• Non ci sono risultati.

I canti corali: la Parodo e gli Stasim

IL SOGNO IN SOFOCLE

II.7 I canti corali: la Parodo e gli Stasim

condizione di sogno permanente, lo aveva considerato incapace di conoscere.

Con l’attesa dell’esilio, il destino che spetta ai tiranni quando il regno viene abbattuto235, si conclude la parabola di Edipo, che per tracotanza è arrivato a

superare il limite della giustizia varcando la porta della tirannide.

II.7 I canti corali: la Parodo e gli Stasimi

In maniera del tutto simile al sogno, la Parodo (vv. 151-215) contiene in nuce la sostanza della tragedia236, poiché presenta in filigrana il motivo esposto anche nella

citazione onirica di Giocasta, quello dell’incesto.

Questa sezione è il canto di ingresso del coro, formato da nobili cittadini ormai anziani, che su convocazione di Edipo (v. 144), entrano in scena intonando una preghiera alle divinità protettrici di Tebe ed in primis ad Apollo, il dio della parola oracolare che il sovrano aveva mandato a consultare. Eppure, all’immediata modulazione gioiosa del primo verso (ἁδυεπὲς φάτι, v. 151), gli uomini manifestano un’improvvisa sensazione di ansia e timore che assale il loro animo (ἐκτέτατμαι φοβερὰν φρένα, δείματι πάλλων: sono teso nell’animo timoroso, spasimando di terrore, vv. 153), tendendolo fino in fondo (ἐκτείνω237), quasi come una corda di

violino. Il sentimento viene percepito nella φρήν, un sostantivo designante l’attività razionale cosciente in connessione con il comportamento morale (la presenza del participio ἀζόμενος che allude alla venerazione timorosa nei confronti degli dei può essere interpretata in questo senso) e con la capacità profetica, come confermato dall’invocazione iniziale e dalla menzione all’oracolo apollineo (πολυχρύσου

235 Plat., VIII, 566, a-b; Catenacci 2012, p. 27.

236 Concorde con questa opinione è un brillante articolo di Citti, che di questa sezione drammaturgica ha offerto una dettagliata e interessante analisi. L’autore ha dimostrato in particolare come nella stesura di questa sezione drammatica Sofocle abbia avuto ben presente il modello eschileo dei Sette contro Tebe, che lo studioso definisce come l’ipotesto di riferimento, per la presenza di elementi di simmetria e di opposizione. Sulla base di questa dipendenza egli giustifica la presenza di Ares, dio della guerra per antonomasia, in connessione con la pestilenza di Tebe. Citti 2003, pp. 37-61.

Πυθῶνος, vv. 152-153)238. A questo organo, individuato nella zona del pericardio239 e

in grado di ispirare terrore, si oppone invece il θυμός240 di Edipo, la sensazione che,

nella descrizione di Giocasta all’inizio del Terzo Episodio (vv. 911 ss.), assale il sovrano come un’emozione irrazionale e sconosciuta dominata dalla paura. Per quanto diversificato, il timore, che agli occhi dei saggi anziani viene sottoposto al processo della ragione, mentre appare come qualcosa di inspiegabile per il re tebano, sembra essere comunque l’elemento dominante e il filo conduttore che mette in relazione le due sezioni, rievocando sottilmente il tema della pestilenza. Ad essa rinvia la presenza di termini medici contenuta nell’invocazione ad Apollo (ἰήιος, παιάν, v. 154)241 e l’uso di epiteti come ἑκαβόλον (v. 162) e ἀλεξίμορος (v. 163) che

costituiscono degli evidenti riferimenti alla motivazione che soggiace alla preghiera: una fiamma rovinosa divampa in città (φλόγα πήματος, v. 166) e si manifesta con la sterilità dei frutti, delle donne e con parti infecondi, di fronte ai quali nessun’arma della φροντίς umana (φροντίδος ἔγχος, v. 170) sembra poter rappresentare un rimedio. La stessa immagine si ripropone altresì nella situazione descritta da Giocasta, la quale, pregando Apollo con rami di supplice (e rievocando a sua volta la processione dei giovani tebani che apre il Prologo), giudica il marito come un uomo incapace di esercitare il possesso del νοῦς.

La presenza del sostantivo militare ἔγχος, combinato con altri termini tratti dal lessico bellico (ὄρνυμι, vv. 165, 176; ἀσπίδων, v. 191; βέλεα, 205) ed il successivo riferimento ad Ares (vv. 176 e 190), fanno assumere alla descrizione un immaginario di guerra, un elemento che Citti considera motivato solo dall’influenza dell’ipotesto eschileo dei Sette242, nel quale appare dominante il tema della lotta intestina. La

persistenza di questo motivo, secondo lo studioso, si manterrebbe nella parodo sofoclea per un trasferimento delle funzioni marziali del dio al contesto della

238 Il riferimento alla φρήν come sede della ricezione profetica compare in Aesch., Sept., 663; PV., 444: in cui il Titano connette la triste condizione dei mortali ad un cattivo esercizio delle φρένες e del νοῦς; PV. 842; in Ag., 275, Clitemnestra negando per antifrasi la credibilità di una mente intorpidita dai sogni, ne afferma in realtà la veridicità. L’angoscia dei nobili tebani rievoca inoltre quella del coro degli argivi in Ag., 980, ss. che sente un presagio vago e indistinto nell’animo che svolazza come un incubo; Sullivan 1999, pp. 58 ss.; Abbate 2017, p. 130. 239 Sullivan 1999, p. 4. 240 Sullivan 1999, p. 4. 241 Citti 2003, p. 44; Bollack 1990, p. 90. 242 Citti 2003, p. 44.

sterilità243. Rapportata ad Ares, per quanto bizzaro possa apparire, la pestilenza

sembra incarnare una guerra o, per meglio dire, una stasis che dilaga nella polis colpendo il corpo cittadino. Le sue cause, vedremo, non sono però attribuibili ad una lotta intestina o ad una minaccia esterna, ma sono implicitamente riconoscibili nell’incesto, motivo che traspare tra le righe di questa descrizione poetica.

La sterilità menzionata nella seconda strofe del canto, infatti, si caratterizza in particolare per i parti infecondi delle donne, che, se da un lato dipingono la nascita come un segno negativo – e tratto qualificante della vita del protagonista244

dall’altro implicano una distorsione del processo riproduttivo umano245. La

disperazione descritta è tale che ἄλοχοι πολιαί τ΄ ἔπι ματέρες| ἀκτὰν παρὰ βώμιον ἄλλοθεν ἄλλαι| λυγρῶν πόνων ἱκετῆρες ἐπιστενάχουσι (spose e madri incanutite, presso il bordo degli altari gemono, le une di qua le altre di là, supplici per i mali dolenti, vv. 182-184).

La situazione può essere accostata ancora una volta alla scena iniziale che apre il Terzo Episodio, alla quale sembra che il testo alluda implicitamente. Di particolare interesse risulta la coordinazione dei due sostantivi ἄλοχοι πολιαί τ(ε) ματέρες che mediante la congiunzione τε pone sintatticamente su un piano di equivalenza il ruolo delle spose e quello delle madri (lasciando già presagire un riferimento a Giocasta, come nel v. 928: γυνὴ δὲ μήτηρ θ΄ἥδε […]). A destare la nostra attenzione è però la presenza di ἄλοχος, un termine con cui si designa propriamente la «compagna di letto o concubina», poiché composto da λέχος (termine che viene espressamente utilizzato da Edipo ai vv. 821 e 1243, ad indicare rispettivamente la contaminazione del letto di Laio e il luogo nuziale in cui Giocasta si dà la morte, mentre la variante λέκτρον compare al v. 976, in riferimento al timore dell’incesto246), che pone in rilievo il luogo

dell’unione coniugale più che il vincolo stesso, passando estensivamente ad indicare il ruolo di moglie. A suggerire un riferimento alla regina tebana è inoltre l’immagine di 243 Il dio è patrono di Tebe, ma in questi versi non è menzionato come protettore, quanto come una divinità ostile, in connessione con la pestilenza e la sterilità. La bizzarra associazione tra il dio e la pestilenza non è attestata altrove: Kamerbeek 1967, p. 65; Knox 1956, p. 139; Knox 1957, p. 200; Jouan 1989, pp. 83-87. Per Bollack 1990, pp. 115-116, il flagello che ha colpito Tebe è simile ad una guerra o più terribile, e in ciò si spiega il ricorso ad Ares come divinità responsabile della situazione.

244 Citti 2003, p. 51. 245 Segal 1995, p. 203.

246 DELG, s.v. λέχεται. Il sostantivo si riferisce altresì al luogo in cui si partorisce, designando i figli per metonimia in Aesch., Ag. 137 o il parto, ma trova impiego anche nell’ambito militare, da cui i derivati λοχίζω e λοχάω (tendere o trovarsi in un’imboscata).

supplice (che evoca a sua volta i giovani tebani in ginocchio presso il focolare di Edipo: vv. 3, 16) presso “le sponde degli altari” e il ricorso ad un termine marino (παρὰ ἀκτὰν) per designare il luogo di culto. Se il sostantivo ἀκτή in sé non comporta problemi esegetici, più arduo è stato ricavare il senso di “bordo delle are”, che già molti critici avevano tentato di spiegare. Non si può negare l’esistenza di un nesso con la descrizione delle spiagge di Acheronte citate al v. 178247, ma si può forse

aggiungere che la serie di metafore marine e i termini tratti dal lessico nautico ricorrono nell’opera a riprodurre la tempesta che ha colpito la città (intesa in senso politico e alludendo alla tirannide) e l’unione incestuosa con Giocasta, definita l’approdo ad un “porto” (vv. 420, 1208).

Fondamentale e ricorrente in tutte le strofe emerge il ruolo del fuoco (φλόγα, v. 166; φλέγει, v. 192; πυρφόρων, v. 200; ἀστραπάν, v. 201; κεραυνῶι, v. 202; πυρφόρους, v. 206; φλέγοντ΄(α), v. 213) soprattutto in riferimento ad Ares, contro cui il coro prega chiedendo un intervento con un altro fuoco divino. Per quanto il qualificativo μαλερός ne esprima la violenza, propria dell’elemento igneo248, il dio

viene comunque descritto come ἄχαλκος ἀσπίδων, disarmato di scudi, ma il cui assalto infiamma la patria. Se in questo complesso di immagini la presenza di Ares sarebbe, secondo Citti, doppiamente motivata come dio della guerra (solo metaforica) e padre della tebana Armonia, non adeguata sembra la rappresentazione del dio privo di scudi perché invincibile di fronte alla debilità del pensiero umano. Più appropriata e giustificabile invece potrebbe apparire se si considerassero la divinità e il lessico bellico come espressione di una metafora erotica. È innegabile che l’associazione dell’amore ad un campo di battaglia e l’ideologia della militia amoris siano un tema caratteristico della poesia elegiaca latina, ma già nella lirica arcaica Saffo e Alcmane249

ricorrono all’impiego del lessico militare, stravolgendo l’eroico per esprimere l’erotico (Sapph., fr. 1, 28: σύμμαχος ἔσσω; fr. 31 V: in cui la vista d’amore provoca una serie di sintomi fisici che riprendono gli effetti della paura e dell’angoscia degli

247 Bollack 1990, p. 111; Citti 2003, p. 53, riprendendo un’intuizione di Magistro, considera fortemente espressiva l’immagine remota della spiaggia di Ade in contrapposizione a l’ultima spiaggia dei supplici e superstiti dalla strage. Segal 1981, p. 218, vede in essa un’audace metafora che combina il collegamento tra forze esterne e interne alla polis.

248 Il., IX, 242: μαλεροῦ πυροῦ; XX, 316, XXI, 375.

249 Alcm., fr. 1, 63 D compare l’uso del verbo μάχομαι per riprodurre una battaglia metaforica intrisa di erotismo.

eroi omerici dell’Iliade250, mentre il fuoco appare come elemento qualificante la

passione amorosa: πῦρ ὐπαδεδρόμηκεν, che insieme al sudore – μ΄ ἴδρως ψύχρος ἔχει – e al tremito – τρόμος δὲ παῖσαν ἄγρει – ricordano ancora un campo di battaglia). D’altra parte non si può omettere l’epica immagine dello sciogliere i veli ad una sposa per rappresentare la conquista della città in Il., XVI, 100: Τροίης ἱερὰ κρήδεμνα λύωμεν e rievocare il famoso mito del passionale incontro tra Ares e Afrodite (Od., VIII, 266-367) ai danni di Efesto, il dio del fuoco e dei metalli.

Allora la violenza di Ares, l’assalto e la vampa del fuoco ben si adattano ad illustrare l’unione incestuosa tra madre e figlio, dalla quale si deve rifuggire cacciandola dalla patria e dirigendola ἐς μέγαν θάλαμον Ἀμφιτρίτας,| εἴτ΄ἐς τὸν ἀπόξενον ὅρμων| Θρήικιον251 κλύδωνα (verso il vasto talamo di Anfitrite o il flutto

tracio, inospitale approdo, vv. 195-197). Così anche la definizione di letto di Anfitrite assume una duplice valenza, indicando il luogo di origine della dea marina e caricandosi, al contempo, di una sfumatura sessuale, alla quale rinvia anche l’inospitale approdo profetizzato da Tiresia (βοῆς252 δὲ τῆς σῆς ποῖος οὐκ ἔσται λιμήν

[…]| ὅταν καταίσθηι τὸν ὑμέναιον ὅν δόμοις ἄνορμον εἰσέπλευσας εὐπλοίας τυχών; vv. 420-423) e la battuta del coro nel Quarto Stasimo, dopo la rivelazione della verità: ὧι μέγας λιμὴν| αὑτὸς ἤρκεσεν| παιδὶ καὶ πατρὶ| θαλαμηπόλωι πεσεῖν (al quale bastò un solo grande porto dove approdasti come filio come padre e come sposo, vv. 1208- 1210). L’aggettivo θαλαμηπόλος, che riprende il θάλαμον Ἀμφιτρίτας, oltre che ricollegarsi al tragico scenario presagito dal coro dei Sette (vv. 357-368)253, rimanda anche al significato denotativo di letto del mare e all’abisso in cui Edipo chiederà di essere nascosto (v. 1410: θαλάσσιον ἐκρίψατε), con un’allusione al suo esilio. Infine, ancora alla relazione coniugale e al suo effetto resultativo sembra rinviare il verso τέλει254 γὰρ, εἴ τι νύξ ἀφῆι,| τοῦτ΄ἐπ΄ ἧμαρ ἔρχεται (infatti, se alla fine qualcosa 250 Nannini 2007, pp. 23-38. 251 Il riferimento alla Tracia viene, a ragione, messo in relazione da Citti con Ares, che era originario della regione (Citti 2003, p. 55). Tuttavia, il luogo è anche quello in cui il dio si rifugia, dopo essere stato colto in flagrante nel letto con Afrodite e avvolto dalle invisibili catene realizzate da Efesto: Od., VIII, 361.

252 Anche se in forma composta il sostantivo rievoca il περιβόατος del v. 192.

253 In questa immagine presentata dal coro, il cui cuore è insonne per la paura, le giovani donne tebane temono per la distruzione della loro città, paventando una situazione di desolazione e sterilità conseguente all’attacco da parte dei sette capeggiati da Polinice.

254 Seguo la lezione dei manoscritti e accolta da Dawe 2000, rispetto alla correzione τελεῖν di Hermann. Sul significato del verbo però vi sono molti dubbi: se lo scoliasta glossa con «ἐπὶ

la notte tralascia, su questa sopravviene il giorno, vv. 199-200), nel quale il verbo τελε(ι)όω, espressione della maturazione biologica di piante, animali o uomini255, si

accorda, per un nesso semantico, ad ἀφίημι, tra i cui significati si annovera anche quello legato alla produzione256. Il frutto concepito nella notte arriva a maturare e

distruggersi durante il giorno, quando Edipo scoprirà la sua vera origine: secondo la profezia pronunciata da Tiresia, infatti, sarà il giorno a far nascere e morire Edipo (ἥδ΄ἡμέρα φύσει σε καὶ διαφθερεῖ, v. 438).

L’invocazione al Λύκει΄ἄναξ (v. 203) che Citti riconduce al λυκοκτόνος menzionato nell’Elettra (v. 6), come si è già avuto modo di illustrare nel capitolo ad essa dedicato257, alllude all’uccisione del lupo-tiranno Egisto, e sarebbe allora un invito al dio lupo, da intendersi, sulla scia di Aesch., Sept., 145, perché sia lupo contro i lupi e cioè provveda a liberare Tebe dalla tirannide. II.7.1 Primo Stasimo (vv. 463-511) Di fronte alla tragica rivelazione di Tiresia, il coro, sgomento, riflette sull’identità del colpevole, che considera ancora un responsabile ignoto: τίς ὅντιν΄ἁ θεσπιέπεια | Δελφὶς εἶπε πέτρα ἄρρητ΄ἀρρήτων258 τελέσαντα; (chi la rupe profetica di Delfia ccusa

di aver compiuto le cose indicibili tra le più indicibili?, v. 465), lasciando emergere, mediante l’uso del verbo τελε(ι)όω, ancora il processo di maturazione biologica menzionato nella Parodo (e sfociato velatamente nell’unione riprovevole). Il riferimento alle “cose indicibili” allora non esprime solo l’esplicito delitto del regicidio, ma implicitamente include anche quello dell’incesto. Se nella sfilata del coro gli anziani avevano pregato la ritirata precipitosa del male (παλίσσυτον δράμημα, v. 193), ora lo prevedono in fuga con il suo piede più gagliardo: σθεναρώτερον| φυγᾷ πόδα νωμᾶν (vv. 468-469), espressione che il pubblico può vedere come una chiara τῷ ἑαυτῆς τέλει», proposta che viene accettata da Bollack 1990, p. 121, altri critici gli attribuiscono il valore di verbo intransitivo con il senso di compiersi.

255 Segal 1966, p. 530; Plat., Leg., VIII, 839 a; Plat., Rep., 466 e; 498 b. LSJ, s.v. II. 1 e 2; Soph., Tr., 824-825.

256 Od., VII, 126: ἄνθος ἀφίεῖσαι (diffondendo fiori). 257 Cfr. supra, cap. I.

258 Nell'Esodo il messaggero che descrive le parole di Edipo dentro la casa dopo il suo accecamento, parla dell'incesto come di una cosa impronunciabile: τὸν μητρὸς – αὐδῶν ἀνόσι΄οὐδὲ ῥητά μοι v. 1289; lo stesso Edipo nella rhesis finale, in cui rievoca le nozze infauste con la madre, conclude il suo discorso dicendo: ἀλλ΄οὐ γὰρ αὐδᾶν ἔσθ΄ἃ μηδὲ δρᾶν καλόν (v. 1409).

allusione ad Edipo259, sul quale si avventa Apollo, ἔνοπλος260 πυρὶ καὶ στεροπαῖς ὁ

Διὸς γενέτας (armato di fuoco e folgori il figlio di Zeus, vv. 469-470), già invocato nella Parodo contro l’ardente fiamma della pestilenza. Lo strumento di lotta che bracca il colpevole è l’arma oracolare, dal quale il fuggitivo, come un toro, non potrà scappare, mentre i vaticini, simili ad un tafano, gli volano intorno261: τὰ μεσόμφαλα γᾶς […]

μαντεῖα˙ τὰ δ΄ἀεὶ| ζῶντα περιποτατᾶι (vv. 480-482). Il verbo περιπέτομαι specifica per gli oracoli l'azione del volare attorno, un immaginario che, se da un lato contraddistingue il volo degli uccelli, dall’altro riproduce la consistenza leggera tipica dei sogni che già fin dall'epoca omerica erano presentati come figure alate o nell’atto di accostarsi sul capo del dormiente262. Tale connotazione ricorre però anche in

tragedia263, e in generale rientra nell'immaginario iconografico artistico dei sogni.

Di fronte a questo scenario, che sancisce la forza e la superiorità mantica, il coro si presenta agitato, come indica la ripetizione mediante epanalessi del terribile δεινὰ… δεινὰ ταράσσει (v. 481) espressione di sconvolgimento che accresce il timore profetico già espresso all’inizio della Parodo. L’ansia del coro sembra così preannunciare l’influsso inesorabile esercitato dagli oracoli, ma pare riferirsi anche alla casuale menzione del sogno che nel Terzo Episodio in maniera invisibile è una presenza inquietante e causa di angoscia, per quanto considerato del tutto ininfluente. Eppure di fronte ad una verità che non si è ancora rivelata, il coro, insistendo su espressioni legate al volo (πέτομαι δ΄ἐλπίσιν οὔτ΄ἐνθάδ΄ὁρῶν οὔτ΄ὀπίσω264: mi libro nelle speranze e non guardo né avanti né dietro, v. 486), aleggia 259 Vedi anche Gellie 1964, pp. 113-123. L’insistita allusione al piede, evidente riferimento ad Edipo, compare inoltre al v. 479. 260 L’immagine bellica continua quella già presentata nella Parodo. 261 La metafora impiegata, tratta dal mondo animale, secondo alcuni critici allude all’estro o tafano che, simbolo della profezia, pungola e tormenta i mortali: Blayde cit. in Bollack 1990, p. 307. Il riferimento al tormento nella forma di questo insetto compare in effetti al v. 1380, a rappresentare il complesso dei mali che ha colpito Edipo. Per il tafano in connessione con la profezia cfr. Davies e Kathirithabi 1986, pp. 162-163; Thumiger 2014, p. 287. Segal, inoltre, ha fatto notare che la mancanza di aiuto di fronte all'incognita del soprannaturale e di ciò che appare sconosciuto è rappresentata, nel dramma, dalla metafora del volare o della fuga: vv. 16, 175, 482, 488, 509: cfr. Segal 1995, p. 252, n. 17. 262 In Omero, il sogno è come un'immagine che si avvicina volando (Il., II, 71) e che allo stesso modo si allontana (Od., XI, 207 ss.). 263 Aesch., Ag., 424-426: παραλλάξασα διὰ| χερῶν βέβακεν ὄψις οὐ μεθύστερον, | πτέροις ὀπαδοῦσ΄ ὕπνου κελεύθοις. Eur., Hec., 69-70; cfr. Brillante 1991, pp. 19 ss.

264 È un'affermazione molto simile a quella fatta da Giocasta al v. 858: βλέψαιμ΄ἂν οὕνεκ΄οὔτε τῇδ΄ἂν ὕστερον, entrambe sullo scetticismo verso gli oracoli.

nella speranza265, rifiutandosi di credere alle accuse che l’indovino ha rivolto al

sovrano, prima di avere una prova certa degli eventi (πρὶν ἴδοιμ΄ὀρθὸν ἔπος: letteralmente se non vedo una chiara parola, vv. 504-505). L'associazione sinestesica tra il verbo di percezione visuale e il senso sonoro dell'epos ci fa appunto pensare a un messaggio visuale espresso in termini di linguaggio parlato, che rimanda all’immaginario della “parola” onirica, definita ὀρθὸν266, a specificarne la correttezza.

Il termine di paragone addotto dal coro per poterne sancire la credibilità è offerto dalla Sfinge, creatura associabile ai sogni per il suo carattere enigmatico267, eppure in

antitesi ad essi, giacché la risoluzione dell’enigma costituisce l‘esempio di una parziale visione umana della realtà, che non va oltre e non trascende la dimensione razionale: l'indovinello viene sì risolto, ma al prezzo di un incesto con la madre268.

II.7.2 Secondo Stasimo (vv. 863-910)

In forma di inno apotropaico, il canto presenta un andamento tematico ben strutturato che si apre con una celebrazione della superiorità delle leggi divine, connotate con l’aggettivo ὑψίποδες in posizione incipitaria, a indicare le norme “dall’alto piede” perché δι΄αἰθέρα τεκνωθέντες, generate attraverso l’etere (v. 867). L’espressione evidenzia una sottile contrapposizione tra ciò che, puro e immortale, viene creato dagli dei e ciò che, generato dagli uomini, ha prodotto un deterioramento dell’ordine civile e sociale. In proposito, la presenza del qualificativo ὑψίποδες lascia emergere tra le righe ancora una sottile allusione ad Edipo: composto da ὕψι e πούς costituisce in effetti un richiamo onomastico al protagonista, il cui nome contiene il dettaglio della sua menomazione fisica, ma fa anche riferimento al carattere elevato del suo θυμὸν, che nella descrizione di Giocasta appare (ἄγαν) sospeso (ὑψοῦ, v. 914). La presenza del participio τεκνωθέντες, inoltre, specifica che il contrasto tra 265 Come ho già accennato precedentemente, il volare è anche sinonimo di incertezza (Segal 1995, p. 252, n. 17.) così come il dubbio caratterizza l'interpretazione oracolare.

266 L’aggettivo è un termine tecnico impiegato dalla cultura sofistica che attribuisce all’esperienza la base della conoscenza: Kane 1975, pp. 189-208; Di Benedetto 1983, p. 92. Tuttavia lo stesso termine appare preponderante nella definizione della correttezza mantica: Aesch., Ag., 1215; Cho., 32; Pind., Nem., I, 61; Pyth., XI, 9, che parla specificamente dell’oracolo Pitico.

267 Bettini-Guidorizzi 2004, pp. 149 ss.: enigma e oracolo postulano entrambi una dissimetria di comunicazione ponendo gli interlocutori sul piano opposto della comprensione.

divinità e mortali poggia sul concetto della procreazione, poiché oppone la purezza delle leggi a quella della macchia generazionale, giacché la radice *τεκ ricorre nel dramma ad indicare il ciclo distorto di riproduzione e nascita (τεκνοῦντα/τεκνούμενον, v. 1215), implicando l’unione incestuosa e la generazione di una stirpe impura. Proprio questo processo si può identificare con l’ὕβρις che, secondo il coro, è alla base della nascita del tiranno: per quanto il concetto risulti inespresso, il tema dell’incesto costituisce il nesso semantico che conduce alla condanna del potere dispotico presentata nell’antistrofe.

Sebbene il coro in questi versi parli genericamente della figura del despota, in essa possiamo comunque cogliere un riferimento specifico al protagonista e alla sua particolare φύσις umana, richiamata dal verbo φυτεύω (v. 872), che gli anziani adoperano per definire il processo di riproduzione tirannico. Il termine ricorre in effetti in più occasioni a designare il sovrano come frutto generato dalla natura (vv. 793, 1007, 1012, 1404, 1514) e a sua volta generatore. Su costui, reo di aver raggiunto i confini della tirannide, il coro prospetta l’inesorabile giustizia degli dei che agiscono per il ristabilimento dell’ordine, come una conseguenza naturale della loro superiorità.

La particolare tematica di questa sezione lirica ha generato numerose opinioni interpretative e ha spinto alcuni269 ad ipotizzare che fosse un’aperta condanna ad

Edipo (caso piuttosto improbabile, dal momento che il coro, in precedenza, aveva

Documenti correlati