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Quarto Episodio (vv 1098-1383)

IL SOGNO IN SOFOCLE

I.9 Quarto Episodio (vv 1098-1383)

Se nel Secondo Stasimo Elettra è ostinata a morire nella prospettiva di far trionfare la giustizia (v. 1079), il Quarto Episodio porta sulla scena la prova della falsa morte di Oreste. In veste di messaggero, il giovane giunge a palazzo insieme a Pilade459 ad

annunciare la duplice presenza, definita significativamente con l'aggettivo κοινόπουν, “dal comune piede” (v. 1104). Il termine, tuttavia, allude anche alla funzione presenziale dell’urna cineraria metallica (τύπωμα χαλκόπλευρον, v. 54) che alcuni attendenti recano in mano e che svolgerà le funzioni di un terzo attore e, allo stesso tempo, evoca potentemente l’inesorabile passo delle Erinni, in precedenza qualificate con l'attributo χαλκόπους (v. 491).

La scena iniziale è giocata tutta sull'ironia e l'ambiguità, dato che fratello e sorella si incontrano senza riconoscersi: nascosto dietro una falsa apparenza, Oreste si rivolge ad Elettra come ad una serva, poiché ne ignora l'identità, imponendole di recare una notizia ad Egisto da parte di Strofio460 (v. 1106) e della cui falsità

naturalmente il pubblico è consapevole. Nel dialogo tra l'eroina e l’irriconoscibile fratello (Ηλ. φήμην φέρoντες ἐμφανῆ τεκμήρια; (venite) portando la prova manifesta della voce che abbiamo sentita?, v. 1109. Ορ. οὐκ οἶδα τὴν σὴν κληδὸνα: non so la notizia, v. 1110), i termini φήμη e κληδών, dal significato ambivalente, si situano nella dimensione profetica, giacché, se il primo designa un discorso suggerito dagli dei461, il

secondo possiede anche l'accezione di “presagio462”, facendo pensare al messaggio

divino veicolato dal sogno. Di questo, Oreste, a differenza delle Coefore, non ha alcuna conoscenza, così come ignora l'interpretazione fornita dalle donne di Micene (il τέρας con cui il coro designa il sogno al v. 497), ma si tratta di un fatto che il pubblico può 459 In Aesch., Cho., 659-660, i due personaggi si presentano alla reggia recando delle notizie sul far della notte, definita con la metafora di un carro: ὡς καὶ νυκτὸς ἅρμ΄ἐπείγεται| σκοτεινόν (sta arrivando il tenebroso carro della notte), similmente alla scena che descrive l’avvenuto decesso dell'eroe, ma all'ambientazione notturna della prima si contrappone l'inizio del giorno descritto nel Prologo della nostra tragedia che pone la vendetta nel segno di Apollo. 460 Il Pedagogo si presenta come messaggero da parte di Fanoteo, mentre Oreste finge di giungere da parte di un altro mittente, Strofio (il cui significato è legato alla radice del verbo στροφέω = volgere), rivale e nipote del focese. Di fatto Oreste volge la situazione all'azione, con l’aiuto di Pilade, personaggio che, sebbene muto, risulta una figura di pura azione (Segal 1981, p. 285). La provenienza delle notizie da due fonti indipendenti contribuisce a rendere la scena più credibile: March 2001, p. 206. 461 LSJ, s.v. φήμη: utterance prompted by the gods. Rumor. 462 LSJ, s.v. κληδών.

comprendere. Infatti, nel dialogo con Elettra l'ambiguità di significato viene enfatizzata mediante l’uso dell'aggettivo σμικρὰ463 (φέροντες αὐτοῦ σμικρὰ

λείψαν΄ἐν βραχεῖ| τεύχει θανόντος, ὡς ὁρᾶς: portando in questa piccola urna i miseri resti di lui, vv. 1113-1114), che riconduce agli smikroi logoi con cui Elettra aveva definito il racconto onirico prima di ascoltarne il contenuto. Se questo indica dei logoi in grado di produrre un forte effetto emozionale sui personaggi, la stessa funzione è individuabile anche in questa scena con l'urna (ὥς μ΄ὑπέρχεται φόβος: che angoscia mi assale! – afferma Elettra al v. 1112). Per di più il piccolo contenitore non è altro che la rappresentazione del σμικροτάτῳ σώματι (si è volutamente lasciato il caso dativo perché nell'opera l’oggetto è uno strumento) citato nell'Encomio di Elena, che allude al corpo quasi impercettibile, ma dalla grande potenza, di cui è rivestita la parola. L'oggetto portato sulla scena è visivamente πρόχειρον a portata di mano (v. 1116), una presenza concreta nel dramma464, simile ad un “terzo attore465”, che diviene il

fulcro dell'azione, poiché domina la scena fino ai minuti finali del dialogo con Elettra. Esso costituisce anche l'emblema della funzione ambigua del linguaggio, poiché è il simbolo del potere del logos ed è la prova che una finzione può arrivare a rappresentare un fatto concreto466 con il fine di restaurare la verità (in maniera

analoga all’oracolo). L'urna è la dimostrazione di un fatto privo di realtà, per il quale l'eroina dà libero sfogo ai suoi lamenti, al logos: lo σμικρὸς ὄγκος ἐν σμικρῷ κύτει: il piccolo cumulo in una piccola coppa (v. 1142), non è altro che σποδόν τε καὶ σκιὰν ἀνωφελῆ: cenere e ombra vana (v. 1159), a testimoniare la velata presenza di un fratello, il cui abbraccio l'eroina pensa di non poter più ricevere.

A richiamare il sogno è il sostantivo σκιὰ, che, designando qualcosa di inconsistente e vano, non è solo un’allusione al defunto, ma riproduce anche la natura tipica delle visioni notturne467, di cui Oreste appare la personificazione concreta.

L’eroe si presenta infatti come la manifestazione dell’ombra generata dal pollone

463 Le occorrenze dell'aggettivo nel testo si trovano ai vv. 414, 415, 450 (in riferimento al sogno e alla narrazione), 1113, 1142 (in riferimento all'urna e al corpo di Oreste).

464 Elettra si esprime con l’impiego del verbo legato al campo semantico del vedere: δέρκομαι (v. 1116).

465 Woodard 1966, p. 138.

466 The urn is appropriate emblem for the ambiguous function of the language in the play, itself a work of the art whose fiction contains truth and reveals truth. An elaborately shaped work of plastic art, the urn has false contents, but through its falsehood restores truth: Segal 1981, p. 287.

rigoglioso che copre tutta la terra di Micene. L'evento onirico arriva così a prendere forma reale con l’urna, benché il fratello non sia ancora riconoscibile dalla protagonista, concentrata sull’oggetto che lo sostituisce (ἀντὶ φιλτάτης| μορφῆς: in cambio della tua carissima forma, v. 1159), che richiede la difficoltosa distinzione tra realtà e supposizione e tra verità e falsa evidenza468. Il recipiente cinerario è

effettivamente detto, con sottile ironia tragica, τὴν μεδὲν ἐς τὸ μηδέν (nulla nel nulla, v. 1166) e realmente sappiamo che non contiene nulla, ma Elettra ha l'erronea convinzione che in esso siano riposte le ceneri di Oreste. Questa “realtà” la distoglie momentaneamente dal proposito di uccidere Egisto (annunciato nel Secondo Stasimo), così come il coro aveva auspicato, e la spinge ad un irrefrenabile e commovente lamento per il fratello, in una scena di intenso pathos grazie al quale il giovane comprende di avere dinanzi a sé l’immagine della sorella: ἦ σὸν τὸ κλεινὸν εἶδος Ἠλέκτρας τόδε; è dunque la nobile figura di Elettra quella che vedo? (v. 1177). Il ricorso alla parola εἶδος da parte di Oreste, con cui si indica ciò che è visibile, ossia una rappresentazione mentale derivante dalla visione, mostra che anch’egli è vittima di una falsa opinione, credendo inizialmente di trovare davanti a sé, per il suo aspetto trascurato, una serva del palazzo e non la nobile Elettra. Tutta la scena dell'anagnorisis (vv. 1174-1229) è densa di verbi riconducibili alla sfera semantica del vedere e alla conoscenza: ἐπισκοπῶν (v. 1184), ᾔδη (v. 1185), ὁρῶν (v. 1187), ὁρᾷς (v. 1188), βλέπειν (v. 1189), ὁρῶν (v. 1199), ἴσθι (v. 1200) che producono un effetto emozionale anche nel fratello469. Eppure è solo un attimo di debilità dalla

quale egli si riprende immediatamente per convincere la sorella a posare l'urna, segno tangibile della propria morte, e a prestare ascolto alle sue parole (πείθου λέγοντι κοὐκ ἁμαρτήσῃ ποτέ: presta ascolto alle mie parole e non sbaglierai, v. 1207): questa volta il logos maschile, concretizzatosi anteriormente in falsità, è capovolto a rappresentare la vera realtà: Oreste spiega chi è, girando intorno a cosa non è l'urna (ἀλλ΄ οὐκ Ὀρέστου, πλὴν λόγῳ γ΄ἠσκημένον: ma non è di Oreste se non per un discorso fittizio, v. 1217) e mostrando la prova della sua identità (v. 1222). 468 Woodard 1966, p. 138. L'urna è mediatrice tra realtà e apparenza, si accorda al logos che accompagna, ma sottolinea l'ambiguità della relazione tra significante e significato: cfr. Segal 1981, p. 288.

469 Risulta dominante, pertanto, ancora l'idea gorgiana secondo cui la vista influenza lo stato emotivo degli esseri umani.

La scena del riconoscimento, nella quale Elettra passa da uno stato di disperazione ad uno di euforia, è contrassegnata dall’esclamazione ὦ φίλτατον φῶς (v. 1224), rivolta alla luce carissima ed espressione del compimento di quell’ἐλθόντος ἐς φῶς (v. 419) sognato da Clitemnestra e tanto angosciante da essere rivelato al chiarore del sole. È evidente pertanto che l’atmosfera di luce contraddistingue tutto il dramma fin dai suoi inizi, fin dall’arrivo degli eroi ad Argo (vv. 17-19) e viene invocata nell’incipit (v. 86) con cui l’eroina apre la sua monodia, nel desiderio di una rinascita, dopo interminabili notti insonni.

La tangibile presenza di Oreste, resa con una serie di percezioni sensoriali visive, auditive e tattili470 viene ora mostrata ai concittadini (ὦ φίλταται γυναῖκες, ὦ

πολίτιδες, | ὁρατ΄Ὀρέστην τόνδε, μηχαναῖσι μὲν| θανόντα, νῦν δὲ μηχαναῖς σεσωμένον: o donne carissime, o concittadine, ecco Oreste, guardatelo: morto per inganno, e ora qui, sano e salvo, per quell'inganno! vv. 1227-1229), a sottolineare la funzione politica assunta dal giovane eroe. Infatti, se il sentimento di gioia distoglie Elettra dall'idea della vendetta, questa idea ritorna invece ad essere l'obiettivo principale per il fratello, che comporta un riequilibrio dei ruoli. Le parole lasciano il passo all'esecuzione implacabile, al καιρός (οὗ μή΄στι καιρὸς μὴ μακρὰν βούλου λέγειν: rinuncia a parlare troppo quando non è il momento, v. 1259) che dalla mano delle donne scivola a quella degli uomini, sotto l’egida degli dei ctoni e di Apollo (τότ΄εἶδες, ὅτε θεοί μ΄ἐπώτρυναν μολεῖν: mi hai visto quando gli dei mi hanno sospinto a tornare, v. 1264), come riconosce anche Elettra471 (εἴ σε θεός ἐπόρισεν472| ἁμέτερα

πρὸς μέλαθρα˙ δαιμόνιον| αὐτὸ τίθημ΄ἐγώ: se è stato un dio a inviarti nella nostra casa, riconosco in questo la volontà dei numi, vv. 1266-1270). Per l’eroina il compimento dei fatti è stato stabilito (τίθημι) da un dio, che ha permesso la ricomparsa di Oreste (χρόνῳ μακρῷ ἐπαξιώσας ὧδέ μοι φανῆναι, vv. 1274-1275), simile ad una figura di sogno, come suggerisce l’uso del verbo φαίνω, che smentisce ciò che lei stessa aveva affermato nella Parodo (ἀεὶ μὲν γὰρ ποθεῖ, ποθῶν δ΄οὐκ ἀξιοῖ

470 Nella lettura di questo passo da parte di Seaford 1994, p. 377, si ritiene che le immagini sensoriali costituiscano una evocazione dei rituali di iniziazione mistica, nei quali Oreste è considerato come un dio, la cui morte e rinascita portano alla salvezza, e che è una luce per gli iniziati.

471 Jebb 1967, p. 160.

472 Si noti l'uso del periodo ipotetico della realtà, con εἴ e indicativo nella protasi ed indicativo presente nell'apodosi.

φανῆναι (quale messaggio mi giunge da lui che non sia ingannevole? Sempre desidera tornare ma non si degna di apparire, vv. 171-172).

Ora con volto raggiante (φαιδρῷ προσώπῳ473, v. 1297), Elettra entra nel mondo

maschile degli erga, conformandosi al volere del dio (ὑπηρετοίην τῷ παρόντι δαίμονι: servirei il destino che è al nostro fianco, v. 1306), di cui constata la terribile potenza, che, profetizzata dal sogno con il ritorno di Agamennone, ora si è fatta concreta: εἴργασαι δέ μ΄ἄσκοπα˙| ὥστ΄εἰ πατήρ μοι ζῶν ἵκοιτο, μηκέτ΄ἂν| τέρας νομίζειν αὐτό, πιστεύειν δ΄ὁρᾶν (ad Oreste: hai fatto cose così prodigiose che, se il padre tornasse vivo, non lo crederei più un miracolo, ma darei fiducia ai miei occhi, vv. 1315-1317).

L’associazione tra i termini ἄσκοπα e τέρας con l’enunciato πιστεύειν δ΄ὁρᾶν474

lascia intuire in questa battuta un monito sofocleo al rinnovamento della fiducia nei confronti degli dei e soprattutto di Apollo, garante dell'infallibilità degli oracoli e dei sogni da lui inviati.

Se si considera il contesto nel quale con probabilità questa tragedia è stata composta e si accetta la proposta di Gil Fernández di datarla al 410 a.C. circa, è possibile scorgere una difesa nei confronti della religiosità tradizionale, dalla quale gli Ateniesi si erano progressivamente allontanati a causa del clima di sfiducia provocato dalla guerra del Peloponneso475 e dell’influsso della sofistica. Solo dopo la disfatta

della spedizione contro Siracusa del 414 a.C., si percepisce un lento processo di riavvicinamento al culto degli dei ed è probabilmente in questo momento che viene scritta l'opera dell'Elettra476, una probabile risposta all'Elettra di Euripide477, che i

critici ritengono anteriore all’opera sofoclea.

473 La gioia di Elettra è rappresentata dalla luminosità, che richiama Apollo anche al v. 1310: γέλωτι τοὐμὸν φαιδρὸν κάρα (il mio volto illuminato dal sorriso).

474 La terminologia è costituita da parole riconducibili tutte al campo semantico della vista, poiché se ἄσκοπος è il negativo di σκοπέω, τέρας indica il simbolo inviato dagli dei (deriva dalla stessa radice del nome Tiresia, che era cieco, ma la cui capacità profetica gli era stata donata da Zeus), mentre πιστεύω è riconducibile all'esperienza visiva insieme ad ὁράω.

475 Durante gli anni della guerra Archidamica, in particolare, sembra che i contatti tra Atene e Delfi fossero quasi nulli: Giuliani 2001, pp. 124 ss.

476 Non vi sono delle notizie significative sul coinvolgimento di Delfi nelle fasi successive della guerra del Peloponneso, tuttavia, vi è un riferimento di Plutarco alla vigilia della spedizione ateniese in Sicilia, secondo cui la Pizia avrebbe raccomandato l'astensione dall'iniziativa, una notizia tarda che non viene menzionata però da Tucidide: Giuliani 2001, p. 137.

477 L'omonima tragedia euripidea lascia trasparire una chiara critica razionalista all'oracolo apollineo, mossa da un Oreste disilluso e dubbioso verso l’agire del dio ai vv. 971- 973, 979-981, 1190-1192. La condanna finale del matricidio da parte dei Dioscuri, infine, pone in rilievo la responsabilità di Apollo colpevole di aver affidato all’eroe il compito di fare

L’incontenibile gioia dei due fratelli e i loro μακροὶ λόγοι (v. 1335), contrapposti alla natura divina degli σμικροὶ λόγοι, sono interrotti dal sopraggiungere del Pedagogo, che focalizza l’attenzione sui piani concreti da attuare. Non vi è motivo di pensare che il piano possa fallire (καλῶς τὰ κείνων πάντα, καὶ τὰ μὴ καλῶς: tutto all'interno della casa va bene, anche ciò che non è bene, v. 1345), dato che Oreste è considerato un uomo dell’Ade (εἷς τῶν ἐν Ἅιδου μάνθαν΄ἐνθάδ΄ὢν ἀνήρ: sappi che per loro qui tu sei un uomo nell'Ade, v. 1342), secondo quanto il sogno aveva profetizzato. Il precettore invece appare come σωτὴρ δόμων (salvatore della casa, v. 1354), un epiteto che, insieme all'espressione ὦ φίλτατον φῶς (v. 1354), lo colloca nella dimensione delfica, come illustrato anche dalla massima riferita ad Elettra: quanto al racconto dei fatti intercorsi, molte notti e altrettanti giorni si avvicenderanno478, nel

corso dei quali tutto, o Elettra ti sarà svelato con chiarezza (vv. 1364-1366). È il καιρός, Clitemnestra si trova sola, senza uomini nella reggia, i grandi discorsi (v. 1372), non più necessari, lasciano il posto agli atti, la cui riuscita viene garantita dalla protezione degli dei patri situati davanti alle porte (tra i quali si identificano Hermes479 ed Apollo Prostaterio), invocati insieme ad Apollo Liceo. La preghiera a lui

rivolta da Elettra prima del matricidio, simmetrica a quella fatta in precedenza dalla madre, lascia supporre che la divinità sia invocata anche con l’epiteto di lycoctonio, nella sua funzione di uccisore dei lupi selvaggi, simbolo della tirannide oppressiva e distruttiva delle leggi dell'ordine cosmico. A lui la protagonista chiede sostegno e giustizia di fronte all'empietà (δείξον ἀνθρώποισι τἀπιτίμια| τῆς δυσσεβείας οἷα δωροῦνται θεοί, vv. 1382-1383), a conferma che il messaggio sofocleo è carico di religiosità e risulta strettamente connesso alla dimensione politica. giustizia. Cfr. Giuliani 2001, pp. 164 ss.; Gil Fernández 2010, p. 17. I riferimenti euripidei che pongono il dio e gli oracoli in una luce negativa si trovano inoltre in Eur., Andr., 1085-1165; Suppl., 138; 832-836; Or., 28-31; 163-165; 191; 285-287; 328-331; 417-420, 591-599; 954- 956, anche se nel finale dell'opera riappare una fiducia nei confronti del divino.

478 Si badi che il tempo nell'Elettra presenta una struttura circolare, la stessa che caratterizza il sogno, poiché i personaggi sembrano intrappolati in una ripetizione complessiva di azioni (Segal 1981, pp. 262-263) che riprende il ciclo della natura. In dialettica relazione appare invece la concezione lineare di Oreste.

I.10 Terzo Stasimo (vv. 1384-1397)

Conclusa la preghiera, per la prima volta in tutta la tragedia, Elettra entra nel palazzo seguendo i tre uomini, mentre il coro resta solo sulla scena ad intonare un brevissimo Stasimo, formato da una strofe e un'antistrofe. Il canto presagisce il successo dell'impresa con la figura di Ares, impersonata da Oreste e Pilade, e delle Erinni, che con il loro passo (βεβᾶσιν ἂφυκτοι κύνες: sono penetrate le cagne implacabili, vv. 1386-1388), confermano la correttezza dell’esegesi onirica esposta nel Primo Stasimo (vv. 472-503): ὥστ΄οὐ μακρὰν ἔτ΄ἀμμενεῖ| τοὐμὸν φρενῶν ὄνειρον αἰωρούμενον: non a lungo ancora rimarrà sospeso il sogno della mia mente (vv. 1389- 1390). Il sogno dalla consistenza leggera, che già aveva ispirato conforto, ora si realizza pesantemente abbattendosi sugli assassini, poiché Ἑρμῆς σφ΄ἄγει δόλον σκότῳ| κρύψας πρὸς αὐτὸ τέρμα, κοὐκέτ΄ἀμμένει (Ermes480, che nell'oscurità

nasconde l'insidia, lo conduce dritto alla meta e più non indugia, vv. 1396-1397).

I.11 Esodo (vv. 1398-1510)

Incentrato sul compimento della vendetta, l’episodio finale si articola in due momenti, segnati rispettivamente dall’uccisione di Clitemnestra e da quella di Egisto. Poiché l’operato degli uomini (τελοῦσι τοὔργον, v. 1399) non risulta visibile ed è posto in secondo piano, centrale è il ruolo di Elettra, la quale assume la funzione di ἐξάγγελος481 a narrare e commentare al pubblico e al coro – con il quale inizia uno

scambio di battute – ciò che si svolge dietro le quinte. Momento chiave del matricidio è la preparazione dell’urna – ma non la stessa che contiene le ceneri di Oreste, mai portata dentro la casa – con cui la regina si appresta a celebrare le esequie del figlio. L’oggetto ne annuncia ironicamente e simbolicamente la morte imminente, contrassegnata da un urlo che, se negli spettatori rievoca il sogno eschileo482, provoca

480 Ermes è il dio doppio per eccellenza, nel dramma con l'appellativo di ctonio (come già in Eschilo), poiché conduce le anime verso il mondo dei morti, ma è anche il dio dell'inganno.

481 Jebb 1967, p. 170.

482 Soph., El., 1406: βοᾷ τις ἔνδον. Questo momento rievoca il grido emesso durante la notte in cui Clitemnestra ebbe il terribile sogno in Aesch., Cho., 34-35: ἀωρόνυκτον ἀμβόαμα| μυχόθεν ἔλακε περὶ φόβωι…

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