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L’evoluzione del sistema partitico dall’estate 1995 alla fine della legislatura

Capitolo 1 – Il “sistema fluido”

8. L’evoluzione del sistema partitico dall’estate 1995 alla fine della legislatura

1.8.1 Il dibattito sulle riforme costituzionali

L’esito delle regionali e dei referendum ebbe un impatto notevole sullo scenario politico. Gli equilibri parlamentari sui quali si reggeva il governo Dini furono intaccati: la competizione tra FI e Lega si era conclusa con una sostanziale parità, con la Lega che non era stata cancellata dal voto popolare e Forza Italia che poteva ancora vantare un ampio seguito elettorale e il supporto dell’impero mediatico214

. La richiesta insistente di elezioni anticipate da parte di Berlusconi si basava sulla convinzione del possibile ridimensionamento del Carroccio e della capacità del Polo di ottenere la maggioranza: ipotesi smentita dalle regionali. Parallelamente, la Lega sosteneva con tenacia l’esecutivo confidando nella possibilità di estromettere il leader del Polo attraverso la legislazione anti-trust, il referendum e le iniziative giudiziarie; altra convizione rivelatasi erronea. La presa d’atto del fallimento di queste impostazioni portò le due forze politiche a ripensare il proprio comportamento strategico: Berlusconi abbassò i toni dello scontro e iniziò a mostrare disponibilità al dialogo con il centro-sinistra sul tema delle riforme; Bossi cercò di ridare visibilità e libertà di movimento al suo partito riproponendo la questione settentrionale e invocando la secessione del Nord dall’Italia. La questione istituzionale non era un tema nuovo: esso era stato posto al centro del dibattito politico già dal decennio precedente. Storicamente l’impianto istituzionale previsto dalla Costituzione Repubblicana del 1948 fu portato a compimento nel 1970 con le prime elezioni dei consigli regionali. Agli inizi degli anni ’80 si diffuse la consapevolezza che tale architettura istituzionale presentava una lunga serie di difetti e che sarebbero state opportune delle modifiche. La grande riforma215 fu un miraggio durante l’intero decennio con le varie forze politiche concordi sulla necessità di cambiare ma disunite sui contenuti. L’incapacità della Prima Repubblica di autoriformarsi generò, nel momento in cui si compì il trapasso alla Seconda, una grande trasformazione del sistema politico senza che si producesse alcun mutamento

214 In seguito ai referendum il comparto mediatico dell’impero Fininvest assume il nome di Mediaset. 215 M. Segni M. Segni La rivoluzione interrotta. Diario di quattro anni che hanno cambiato l’Italia, Milano, Rizzoli, 1994.

130 istituzionale. I punti principali in discussione erano il rapporto tra governo e Parlamento; l’elettività del Presidente della Repubblica e del Capo del governo; la distribuzione del potere legislativo tra Stato e Regioni, i regolamenti parlamentari, la legge elettorale. Il tema delle riforme negli anni tra il 1991-93 fu ridotto alla sola tematica del sistema elettorale. Il movimento referendario di Segni comprese che la riforma dello Stato poteva avviarsi solo a partire da essa, essendo l’unico punto dell’architettura istituzionale regolato da legislazione ordinaria.

La vittoria del centro-destra alle politiche del 1994 portò a un calo d’interesse sul tema delle riforme. Berlusconi e il Polo erano convinti di potere realizzare una rivoluzione che era definita “liberale”216

da FI, “conservatrice”217 da AN e “federalista”218dalla Lega, ma nei mesi di vita del governo Berlusconi il tema delle riforme non fu centrale nell’agenda politica, con l’eccezione della continuazione del dibattito sulla legge elettorale in direzione di un’ulteriore modifica in senso maggioritario del Mattarellum. Tale dato sembra indicare che questi partiti ritenevano di potere cambiare la conduzione politica del paese basandosi sulla legislazione ordinaria: tuttavia dopo alcuni mesi Berlusconi ed esponenti del governo e della maggioranza iniziarono a lamentarsi dell’ostilità degli altri poteri costituzionali (magistratura, Corte dei Conti, Banca d’Italia) e delle lentezze del procedimento parlamentare. La necessità di riformare la Costituzione fu avvertita prima e con maggiore sensibilità da Alleanza Nazionale che dedicò al tema alcuni passaggi delle Tesi di Fiuggi. AN disponeva di una propria piattaforma sul tema in larga parte ereditata dal MSI: il punto chiave era l’elezione diretta del capo dell’esecutivo, da realizzarsi o secondo il modello presidenziale propugnato da Almirante o quello più recente introdotto da Fisichella di elezione del Presidente del Consiglio, vigente in Israele. Gli altri punti della piattaforma di AN sul tema istituzionale erano l’indipendenza della magistratura (visione contrastante con quella di FI), il rifiuto del federalismo e la riserva di una lista di materie inalienabili dalle competenze dello Stato219.

La caduta del governo Berlusconi rese chiaro anche ai partiti del centro-destra la necessità di ristrutturare il sistema istituzionale in direzione di un rafforzamento dell’esecutivo. Durante i sette mesi del governo del Polo la maggior parte dell’attività legislativa si concretizzò in ratifica di decreti-legge emanati dal governo e reiterati alla

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Camera dei deputati, Resoconti Stenografici dell’Assemblea, Seduta del 19 maggio 1994, p.158. 217 Camera dei deputati, Resoconti Stenografici dell’Assemblea, Seduta del 20 maggio 1994, p.270. 218 Camera dei deputati, Resoconti Stenografici dell’Assemblea, Seduta del 19 maggio 1994, p.110. 219 Pensiamo l’Italia. Il domani c’è già. Tesi politiche per il XVII Congresso Nazionale del MSI-DN, 1995, pp.11-14.

131 loro scadenza, spesso col ricorso alla fiducia al fine di superare gli ostruzionismi della minoranza e i contrasti interni alla maggioranza: questa difficile conduzione dell’attività di governo convinse i leader del Polo che senza un intervento sui procedimenti decisionali e legislativi il potere dell’esecutivo era notevolmente limitato.

La prima metà del 1995 vide i partiti affrontarsi ancora in maniera aspra, con una forte spinta alla delegittimazione dell’avversario. Il centro-sinistra e la Lega si vantavano di avere rimosso dal governo partiti pericolosi per la democrazia220, il Polo accusava l’ex alleato di avere tradito il voto degli elettori e PDS, PPI e magistratura di essere artefici di un golpe221. La sopravvivenza di Lega e Forza Italia dopo elezioni e refendum spinse i partiti a rivedere le proprie posizioni. Il tema della riforma dello Stato s’intrecciava a doppio filo con l’attualità: fintanto che le forze politiche avevano ritenuto di potere concludere la transizione senza intervenire sul sistema istituzionale esse perseguirono lo scontro; ora che lo scenario iniziava ad apparire meno fluido si ritenne che una stabilizzazione complessiva potesse essere raggiunta solo modificando il testo della Seconda Parte della Costituzione.

Sotto il profilo giuridico era evidente l’inadeguatezza della definizione di Seconda Repubblica: il nuovo sistema politico poggiava infatti sulla stessa Costituzione del 1948, modificata in maniera marginale nel corso degli anni, con ritocchi che non avevano alterato la forma di governo, né altri aspetti come il Titolo V sui rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali. Le riforme del periodo 1991-95 consistettero soltanto in leggi ordinarie di modifica della legislazione elettorale per Comuni (1993), Parlamento (1991 e 1993) e Regioni (1995). La principale modifica alla Costituzione del 1993 fu l’attenuazione dell’istituto dell’immunità parlamentare, compiuta nel clima di indignazione generato dagli esiti delle indagini sulla corruzione: una modifica che non aveva nulla a che fare con il rendimento delle istituzioni, ma che rispondeva a una precisa richiesta dell’opinione pubblica.

L’intreccio tra spinta riformatrice e attualità politica portò a un rimescolamento delle carte nei rapporti di forza tra i partiti. Il primo input del dibattito sulle riforme venne dall’esponente di AN Fisichella, che nel mese di giugno pubblicò una serie di articoli in cui delineava la possibilità di costituire un governo di grande coalizione tra PDS Forza

220 Ad esempio Bossi rivendicò il merito di avere evitato che le celebrazioni per il 50° anniversario della Liberazione si fossero tenuto con ministri fascisti, vd. U. Bossi Tutta la verità, Introduzione di Daniele

Vimercati, Milano, Sperling & Kupfer, 1995.

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132 Italia e AN che lavorasse alla riforma della Costituzione222. Il ragionamento che ispirava Fisichella era quello per cui il governo Dini stava per esaurire le sue funzioni e che il ritorno alle urne dopo la fine di questa esperienza sarebbe stato negativo poiché non avrebbe risolto i problemi di rendimento delle istituzioni. Solamente un governo capace di mettere assieme le maggiori forze politiche in termini di consenso popolare e numeri parlamentari avrebbe potuto approvare rapidamentre una strutturale modifica della forma di governo, capace di tornare utile a entrambi gli schieramenti in una logica di alternanza.

La prima reazione alla proposta di Fisichella fu quella di Fini, che espresse la sua contrarietà all’idea di un governo di grande coalizione223. L’ipotesi cadde in pochi giorni, eppure da entrambi gli schieramenti emerse la disponibilità ad avviare un dialogo sul tema. L’intreccio tra attualità e prospettive riformatrici spinse la Lega a farsi simbolo dell’ostilità a questo tipo di trattativa, come avvenuto in precedenza per il tentativo di accordo sui referendum televisivi. Bossi si vide schiacciato dalla convergenza tra Polo e PDS: non potendo disporre di sponde valide il Senatur accentuò il secessionismo del Carroccio, dal quale iniziarono a levarsi voci di insofferenza nei confronti di Dini224, questa volta non più ridotte al silenzio da parte della segreteria federale, bensì incentivate al fine ostacolare la collaborazione tra i Poli. Specularmente il Polo confidava di indebolire la compattezza della maggioranza ingabbiando la Lega tramite quest’accordo.

Il punto di incontro tra i Poli si ebbe con una riunione di saggi che prese il nome di “tavolo delle regole”225

. Il tavolo era composto da sette membri, quattro provenienti dalla maggioranza e tre dall’opposizione: nello specifico erano rappresentate quasi tutte le forze politiche principali. I quattro esponenti di area governativa erano Veltroni (PDS), Elia (PPI), Segni (Patto) e Ronchi (Verdi); quelli di opposizione erano Letta (FI), Tatarella (AN) e D’Onofrio (CCD). Dal tavolo erano escluse le due forze politiche che per la radicalità delle loro posizioni sui rapporti sociali (RC) e su quelli tra Nord e Sud (Lega) non erano ritenuti validi interlocutori. Mentre la posizione di Rifondazione era logicamente collegata alla sua estraneità alla maggioranza parlamentare, quella della Lega era la conseguenza di un veto da parte del centro-destra che non avrebbe dato disponibilità a una trattativa che avesse compreso l’ex alleato. Bossi reagì all’esclusione

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D. Fisichella Una proposta: un governo con FI, AN e pidiessini, in D. Fisichella, Articoli di periodici e

giornali, 2002.

223 G. Bucciini Fini boccia Fisichella: no al governissimo, Corriere della Sera, 29 maggio 1995, p.5. 224 D. Comino Io sto con la Lega.. Il Nord all’assalto del PalazzoTorino, Sintagma, 1996 pp. 96-99. 225

133 con parole molto critiche nei confronti dell’iniziativa, sulla stessa linea di Cossutta e di Orlando226. Negli stessi giorni si tenne il Congresso del PDS. Al congresso intervennero come ospiti sia Berlusconi sia Fini227. La presenza dei due leader del Polo rifletteva il cambiamento delle relazioni diplomatiche tra maggioranza e opposizione. Un cambiamento confermato dalla parole di elogio a Fini da parte di Veltroni e dal desiderio espresso da D’Alema di un “bipolarismo democratico tra coalizioni che si rispettano”228

.

L’estate 1995 vide così il raffreddamento del clima polemico auspicato da Dini al momento del suo insediamento. Eppure la prospettiva del dialogo era resa difficile dalla diversità di vedute delle varie forze politiche. Il punto più controverso riguardò il metodo da adottare per giungere alle auspicate riforme. L’opzione preferita di FI e PDS era quella dell’istituzione di una commissione parlamentare Bicamerale, che incontrava l’ostilità dei rispettivi alleati delle due coalizioni AN, Lega e PPI. Quest’ultimi auspicavano l’elezione di una Assemblea Costituente con legge elettorale proporzionale, chiamata a riscrivere interamente la Costituzione ed esentata dall’attività legislativa ordinaria. In questo senso era accettabile l’ipotesi di un nuovo governo tecnico, ma non quello di un governo sostenuto da tutte le forze parlamentari, di Grossa Coalizione o larghe intese. L’incapacità nell’immediato di accordarsi sul metodo dipendeva da valutazioni politiche di breve periodo. AN, ad esempio, pur non avendo compiuto il sorpasso ai danni di FI alle amministrative del 1995 era ancora convinta di potersi affermare come maggiore partito del Polo. In FI il timore di essere sorpassati si accompagnava alla valutazione del dato complessivo delle regionali, che dipingevano uno scenario con il Polo potenzialmente sconfitto in caso di elezioni anticipate. In questo contesto le richieste di elezioni anticipate da parte di Berlusconi si erano attenuate, mentre AN continuava nella sua polemica con il capo dello Stato sulla data del voto e sull’eccessiva durata del governo Dini. FI mirava a un processo riformatore in cui potesse fare valere il peso politico acquisito nel 1994, mentre AN puntava a mettere in discussione quanto prima quel dato, per acquisire un peso decisionale maggiore229. La prospettiva di AN convergeva con quella dei popolari, non tanto perché essi potessero aspirare a ribaltare i rapporti di forza col PDS, ipotesi poco realistica, ma perché già a febbraio Romano Prodi era stato indicato come candidato premier del

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Bossi: il karaoke dei gattopardi, Corriere della Sera, 4 luglio 1995, p.6.

227 Al contrario si registrò la polemica assenza dell’ex segretario Occhetto, che lamentò l’assenza di democrazia interna al partito.

228 F. Proietti D’Alema: basta con l’Italia dei nemici, Corriere della Sera, 7 luglio 1995 p.3. 229

134 progetto ulivista. La candidatura di Prodi era stata determinata in vista di uno scioglimento anticipato delle Camere, incompatibile con l’istituzione di una commissione Bicamerale con il Parlamento allora in carica. Il tavolo delle regole non portò a risultati degni di nota: non vi fu l’accordo sulla Bicamerale per effetto dei veti incrociati di PPI e AN e le trattative si arenarono sul tema della legislazione anti- trust230. L’unica possibilità rimasta in piedi fu quella di un’Assemblea Costituente, che però riechiedeva un accordo su modi di elezione, durata, rapporto col governo e altri aspetti tali da necessitare una complessa mediazione tra le parti. Pur non avendo portato a risultati degni di nota, il primo tavolo delle regole diede prova della consapevolezza delle forze politiche riguardo il mancato completamento della transizione istituzionale. Il dialogo tra i Poli se da un lato poteva essere letto come manifestazione di buona volontà per superare problemi antichi, dall’altro si prestava a una interpretazione qualunquista, che prese il nome di inciucio. Il termine fu coniato da D’Alema in una intervista concessa a Repubblica alla fine di ottobre, in cui il leader del PDS esprimeva la sua contrarietà a un governo di larghe intese231. L’eterogenesi dei fini fece sì che questo concetto fu adottato per definire una collaborazione tra coalizioni che si proclamavano tra di loro alternative ma che in realtà esprimevano i medesimi interessi, dipinti come contrari a quelli della popolazione232. La trattativa al fine di evitare il referendum sulle reti Fininvest era stata il primo esempio di tale forma di conduzione della politica, percepita come degenerativa. Il termine venne così veicolato in polemica contro chi l’aveva coniato: se ribaltone era stata la parola centrale della polemica condotta dal Polo contro la Lega nella prima metà del ’95, inciucio fu il termine adottato dalle forze politiche ritenute anti-sistema (Lega, Rifondazione ma anche MS Fiamma Tricolore) per polemizzare contro il Polo e il centro-sinistra. Per la Lega in special modo la linea "anti-inciucista" si accompagnava al recupero del bagaglio ideologico secessionista.

1.8.2 Il passaggio della Lega a posizioni secessioniste

La Lega dovette reagire prontamente ai mutamenti sanciti dal doppio voto delle regionali e dei rerefendum. La leale collaborazione e il sostegno al governo Dini si basavano sull’idea che agganciandosi a questa maggioranza la Lega avrebbe potuto estromettere FI dalla scena politica e ripendere le prospettive di espansione elettorale

230 M. Caciagli e D.I. Kertzer Politica in Italia Edizione 1996, Bologna, Il Mulino, 1996, p.30. 231 M. Fuccillo Siamo fuori dalla palude, Repubblica, 29 ottobre 1995, p.5.

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135 nei confronti del ceto medio imprenditoriale del Nord. Il fallimento di questa possibilità indusse il Carroccio a riformulare la propria strategia. Il sostegno all’esecutivo divenne col tempo sempre più sofferto: la Lega infatti appoggiava un esecutivo che non si era impegnato a portare avanti un progetto di revisione federale dell’ordinamento dello Stato. Inoltre i disegni di legge sui temi dell’antitrust e della par condicio venivano rallentati dall’ostruzionismo del Polo, nel momento stesso in cui una parte della maggioranza trattava con l’opposizione per una soluzione negoziata della questione. Il timore della Lega di vedere azzerata la propria influenza nello scenario politico dalla collaborazione tra i Poli spinse Bossi a cercare di uscire dall’angolo riprendendo una delle tematiche classiche che avevano determinato le fortune del leghismo nei suoi primi anni di vita: l’indipendenza delle regioni del Nord. La possibilità che la Lega fosse artefice di una separazione dello Stato italiano era stata ritenuta molto forte negli anni in cui il Carroccio aveva accresciuto vertiginosamente il proprio consenso elettorale tra il 1990 e il 1992. In questi anni gli atteggiamenti sia della Lega, sia dei partiti ad essa ostili, determinarono una grande confusione riguardo i termini tipici del linguaggio delle forze politiche a base territoriale. Vocaboli come autonomismo, federalismo, secessione, indipendenza furono utilizzati come sinonimi, laddove essi possono essere ritenuti indicatori di diversi gradi di rivendicazioni territoriali. Pertanto questi termini venivano usati indistintamente per rivenidicare la possibilità del Settentrione di rompere l’Unità d’Italia e dare vita a un nuovo stato, la Padania.

La Lega stessa in seguito, definì la seconda metà del 1995 come il momento di passaggio dalla fase federalista a quella secessionista. Un simile passaggio si basava sulla rinuncia definitiva a negoziare col potere statale la possibilità di un rafforzamento dei poteri degli enti locali, in particolare delle Regioni. Fino ad allora il termine Padania era stato poco utilizzato: ad esso era generalmente preferito quello di Repubblica del Nord233. La caratterizzazione con un nome specifico (parlare di Repubblica del Nord presume l’esistenza di un Sud dalla cui presenza dipende la propria definizione) era espressione di una più forte volontà di dare una valenza identitaria a un progetto secessionista.

L’avvenimento che segnò il passaggio della Lega a posizioni secessioniste fu la convocazione del Parlamento del Nord, il 7 giugno 1995. La volontà politica sottesa alla scelta di una data così vicina al voto referendario era quella di preparare l’azione politica successiva. L’evento fu preparato con spirito provocatorio. La prima seduta del

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136 Parlamento del Nord altro non fu che una riunione di parlamentari e amministratori locali leghisti234, un’assemblea di partito che però suscitò reazioni polemiche da parte di tutte le forze politiche contro la prospettiva di un attacco all’unità nazionale. La reazione principale fu di derisione dell’iniziativa, senza il timore di azioni eversive235

. Le polemiche furono il risultato mediatico auspicato dal Carroccio. Lo sdegno del mondo politico teneva il partito di Bossi al centro dell’attenzione in un momento in cui rischiava di essere isolato dalla collaborazione tra i Poli; inoltre il Senatur seppe fare uso dell’iniziativa per saldare la polemica sulla questione settentrionale con quella sull’inciucio, secondo una strategia che puntava a fare coincidere alla secessione istituzionale dallo Stato centrale, quella politica dai partiti che ne erano espressione. Una linea che puntava a massimizzare i vantaggi elettorali dalla condizione di isolamento e che al contempo costituiva un monito agli altri partiti della maggioranza a ricordare l’importanza dei parlamentari leghisti per il sostegno a Dini.

L’insediamento del Parlamento del Nord si risolse in un comizio di Bossi. Nell’intervento del 7 giugno i passaggi fondamentali furono la richiesta di un’Assemblea Costituente, di una riscrittura della Costituzione che integrasse una forma di stato federale236, mentre il governo dello Stato sarebbe dovuto essere ancora affidato a un esecutivo tecnico, attraverso la continuazione dell’esperienza Dini. Un altro passaggio fondamentale del discorso di Bossi fu la ripresa dell’impostazione proporzionalistica che il partito aveva condotto fino alla stagione dei referendum del