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A Campanile, Il Principe Pensieroso, in Id., Tragedie in due battute, introduzione di M.

Nel documento Forma breve (pagine 193-199)

247 Il tragico rovesciato: la velocitas umoristica di Achille Campanile

La lunga didascalia – forma assai amata da Campanile per preparare l’effetto comico contrastivo della sua tragedia – ri- porta l’attenzione del pubblico verso atmosfere plumbee e cerebrali degne di Amleto. Sia la scenografia sia la posizione dell’attore imprimono la figura del principe danese in colo- ro che assistono allo spettacolo, creando così un orizzonte di attesa, che, puntualmente e volutamente, sarà deluso. Lo scambio veloce di battute tra il Gran Ciambellano e il Prin- cipe frantuma, infatti, la certezza del pubblico. L’equivoco verbale giocato sul doppio senso della parola «Altezza» ge- nera un varco nella dimensione tragica del testo: la realtà prosaica entra e stravolge la scena, capovolgendola in una scenetta comica. Ed ecco che assieme a Il Principe Pensieroso può apparire, nel libro, la tragedia L’impiegato pieno di delica-

tezza, a testimonianza di un rovesciamento verso il basso di

personaggi e situazioni del materiale tragico. È la vita reale di ogni giorno a diventare protagonista del genere aulico della tragedia, quotidianità che, però, verrà comunque stravolta nelle sue regole all’interno di due battute.

Sempre legata all’uso ambiguo di un titolo nobiliare risul- ta essere anche Formalismo:

Personaggi:

il vecchio principe il nuovo servitore

La scena si svolge nel salone rococò al primo piano del palaz- zo del vecchio principe. Tappeti, arazzi alle pareti, mobili dorati, statuine.

All’alzarsi del sipario il vecchio principe sta interrogando il nuovo servitore assunto da poche ore.

il vecchio principe

al nuovo servitore: Com’è il vostro nome?

il nuovo servitore Giuseppe. il vecchio principe

con severità: Non si risponde così nudo e crudo, Giuseppe.

Dovete aggiungere sempre: Eccellenza.

D’Amico, BUR, Milano 2008, p. 72. Tutti i testi delle tragedie sono tratti dall’edizione sud- detta.

Elisa Martini

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il nuovo servitore

vincendo la modestia: Va bene: Eccellenza Giuseppe.

(Sipario)

Anche in questo caso la didascalia dona al lettore l’ambienta- zione più consona a ricevere l’effetto straniante della battuta finale. È un salone dove l’assenza del tempo è concretamente percepibile: tutto è fermo in un passato cristallizzato e co- dificato da norme ferree. Ed è proprio questo formalismo di etichetta a essere la vittima sacrificale della battuta del Nuovo Servitore, figura che fuoriesce dal mondo del Vecchio Principe. Egli svela, nel suo non comprendere l’importanza del titolo «Eccellenza», la vacuità di un sistema che ormai si riduce a essere un puro rituale, destinato a ripetersi all’infi- nito nella sua forma sterile priva di un qualsiasi contenuto. Il Vecchio Principe, con la sua etichetta, è ormai recluso nella vita naftalinica e museale delle sue statuine e del suo salone rococò.

Ma il sistema del vuoto formalismo a ripetersi diviene chiaro protagonista in un’altra tragedia: Situazione senza usci-

ta. Tutto è giocato dalle didascalie descrittive che dettano i

gesti recitati agli attori e capovolgono in un senso comico le parole di cortesia scambiate tra Battista il maggiordomo e il Granduca:

Personaggi: il granduca battista

La scena rappresenta un’anticamera sontuosa. il granduca

entra dalla comune, seguito dal domestico battista, che è in frac; senza voltarsi, gli consegna con aria stanca il gibus, il bastone, i guanti; poi gli getta il mantello, che battista, avendo le mani occupate dal gibus, dal bastone e dai guanti, riceve sulle spalle. il

granduca resta in frac: Annunziate il Granduca… Si volta

e vedendo battista col mantello, il gibus, i guanti e il bastone, gli fa un profondo inchino: Pardon… Chi debbo annunziare?

battista

gli consegna guanti, bastone, gibus e mantello: Annunziate il

domestico Battista…Pardon…Vedendo il granduca tornato il granduca, gli fa un inchino e si fa consegnare nuovamente

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signore ed il granduca gli fa un inchino e riceve ancora i capi del vestiario, che passano dall’uno all’altro, fra gl’inchini reciproci, finché, fatta l’ora di chiudere il teatro, cala lentamente il

(Sipario)

Lo scambio del mantello e degli altri accessori signorili tra i due porta a uno scambio continuo delle loro identità, mec- canismo destinato a ripetersi senza soluzione di continuità. La vestizione del mantello, del bastone, del gibus e dei guanti segna la vera differenza che intercorre tra i due, signore e maggiordomo. Entrambi in frac, le loro identità sono decise da elementi superflui ed esterni: dalla pura forma. I perso- naggi “alti” da sempre protagonisti dello scenario tragico, vengono sminuiti, spogliati dall’interno fino a diventare puri involucri rappresentativi: la nobiltà sta nell’indumento e non in chi lo indossa. E la tragedia volge inesorabilmente in una comicità fulminea e dissacrante.

Il cannocchiale di Campanile sta puntando verso i ca- ratteri vivi e tangibili della realtà e nel farlo scopre tutti gli innumerevoli rituali umani e sociali basati su un’esteriorità fittizia fatta di pura stilizzazione e non di concreta sostanza. Emblematica anche in questo caso è Morto che parla, dove viene trattato uno dei temi principi della tragedia, quello della Morte:

Personaggi: il morto

i parenti e gli amici del morto

La scena rappresenta una camera ardente. Il morto è ste- so sul letto, fra le candele e i fiori; intorno, i famigliari e gli amici singhiozzano, strillano, si disperano, si danno le pugna nel capo, si strappano i capelli, si torcono le braccia, camminano avanti e indietro imprecando e minacciando di fare qualche pazzia.

il morto

tra sé, intravedendo la scena attraverso lo spiraglio delle palpebre non ben chiuse: Quante esagerazioni! Ma allora che dovrei

fare io?

(Sipario)

L’oscura signora questa volta è scesa non tra granduchi o nobili, ma tra la gente comune, non perdendo, per questo, l’aspetto tragico con lei connaturato. Anche in questo caso è

Elisa Martini

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significativa la didascalia, dove viene descritto in tutte le sue componenti il rito del planctus funebre. Un vero coro tragico, colmo di pathos, espresso anche dall’iperbole corporea del dolore, si leva intorno al letto mortuario. È il defunto stesso a creare la crepa dentro questo rituale arcaico e lo fa me- diante una battuta incentrata su un pragmatismo fulminante. Tutto diventa inutile e sovraccaricato: un puro formalismo esagerato e vuoto. È lo squarcio fulmineo del cielo di carta di pirandelliana memoria, ma – in questo caso – la scena non si riempie degli oscuri dilemmi di Amleto, ma di un riso sarca- stico da commedia. Non è, però, la Morte a essere stravolta nel suo aspetto tragico, bensì l’approccio della società civile a essa. Non è la Morte a diventare ridicola o comica, ma il consorzio civile osservato da chi, volente o nolente, quel de- cesso l’ha vissuto da protagonista.

La penna di Campanile rovescia in comicità e smembra l’aulica tragedia riducendola allo spazio minimo di due bat- tute, svuotandone da dentro ambienti e personaggi, renden- doli larve di una società cristallizzata e fittizia. Ma si ferma qui? No, lo scavo continua e dai duchi e nobili, personaggi topici della nostra scena alta drammatica, si passa agli im- piegati, agli avventori, ai passeggeri fino agli oggetti stessi della nostra quotidianità, come due locomotive: tutto viene stravolto e capovolto nello spazio minimo di due battute. È una brevità comica che parte dalla vita reale di ogni giorno e di ogni classe sociale e la sovverte nelle sue regole. Campanile «deforma la regola»4, aprendo così le porte al pancraziano «riso scemo» che conduce verso un vuoto, come accade per esempio in Dramma inconsistente:

Personaggi: nessuno

La scena si svolge in nessun luogo. nessuno

tace.

Qui il niente è sovrano: una vacuità assoluta che si avvici- na alla dissoluzione drammatica di Strindberg e che ispira già – mediante il suo continuo sperimentalismo – quello che

4. F. Taviani, Commedia corta. Oppure lunga una vita – per figurarsi il teatro di Achille Campani- le–, in A. Campanile, L’inventore del Cavallo e altre quindici commedie, BUR, Milano 2002, p. 11.

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sarà il teatro del non-senso di Ionesco. Ma cosa si nasconde in queste tragedie voltate in un comico veloce che tende al nulla totale? Dietro questo capovolgimento vi è la vera tragedia se- condo il cannocchiale rovesciato di Campanile: quella uma- na di una società (in special modo borghese) ormai vacua e futile – dove l’idiozia e l’ignoranza dilagano – circoscritta nelle proprie convenzioni formali e destinata a un’attesa inutile, tanto più grave quanto non se ne è consapevoli e per questo trasformata in occasione di riso. L’originalità del- la sua scrittura nasce «appunto dalla capacità di rovesciare dall’interno quanto è avvertito come luogo comune, detrito lessicale o comportamentale. Tale tecnica del “ribaltamento” prevede l’apparente accettazione di rituali appartenenti alle tradizioni del passato e di atteggiamenti diffusi e alla moda, coinvolge banali usi quotidiani o altri del privato (il matrimo- nio, la morte...), pretende l’esasperazione di toni e di modi, mentre lo scarto improvviso della norma costituisce spesso il primo passo per la costruzione di uno straniato universo parallelo»5.

Quello raffigurato da Campanile, è, quindi, un consorzio civile dove il suo dramma si esprime nel capovolgimento co- mico sia della grande dimensione tragica che della mediocritas di ogni giorno. La freddura sagace viene eretta a sistema in una società che, invece, proprio in quegli anni vuol osan- nare la propria grandezza, basata sul divismo, sull’eroismo dell’«uomo nuovo» e sul «pindarismo» vincente6. Siamo nel Ventennio fascista e come sottolinea Oreste Del Buono «l’u- morismo è stato durante il ventennio cosiddetto nero uno dei pochi movimenti culturali, inconsapevolmente o consa- pevolmente, non del tutto arreso alla retorica del regime»7. Un regime attratto dalle grandi manifestazioni auliche e alti-

5. C. De Caprio, Achille Campanile e l’alea della scrittura, Liguori, Napoli 1990, p. 60. Sul “realismo parallelo”, cfr. R. Cirio, Al terz’atto c’è la scena madre, «L’Espresso», 30 aprile 1978. 6. C. De Caprio, Achille Campanile e l’alea della scrittura cit.: «Dal puntuale confronto con i messaggi perentori, elaborati dalla stampa del Ventennio, emergono infatti non solo i limiti di un’epoca, ma soprattutto la distanza che Campanile mantenne da un “pindarismo banale” in essi vincente. Contro il mito dell’“uomo nuovo”, l’eroe che si sacrifica per tutti, invocato da Mussolini, l’umorista mette in scena premiazioni per eroi da strapazzo, rap- presenta pensatori inutili o umili gregari, lascia che i suoi testi funzionino come “cassa di risonanza” e di riproposizione, sotto altre vesti e con segno invertito, di quanto il pubblico sa già.», p. 91.

7. O. Del Buono, Prefazione, in A. Campanile, Opere. Romanzi e racconti. 1924-1933, Bom- piani, Milano 1989, pp. xvi-xvii.

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sonanti e al quale Campanile offre la velocitas tragicomica di due battute, una brevità che esprime in qualche modo una voce “altra” rispetto a quella ufficiale. È un rovesciamento che si sottrae alla retorica imperante, alla pressione soffo- cante della censura fascista, la quale, però, sorveglia la satira dei giornali dove Campanile stesso scrive e con la quale lo scrittore deve fare in qualche modo i conti e che spesso lo vedrà nei panni di autore anche filo-regime.

Non è, dunque, la satira militante, benché ve ne affiori leggermente un velo in qualche componimento, a guidare veramente la mano incendiaria di Campanile. Non è il fasci- smo il vero bersaglio campanaliniano o, per meglio dire, esso è solo il corollario storico del vero obiettivo dell’umorista. Campanile, infatti, dà voce – citando le parole di Caterina De Caprio – «a quella capacità di ravvisare i tanti giochi di un’umanità bambina, troppo intenta a prendersi sul serio per vedere il ridicolo delle proprie scelte e dei propri miti, in tutto coincidenti con quelli di una società desiderosa di ap- parire razionale nei suoi comportamenti, ma nella sostanza arruffona e pasticciona, irresponsabile e istintiva. Per farne risaltare le incongruenze l’autore indulge, con un gusto ap- parentemente infantile, al gioco di modificare le regole cui i personaggi-maschera si attengono, rendendo finalmente visibile su di uno sfondo negativo le comuni contraddizioni dell’ovvio e del quotidiano»8.

La tragedia umana è quindi scesa dal suo piano grandioso e aulico per inglobare tutta la società, con i suoi riti, i suoi stilemi, i suoi repertori, le sue pratiche puramente formali comuni a qualsiasi epoca e a qualsiasi classe sociale siano essi nobili ormai di gesso o semplici cittadini aspiranti alla fama come il campaniliano Cornabò. L’operazione di Campani- le, che certo parte dalla roboante propaganda altisonante e “progressiva” fascista, si allarga però verso l’intera società bambina, che non evolve dalla sua fanciullezza al di là del governo che la dirige. In due scarne battute il Nostro autore rende la realtà effettuale della comunità civile; granello di vero su cui si può costruire qualsiasi ritratto. È una monade feconda che si può allargare in articolo, romanzo o testo teatrale, ma contenendo dentro di sé sempre l’irreveren-

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