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CAPACITA’ ORGANICHE DI BASE

Nel documento Arrampicata Sportiva (pagine 55-68)

2. LE COMPONENTI DELL’ARRAMPICATA

2.3 CAPACITA’ ORGANICHE DI BASE

L’apprendimento delle corrette tecniche di arrampicata è il requisito fondamentale per riuscire a superare le prime difficoltà che si incontrano nella dimensione verticale. Ne consegue che in arrampicata , il principiante dovrebbe utilizzare il tempo dedicato all’allenamento, mirando innanzitutto allo sviluppo delle capacità coordinative mediante il metodo più semplice ed efficace per raggiungere questo scopo: arrampicando. Solo

dopo “chilometri” percorsi tra le varie possibilità offerte dal mondo verticale, per poter ottenere risultati migliori a livello della prestazione, parallelamente alle capacità tecniche è opportuno allenare le capacità organico muscolari o capacità condizionali. Esse sono quelle capacità che necessitano di essere “condizionate” (allenate) per far si che si migliorino o mantengano nel tempo. In ambito sportivo queste capacità vengono definite con i termini di forza, velocità, resistenza e flessibilità.

Dipendono principalmente dalle qualità di alcuni apparati (muscolo-scheletrico, cardiocircolatorio, respiratorio) e dai processi fisiologici di produzione dell’energia[16]. DISTRETTI DELL’APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO SPECIFICI DELL’ARRAMPICATA

In genere, nelle attività sportive tutti gli apparati del corpo umano sono coinvolti e finalizzati alla prestazione e l’apparato scheletrico e quello muscolare e tendineo ne rappresentano elementi strutturali e di supporto fondamentali. Al proprio interno, ogni sport presenta delle peculiarità relative ai vari movimenti; per questo vi sono alcuni segmenti corporei di riferimento, che risultano elementi di forza per raggiungere determinate prestazioni. In arrampicata, i distretti maggiormente interessati sono rappresentati dagli arti superiori ed inferiori. Per quanto riguarda questi ultimi, nonostante la loro fondamentale importanza durante la progressione grazie alla loro azione di spinta, un loro potenziamento specifico non è rilevante ai fini della prestazione. Piuttosto è molto importante allenare la mobilità degli arti inferiori, per riuscire ad assumere particolari posizioni specifiche, con cui scaricare in maniera ottimale il peso su di essi[17]. Gli arti superiori invece rappresentano invece il vero punto cardine, attorno al quale si concentra gran parte dell’allenamento dell’arrampicatore, ai fini di potenziare tutte le varie strutture muscolo-tendinee che ne fanno parte. I principali distretti che compongono l’arto superiore sono: spalla, braccio, avambraccio e mano.

La spalla è la più mobile articolazione del corpo umano. Rappresenta un complesso sistema costituito da tre ossa (scapola, omero e clavicola) che sono in rapporto tra di loro mediante muscoli, tendini e legamenti. In realtà essa è composta da 5 diverse

articolazioni, che formano insieme il complesso articolare della spalla. Di queste, 3 sono definite articolazioni vere (in senso anatomico: articolazione scapolo-omerale, articolazione acromio-clavicolare e articolazione sterno-costo-clavicolare) e 2 articolazioni false (non sono articolazioni in senso anatomico, ma fisiologico, poiché comprendono due superfici di scivolamento una vicina all’altra: articolazione sotto- deltoidea e articolazione scapolo-toracica)[18].

L’apparato capsulo-legamentoso della spalla è abbastanza lasso per permettere un’elevata mobilità; di conseguenza non basta per assicurare un’adeguata stabilità. Pertanto è fondamentale l’azione di diversi muscoli, che rendono stabile tutto il complesso articolare. Possiamo suddividere tali muscoli in due gruppi:

1. Stabilizzatori trasversali, che, per la loro direzione, applicano la testa omerale

sulla glena della scapola. Essi nel complesso sono cinque:

Muscolo sovra spinoso, che origina dalla fossa sovra spinosa della scapola

e termina sulla faccia superiore del trochite.

Muscolo sotto spinoso, che origina dalla parte alta della fossa sotto

spinosa e termina sulla faccia postero-superiore del trochite.

Muscolo piccolo rotondo, che origina dalla parte bassa della fossa sotto

spinosa e termina sulla faccia postero-inferiore del trochite.

Muscolo sottoscapolare, che origina da tutta la fossa anteriore della

scapola e termina sul trochite.

Muscolo bicipite brachiale, con il suo capo lungo, che origina sopra il

tubercolo sopra-glenoideo della scapola e termina sulla tuberosità principale del radio (muscolo bi-articolare, che a livello del gomito esercita la sua più importante funzione di flessore dell’avambraccio).

2. Stabilizzatori longitudinali, che, sorreggono l’arto superiore, impedendo alla

Muscolo deltoide, composto da tre parti (una parte clavicolare, una parte

acromiale ed una parte spinale) che terminano tutte sulla tuberosità deltoidea dell’omero.

Muscolo tricipite brachiale, con il suo capo lungo, che origina sul

tubercolo sotto-glenoideo della scapola e termina sull’olecrano dell’ulna (muscolo bi-articolare, che a livello del gomito esercita la sua più importante funzione di estensore dell’avambraccio).

Muscolo bicipite brachiale, sia con il capo lungo che con quello breve,

che origina sull’apofisi coracoidea.

Muscolo coraco-brachiale, che origina sull’apofisi coracoidea e termina

sul terzo medio della faccia anteromediale dell’omero.

Muscolo grande pettorale, con il suo fascio clavicolare, che origina dal

margine anteriore della clavicola e termina con gli altri fasci sul labbro laterale del solco intertubercolare dell'omero.

Il braccio è formato da un unico osso, l’omero, che prossimalmente si articola mediante la testa omerale con la scapola, mentre distalmente forma l’articolazione del gomito con radio e ulna. A livello dell’omero si inseriscono, oltre ai muscoli stabilizzatori della spalla, altri muscoli molto potenti che svolgono un ruolo molto importante nell’arrampicata. A livello del solco intertubercolare si inseriscono, assieme al grande pettorale, il muscolo grande rotondo ed il muscolo grande dorsale. Tutti questi muscoli svolgono la loro principale azione di adduzione dell’omero, che in arrampicata, prendendo come vertice

fisso la mano (vincolata ad un appiglio), consente si sollevare il busto. A livello della metà distale della faccia anteriore dell'omero origina il muscolo brachiale

(al di sotto dell'inserzione deltoidea ), posto in profondità rispetto al bicipite brachiale. Termina sulla tuberosità ulnare e sulla capsula articolare. Al contrario del muscolo bicipite brachiale è un muscolo monoarticolare che, con la sua azione, flette l'avambraccio.

L' avambraccio è formato da due ossa: il radio e l'ulna. Queste, sono in grado di ruotare fino al punto di permettere al palmo della mano di girarsi verso l'alto con un movimento detto di supinazione e verso il basso con la pronazione. A livello dell'avambraccio transitano numerosi muscoli, i quali sono i responsabili maggiori della forza esercitata dai movimenti delle dita della mano, e pertanto sono importantissimi per il gesto arrampicatorio. Possiamo distinguere questi muscoli in 3 gruppi principali:

1. Muscoli anteriori dell'avambraccio, disposti su due strati:

◦ Strato superficiale, comprende i seguenti muscoli:

▪ Muscolo pronatore rotondo, che agisce come pronatore dell'avambraccio ma partecipa anche come flessore a livello dell'articolazione del gomito.

▪ Muscolo flessore superficiale delle dita, che origina con il suo capo omerale dall'epicondilo mediale dell'omero, con il suo capo ulnare dal processo coronoideo dell'ulna e con il suo capo radiale dal radio. esso si inserisce con 4 tendini alle piccole rilevatezze ossee presenti sui lati delle falangi medie del 2°-5° dito a circa metà altezza. A livello delle articolazioni digitali prossimali è un flessore di notevole efficienza; diventa inefficiente quando l'articolazione carpale è flessa al massimo grado.

▪ Muscolo flessore radiale del carpo, che origina sull'epicondilo mediale dell'omero e si inserisce sulla faccia palmare della base del 2° osso metacarpale. Esso collabora nella flessione palmare e nell'abduzione radiale.

▪ Muscolo flessore ulnare del carpo, che origina con il capo omerale dall'epicondilo mediale dell'omero e con il capo ulnare dai 2/3 superiori

del margine posteriore dell'ulna, e si inserisce sul 5° osso metacarpale. Esso collabora nella flessione palmare e nell'abduzione ulnare.

◦ Strato profondo, comprende i seguenti muscoli:

▪ Muscolo pronatore quadrato, che origina sul quarto distale della faccia anteriore dell'ulna e si inserisce sul quarto distale della faccia anteriore dell'ulna. Collabora alla pronazione dell'avambraccio con il muscolo pronatore rotondo.

▪ Muscolo flessore profondo delle dita, che origina sui 2/3 prossimali della faccia anteriore dell'ulna, e si inserisce mediante 4 tendini alle basi delle falangi distali del 2°-5° dito. Provoca una flessione a livello delle articolazioni carpali e falangee.

▪ Muscolo flessore lungo del pollice, che origina sulla faccia anteriore del radio e termina alla base della falange distale del pollice. Flette il pollice e partecipa all'abduzione radiale.

2. Muscoli laterali (radiali) dell'avambraccio. Si tratta di 3 muscoli che a livello del

gomito collaborano alla flessione:

◦ Muscolo estensore radiale breve del carpo, che origina sull'epicondilo laterale dell'omero e si inserisce alla base del 3° osso metacarpale. estende la mano

◦ Muscolo estensore radiale lungo del carpo, che origina sulla cresta sopracondiloidea laterale dell'omero e si inserisce alla base del 2° osso metacarpale, collabora all'estensione della mano e all'abduzione radiale. ◦ Muscolo brachioradiale, che origina sulla cresta sopracondiloidea laterale

Porta l'avambraccio in una posizione intermedia tra pronazione e supinazione; in questa posizione è un flessore del gomito.

3. Muscoli posteriori dell'avambraccio, disposti su due strai:

◦ Strato superficiale, comprende i seguenti muscoli:

▪ Muscolo estensore delle dita, che origina sull'epicondilo laterale dell'omero, e si inserisce mediante 4 tendini posteriormente alla base delle falangi prossimali del 2°-5° dito. E' il muscolo più efficiente nell'estensione della mano; inoltre partecipa all'abduzione ulnare.

▪ Muscolo estensore del mignolo, che origina con un capo comune, insieme al muscolo precedente, sull'epicondilo laterale dell'omero, e si inserisce sull'aponeurosi dorsale del 5° dito. Estende il 5° dito e collabora all'estensione e all'abduzione ulnare della mano.

▪ Muscolo estensore ulnare del carpo, che origina con un capo comune, insieme al muscolo precedente, sull'epicondilo laterale dell'omero e si inserisce alla base del 5° osso metacarpale. E' il principale abduttore ulnare.

◦ Strato profondo, comprende i seguenti muscoli:

▪ Muscolo supinatore, che origina a livello della cresta del muscolo supinatore dell'ulna e dell'epicondilo laterale dell'omero e si inserisce sul radio tra la tuberosità radiale e l'inserzione del muscolo pronatore rotondo. Determina la supinazione dell'avambraccio.

▪ Muscolo abduttore lungo del pollice, che origina sulla faccia dorsale dell'ulna e del radio e si inserisce alla base del 1° osso metacarpale. La

sua funzione principale è l'abduzione del pollice, ed inoltre partecipa alla flessione palmare ed all'abduzione radiale della mano.

▪ Muscolo estensore breve del pollice, che origina sull'ulna, distalmente al muscolo abduttore lungo del pollice e sulla faccia dorsale del radio, e si inserisce sulla base della falange prossimale del pollice. Estende ed abduce il pollice.

▪ Muscolo estensore lungo del pollice, che origina sulla faccia dorsale dell'ulna e si inserisce sulla base della falange distale del pollice. Estende il pollice, estende ed abduce in senso radiale la mano.

▪ Muscolo estensore dell'indice, che origina dal terzo distale della faccia dorsale dell'ulna e si inserisce sull'aponeurosi dorsale dell'indice. Estende l'indice e collabora all'estensione della mano.

La mano è formata da una miriade di ossa, legamenti, muscoli e tendini, che

interagiscono tra loro secondo modalità complesse, ma più che funzionali. Lo scheletro della mano è composto da 27 ossa, suddivise in 3 categorie:

1. Ossa del carpo: formano la regione anatomica del polso e sono in tutto 8

elementi ossei di forma irregolare, disposti su due file: una prossimale, vicina alle ossa del braccio (ulna e radio), e una distale, confinante con la base delle ossa metacarpali. Le ossa della fila prossimale sono lo scafoide, il semilunare, il

piramidale e il pisiforme. Scafoide e semilunare sono particolarmente

importanti, perché si articolano con il radio formando, con quest'ultimo, l'articolazione del polso. Le ossa della fila distale sono il trapezio, il trapezoide, il

capitato e l'uncinato.

2. Ossa del metacarpo ( o metacarpi): appartenenti alla categoria delle ossa

lunghe, sono in tutto 5 elementi. In ogni metacarpo, si possono distingue tre porzioni: una centrale, nota come corpo; una prossimale, chiamata base; infine,

una distale, che prende il nome di testa. La base è la porzione che confina le ossa carpali e con cui forma delle articolazioni. La testa è la regione che prende contatto con la prima falange della dita.

3. Falangi: sono complessivamente 14 e rappresentano gli elementi ossei costituenti le dita della mano. Tranne il pollice (l'unico formato da 2 falangi) tutte le altre dita possiedono 3 falangi ciascuno.

La buona funzionalità della mano dipende da 2 gruppi muscolari: i muscoli estrinseci, che originano a livello dell’avambraccio ma si inseriscono con i loro tendini allo scheletro della mano ed i muscoli intrinseci, che risiedono totalmente nella mano. I muscoli intrinseci si suddividono in 3 gruppi:

1. Muscoli del palmo, suddivisi in:

Muscoli interossei palmari: si tratta di 3 muscoli che originano dal 2°, 4° e

5° osso metacarpale e si portano alle basi delle rispettive falangi prossimali ed inoltre si irradiano nei rispettivi fasci dell’aponeurosi dorsale. Svolgono principalmente il ruolo di flessori delle articolazioni metacarpofalangee ed estensori delle interfalangee (a causa della connessione con l’aponeurosi dorsale).

Muscoli interossei dorsali: si tratta di 4 muscoli che originano con 2 capi

sui margini delle 5 ossa metacarpali e come gli interossei palmari si portano alle basi delle rispettive falangi prossimali ed inoltre si irradiano nei rispettivi fasci dell’aponeurosi dorsale. Come gli interossei palmari sono flessori delle metacarpofalangee ed estensori delle interfalangee.

Muscoli lombicali: sono 4 muscoli che originano sul lato radiale dei

tendini del muscolo flessore profondo delle dita (origine mobile) e si inseriscono sull’aponeurosi degli estensori. Essi sono flessori delle articolazioni metacarpofalangee ed estensori delle interfalangee.

2. Muscoli dell’eminenza tenar, formati da 4 muscoli distinti in base alla loro funzione esercitata sul pollice:

Muscolo abduttore breve del pollice Muscolo flessore breve del pollice Muscolo adduttore del pollice Muscolo opponente del pollice

3. Muscoli dell’eminenza ipotenar, formati da 3 muscoli distinti in base alla loro funzione esercitata sul mignolo:

Muscolo abduttore del mignolo Muscolo flessore breve del mignolo Muscolo opponente del mignolo

Tutti questi muscoli “minori”, benché esercitino forze modeste rispetto al gruppo dei muscoli estrinseci, sono molto importanti, poiché coordinano l’attività dei tendini di questi ultimi, rendendo più efficiente qualsiasi movimento[19].

Nelle dita, i tendini flessori per poter svolgere opportunamente la propria funzione sono assistiti da anelli legamentosi, che hanno il compito di mantenere il tendine coeso con l’osso ed in linea con le articolazioni durante la flessione. Questi anelli costituiscono le

pulegge. Nelle dita delle mani si trovano solitamente cinque pulegge anulari spesse,

disposte a fibre trasversali, e quattro pulegge cruciformi, disposte a fibre oblique ed incrociate, che passano “a ponte” davanti all’articolazione, e sono più sottili per potersi adattare ai movimenti di flessione delle falangi. Le pulegge sono numerate in ordine crescente, procedendo dalla base verso l’estremità delle dita. Per le anulari si hanno: A1,A2,A3,A4,A5. Per le cruciformi si hanno: C1 posta tra A1 e A2, C2 tra A2 e A3, C3 tra A3 e A4, C4 tra A4 e A5. Le pulegge A2 e A4, sul piano biomeccanico, sono le più

importanti in quanto sopportano i carichi maggiori e sono per questo le più soggette a lesioni[12].

Figura 22. Pulegge dita.

I SISTEMI ENERGETICI IN ARRAMPICATA

La molecola base alla base di ogni movimento è l’ATP (adenosintrifosfato), immagazzinata all’interno delle cellule muscolari, ma presente solamente in piccola parte e se le richieste metaboliche aumentano l’organismo ha a disposizione altre vie per produrre energia:

1. Metabolismo anaerobico

Il metabolismo anaerobico rappresenta la via metabolica più veloce e dal potenziale più elevato ma la sua resa è particolarmente ridotta. Questa produzione energetica può essere:

Alattacida, si sviluppa senza la formazione di lattato e garantisce energia per

i primi 8-10secondi di lavoro, si produce come conseguenza di lavoro massimale e di brevissima durata. In esso la creatintrifosfato (CP) rifosforila l’adenosindifosfato (ADP) in ATP in adenosintrifosfato in assenza di ossigeno e senza formazione di acido lattico. La CP permette alla contrazione

muscolare di continuare quando è esaurito il primo ATP, dato che il suo contenuto è di 4-6 volte superiore a quello dell’ATP già presente nel muscolo. Tenendo conto del ridotto contenuto di ATP e CP nel muscolo, attingendo a questo sistema di ATP e CP nel muscolo, attingendo a questo sistema, l’energia prodotta è molto potente ma disponibile per un breve periodo.

Lattacida, prevede la degradazione di glicogeno in glucosio. Questo tipo di

trasformazione di energia avviene nel sarcoplasma della fibre e rappresenta il processo elettivo di trasformazione di tutti quei carichi intensivi, nei quali il rifornimento di ossigeno risulta insufficiente. La massima espressione di produzione energetica avviene tra i 20-30 secondi dall’inizio dell’attività. Questo tipo di sistema ha come substrato energetico i carboidrati che tramite la loro completa degradazione, forniscono energia all’organismo. La prima fase del catabolismo glucidico prende il nome di glicolisi e porta alla sintesi di due nuove molecole di ATP. La via glicolitica può realizzarsi anche in condizione anaerobiche; in questa fase il glucosio porta alla sintesi di due molecole di ATP generando come prodotti due molecole di piruvato. La completa ossidazione del piruvato avviene solo in condizione aerobiche[20]. In assenza di ossigeno, il piruvato viene trasformato in acido lattico, che giunto ad una certa concentrazione limita significativamente la contrazione muscolare.

2. Metabolismo aerobico

Il terzo sistema energetico è quello aerobico, caratterizzato da un’ampia necessità di ossigeno per ridurre i nutrienti al fine di ricavarne ATP. Avviene la beta-ossidazione che permette di degradare gli acidi grassi,con completa ossidazione del piruvato. La reazione coinvolge altre duefasi essenziali del metabolismo energetico: il ciclo di krebs e lafosforilazione ossidativa. Complessivamente la totale ossidazione delglucosio porta alla sintesi di 36 molecole di ATP. L’ossidazione dei diversisubstrati avviene attraverso vie

metaboliche diverse, compartimentate indifferenti distretti cellulari: mentre la glicolisi avviene a livello citosolico, il ciclo di krebs avviene all’interno del mitocondrio. la completa ossidazione del glucosio in condizione aerobica permette di ottenere 38 ATP, contro le 2 della glicolisi.

Il metabolismo in condizioni aerobiche è molto più redditizio di quello Anaerobico[20].

Quindi, a seconda della durata e dell'intensità dello sforzo vengono attivati sistemi diversi di produzione dell'energia.

Nell'arrampicata si ha un coinvolgimento di tutti i sistemi di produzione dell'energia, con un impegno maggiore di uno rispetto all'altro a seconda delle caratteristiche specifiche della singola via che si sta affrontando. Più una via è corta, con movimenti intensi ed esplosivi, più la produzione dell'energia è affidata ai sistemi anaerobici. Nel bouldering si ha un utilizzo prevalente del sistema anaerobico alattacido; viceversa nell'alpinismo e nella pratica delle vie di più lunghezze la produzione dell'energia è affidata prevalentemente al sistema aerobico. L'arrampicata sportiva si trova in una posizione intermedia. Per ogni arrampicatore l'acido lattico rappresenta una sorta di “bestia nera” ed ogni salita necessita di una sapiente gestione dell'accumulo nell'organismo, ed in particolare nelle braccia, di questo metabolita. Il motivo per cui l'acido lattico è cosi onnipresente e condizionante nelle attività di arrampicata risiede nel fatto che durante una contrazione isometrica (da parte dei muscoli flessori dell'avambraccio) il flusso ematico al muscolo contratto viene bloccato già al 70% circa della forza massima, per cui la muscolatura flessoria della mano è costretta a lavorare principalmente in anaerobiosi. La riduzione della circolazione sanguigna favorisce una produzione dell'acido lattico ancora maggiore ed un suo repentino accumulo all'interno del muscolo, determinando conseguentemente affaticamento[12]. Il punto di equilibrio tra l'acido lattico prodotto e quello smaltito viene chiamato soglia anaerobica. In caso di prosecuzione del lavoro muscolare, nel processo di combustione per la produzione dell'energia (ATP) necessaria alla contrazione muscolare diventa indispensabile la presenza dell'ossigeno, con conseguente attivazione del meccanismo aerobico. Tuttavia, questo comporterà un

automatico abbassamento dell'intensità del lavoro possibile. Un possibile obiettivo dell'allenamento di un arrampicatore potrebbe essere quello di aumentare la soglia anaerobica. Infatti, maggiore è la soglia anaerobica e quindi più questa ha tempi di attivazione elevati (cioè si attiva dopo un tempo relativamente lontano dall'inizio di uno sforzo intenso), maggiori saranno le potenzialità dell'atleta di raggiungere un buon risultato, riducendo cosi al minimo gli effetti negativi causati dall'accumulo eccessivo dell'acido lattico.

Nel documento Arrampicata Sportiva (pagine 55-68)

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