il perdurare di territori infestati dalla malaria, visto che gli sforzi di bonifica furono maggiori nelle regioni del Centro-Nord.