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La cancellazione d’ufficio delle società a controllo pubblico inerti

Il d.lgs. n. 175/2016, recante il “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”, contiene una norma che attribuisce al conservatore del registro delle imprese il potere, in via del tutto eccezionale rispetto alla disciplina civilistica, di cancellare “le società a controllo pubblico che, per oltre tre anni consecutivi, non abbiano depositato il bilancio d’esercizio ovvero non abbiano compiuto atti di gestione”.

Una norma dal carattere transeunte secondo la dottrina84: l’ufficio del registro delle imprese non potrà adottare il provvedimento di cancellazione una volta spirato il termine di un anno decorrente dall’entrata in vigore del Testo unico, sicché, applicando esclusivamente la disciplina civilistica, una società potrà essere cancellata per mancato deposito del bilancio d’esercizio solo se in stato di liquidazione.

Dunque, quello attribuito al conservatore del registro delle imprese è un potere eccezionale, esercitabile in un determinato arco temporale e solo nel caso stabilito dalla legge.

Per quanto riguarda il campo di applicazione dell’art. 20, comma 9, del Testo unico, dal punto di vista soggettivo la norma si riferisce alle “società a controllo pubblico” la cui definizione è contenuta all’art. 2, comma 1, lett. m)85.

84 Niccolini G., La cancellazione ex officio delle società a controllo pubblico, in Le società pubbliche, a cura di Fimmanò F.-Catricalà A., Tomo 2, Universitas Mercatorum Press, Giapeto Editore, 2016, p.

1103 e ss.

85 Ai sensi della lett. m) dell’art. 2 del Testo unico sono “società a controllo pubblico” le “società in cui una o più amministrazioni esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)”.

La lettera b) dello stesso articolo cui fa invio la lettera m) identifica la nozione di “controllo” nella

“situazione descritta dall’articolo 2359 del codice civile” fermo restando che “il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo.

Tuttavia, bisogna sottolineare – come peraltro sottolineato dalla citata dottrina – che la norma crea dei dubbi interpretativi dal punto di vista del campo di applicazione soggettivo.

Infatti, la struttura del registro delle imprese non conosce una sezione differente per le società a controllo pubblico, sicché non è detto che sia agevole per il conservatore identificare le società alle quali applicare tale norma, soprattutto quando il controllo pubblico è esercitato dall’ente in via indiretta.

Inoltre, tenendo presente che lo scopo del legislatore delegato è quello di eliminare società inerti, ci si deve chiedere se è necessario, ai fini dell’applicazione di tale norma, che il controllo pubblico sussista per tutti e tre gli anni in cui non sia stato il depositato il bilancio d’esercizio o in cui non siano stati compiuti atti gestori: la dottrina dà risposta affermativa a tale interrogativo, dunque, se avessimo una società meramente partecipata che non abbia depositato il bilancio d’esercizio nel primo anno computato dalla norma, e nel secondo anno la medesima società diventi a controllo pubblico, pur non depositando i successivi due bilanci d’esercizio, la norma non si potrebbe applicare.

Devono segnalarsi problemi applicativi anche per quanto riguarda il procedimento di cancellazione.

In particolare, la norma precisa che l’adozione del provvedimento di cancellazione è subordinata al preventivo interpello della società a controllo pubblico: infatti, prima di procedere alla cancellazione, il conservatore del registro delle imprese comunica l’avvio del procedimento agli amministratori o ai liquidatori; questi, entro sessanta giorni, possono presentare formale e motivata domanda di prosecuzione dell’attività, corredata dell’atto deliberativo delle amministrazioni pubbliche socie, adottata con forme e contenuti previsti dall’art. 5 del d.lgs. n. 175/2016; in caso di regolare presentazione della domanda, non si dà seguito al procedimento di cancellazione.

Una disposizione definita “bizzarra” dalla citata dottrina la quale adduce varie motivazioni che trovano d’accordo chi scrive.

In primis, pur essendo la società il soggetto interessato al procedimento, la notizia di avvio del procedimento deve essere data non a questa, bensì ai suoi amministratori o liquidatori.

In secundis, si hanno dubbi circa l’efficacia di tale regola nel caso in cui l’organo amministrativo o liquidativo sia composto da più soggetti, considerando che – ai sensi dell’art. 8 della l. n. 241/1990 – debba trattarsi di comunicazione “personale” e che

debba essere data a tutti; infatti, solo quando l’ultima delle comunicazioni sia stata perfezionata inizia a decorrere il termine di sessanta giorni entro il quale gli amministratori o i liquidatori possono presentare la domanda di prosecuzione dell’attività.

Dalla lettura della norma si evince un’ulteriore anomalia nel fatto che sembra quasi che il conservatore del registro delle imprese abbia il potere di accordare la prosecuzione dell’attività in relazione alle motivazioni addotte nella domanda: una previsione che mal si concilia con il prosieguo della norma che subordina “la mancata prosecuzione del procedimento di cancellazione” alla sola “regolare presentazione della domanda”; dovrebbe ritenersi, invece, che il conservatore non abbia il potere di valutare il contenuto della domanda, ma solo di assodarne la regolarità formale.

La norma aggiunge che gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese sono quelli di cui all’art. 2495 cod. civ.: l’estinzione della società e la responsabilità dei soci e dei liquidatori (questi ultimi se in colpa) per le obbligazioni sociali inadempiute, nei limiti di quanto percepito dai soci stessi in base al bilancio di liquidazione.

Nonostante non vi sia un bilancio finale di liquidazione in quanto la norma è diretta alla cancellazione non solo di società già in liquidazione che non hanno compiuto atti gestori per tre anni ma anche di società in integro statu, la dottrina citata fa ulteriormente notare come non sia impedito ai creditori sociali rimasti insoddisfatti di agire verso i soci “per quanto i soci, lasciando cancellare la società senza completare la liquidazione, hanno rinunciato ad apprendere come quota di liquidazione”, fermo restando che la mancanza della tavola contabile di chiusura della società potrebbe causare problemi applicativi.

La previsione della cancellazione ex officio di società a controllo pubblico inerti e la previsione di una revisione straordinaria da effettuare una tantum, spianando la strada alla successiva razionalizzazione periodica con cadenza annuale dovevano costituire una sorta di “filtro” in attesa della razionalizzazione periodica da attuare con cadenza annuale; tuttavia, a causa delle suddette difficoltà, il comma 9 dell’art. 20 del Testo unico ha trovato scarsa applicazione.

3. L’ATTUAZIONE DEL CONTENUTO DEI PIANI DI

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