Capitolo 1 – Il “sistema fluido”
2. La costruzione del Polo liberalemocratico: le strategie di Segni e Berlusconi
Nel gennaio 1994 la crisi politica subì una decisiva accelerazione. Il 13 gennaio, il Presidente del consiglio Ciampi si dimise: il suo esecutivo, una volta approvata la nuova legge elettorale e una fortissima manovra finanziaria, poteva considerare esaurito il proprio compito. Il presidente della Repubblica Scalfaro sciolse le Camere il 15 gennaio e vennero indette elezioni anticipate per il 27 e il 28 marzo 199437.
Una volta nota la data delle votazioni divenne fondamentale per le forze politiche preparare in tempi brevi una campagna elettorale, decidere come coalizzarsi, individuare i candidati. Quest’ultimo aspetto costituiva una novità non trascurabile. La lunga abitudine al sistema proporzionale faceva sì che ogni partito individuasse una lista di candidature, stabilisse l’ordine in base ai rapporti interni, con lo strumento della preferenza che scatenava una campagna elettorale tra le correnti dei partiti per raccogliere il maggior numero di preferenze.
37 La nuova legge elettorale modificava anche la durata delle operazioni elettorali riducendole a una sola giornata; tuttavia, la concomitanza con le celebrazioni della Pasqua ebraica del 27 marzo indussero il governo a prevedere una eccezione per le politiche del 1994, estendendo le operazioni al mattino seguente.
32 Il meccanismo uninominale faceva cadere tutto questo e incentrava la competizione sui candidati: per conquistare il collegio ogni partito avrebbe dovuto individuare un candidato capace di raccogliere la maggioranza relativa dei voti. Tale operazione era possibile disponendo di personalità dotate di ampio consenso, ma in era alternativa più facilmente realizzabile coalizzando un cartello di partiti attorno a un sola persona. Pertanto la formazione dei cartelli elettorali dipendeva da una ulteriore variabile, oltre a quella squisitamente programmatica: la realizzazione di accordi sul numero delle candidature, con i partiti che cercavano di fare valere la propria forza strappando accordi vantaggiosi nell’ambito della coalizione. Il fenomeno, ribattezzato da Roberto D’Alimonte “proporzionalizzazione del maggioritario”38
era la risposta lungimirante di quei partiti minori impegnati nel tentativo di cercare di preservare una presenza parlamentare. I piccoli partiti, in precedenza sicuri di ottenere una rappresentanza parlamentare, sapevano che per la prima volta rischiavano di rimanerne esclusi, poiché di fronte ad essi si poneva l’obbligo di superare una soglia: qualora essi non avessero raggiunto il 4% nella quota proporzionale (che per’altro assegnava solo un quarto dei seggi) essi non avrebbero ottenuto alcun seggio. Si tratta di un aspetto non secondario: se la realizzazione di alleanze le più ampie possibili era l’obiettivo perseguito dai leader dei partiti guida delle coalizioni, i partiti minori puntavano a salvaguardare la loro presenza in Parlamento. Per questa ragione essi posero la questione delle candidature, subordinando il loro ingresso in una coalizione alla concessione di una percentuale di candidati alla quota uninominale.
I tempi brevi della campagna elettorale fanno del periodo gennaio-marzo 1994 uno dei più convulsi della storia nazionale, con alcuni passaggi chiave destinati ad avere ripercussioni su tutta la stagione successiva.
Un tema fondamentale fu quello della costruzione del cosiddetto polo liberaldemocratico. I due personaggi impegnati in questo progetto furono Segni e Berlusconi. Dal punto di vista programmatico le forze politiche che rispettivamente li sostenevano si muovevano nella stessa direzione: rifiuto dello statalismo in favore di privatizzazioni e della crescita del libero mercato in economia, riforma delle istituzioni, rinnovamento della classe dirigente.
La vicinanza dei due soggetti sul piano programmatico si scontrava però con una profonda divergenza operativa, riguardante il metodo da adottare, in particolare quale
38 R. D’Alimonte, S. Bartolini Maggioritario ma non troppo. Le elezioni politiche del 1994, Bologna, Il Mulino, 1994.
33 alleanza realizzare. Segni pensava a un cartello ristretto, incentrato sul PPI, ma non appiattito su di esso e rifiutava la possibilità di una apertura a destra, in particolare al MSI, della coalizione39. Berlusconi puntava al contrario a realizzare una santa alleanza contro il cartello delle sinistre, che si apprestavano a presentarsi unite nella coalizione dei Progressisti, alleanza presentata al pubblico il 1° febbraio e comprendente PDS, Rifondazione, La Rete, Alleanza Democratica, PS e Verdi. L’ampiezza di questo cartello, l’infelice dichiarazione di Occhetto che lo definì una “gioiosa macchina da guerra”40
e la presenza di Rifondazione e Rete al suo interno spinsero l’area dei partiti moderati a muoversi rapidamente, in direzione di un allagamento dell’alleanza.
Fino alla metà di gennaio il progetto berlusconiano prevedeva la possibilità di porre Segni alla guida della coalizione di centro-destra; il Cavaliere puntava a realizzare un Polo della Libertà nella quale fare confluire varie sigle politiche e per questo nel mese di gennaio tesse fitti contatti con l’Unione Di Centro (raggruppamento nato da una scissione di liberali e repubblicani capeggiato da Alfredo Biondi e Raffaele Costa), il Centro Cristiano Democratico (gruppo dei neocentristi Casini e Mastella), il Partito Radicale, la Lega, il MSI, fino al Patto e al PPI.
Segni, in linea con la sua vocazione ostile ai partiti, perseguiva una diversa strategia: fare del Patto un contenitore di personalità provenienti dal mondo laico e liberale da affiancare al PPI, il quale avrebbe mantenuto la propria identità e sarebbe stato il vero soggetto del rinnovamento politico attraverso un’opera di ricambio interno della classe dirigente, con l’esclusione delle personalità più collegate al malcostume della Prima Repubblica. Segni non tentò di fare del Patto un contenitore di partiti, ma riuscì a coinvolgervi personalità di spicco come l’ex segretario del PRI Giorgio La Malfa, l’ex ministro socialista Giuliano Amato41 e l’economista ed ex esponente DC Mario Baldassarri: sembrava inoltre molto probabile la presenza di Marco Pannella.
Il punto che rendeva inconciliabili i due progetti era il nodo del rapporto con MSI e Lega. Alla fine del 1993 Berlusconi riteneva indispensabile che anche questi due partiti fossero ricompresi nel polo moderato, mentre Segni era contrario a questa possibilità. Un’alleanza col MSI rappresentava, agli occhi della dirigenza del PPI e dello stesso Segni, un tradimento alla storia del cattolicesimo politico italiano. Il MSI non aveva compiuto la sua Bad Godensberg (questione che divenne un aspetto centrale del
39 M. Segni, La rivoluzione interrotta. Diario di quattro anni che hanno cambiato l'Italia. Milano, Rizzoli, 1994, pp.14-16.
40 La sinistra si presenta unita, Corriere della sera, 2 febbraio 1994, p.1. 41
34 discorso sul partito di Fini negli anni successivi) e quindi non era considerato un interlocutore degno per via della sua ideologia antidemocratica. Berlusconi riteneva al contrario che la pregiudiziale ideologica contro i fascisti fosse superata, in linea con quel processo di sdoganamento di cui si è accennato nel paragrafo precedente.
La divergenza tra Berlusconi e Segni sulla Lega era più sfumata, per due ragioni:
- Nel periodo di avvicinamento di Berlusconi alla politica la propaganda leghista si indirizzava anche contro il Cavaliere, visto come espressione del tentativo del craxismo di sopravvivere alla caduta in disgrazia del suo leader;
- Nei primi testi ideologici e programmatici di Forza Italia, come quello di Urbani, la Lega è vista come un pericolo al pari del PDS, sia per il suo dilettantismo, sia per il timore che il partito di Bossi si impegnasse a portare a fondo la secessione del nord42. La necessità di fare presto spinse Berlusconi ad annunciare la nascita presenza alle elezioni delle liste di Forza Italia nei primi giorni di gennaio, ma egli continuava a smentire la possibilità di un suo ingresso sulla scena politica. Il corteggiamento a Segni e Martinazzoli andava avanti da mesi, con il Cavaliere che offriva Forza Italia e l’organizzazione di cui disponeva a servizio del progetto del polo liberaldemocratico. Accanto alle divergenze sul tema delle alleanze emerse anche una diffidenza personale dei leader del Patto nei confronti del presidente della Fininvest: si trattò in parte di una sottovalutazione delle capacità personali di Berlusconi, in parte della volontà del leader sardo di rivendicare la coerenza tra le proprie idee liberali e liberiste, di fronte a un personaggio che pur invocando gli stessi principi politici ed economici, per effetto della sua condizione di imprenditore e di monopolista della televisione privata, difficilmente le avrebbe attuate43.
Nel mese di gennaio, negli stessi giorni in cui veniva dato l’annuncio della nascita di Forza Italia, era avvenuta una piccola svolta nel “campo di Agramante”44
del polo liberaldemocratico, determinata dalla Lega Nord. A inizio gennaio, infatti, Bossi iniziò a fare una serie di dichiarazioni pubbliche di apprezzamento nei confronti di Segni e affermò la sua disponiblità a fare entrare la Lega nel campo del Polo liberaldemocratico, mettendo momentaneamente da parte l’obiettivo del federalismo.
Le ragioni di questa svolta sono difficili da individuare: Segni, in un volume autobiografico, sostiene la tesi che la Lega avesse preso atto di un rallentamento
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Grande enciclopedia della politica. Forza Italia, Roma, Ebe, 1994, pp.3-5.
43 M. Segni, La rivoluzione interrotta. Diario di quattro anni che hanno cambiato l'Italia. Milano, Rizzoli, 1994, pp.13-14.
44 I. Montanelli Per esempio, quelle ammucchiate elettorali. I limiti delle alleanze eterogenee Corriere della Sera, 20 gennaio 1994, p.1
35 elettorale nelle amministrative di novembre-dicembre, al quale si accompagnò il timore di avere raggiunto l’apice dei successi elettorali che spingeva i dirigenti del partito a una maggiore prudenza. Altra interpretazione plausibile è quella per cui Bossi intuì da subito la pericolosità del fenomeno Berlusconi, un soggetto in grado di sottrargli fette ampie dell’elettorato settentrionale, ragionamento che lo indusse fin da subito a cercare di mettere in difficoltà il Cavaliere45.
L’apertura di Bossi fu vista da Segni come la possibilità di rendere più solide le basi elettorali del Polo liberaldemocratico ed evitare l’ingresso di Berlusconi in politica. Una alleanza con la Lega, benché difficile da realizzare e da fare digerire a molti dirigenti del PPI avrebbe aumentato le possibilità di vittoria del Polo liberaldemocratico, rendendo l’eventuale alleanza tra Berlusconi e Fini un soggetto isolato sulla destra dello schieramento politico.
Il passaggio cruciale avvenne nei giorni 24-26 gennaio 1994. Il 24 gennaio fu stipulata l’intesa tra Patto - PPI e Lega Nord, annunciata in una conferenza stampa da Segni e dal vicesegretario e capogruppo leghista alla Camera Roberto Maroni. L’accordo fu accompagnato da un documento programmatico, rassicurante sui temi dell’unità nazionale, tanto da avere come incipit la frase “L’Italia è una e indivisibile”46
. Restavano da definire due aspetti: la presenza del simbolo della Lega su quello della coalizione e l’individuazione comune dei candidati. La Lega chiese e ottenne di rimandare le decisioni sulle candidature ai primi di febbraio, dopo il Congresso, in cui sarebbe stata presentata l’alleanza e la piattaforma politica che la sosteneva47
.
Il giorno seguente Bossi rinnegò l’accordo, definedolo carta straccia. Su questo cambio repentino del Senatur sono state date più interpretazioni: la più nota è quella secondo la quale la base leghista si oppose contestando la decisione e costringendo la dirigenza a fare saltare l’accordo. Un’altra chiave di lettura, non necessariamente contraria alla precedente è legata all’ingresso in politica di Berlusconi. Il videomessaggio registrato del Cavaliere venne trasmesso il giorno seguente dalle reti televisive nazionali, annunciato da una lettera al Corriere della Sera48. Probabilmente Bossi intuì che con l’ingresso del Cavaliere la Lega poteva giocare su più tavoli e rilanciare per chiedere un accordo il più vantaggioso possibile. L’idea che con Forza Italia, data la sua novità e la sua presunta debolezza in termini di personale politico, potesse essere strappato un
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R. Biorcio La Padania Promessa, Milano, Il Saggiatore, 1997
46Presupposto irrinunciabile: l’Italia è una e indivisibile, Corriere della Sera, 25 gennaio 1994 p.2 47 M. Segni, La rivoluzione interrotta. Diario di quattro anni che hanno cambiato l'Italia. Milano, Rizzoli, 1994, pp. 20-25.
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36 accordo più favorevole rispetto ad un soggetto più esperto come il PPI è una possibile chiave interpretativa di uno dei cambiamenti di fronte più rapidi e importanti nella storia politica italiana.
L’evoluzione della destra italiana, considerata come il fattore di maggiore novità nello scenario politico della Seconda Repubblica, fu seguita con particolare interesse nel mondo intellettuale e accademico e allo stesso tempo produsse trasformazioni nel panorama editoriale italiano.
La carta stampata si divise tra sostenitori di Segni e berlusconiani: questa divisione portò alla rottura tra Indro Montanelli e il suo editore. Il direttore de Il Giornale sosteneva il leader sardo e il suo progetto del Polo liberaldemocratico, tanto da avere avviato nel mese di dicembre una raccolta di firme tra i lettori a suo sostegno49. Quando risultò chiaro che Berlusconi stava costruendo un partito e preparava le condizioni per entrare in politica Montanelli continuò a sostenere Segni e così facendo divenne il bersaglio polemico del direttore del TG4 Emilio Fede, che ne chiese pubblicamente le dimissioni, per mancanza di lealtà. Ma fu nel momento in cui Berlusconi chiese alla redazione di trasformare Il Giornale in uno strumento di sostegno alla sua candidatura che Montanelli reagì con un rifiuto assoluto e se andò, seguito da una parte consistente della redazione50. La rottura tra i due portò il giornalista toscano a lasciare il quotidiano che aveva fondato per darne vita ad uno nuovo: dal punto di vista editoriale egli non ricavò un particolare successo dalla rottura, tanto che La Voce, il quotidiano che fondò nel marzo 1994, dovette chiudere in pochi mesi. Dal punto di vista simbolico questa rottura incarnava tuttavia un fatto interessante: una fetta della borghesia italiana, che da sempre Montanelli aveva saputo incarnare coi suoi editoriali, non vedeva con favore l’ingresso di Berlusconi in politica. Questo rapporto conflittuale rimarrà una costante negli anni successivi e diverrà uno dei temi delle campagne contro “la sinistra dei ricchi”, “l’establishment” e i “poteri forti” che i partiti di destra porteranno avanti negli anni successivi, riprendendo un tema che fino ad allora era stato usato quasi esclusivamente dal MSI51.
Quello de Il Giornale non fu un caso unico: venne anzi anticipato da uno sciopero della redazione della rivista Panorama nel novembre 1993, di proprietà anch’essa della famiglia Berlusconi, che rivendicava la sua tradizione di indipendenza e non intendeva
49 Patto: Il Giornale pubblica le disdette Corriere della Sera, 11 febbraio 1994, p.3.
50 Sulla vicenda della rottura tra Montanelli e Berlusconi vd. A.Stille, Citizen Berlusconi. Vita e Imprese. Milano, Garzanti, 2006.
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37 porsi al servizio di una forza politica52. La polemica tra il direttore Andrea Monti e Berlusconi non sfociò in una rottura, ma la tensione fu solo allentata e si ripresentò in seguito quando i vertici editoriali proposero di allegare al settimanale una copia del programma elettorale di Forza Italia53. La direzione di Monti fu oggetto di polemiche all’interno dell’entourage berlusconiano fino al cambio di direzione del 1996, quando fu sostituito da Giuliano Ferrara, personalità più vicina al Cavaliere.
Montanelli fu sostituito dal Vittorio Feltri, che era stato direttore de L’Indipendente a partite dal 1992, quotidiano che durante la sua direzione ebbe un notevole successo editoriale, arrivando a superare proprio Il Giornale in fatto di tirature. La linea de L’Indipendente durante la direzione di Feltri fu espressione di una destra che condannava la corruzione del pentapartito e tifava per l’opera dei magistrati milanesi, tanto da essere identificato come fiancheggiatore della Lega Nord.
L’arrivo di Feltri rivitalizzò Il Giornale, che sul lato delle vendite vedeva le proprie tirature in calo costante a partire dall’inizio degli anni Novanta. Montanelli di fronte alle indagini milanesi non adottò una linea di aperto sostegno alla magistratura e cercò di mantenere una posizione garantista, che gli alienò una fetta consistente del pubblico che sentiva la propria ansia rappresentata in modo migliore dagli attacchi a Craxi che si trovavano ogni giorno su L’Indipendente. La linea editoriale che Feltri adottò a Il Giornale subì tuttavia delle variazioni rispetto a quella della precedente esperienza: il nuovo bersaglio polemico divenne Segni (nel mese di marzo egli pubblicò le lettere di disdetta di quei lettori che avevano firmato la sottoscrizione lanciata da Montanelli54); il sostegno alla Lega e alla magistratura si attenuò, mentre venne ripreso il bagaglio culturale anticomunista. Le vendite crebbero e, almeno nella campagna per le politiche del 1994, il quotidiano si rivelò uno strumento utile per Forza Italia. Feltri tuttavia non fece de Il Giornale il quotidiano di FI, assumendo a volte posizioni differenti dal suo editore e referente politico, tanto da arrivare alla rottura nel 1997.
Nel panorama editoriale accanto alla novità dovuta al cambio di guida a Il Giornale, si registrava anche un interessante dibattito sul Corriere della Sera, avente come tema proprio il futuro della destra italiana e del campo dei moderati. Nel dualismo Segni- Berlusconi, pur lasciando spazio al confronto tra editoriali come tipico della tradizione del Corriere, si nota come alcune delle firme più prestigiose presero posizione contro la
52Sciopero in casa Berlusconi, Corriere della Sera, 25 novembre 1993, p.1. 53 A. Dipollina Panorama regala Forza Italia, La Repubblica, 5 marzo 1994, p.6. 54
38 decisione di Berlusconi di entrare nella scena politica: tra questi Montanelli55, che continuò da queste colonne a sostenere Segni, Ernesto Galli Della Loggia56 e Angelo Panebianco57. Dall’altro lato il numero delle voci sarà più ridotto: spesso fu Berlusconi stesso a replicare; altre volte Giuliano Urbani e Antonio Martino sostennero le sue ragioni.
La rottura dell’accordo del 25 gennaio segnò un colpo durissimo all’immagine di Segni. All’immagine di un leader in ascesa si sostituì quella di una persona ingenua e raggirabile. Egli avendo stipulato l’accordo con Maroni si era esposto in prima persona mentre Bossi, assente in quella circostanza poteva rompere l’accordo senza subire di una eccessiva esposizione mediatica. L’accordo stiplulato con la Lega aveva suscitato forti malumori nei popolari: nel momento in cui l’accordo saltò il principale bersaglio polemico non era Bossi (anzi la rottura dell’accordo fu vissuta come un sollievo da una parte consistente del PPI) ma proprio il leader del Patto. L’immagine di debolezza che ne derivò facilitò l’avvicinamento a Berlusconi di altre forze politiche allora indecise sul da farsi, come i radicali e l’UDC.
Fu in questo momento che Berlusconi, ponendo sul tavolo delle trattative la questione dei collegi, riuscì ad affermare la propria linea in fatto di alleanze: il 29 gennaio 1994 dichiarò pubblicamente l’apertura dei contatti con Fini ed Alleanza Nazionale e nello stesso periodo si fecero più intensi i negoziati con la Lega Nord. Nelle prime due settimane di febbraio Forza Italia diede l’accelerazione decisiva al progetto di creazione del Polo, stipulando le seguenti alleanze:
Tabella 3 Costituzione del Polo liberaldemocratico: cronologia delle alleanze
DATA FORZE POLITICHE NOME ALLEANZA CONTENUTO ACCORDO 1 febbraio 1994 Forza Italia, UDC
- Candidati UDC nelle liste di Forza Italia
1 febbraio 1994
Forza Italia, CCD
- Candidati CCD nelle liste di Forza Italia
5 febbraio 1994 Forza Italia, Lega Nord Polo della libertà
Alleanza valida dal nord alla Toscana*; 70% collegi alla Lega; 30% collegi alle liste di Forza Italia 13 febbraio 1994 Forza Italia, AN Polo del Buongoverno
Alleanza valida dall’Umbria al Sud; 55% collegi ad AN; 35% a Forza Italia; 10% a CCD-CDU
55 I. Montanelli Ma io elogio i regressisti, Corriere della Sera, 3 marzo 1994, p.1. 56 E. Galli della Loggia No Cavaliere, Corriere della Sera, 26 gennaio, 1994, pp.1 ,5.
57 A. Panebianco Alternanza e rischio regime Corriere della Sera, 24 gennaio 1994, p.1,9; A. Panebianco
39 Berlusconi non riuscì, anche per via dei tempi molto ristretti della campagna elettorale, a stringere un accordo unico che comprendesse assieme Lega Nord e Alleanza Nazionale, la quale stipulò l’accordo con Forza Italia nelle regioni del Sud (il Polo del Buongoverno), presentandosi da sola nei collegi del nord. La Lega Nord e AN erano due forze politiche difficili da comprendere nella stessa alleanza per una lunga serie di