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IL SOGNO IN SOFOCLE

I.5 Primo Stasimo (vv 472-515)

Alla conclusione del primo episodio si rapporta il tema del breve canto lirico, che si focalizza sulla narrazione onirica364 appena conclusa. Avvertendola come un presagio

favorevole ora il coro cerca di fornirne un’interpretazione, mentre la protagonista, durante l'esecuzione del componimento, resta silente sulla scena e sembra così condividere le opinioni delle donne365.

Riallacciandosi dunque al precedente giudizio esposto da Elettra, la quale alla fine dell’Episodio cercava di “presentire ed indovinarne” il significato366 (οἶμαι μὲν οὖν,

οἶμαι τι κἀκείνῳ μέλειν πέμψαι τάδ΄ αὐτῇ δυσπρόσοπτ΄ὀνείρατα: credo, sì, credo che abbia avuto la cura di mandarle queste sinistre visioni, vv. 459-460), le donne forniscono la loro esegesi. Esse condividono la lettura fiduciosa della loro amica, in cui vedono un segno mandato dal defunto ed ominoso per la madre (definito con l'aggettivo δυσπρόσοπτα367) – tuttavia ancora evanescente e poco chiaro sul modo in

cui sarà effettivo368 – e forniscono il loro giudizio, caricandosi della responsabilità di

interpretare il sogno in maniera non folle e grazie all’uso della ragione369 (εἰ μὴ΄γὼ

παράφρων μάντις ἔφυν καὶ γνώ| μας λειπόμενα σοφᾶς,| εἶσιν ἁ πρόμαντις: se non sono una veggente che delira e priva di retto intendimento, verrà colei che annuncia il presagio, vv. 472 ss.). Con una protasi del periodo ipotetico della realtà le coreute specificano la sicurezza ermeneutica del sopraggiungere di Dike, sul quale pongono particolare enfasi mediante il ricorso ad un'allitterazione che ne scandisce il ritmo dell'arrivo: Δίκα δίκαια φερόμενα χεροῖν κρᾶτη (Dike, recando vittoriosa in mano il giusto potere, v. 477). Il carattere profetico delle loro parole è rafforzato anche dal 364 Burton 1980, afferma che il sogno fornisce il motivo e il soggetto del Primo Stasimo e suggerisce la parola mantis e il tema della manteia che si sviluppano in strofe ed antistrofe.

365 Woodard 1966, p. 145: Electra's silence displays assent, communion, and assurance; justice will prevail, it implies; divinities are working invisible like words.

366 LSJ, s.v. οἴομαι; DELG, s.v. in contrapposizione a νομίζω che invece significa credere ad una verità ammessa.

367 Cfr. Soph., OC, 286, dove l'aggettivo è accompagnato dal verbo εἰσοράω frequentemente associato alla visione onirica.

368 Si noti che, a differenza di quanto accade nelle Coefore, dove Oreste spiega il contenuto con assoluta certezza, Elettra è carica di speranza già prima di conoscere il contenuto del sogno, ma dopo esserne informata, non ne comprende appieno il significato, che resta per lei oscuro e controverso. La persistenza del dubbio trova riscontro nell’immediata persuasione determinata dalla falsa notizia del Pedagogo: Elettra crolla in uno stato di angoscia dal quale non si rialza, neppure dopo le prove della sopravvivenza del fratello presentate da Crisotemi.

lessico adoperato. Sebbene l’uso del sostantivo μάντις sia impiegato in genere nel designare Apollo o la Pizia370, in questo contesto appare legato ad una visione più

terrena (μὴ παράφρων) – senza la follia di cui è invece dotata la sacerdotessa pitica – e in combinazione con la personificazione di Dike. L’emblema della giustizia, difatti, è qualificato con l’hapax πρόμαντις (v. 476), una definizione che ricorre in Erodoto a caratterizzare solo la profetessa degli oracoli di Delfi (Hdt., VI, 66; VII, 111, 141) e di Patara (Hdt., I, 182), il cui celebre santuario onirocritico371, come sappiamo dalla

tradizione, funzionava solo nei mesi in cui era inattivo quello di Delo. Il sostantivo sembra implicare allora che la garanzia della giustizia si esplica attraverso i due strumenti profetici dell’oracolo e del sogno, i quali concorrono all'affermazione di questo principio. Il suo rifiorire è in effetti simboleggiato nella visione onirica dall’immagine dello scettro di cui Agamennone si reimpossessa.

La corifea stima ciò che ha appena sentito da Crisotemi (κλύουσαν ἀρτίως) con l'espressione ἁδυπνόων ὀνειράτων (v. 480), con la quale designa in maniera ottimistica i sogni che spirano conforto372. È un'interpretazione positiva, un'immagine

che, per quanto risulti terribile per colei che ha esperito il sogno, si presenta come un alito di vento e trasmette una certa sicurezza, rafforzata dalla corrispondenza del sostantivo θάρσοϛ tra strofe ed antistrofe (vv. 479 e 495373). Ad avvalorare questa

sensazione è anche l’uso del verbo πνέω che compone l'aggettivo e la cui sfumatura profetica è determinata dall’associazione al contesto onirico. In Sofocle, infatti, il termine ricorre in unione con la stessa interiezione nel fr. 65 Radt (θάρσει, γύναι˙ τὰ πολλὰ τῶν δεινῶν, ὄναρ| πνεύσαντα νυκτός, ἡμέρας μαλάσσεται: coraggio donne, molte delle cose terribili, ispirando un sogno durante la notte, ammorbidiscono di giorno)374 e compare inoltre in Eschilo375, in forma di participio, ancora in

connessione con la dimensione dei sogni (ἐξ ὕπνου κότον πνέων: sonno che ispira ira), per riferirsi all'ὀνειρόμαντις prodotto dal φόβος376 che allude ad un evento fatale

per il sognatore. Il termine è ricondotto metaforicamente al soffio rovinoso di un 370 Per Apollo, cfr. Aesch., Ag., 1202; Cho., 559; Eum., 169. In un caso il termine designa la Pizia (Eum., 29) in qualità di sacerdotessa del dio.

371 Işık 2011, p. 56; Bouché-Leclercq 2003, p. 218. Bryce 1986, pp. 201-202. 372 Kamerbeek 1974, p. 74.

373 La fiducia, che si unisce alla rinnovata speranza di Elettra, è intensificata dal parallelismo e la corrispondenza dei versi: vv. 479, 495. Cfr. March 2001, p. 170.

374 Cfr. anche fr. 62 Nauck. 375 Aesch., Cho., 33.

vento interiore, funesto come quello di una tempesta377, perché esprime

precisamente la volontà divina del castigo che il dio ha decretato per Clitemnestra. L’inequivocabile predizione del coro, qualificata come un τέρας ἀψεγές (v. 497), un prodigio irreprensibile inviato dagli dei378 τοῖς δρῶσι και συνδρῶσι (v. 497) per gli

agenti e i loro complici, prosegue nell'antistrofe, nella quale le donne avvertono lo strepitio delle Erinni “dai piedi di bronzo” e dai mille piedi e mille mani. Il loro sopraggiungere compirà il castigo contro i colpevoli, completando la mano della Giustizia (vv. 488-503).

Sebbene per l'espressione al dativo alcuni critici considerino valida l’idea di un’allusione a Clitemnestra ed Egisto, risulta più calzante l’osservazione di Errandonea379, secondo il quale questa appare invece più applicabile “ai vendicatori e

al Coro”, giacché il termine τέρας ricorre anche nelle Coefore, impiegato da Oreste nel designare l'interpretazione che ricava dal sogno della madre, considerandolo un segno divino che trova in lui la sua realizzazione380.

Il sogno si mostra allora veridico381, per nulla menzognero, e preannuncia

l'esecuzione della vendetta; se non avrà compimento, gli uomini non conoscono la divinazione negli oracoli e neppure nei sogni: ἤ τοι μαντεῖαι βροτῶν οὐκ εἰσὶν ἐν δεινοῖς ὀνείροις οὐδ΄ἐν θεσφάτοις, εἰ μὴ τόδε φάσμα νυκτὸς εὖ κατασχήσει (vv. 498- 502). È il nodo del messaggio Sofocleo, disposto significativamente in posizione centrale all'interno del canto corale, a dimostrazione che oracoli e sogni, sullo stesso piano, come in tutta la drammaturgia sofoclea, trovano sempre la loro realizzazione, dalla quale non resta esclusa neppure la visione di Clitemnestra.

Rispetto alle strofe precedenti, l'epodo (vv. 504-515), mostra un apparente e repentino cambio di contenuto, tono e struttura metrica382, uno stacco che, a livello

drammaturgico, riproduce una variazione scenica che segnala l'avvicinarsi della

377 Moreau 1985, p. 230. 378 DELG, s.v. τέρας.

379 Già lo scoliasta sottolineava il supporto emotivo del coro alla vendetta, la cui azione nella tragedia è espressa frequentemente dai verbi δρᾶν e συνδρᾶν (cfr. Errandonea 1970, p. 155), termini che si riferiscono anche alle azioni di Oreste e all'atto del sacrificio (cfr. Errandonea 1970, p. 12). Di diversa opinione Medda-Pattoni 1997, p. 281; Jebb 1894, p. 127.

380 Aesch., Cho., 551 (e 548), con la definizione di τερασκόπον il coro elegge Oreste come interprete del presagio onirico: Pattoni 2010, p. 16. Abbate 2017, p. 236.

381 Si badi che Sofocle usa un periodo ipotetico della realtà con protasi εἰ μὴ + futuro e apodosi al presente indicativo.

regina alle porte383, fatto per il quale le donne di Micene sono indotte a cambiare il

livello emozionale e l'argomento. Si passa così dall'esegesi onirica al mito di Pelope, che rappresenta l'origine dei mali della casa.

La strofe pone in posizione finale di verso la πολύπονος ἱππεία (v. 502), il cui attributo si riallaccia alle linee di apertura nelle quali il Pedagogo mostra ad Oreste la Μυκήνας πολυχρύσους τε πολυφθορόν δῶμα Πελοπιδῶν (vv. 9-10). A mettere in relazione la serie di aggettivi è il prefisso avverbiale πολύ- che, insieme alla menzione dell'oro, metallo associato alla distruzione, ne intensifica il significato sinistro384. Il

riferimento a questo elemento ricorre, infatti, nella descrizione del carro παγχρύσων (v. 510) con cui Mirtilo partecipa alla corsa e che il coro cita come la causa primaria delle sofferenze della famiglia. Con il desiderio di sposare Ippodamia, figlia del re Enomao, ed ottenere la mano della ragazza, Pelope partecipa ad una gara dopo aver convinto l'auriga Mirtilo a sabotare il carro del sovrano e a vincere la competizione385.

Dopo la vittoria, però, egli uccide e getta in mare il cocchiere, che scatena la maledizione, e sposa la donna conquistata: εὖτε γὰρ ὁ ποντισθεὶς| Μυρτίλος ἐκοιμάθη […] πρόρριζος ἐκριφθείς, οὔ τί πω| ἔλιπεν ἐκ τοῦδ΄οἴκου| πολύπονος αἰκεία (da quando infatti Mirtilo gettato in mare vi giacque, sepolto fin dalla radice, la funesta violenza non ha più lasciato questa casa, vv. 507 ss.).

Il ricorso alla tematica agonistica dell’episodio è una potente immagine evocativa386 del capzioso λόγος ἡδύς (vv. 666-667) riportato dal Pedagogo nel

Secondo Episodio, nel quale, con un’estrema abilità dialettica, costellata di metafore tratte dal lessico marino, si narra la falsa morte di Oreste durante i giochi pitici. Nell’elaborato racconto, l’uomo si sofferma, in particolare, sulla gara di corsa che ha causato il tragico destino dell’eroe, travolto dal suo carro come in un naufragio, in maniera del tutto simile al rivale del suo antenato.

Per quanto si tratti di due episodi affini, la fatale sorte di Mirtilo, la cui imprecazione scatena l'inizio dei mali della casa, si costruisce in antitesi con la menzognera notizia sulla morte del giovane, la quale concorre invece a chiudere la lunga catena di dolore della stirpe atride. L’antinomia viene marcata anche dalla presenza dell'aggettivo πρόρριζος (v. 512) che ricorre anche nell’esclamazione finale

383 Errandonea 1970, p. 156. 384 Segal 1981, p. 268.

385 Per il mito di Pelope e Ippodamia cfr. Pind., Ol., I, 36; Diod. Sic., IV, 73; Paus., V, 10, 6. 386 Cfr. Errandonea 1970, p. 157.

proferita dal coro, dopo la drammatica notizia recata dal Pedagogo387, per affermare

con forza il processo di distruzione. Tuttavia, se il termine esprime l’azione violenta del divellere dalle radici388, la semantica tratta dall’immaginario vegetale, riconduce

alla descrizione onirica dello scettro che cresce rigoglioso dalle radici del focolare, profetizzando l’arrivo dell’eroe e la vittoria finale.

Il ricorso al qualificativo πολύπονος, con il quale si apre e si chiude l’epodo, secondo una struttura anulare propria anche della narrazione onirica, chiarisce infatti la positività del canto, giacchè la fittizia πολύπονος ἱππεία di Oreste (v. 515) pone fine alla πολύπονος αἰκεία, la tormentata catena di colpe avviata da Pelope389. I.6 Secondo Episodio (vv. 516-822 e Kommos 823-870) La funesta violenza rievocata negli ultimi versi del primo canto corale fa da sfondo all’entrata in scena di Clitemnestra, rappresentazione vivente ed ultima dei mali degli Atridi390. In prossimità delle porte, l’incontro con Elettra dà luogo ad un lungo agone

con la figlia (esposto ai vv. 634-659, l’ultima delle quattro scene in cui si articola l'episodio), al termine del quale la regina rende esplicito il motivo della sua presenza sul palcoscenico. Seguita da un'ancella (ἡ παροῦσα, v. 634), la donna si dirige verso un luogo all’aperto per offrire sacrifici (θύμαθα πάγκαρπα) composti da frutti di ogni tipo391 (vv. 634-635) e preghiere liberatrici392 (λυτηρίους393 εὐχάς) ad Apollo a

seguito del sogno terribile. 387 Vv. 764-765: φεῦ φεῦ˙ τὸ πᾶν δὴ δεσπόταισι τοῖς πάλαι| πρόρριζον, ὡς ἔοικεν, ἔφθαρται γένος (ahimè ahimè! L'intera stirpe dei nostri antichi sovrani è andata distrutta, a quanto sembra fin dalle radici!). Cfr. anche March 2001, p. 172. 388 Suda, s.v.: ἐκ ῥιζῶν. 389 Se la corsa mitologica dei carri di Pelope dà inizio ai mali, il μῦθος di Oreste si appresta a chiuderli. 390 Scott 1996, p. 158.

391 L’abbondante offerta rievoca ironicamente l’immagine di prospera fertilità rievocata dalla visione onirica. 392 Si ricordi che Clitemnestra ha già affidato delle λυτήρια a Crisotemi nel mandarla sulla tomba di Agamennone: v. 447. 393 Si noti che l’aggettivo compare come una delle ultime parole pronunciate da Elettra alla fine della tragedia (v. 1490) per chiedere al fratello la liberazione dai suoi mali, possibile solo con l’uccisione di Egisto. L’occorrenza lessicale crea un nesso tra le due scene e pone le due figure femminili su un piano antitetico, poiché mentre Clitemnestra prega silenziosamente per sollecitare la morte di Oreste (Finglass 2007, p. 289. Horsley 1980, p. 22), la figlia rivendica a gran voce la morte dell’impostore.

L’onirofania si rivela dunque un espediente scenico doppio, che inizialmente giustifica l’ingresso di Crisotemi e poi quello della madre, ma rappresenta anche un'occasione rituale reale, volta alla celebrazione di Apollo394. Venerato da

Clitemnestra con l'epiclesi di Prostaterio (o Agieús), la cui statua o altare sono posti a protezione delle mura cittadine e delle porte domestiche395, il dio esplica la sua

funzione apotropaica nella dimensione pubblica e privata396, in un intreccio che si

riflette in tutto il dramma e si riscontra anche nella metafora onirica, che con il ritorno di Oreste garantisce la sopravvivenza del domos e la liberazione della città dagli impostori.

Al termine di un acceso diverbio con la figlia, fatto di discorsi di retorica, Clitemnestra esprime il desiderio di poter pronunciare la propria preghiera ὑπ΄εὐφήμου βοῆς (v. 630), in religioso silenzio. La presenza di Elettra, alla quale vuole tenere nascosto l’accaduto397, le impedisce, infatti, di rivelare apertamente il

contenuto della sua richiesta al dio. L’uso del qualificativo εὔφημος, in particolare, situandosi nella sfera degli auspici, definisce la natura del presagio398 che la regina

vorrebbe positivo. Con questo scopo la donna pronuncia per Apollo una κεκρυμμένεν βάξιν (v. 638), un messaggio costituito da parole nascoste, secondo una modalità alla quale gli antichi guardavano con sospetto399 e che la pone in cattiva luce,

caratterizzando la scena con un velo di ironia. Se prima ella aveva rivelato il sogno al Sole per demonizzarlo, ora, in maniera antitetica, intende tenere le sue parole oscure e criptiche (οὐ γὰρ ἐν φίλοις| ὁ μῦθος, οὐδὲ παν ἀνάπτυξαι πρέπει πρὸς φῶς, infatti la preghiera non avviene in presenza dei cari e non è conveniente svelare ogni cosa alla luce, vv. 638-640), similmente alla natura degli oracoli, benchè l’appello sia rivolto al dio nelle sue epiclesi di Febo e Liceo, che richiamano la prerogativa della chiarezza400. 394 Parallela a questa preghiera sarà quella pronunciata da Elettra nel Quarto Episodio (vv. 1376-1383), continuando la rappresentazione antitetica della figlia rispetto alla madre. 395 Jebb 1967, p. 112; March 2001, p. 181; Finglass 2007, p. 287; Detienne 2002, p. 166. 396 Jebb 1894, p. 138. 397 Clitemnestra non è consapevole che Elettra conosce già il sogno terribile e può capire pienamente la sua preghiera: cfr. March 2001, p. 181. 398 LSJ, s.v. εὔφημος.

399 Le confidenze tra il dio e il suo fedele non erano ben viste, come dimostra uno dei precetti di Pitagora: μετὰ φῶνῆς εὔχεσται δεῖ. Cfr. Jebb 1894, p. 138.

400 Kells 1973, p. 134. Jebb 1967, p. 113. La stessa invocazione trova un parallelo in Soph., OT, 919.

Quanto al sostantivo βάξις (glossato con il termine λόγον401), il suo uso

polisemantico trova impiego anche nella designazione dei responsi oracolari402,

rinviando non solo al λόγῳ κλέπτοντες ἡδεῖαν φάτιν (φέροιμεν) di cui parla Oreste (v. 56) ma anche al μύθος (v. 50) ingannevole, cioè il falso racconto che il Pedagogo riporta alle donne. D’altra parte, lo stesso termine μύθος appare impiegato proprio nella preghiera della regina (v. 639) come variatio di βάξις403.

Il contenuto dell’invocazione rivolta al dio viene espresso in maniera chiara ma concisa (vv. 644-647): ἃ προσείδον νυκτί τῇδε φάσματα δισσῶν ὀνείρων, ταῦτά μοι Λύκει΄ἄναξ, 645 εἰ μὲν πέφηνεν ἐσθλά, δός τελεσφόρα, εἰ δ΄ἐχθρά, τοῖς ἐχθροῖσιν ἔμπαλιν μέθες˙

(Le visioni di sogni ambigui che ho avuto questa notte, fa' che arrivino a compimento, o signore Liceo, se mi sono propizie; ma se mi fossero ostili, falle ricadere sui (miei) nemici).

Nel rammentare la visione, Clitemnestra appare ancora nel ruolo di spettatrice passiva, come illustra l’uso del verbo προσοράω, il cui prefisso προς- indica direzione e riproduce l'immagine dell’avvicinamento dei φάσματα che la compongono, rappresentati dall’avvento di Agamennone e dal germoglio risultante dallo scettro. Il ricorso al plurale, inoltre, specifica non solo la ripetitività delle apparizioni404, ma

anche l’ambiguità semantica, confermata dall’uso del genitivo δισσῶν ὀνείρων. Bowra osserva, infatti, che il sogno simbolico presenta sempre un doppio significato e se da un lato il ritorno del re nel mondo dei vivi è concepito come un presagio nefasto405,

dall'altro il fiorire dello scettro sulla terra può ispirare nella regina una qualche

401 Kamerbeek 1974, p. 92. 402 LSJ, s v. βάξιν. Cfr. Soph., Trach., 87. 403 Kells 1973, p. 134. 404 O una loro lunga durata nella memoria della regina. 405 Bowra 1943, pp. 224-226: la visione di un defunto era considerata di cattivo augurio se il morto arrivava ad impadronirsi di qualcosa (Artemid., Oneir., II, 57; Hipp., Diaet., IV, 93) o se ne sognava il ritorno in vita (Artemid., Oneir., II, 62).

fiducia406 ed alimentare una speranza di salvezza. Tuttavia, l’uso del termine

φάσμα407, impiegato in precedenza dal coro (v. 501) nel suo atto ermeneutico, evoca

in maniera consapevole nel pubblico la recente predizione sul compimento favorevole del presagio408. In effetti il termine occorre al singolare anche ai versi

1466-1467, adoperato da Egisto per indicare la presenza sulla scena del corpo velato di Clitemnestra, con la convinzione che si tratti di quello di Oreste409. Esso allora

esprime chiaramente il carattere doppio ed ambiguo, rafforzato dal sintagma δισσῶν ὀνείρων che Kamerbeek scioglie con la glossa διπλῆν ἐχόντων φύσιν410, sogni dalla

duplice natura.

Se, come è stato detto, la parola logos riassume la narrazione onirica, il motivo del doppio espresso dall’aggettivo richiama anche i δισσοὶ λόγοι tipici della sofistica, della quale Gil Fernández ha riscontrato una marcata impronta all’interno della tragedia411. La figura di Oreste ed in particolare il motivo del καιρός412, gli elaborati

discorsi di Elettra in risposta a quelli della madre sul concetto di giusto ed ingiusto (vv. 525-609), l'influenza di πειθώ413 e, infine, la contrapposizione tra λόγος ed ἔργον

406 La fioritura di un albero viene interpretata come un presagio fortunato e segno di sicurezza. Cfr. anche March 2001, p. 181; Jebb 1967, p. 113. Kells 2000, p. 134, Sognare il germoglio potrebbe anche rappresentare la possibilità che un figlio di Egisto arrivi a governare su Micene. Cfr. anche Brillante 2019, p. 45. 407 LSJ, s.v. φάσμα: apparition, phantom. 408 March 2001, p. 181. Se al v. 172 con il verbo φαίνομαι Elettra ritiene che Oreste non si degni di apparire, il sostantivo φάσμα allude alla sua apparizione onirica e poi concreta, come chiarisce l’espressione ἐπαξιώσας ὧδέ μοι φανῆναι (ti sei degnato di apparirmi dinanzi così, v. 1274).

409 ὦ Ζεῦ, δέδορκα φάσμ΄ἄνευ φθόνου μὲν οὐ| πεπτωκός (Oh Zeus vedo lo spettro di un uomo caduto non senza odio degli dei, v. 1466).

410 In merito alla proposta Kamerbeek 1974, p. 93, cita il commento di Fraenkel ad Aesch., Ag., 122 e 325, dove gli aggettivi δισσός e διπλοῦς appaiono intercambiabili. Con particolare riferimento al primo passo letterario, che narra il prodigio delle due aquile, si osservi che l’aggettivo δισσός indica la duplicità incarnata dai due Atridi nel ruolo di padre e figlio e la riconquista del potere rappresentato dall’aquila.

411 Gil Fernández 2010, pp. 63 ss. Echi della sofistica per il gusto della dialettica sono riscontrabili in Sofocle anche secondo Colli: cfr. Colli 2003, p. 26.

412 Nell'Encomio di Elena scritto da Gorgia, si può dedurre che l'uomo è una pedina nelle mani del caso (tyche), il quale domina ogni vicenda umana. Egli, però, sarà felice se sarà in grado di sfruttare a proprio vantaggio le opportunità (kairoi) che la tyche gli dà: è per questo che Elena sarà felice se sarà in grado di sfruttare a proprio vantaggio le opportunità che la tyche gli offre ed è per questo che Elena merita un elogio, in quanto ha saputo sfruttare a proprio vantaggio ciò che le assegnava il destino: Capriglione 1994, pp. 429-443. La figura di Oreste si presenta perciò affine a quella di Elena, tuttavia la tyche gorgiana si può identificare in Sofocle con la figura divina di Apollo.

413 Al v. 562 Elettra rimprovera sua madre per essersi lasciata lusingare dalla πειθώ di Egisto.

che si sviluppa lungo tutto il dramma, costituiscono degli esempi chiari per questa affermazione.

Come parola divina ed espressione di un racconto, il λόγος onirico si associa al pensiero di Gorgia e alla potenza del linguaggio, che, essendo δισσός esprime una natura doppia e contradditoria, propria anche della visione notturna. A causa del timore414, la regina non è capace di discernere il vero significato dell'onirofania e,

seppur cosciente dell'ambiguità che questa possiede, prende in considerazione solo il senso che le pare più favorevole. Poche parole bastano ad abbattere o sollevare i mortali (così affermava Elettra prima di sentire il sogno ai vv. 415-416) è l'asserzione che contribuisce a definire la condizione del sognatore e di chi risulta coinvolto nell’esperienza onirica.

La parola condiziona le passioni che guidano la vita dell'uomo e perciò può risultare distruttiva415 se non arriva a combinarsi con i fatti (si è già visto come il

puro logos in Elettra ne sia la perfetta rappresentazione). Essa è logos, messaggio divino capace di attuare la sua potenza annientatrice. Perciò la donna chiede ad Apollo il compimento delle visioni se le sono propizie o che, retorque in inimicos416,

ricadano sui nemici, se contrarie. Eppure, il periodo ipotetico della realtà usato dalla regina non lascia dubbi: le apparizioni si compiranno e saranno volte ironicamente proprio contro coloro che sono considerati i nemici del dio e del regno (v. 646): Clitemnestra ed Egisto417.

La preghiera contiene in effetti la richiesta, che non sarà esaudita, di conservare le ricchezze418 e l'autorità sulla casa degli Atridi – che Clitemnestra ha ingiustamente

ottenuto per mezzo dell'assassinio – il desiderio di una vita senza danni e il possesso dello scettro, elemento simbolo, si è visto, della visione onirica (vv. 648-651):

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