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La campagna elettorale del 1994 Elementi di novità, fatti, temi

Capitolo 1 – Il “sistema fluido”

3. La campagna elettorale del 1994 Elementi di novità, fatti, temi

1.3.1 Il quadro generale tra bipolarismo e resistenze

Negli stessi giorni in cui si andavano delineando le alleanze prese il via la campagna elettorale. Fu una campagna particolare, probabilmente unica per una lunga serie di ragioni. La lunga abitudine, sia degli italiani, sia delle forze politche, al proporzionale trascinò alcuni retaggi nelle prime elezioni con il nuovo sistema elettorale.

La competizione fu tripolare, con i Progressisti a sinistra, il Patto al Centro e i Poli a destra. I tre cartelli erano la somma di forze politiche che avevano storie, culture e ideologie differenti.

La presenza dei poli, che esprimevano alleanze che poi si sarebbero ripresentate alle Camere, era un fattore di novità assoluta: per la prima volta nella storia repubblicana il

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L’espressione, di uso corrente negli anni della prima Repubblica, era un modo per denunciare la illegittimià politica del MSI, in quanto forza politica esclusa da quelle che nel 1946-47 avevano steso il testo costituzionale. A differenza della espressione conventio ad excludendum che poneva sullo stesso piano PCI e MSI, questa si riferiva solamente ai neofascisti.

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41 voto non veniva solamente assegnato ad un partito, ma anche alla maggioranza alla quale si chiedeva di governare e, conseguentemente, l’elettore indicava indirettamente un candidato alla presidenza del consiglio. Quest’ultimo punto non fu colto allo stesso modo da tutte le forze politiche. Il polo di centro fu quello che comprese per primo questo meccanismo, indicando in Segni il candidato premier61. Il polo progressista fu quello che meno si adattò alla novità: la campagna elettorale del leader del PDS Achille Occhetto seguì un canone, tipico degli anni del sistema proporzionale, di rimandare la scelta del premier al dopo-elezioni. Per lungo tempo si parlò di Ciampi come possibile Presidente del Consiglio; inoltre Occhetto non promosse mai direttamente se stesso come candidato alla guida del governo. L’ambiguità del cartello del centro-sinistra fu uno dei bersagli principali dei loro avversari politici, che avevano gioco facile a criticare quest’atteggiamento come espressione di logiche legate al passato e poco trasparenti.

Le due alleanze capeggiate da Berlusconi ebbero anch’esse problemi riguardo all’individuazione dei candidati: data la natura delle alleanze variabili, era difficile sostenere una candidatura a Palazzo Chigi che non fosse quella del Cavaliere; tuttavia la Lega, che costituì da subito l’elemento indisciplinato dell’alleanza, la pose in discussione, indicando alternativamente Bossi o Maroni come capi di governo e minacciando la rottura della coalizione qualora non fossero state ascoltate le richieste leghiste. Pur essendo vero che queste esternazioni furono contraddette dai fatti, ciò che preme osservare in questa sede è il fatto che la logica tipica dei paesi con sistemi maggioritari, per cui ogni coalizione elettorale si unisce anche in funzione dell’indicazione di un candidato al ruolo di capo del governo, non si era ancora pienamente affermata nella cultura politica italiana, con molte forze politiche ancora abituate alla prassi dell’accordo tra partiti solamente dopo aver valutato i dati elettorali. La campagna elettorale s’incentrò da subito su uno scontro destra-sinistra che tagliò fuori il terzo polo di centro. Il primo sintomo dell’emarginazione di questo soggetto politico si ebbe in occasione delle amministrative per la scelta del sindaco di Catania nel febbraio 1994: al ballottaggio fu escluso il candidato progressista, con una sfida finale tra il candidato del Patto Segni e quello di Alleanza Nazionale. Il PDS formalmente non prese posizione tra i due contendenti, ma dai vertici del partito vennero dichiarazioni

61 M. Segni, La rivoluzione interrotta. Diario di quattro anni che hanno cambiato l’Italia, Rizzoli, Milano, 1994, pp.17-18.

42 favorevoli al candidato post-missino e di ostilità verso quello pattista, dando una sorta di legittimazione implicita alla competizione bipolare62.

1.3.2 Il rinnovamento come tema elettorale e la figura di Berlusconi

Le parole chiave della campagna elettorale furono cambiamento e novità: i tre poli a loro modo cercarono di presentarsi come soggetti nuovi, non legati ai protagonisti ed alle logiche clientelari della Prima Repubblica. Le campagne denigratorie degli avversari si basarono sull’utilizzo del termine riciclato: in realtà ogni soggetto aveva a suo modo un legame con un passato negativo, ma cercava di occultarlo o minimizzarlo, enfatizzando quello altrui. Fu così che i progressisti presentavano se stessi come un soggetto nuovo per il fatto di non avere mai governato il paese, i pattisti insistettero sul presente delle riforme approvate dal movimento referendario del quale raccoglievano il testimone diretto, e i due poli guidati da Berlusconi insistevano sull’estraneità alla politica del loro leader e sulla presenza di candidati provenienti dall’impresa e dal managment.

Tabella 5 L'utilizzo dei termini rinnovamento e riciclaggio dai parte dei Poli nella campagna elettorale del 1994

SOGGETTO POLITICO

ARGOMENTO A FAVORE

– NOVITA’ ARGOMENTO COTRARIO

– RICICLAGGIO

Polo progressista Estraneità alla corruzione; partito che non ha mai governato in età repubblicana

Prevalenza dell’ideologia comunista; coinvolgimento nel governo della prima repubblica attraverso il consociativismo Patto Segni Soggetto che ha riformato il

sistema politico attraverso il movimento referendario

Polo incentrato attorno alla Democrazia Cristiana, tutti hanno avuto una carriera come politici di professione

Polo della Libertà e del

Buongoverno

Personalità nuove e giovani che si affacciano alla politica dal mondo delle professioni e dell’impresa privata.

Sintesi di fascismo e secessionismo guidata da un imprenditore che ha avuto successo grazie a favori dei politici della prima repubblica che ricicla alcuni personaggi legati a Bettino Craxi

Un altro tema della campagna elettorale fu proprio la figura di Berlusconi: a partire da questa esperienza nascono il discorso anti-berlusconiano e quello filo-berlusconiano, ancora oggi centrali nel dibattito nazionale. Il problema della candidabilità di un magnate privato non fu sentito immediatamente, ma apparve chiaro quando le reti televisive Fininvest iniziarono a sostenere il proprio presidente al di fuori degli spazi

62 F. Cavallaro Catania: uno choc per la sinistra, Corriere della Sera, 1 febbraio 1994, p.6; F. Cavallaro

43 dedicati alle trasmissioni propriamente politiche. Il primo caso fu quello di “Non è la Rai”, un programma pomeridiano destinato a un pubblico di ragazze in età liceale, in cui la conduttrice, la sedicenne Ambra Angiolini, disse “Il diavolo vota per Occhetto, il PadreEterno è per Forza Italia”.63

Il fatto diede vita a una fitta serie di polemiche e segnò un primo campanello d’allarme per gli avversari: la capacità di Berlusconi di fare uso dei media per favorire la propria attività politica andava al di là degli spazi tradizionali del dibattito politico; egli, infatti, poteva usare le trasmissioni d’intrattenimento per convincere gli elettori a votare il suo partito per mezzo dei presentatori più popolari. La dichiarazione dell’Angiolini non rimase un fatto isolato: nella settimana precedente il voto, il celebre conduttore di quiz Mike Bongiorno tesse l’elogio del proprio presidente durante il gioco a premi “La Ruota della Fortuna”64

e la sera del 20 marzo, ad una settimana dal voto, Raimondo Vianello, famoso attore comico e conduttore di programmi sportivi, dichiarò nella trasmissione calcistica Pressing che avrebbe votato per il presidente della sua azienda e che per la prima volta in vita sua conosceva personalmente chi avrebbe votato65.

Le polemiche sull’ingresso in politica di Berlusconi generarono due temi nuovi del dibattito politico, ancora oggi attuali: il conflitto di interessi e la par condicio.

Il primo tema, contrariamente a quanto si è soliti pensare, non fu inizialmente avvertito come prioritario: non che i vari esponenti politici non si fossero resi conto della provenienza di Berlusconi dal mondo imprenditoriale, ma inizialmente non fu colto il fatto che il Cavaliere potesse essere accusato di fare politica per recare vantaggi economici alle proprie aziende. La sottovalutazione del conflitto d’interessi fu dovuta anche alla promessa del leader di Forza Italia, al momento in cui annunciò la discesa in campo, di abbandonare i propri ruoli aziendali, fatta eccezione per quello di presidente della società calcistica del Milan. Gli avversari di Berlusconi incentrarono gli attacchi al Cavaliere su altri temi, laddove era chiaro che la cessione delle cariche aziendali non avrebbe significato la cessione delle proprietà, ma solo un cambio d’intestazione, come quando nel 1990 egli aveva formalmente ceduto Il Giornale al fratello Paolo in seguito alla legge Mammì, per poi continuare ad esserne il reale editore.66

63 A. Stille Citizen Berlusconi. Vita e imprese, Milano, Garzanti, 2006, p.199; P. Conti Ambra accende il

verde Apuzzo: Arcore sfrutta anche i ragazzini, Corriere della Sera, 1 febbraio 1994, p.4.

64 A. Stille, op. cit, p. 213; A. Giglioli Forza Italia. La storia, gli uomini, i misteri, Bergamo, F. Arnoldi Editore, 1994, p.212.

65 Vianello e Bongiorno: spot contestato per sua emittenza, Corriere della Sera, 22 marzo 1994, p.3; A Giglioli, op. cit. p. 211.

66 Ibidem p.180; A. Stille, op. cit. p.142; G. Statera Il Volto seduttivo del potere Berlusconi, i media, il

44 Il problema della par condicio fu invece sentito come prioritario: Forza Italia lo avvertì lamentando di subire una costrizione eccessiva e illiberale mentre gli avversari vedevano in essa l’unico modo per limitare la potenza della macchina mediatica del Polo. La capacità di Berlusconi di eludere il vincolo consistente nel divieto di trasmettere spot elettorali nel mese precedente alle votazioni67, si tradusse sia nel ricorso a dichiarazioni come quelle citate in precedenza di anchorman e personaggi nazional- popolari, sia nell’adozione di una linea editoriale aggressiva da parte delle testate giornalistiche delle tre reti Fininvest: Emilio Fede al TG4 e Paolo Liguori a Studio Aperto fecero dei loro telegiornali uno strumento della campagna elettorale di Forza Italia, non tanto attraverso uno squilibrio in termini di minutaggio delle presenze dei leaders politici, che la par condicio vietava, ma per mezzo di una diversa qualità del tempo dedicato alle altre forze politiche, con il Polo Progressista criticato e dileggiato e quello pattista praticamente ignorato. La linea editoriale del telegiornale della rete principale della Fininvest, Canale 5, era meno dichiaratamente partigiana, ma comunque non ostile al leader del Polo; tuttavia alla conclusione del telegiornale seguiva la trasmissione Sgarbi quotidiani, un monologo di dieci minuti condotto da Vittorio Sgarbi, politico eletto nel 1992 nelle file del PLI e poi entrato a fare parte di Forza Italia. Le puntate di Sgarbi quotidiani proponevano quotidianamente attacchi, con grida e linguaggio violento, a quelli che erano visti come i nemici di Berlusconi, in particolare a Luciano Violante, giudice impegnato nella lotta Antimafia e politico del PDS accusato di essere il mandante di un complotto giudizario contro Berlusconi.

I partiti progressisti e la Lega polemizzarono sul fatto che Berlusconi poteva usare i media per favorire il proprio partito, mentre trascurarono il fatto che la carriera politica potesse essere lo strumento del magnate milanese per rafforzare economicamente le proprie aziende.

1.3.3 I temi principali: occupazione, fisco, giustizia

Il tema del lavoro fu uno dei più sentiti nella campagna elettorale: alla fine degli anni Ottanta avevano iniziato a manifestarsi i primi casi di perdita di lavoro dovuti

67 La legislazione sulla par condicio che regolò le campagne elettorali per le politiche del 1994 e del 1996 è costituita dalla Legge 515 del 10 dicembre 1993. Il divieto di trasmettere spot nell’ultimo mese di campagna elettorale è frutto del combinato disposto degli articoli 1.2 e 2.1. Forza Italia ha sempre criticato la legislazione della par condicio, sostenendo che fosse il frutto di un tentativo diretto a

indebolirla direttamente. Tuttavia questa interpretazione appare viziata da un eccesso propagandistico, se si considera che la normativa venne approvata quando ancora non era chiaro che cosa fosse Forza Italia e se Berlusconi stesso fosse entrato nella competizione politica. Altri rilievi, più pertinenti, al contenuto della par condicio, verranno esposti nei capitoli seguenti.

45 all’informatizzazione e il tasso di disoccupazione registrava un trend crescente. La disoccupazione non era un problema nuovo della realtà sociale italiana, avendo attangliato l’economia delle regioni meridionali durante tutta l’età della Prima Repubblica. Tuttavia all’inizio degli Anni ’90 il problema sembrava iniziare a diffondersi anche nelle regioni del centro e del nord. Il sistema produttivo italiano aveva bisogno di una riconversione industriale, che negli anni Settanta era stata rallentata dalla forza del sindacato e che aveva preso il via solo alla fine degli anni ’80. Queste trasformazioni fecero sì che uno dei temi sui quali si confrontarono le forze politiche fu quello della capacità di creare nuove condizioni di occupazione. Non casualmente, tra le prime promesse elettorali di Berlusconi vi fu quella di un milione di posti di lavoro68. Altro tema centrale della campagna elettorale fu quello fiscale. La crisi economica del biennio 1992-93 e la necessità di fronteggaire il deficit della finanza pubblica avevano spinto i governi di Amato e Ciampi a varare pesanti manovre con un notevole aumento della pressione fiscale. Nella tradizione politica della prima repubblica, quello del peso dell’imposizione fiscale era stato un tema del quale nessuna forza politica si era fatta portavoce: non la DC, espressione della dottrina cristiano-sociale, non il PCI, portatore di una visione economica oscillante tra la pianificazione economica sul modello dell’area sovietica e aperture al keynesismo, non il MSI, altra forza politica ostile alle logiche di mercato e animata da una visione organicistica dello Stato difficilmente conciliabile con l’individualismo liberale. Neanche il PSI craxiano, pur essendo stato il soggetto politico che negli anni ’80 aveva introdotto una visione individualista della società (tipica delle teorie economiche che propugnano la riduzione della tassazione), poteva portare avanti un simile discorso, sostanzialmente per ragioni di carattere clientelare che comportavano alti livelli di spesa pubblica.

Il primo partito a lamentare il peso eccessivo del fisco fu la Lega Nord. Il modo in cui il movimento di Bossi conduceva questa battaglia era legato a doppio filo ai contenuti della polemica anticentralista e antimeridionale. Bossi non portava avanti una riflessione sulle aliquote e sulla loro riformabilità, limitandosi a criticare i metodi di un fisco che sottraeva risorse alle regioni laboriose del paese per finanziare il corrotto stato centrale e gli sprechi del Sud. Il senso della protesta fiscale leghista era piuttosto diretto a ripensare i criteri di redistribuzione della ricchezza, con la Lombardia in particolare che richiedeva che le somme che i suoi cittadini versavano all’erario fossero reinvestite

68 G. Da Rold Silvio: sono cambiato. E promette ancora posti di lavoro Corriere della Sera, 7 marzo 1994, p.4.

46 all’interno della regione. La protesta leghista si rivolgeva prevalentemente nei confronti dei modi di distribuzione del denaro ricavato dalla tassazione. La campagna contro il fisco della Lega Nord riecheggiava quella del movimento americano Proposition 1369. Forza Italia diede forma più compiuta alla protesta antifiscale, trasformandola in un obiettivo politico: quello cioè di semplificare il fisco, riducendo il numero d’imposte e modificando le aliquote. Il punto più interessante e controverso del programma berlusconiano fu la proposta dell’aliquota unica, prima individuata al 30 poi corretta al 33% del reddito70: una vera e propria flat tax, prima presentazione di un programma ispirato alla Reaganomics in Italia, anche se accompagnato con discorsi rassicuranti riguardanti esenzioni per famiglie. L’obiettivo dell’aliquota unica era uno dei punti sui quali fu più forte la polemica: il polo progressista denunciava il carattere “classista” di un progetto destinato a favorire i redditi alti a scapito di quelli bassi, mentre quello pattista, pur animato da una visione economica liberista, la riteneva irrealistica, considerato il livello del debito pubblico italiano che nel 1993 si era attestato al 118% del P.I.L. Berlusconi si era particolarmente speso, già da dicembre 1993, in una polemica contro l’eccessiva pressione fiscale del governo Ciampi e nella campagna elettorale aveva insistito anche sulla proposta dell’introduzione di un limite, da inserire come norma costituzionale, alla pressione fiscale; proposta che peraltro era presente anche nel programma politico del Patto Segni.

Un altro tema centrale della campagna elettorale del 1994 fu quello giudiziario. Nel 1992 gli inquirenti del Pool Mani Pulite, sapendo che si sarebbero tenute elezioni politiche nel mese di aprile cercarono di non interferire con il voto: gli sviluppi più incisivi dell’operazione, quelli che portarono al coinvolgimento dei principali segretari di partito sarebbero emersi solo dopo le consultazioni elettorali. Lo scioglimento anticipato delle camere nel gennaio 1994 non poteva essere ancora una volta causa del rallentamento dell’azione investigativa, dato che nel corso dei due anni l’inchiesta era cresciuta notevolemente e un suo rallentamento non sarebbe stato visto favorevolmente dall’opinione pubblica.

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Nel 1978 si tenne un referendum su un emendamento alla Costituzione dello Stato della California che stabiliva un tetto massimo per la tassazione sulla proprietà; in particolare gli animatori del movimento a favore della Proposition 13 Howard Javis e Paul Gann fecero ricorso continuo alla minaccia di uno sciopero fiscale dei cittadini, come ripetutamente fece la Lega nei primi anni Novanta e anche dopo il ritorno all’opposizione nel 1996. Sul tema vd. A. Stille, op. cit, p.150.

70 Spaventa contro Berlusconi:”l’aliquota unica al 30%? Una mazzata straordinaria, Corriere della Sera, 5 marzo 1994, p.17; D. Vaiano, Martino, risparmi per tutti. I pattisti lo smentiscono, Corriere della Sera, 18 marzo 1994, p.2; M. Cecchini, Fisco, spesa, BOT, occupazione: queste le ricette dei tre poli, Corriere della Sera, 21 marzo 1994, p.21.

47 Nel mese di febbraio avvenne un fatto cruciale per capire gli sviluppi della polemica tra politica e magistratura che ancora oggi occupa il dibattito nazionale: l’11 febbraio Paolo Berlusconi fu arrestato nell’ambito dell’indagine sulla tangente Cariplo. Berlusconi da qualche settimana era sceso in politica e da pochi giorni aveva stipulato le alleanze con Lega e AN, due partiti che sostenevano pubblicamente l’operato dei giudici.

L’arresto di Paolo Berlusconi è il primo atto della contesa tra il Cavaliere e il potere giudiziario, con altri momenti di forte contrasto che si manifestarono durante la campagna elettorale71. Fino ad allora il leader di Forza Italia aveva avuto un atteggiamento ambivalente nei confronti delle indagini milanesi: legato a Craxi, era stato uno dei pochi personaggi ad esprimere la propria soddisfazione il giorno che il Parlamento aveva respinto le richieste di autorizzazione a procedere contro il leader del PSI72. Tuttavia, consapevole del sostegno dell’opinione pubblica alle indagini milanesi non si era mai espresso criticando o condannando l’operato dei giudici milanesi, nello stesso momento in cui Craxi si difendeva accusando i pubblici ministeri di essere delle toghe rosse, al servizio del PDS. Anche nel discorso della discesa in campo egli aveva tenuto a prendere le distanze dalla classe politica della prima repubblica, lamentando

L’autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciato dal peso del debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale ai partiti”73 e poi rivendicando la necessità di “un governo e una maggioranza [...] che sappiano opporsi con la massima determinazione alla criminalità alla corruzione [...]74.

Il tentativo di non inimicarsi il Pool milanese passò anche per il tentativo di offrire un ruolo di prestigio ad Antonio Di Pietro, pubblico ministero milanese molto amato dal grande pubblico75. I tre poli cercarono di inserire nelle proprie candidature uninominali personalità provenienti dal terzo potere dello Stato, per sfruttarne la celebrità e al tempo stesso per presentare se stessi come soggetti nuovi, che sostuivano i politici corrotti con quei giudici benemeriti che ne avevano svelate le malefatte.

71 L’apice della tensione elettorale sui temi della giustizia viene toccato in seguito ad un’intervista all’ex magistrato e esponente del PDS Luciano Violante pubblicata su La Stampa del 22 marzo, a meno di una settimana dal voto. Violante, all’epoca presidente della Commissione Parlamentare Antimafia svelò che era in corso un’indagine su Dell’Utri a Caltanissetta per mafia. Il giorno successivo il sostituto

procuratore Maria Grazia Omboni ordinò il sequestro degli elenchi dei candidati di Forza Italia nelle sedi di Roma e Milano. Una ricostruzione del ruolo della magistratura nella campagna elettorale del 1994 e dei