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Giovio, Ragionamento cit., p 204.

Nel documento Forma breve (pagine 115-119)

«Di poche parole e di figure»: l’emblematica come forma breve

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so e unirlo temporaneamente ad altri segni, rendendo ogni composizione emblematica una forma di eterotopia in senso foucauldiano.

Infatti, grazie al loro potere di «juxtaposer en un seul lieu réel plusieurs espaces, plusieurs emplacements qui sont en eux-mêmes incompatibles»41, imprese ed emblemi si configu- ravano come controluoghi, spazi testuali eterogenei che, su un supporto materiale concreto e reale (il libro, il portale, il mantello), riorganizzavano la percezione del mondo in una prospettiva eterocronica42: in tal modo, le dinamiche e le gerarchie di una cultura, la visione della realtà, dello spa- zio e del tempo potevano essere rappresentate, relativizzate, contestate o rafforzate in uno spazio testuale che appariva familiare e deviante al tempo stesso.

Considerare l’emblematica come forma breve apre, dun- que, delle interessanti prospettive che permettono non solo di rivedere la chiave di lettura neoplatonica e concettistica che ha prevalso fin dal pionieristico studio di Mario Praz43, ma anche di mettere in luce aspetti che da un punto di vista semiotico inseriscono in una prospettiva più ampia questi testi così complessi e affascinanti.

41. M. Foucault, Des espaces autres, in Id. Dits et écrits, par D. Defert et F. Ewald, Gallimard, Paris 1994, vol. IV, pp. 752-762, p. 758.

42. «Les hétérotopies sont liées, le plus souvent, à des découpages du temps, c’est-à-dire qu’elles ouvrent sur ce qu’on pourrait appeler, par pure symétrie, des hétérochronies; l’hétérotopie se met à fonctionner à plein lorsque les hommes se trouvent dans une sorte de rupture absolue avec leur temps traditionnel», Foucault, Ivi, p. 759.

43. M. Praz, Studies in Seventeenth-Century Imagery, London, The Warburg Institute, 1939, 2nd ed., Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1964.

Forma breve

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Se alcuni paratesti (quarta di coperta, risvolto, nota edito- riale) hanno avuto l’onore di trasformarsi in testi autono- mi – grazie alla penna di scrittori che li hanno praticati nel loro ruolo di funzionario, consulente o fondatore di casa edi- trice, da Calvino a Vittorini, da Sciascia a Calasso, da Caproni a Debenedetti, – il colophon ha trovato piuttosto esiti grafici: nelle edizioni d’arte, per esempio, le informazioni trasmesse (nome dell’editore, data e luogo di pubblicazione, indica- zioni tipografiche, numero di copie stampate) si tramutano quasi sempre in suggestive mappe che riempiono tutta una pagina e completano anche visivamente il libro.

Già – agli occhi inesperti di scritture cuneiformi, quali quelli della maggior parte di noi lettori – le iscrizioni che al verso di una tavoletta ittita o assira davano indicazioni in- torno all’opera e allo scriba che aveva operato (primi colo- phon della storia) hanno a volte l’eleganza di una moderna

gravure ; già – leggibili nel loro aspro o raffinato latino – le subscriptiones medievali (dove luogo e data di pubblicazione

sono proficuamente accompagnate non solo dal nome dell’a- manuense ma spesso anche da quello del committente) e i primi esempi rinascimentali di colophon a stampa offrono

I colophon di Alessandro Scansani

I colophon di Alessandro Scansani

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prove di quel gusto grafico che aveva caratterizzato per secoli un prodotto raro e costoso come il libro; ma anche in epoca contemporanea il colophon può trasformarsi in elemento di preziosa integrazione formale del testo stesso.

Un esempio che subito viene alla mente è quello di una casa editrice che ha voluto darsi il nome stesso di “Colo- phon”, sottolineando così il ruolo del processo di stampa nel progetto creativo d’artista. Dal 1989 (quando esordì con la pubblicazione di Quattro Canti di Leopardi e Quattro Incisio-

ni di Walter Valentini) l’obiettivo dichiarato dall’editore – far

dialogare i due “sistemi di segni” (per riprendere la formula di Umberto Eco) contaminando il linguaggio della poesia con quello dell’arte – è esplicitato nei dati messi in evidenza dalla pagina finale: pagina il cui testo spesso si distende in simmetrie, a volte si arriccia in volute, oppure si modula a forma di lettera per accompagnare l’Alfabeto di Paul Valéry, e si fa cerchio fiammeggiante a sigillo di un libro segreto dei Catari…

Se nella scelta del nome “Colophon” la casa editrice bel- lunese sembra aver voluto racchiudere con sobria eleganza l’ambizione di un progetto di alto profilo letterario e artistico reso possibile dalla sapienza artigianale che sa tradurlo in oggetto1, la decisione di dedicare tempo e intensità di rifles- sione alla scrittura di ogni colophon – nei libri di Diabasis, la casa editrice da lui fondata a Reggio Emilia – è stata per Alessandro Scansani una dichiarazione umbratile di passione letteraria.

2.

A volte, accanto a una delle sue missive tumultuanti di pro- getti editoriali, Alessandro Scansani inviava in attach alcuni versi: testi pudicamente trasmessi senza sollecitare commenti, elegantemente lontani da possibili edizioni presso Diabasis. Ma il rapporto fra quell’amore della parola che genera poesia e quell’appassionato rispetto delle altrui parole che genera programmi editoriali è forse ciò che più ha lasciato traccia

1. Cfr. per maggiori informazioni il catalogo dell’editore edito in occasione di una mo- stra a Ca’ Pesaro, Venezia: Vola alta, parola (I libri d’artista delle Edizioni Colophon), Belluno, Colophonarte 2015.Le edizioni Colophon pubblicano anche, a latere, una omonima rivi- sta quadrimestrale di presentazioni e commenti critici.

Marina Giaveri

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nei colophon da lui composti per accompagnare ogni libro nel suo procedere verso il lettore.

Nel bianco della pagina, sotto la sua mano, quella “forma breve” che un’antichissima tradizione collega alla trasmis- sione di uno scritto scivolava con simmetrie danzanti fino a divenire disegno stellare, mentre – riga dopo riga – veniva messo in evidenza un tema, un aspetto biografico, una parti- colarità stilistica del testo.

Ogni volta il libro si chiudeva in un colophon che sembra- va la risposta a una domanda postasi all’editore stesso in una delle molteplici aree di pensiero in cui la curiosità e la cultura avevano a poco a poco invitato Diabasis a operare: come se un lettore privilegiato sottolineasse di aver letto quel libro prima – e con più attenzione – rispetto ai tanti o ai pochi che l’avrebbero poi acquistato. Un lettore privilegiato – tale appariva – e desideroso di condividere le proprie emozioni; se, nella maggior parte dei libri ospitati nelle nostre biblio- teche, il colophon appare un’elegante formula di chiusura, per Alessandro Scansani sembrava piuttosto apparentarsi a quell’invito che costituisce il più diffuso e funzionale siste- ma di comunicazione e di critica letteraria: la trasmissione dell’entusiasmo da un lettore all’altro, a tutti gli altri.

Così, nel farsi forma e materia, il libro sembrava conser- vare la traccia della sua genesi e anticipare la sua ricezione: puntualizzando la questione che aveva sollecitato l’autore, sottolineando gli aspetti che avevano appassionato l’editore o anticipando le ragioni di un futuro interesse da parte dei lettori futuri. Messo a chiusa del libro, quel colophon avreb- be potuto in realtà apparirne la lapidaria prefazione, tale da aprire – come una magica formula – il libro stesso.

Ripercorrendo la scelta di colophon ordinata qualche anno or sono in un piccolo, raffinato volume pubblicato in ricordo di Alessandro Scansani da Giuliana Manfredi e Geor- gia Corbo2, si resta colpiti dalla cifra stilistica, costante nella varietà argomentativa dei testi. In molti casi, il colophon si presenta con un incipit che sintetizza – spesso poeticamen- te – il soggetto del libro o il suo ruolo nella produzione dell’autore; poi un aggettivo o un’improvvisa metafora apro- no uno spazio suggestivo al fiorire di immagini e di figure,

2. A proporre bellezza e umanità. I colophon di Alessandro Scansani, Edizioni di Storia e Lette-

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