• Non ci sono risultati.

Arrampicata Sportiva

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Arrampicata Sportiva"

Copied!
108
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Corrado Blandizzi

_____________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE DELE ATTIVITA’

MOTORIE PREVENTIVE E ADATTATE

Presidente: Prof. Fabio Galetta

Arrampicata Sportiva

RELATORE

Ferdinando Franzoni

CANDIDATO

Samuele Vale

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

(2)
(3)

1. DALL’ALPINISMO ALL’ARRAMPICATA SPORTIVA...4

1.1 STORIA DELL’ALPINISMO ... 4

1.2 VERSO LE DISCIPLINE MODERNE ... 8

1.3 COMPETIZIONI SPORTIVE ... 11

1.4 MATERIALI TECNICI ... 16

1.5 I GRADI DI DIFFICOLTA’ ... 26

2. LE COMPONENTI DELL’ARRAMPICATA ... 34

2.1 ARRAMPICARE: UNO SCHEMA MOTORIO DI BASE ... 34

2.2 TECNICA INDIVIDUALE ... 36

2.3 CAPACITA’ ORGANICHE DI BASE ... 55

2.4 ARRAMPICATA E ALLENAMENTO ... 68

3. TRAUMATOLOGIA E PATOLOGIE DA SFORZO IN ARRAMPICATA ... 92

3.1 TRAUMATOLOGIA MUSCOLARE ... 94

3.2 TENDINOPATIE E TRAUMATOLOGIA TENDINEA ... 95

3.3 ALTRE PATOLOGIE PROPRIE DELL’ARRAMPICATA ... 101

(4)

1. DALL’ALPINISMO ALL’ARRAMPICATA SPORTIVA

L'uomo ha probabilmente affrontato le sue prime arrampicate senza l'ausilio di aiuti particolari. In seguito sono stati ideati attrezzi e tecniche per superare i limiti e le difficoltà di tale attività. Tuttavia il percorso da queste prime forme rudimentali di arrampicata all’ arrampicata sportiva come la conosciamo oggi è stato lungo ed ha attraversato numerose fasi caratterizzate da modi del tutto differenti di vivere tale pratica.

1.1 STORIA DELL’ALPINISMO

L'ambiente alpino è stato popolato fin dalla preistoria e la presenza umana a quote ben superiori al fondovalle è testimoniata da ritrovamenti archeologici (Uomo del Mondeval presso Selva di Cadore, Uomo del Similaun nella zona di Merano)[1]. La motivazione che spinse i primi abitanti delle Alpi a salire oltre i boschi ed i pascoli era molto probabilmente legata alla caccia o a riti religiosi.

Tra le imprese della “preistoria alpinistica” va ricordata l'ascensione del Mont Aiguille (2085 m s.l.m.) nella regione francese del Vercors, il 26 giugno 1492, su ordine di Carlo VIII, da Antoine de Ville con una squadra di esperti costruttori di chiese. All'ascensione, capitanata da un esperto militare, parteciparono anche religiosi e maestranze locali che eressero in cima tre croci e una piccola cappella votiva.

Al di là di questi episodi sporadici fino alla fine del settecento le alte montagne alpine continuarono a rappresentare un territorio privo di risorse di interesse, pericoloso e

(5)

frequentato solo dai cacciatori e dai viaggiatori. Un ambiente in gran parte ignoto e per questo ritenuto popolato da creature malvagie e sovrannaturali.

Tradizionalmente la nascita dell'alpinismo viene posta l'8 agosto 1786, giorno della prima ascensione documentata del Monte Bianco (4810m). La spinta ad effettuare la salita venne da uno scienziato ginevrino (Horace-Bénédict de Saussure), ma venne realizzata da un medico (Michel Gabriel Paccard) e da un cacciatore e cercatore di cristalli (Jacques Balmat) di Chamonix[2].

In questa prima fase l'azione è promossa da appartenenti alle classi agiate non residenti in montagna ma è realizzata anche grazie alla partecipazione di abitanti del luogo, conoscitori dell'ambiente montano (le guide alpine). Inizialmente la motivazione a raggiungere la sommità delle principali vette era di poter effettuare misurazioni di pressione e temperatura oltre che di esplorare l'ambiente glaciale ancora sconosciuto. Per esempio prima della salita al Monte Bianco si pensava che una sola notte trascorsa su un ghiacciaio ad alta quota potesse essere fatale.

L'ascensione sulle vette alpine venne ben presto affiancata dal gusto della scoperta come estensione del turismo alpino praticato in particolare da inglesi e tedeschi. Nella prima metà dell'ottocento vengono salite per la prima volta tutte le cime principali della Alpi.

Questo periodo si conclude idealmente il 14 luglio 1865 con la prima scalata del Cervino (l’ultima inviolata cima delle Alpi). Se la salita del Monte Bianco era stata in qualche misura suscitata da un interesse scientifico e di scoperta, l'impresa dell'inglese Edward Whymper contiene gli ingredienti che caratterizzeranno l'alpinismo in futuro: la sfida fine a sé stessa con una montagna di grande attrazione estetica e la competizione tra diverse cordate e nazionalità.

(6)

Figura 1. Il Cervino.

Nello stesso periodo si costituiscono le prime associazioni alpinistiche: l'Alpine Club inglese nel 1857, l'Österreichischer Alpenverein austriaco nel 1862, il Club Alpino Italiano (C.A.I) nel 1863, il Deutscher Alpenverein nel 1869, la Società degli Alpinisti Tridentini (S.A.T.) nel 1872, il Club Alpino Francese e la Società Alpina Friulana (S.A.F.) nel 1874.

L'interesse degli alpinisti inizia a cambiare: non è più la conquista della cima ma il percorrere i versanti o le strutture della montagna ancora inesplorati; al posto di cercare la via più agevole si identifica un versante o una struttura esteticamente attraente e si affinano le capacità tecniche necessarie a superare gli ostacoli posti dalla montagna. Fu l’inglese Albert Mummery, il più grande alpinista britannico di tutti i tempi, che ruppe la tradizione, sfidando il mondo alpinistico e non, staccandosi dalle guide e con altri compagni iniziando a scalare montagne, non per vie conosciute, ma cercando il nuovo. Mummery fu un precursore dell’alpinismo moderno: fu tra i primi a proporre un alpinismo senza mezzi artificiali, che contasse solo su quelli che egli stesso definiva “mezzi leali” (fair means)[3].

(7)

Nei primi anni del Novecento le capacità tecniche di arrampicata su roccia trovano espressione ideale nelle aguzze e slanciate cime dolomitiche e dei massicci calcarei

austriaci dove sono particolarmente attivi alpinisti di lingua tedesca che portano il livello delle difficoltà massime intorno al V e V grado superiore.

Dopo il primo conflitto mondiale vi fu un rilevante aumento dell'attività da parte di alpinisti austriaci e tedeschi che cercavano una sorta di rivincita ed un'affermazione nazionalistica. L'avvento dei regimi totalitari favorì l'interpretazione dell'alpinismo come dimostrazione della superiorità razziale e di forza ed impeto virile. A poco, a poco l’interesse di alcuni arrampicatori si andava rivolgendo verso quelle pareti dall’aspetto veramente “impossibile”, insuperabili in arrampicata libera. Nelle Dolomiti vengono salite le pareti più imponenti raggiungendo il massimo grado di difficoltà del tempo: il VI grado.

La Seconda Guerra Mondiale portò una sosta forzata. Dal punto di vista alpinistico, i grandi che avevano agito prima del conflitto, in maggioranza erano usciti di scena per differenti motivi: chi era caduto in guerra, chi era morto in montagna, chi ormai aveva abbandonato l’alpinismo. Vi fu una fase di stasi. Per molti si apriva la realtà della fabbrica, dell’alienante società dell’industria. L’amarezza dell’illusione portò inevitabilmente questi ragazzi all’alpinismo e alla montagna. Ne uscì soprattutto un alpinismo assai aggressivo, che puntava decisamente al risultato. L’alpinismo era più che mai il mezzo per affermarsi davanti a se stessi e agli altri, per darsi un valore, per sfuggire anche dalla città.

Fino alla metà degli anni sessanta l'alpinismo fu ancora caratterizzato dalla progressione del grado di difficoltà. Ma soprattutto emergono tre aspetti: le salite invernali, le solitarie e la nascita e lo sviluppo dell'alpinismo d'alta e altissima quota con la progressiva conquista dei 14 ottomila della Terra, che hanno riscritto in parte la storia dell'alpinismo e dato avvio alla fase dell'alpinismo moderno.

(8)

1.2 VERSO LE DISCIPLINE MODERNE

Durante gli anni settanta, mediante metodi specifici di allenamento fisico e psichico e innovazioni tecniche spesso importate dagli Stati Uniti, si rese possibile vincere difficoltà che allora sembravano insormontabili (VII grado): è il periodo in cui si cominciano ad utilizzare le scarpette a suola liscia.

A partire dagli anni ’80 le cose cambiarono profondamente e in poco tempo. Sulle pareti vicine alla città i giovani discepoli dell’arrampicata libera bruciarono in pochi mesi le tappe che avevano richiesto decenni di sacrifici ai loro padri. Nel nome della sicurezza e dell’estetica di un’arrampicata libera possibile solo con protezioni in posto e sicure, esce prepotentemente alla ribalta il chiodo ad espansione, lo spit. Tale sistema di attrezzatura si diffonde dapprima nelle falesie e provoca la nascita del più imponente fenomeno mai verificatosi nel contesto del mondo alpinistico: l’arrampicata sportiva.

La differenza fondamentale tra l'alpinismo propriamente detto e la disciplina dell'arrampicata sportiva è che, mentre nell'alpinismo lo scopo dell'ascensione è in genere il raggiungimento della vetta di una montagna, nell'arrampicata cosiddetta "sportiva" l'obiettivo prevalente è il superamento di una difficoltà su una parete (naturale o artificiale) o di una parte di essa, attraverso la cura del gesto atletico.

Un'ulteriore differenza tra alpinismo e arrampicata sportiva è che, mentre le difficoltà incontrate nell'alpinismo possono essere di varia natura, legate anche alle condizioni ambientali e meteorologiche (es. altitudine, presenza di ghiaccio e neve, esposizione alle variazioni meteorologiche, lontananza da luoghi abitati, durata dello sforzo psicofisico, dislivelli da superare, rarefazione dell'aria, ecc..), nell'arrampicata sportiva le difficoltà sono prevalentemente di tipo tecnico (es. una parete fortemente strapiombante, la scarsità di appigli e appoggi).

Anche le caratteristiche dello sforzo fisico tendono a essere sostanzialmente differenti: mentre nell'alpinismo, in genere, prevale la resistenza fisico-aerobica dettata da uno sforzo prolungato che può coinvolgere anche tutto il corpo, nell'arrampicata si ha invece

(9)

una prevalente necessità di forza muscolare (sia massimale sia resistente) degli arti superiori.

In sostanza: se per una corretta pratica dell'alpinismo, oltre a un'adeguata preparazione fisica e tecnica è anche necessaria una buona conoscenza dell'ambiente di montagna, nell'arrampicata sportiva - dove i rischi oggettivi legati alla frequentazione dell'ambiente montano sono minori, o addirittura inesistenti (es. arrampicata indoor) - si può invece prestare maggiore attenzione alla tecnica del gesto scalatorio, concentrando su di esso tutto l'allenamento fisico e mentale.

Pur trattandosi di due specialità che, nella loro storia, si sono progressivamente allontanate l'una dell'altra (per tradizione, consuetudini e attività pratiche, oltre che per la loro stessa natura concettuale), si può tuttavia notare che la notevole evoluzione tecnica (attraverso il superamento di gradi di difficoltà via via maggiori) apportata dall'arrampicata sportiva sul terreno della falesia ha di fatto innalzato le capacità medie sportivo-arrampicatorie delle nuove generazioni e, nel tempo, ha quindi contribuito ad innalzare anche il livello delle capacità tecniche delle salite in ambiente alpino.

Il pieno sviluppo dell’arrampicata sportiva si ha dunque a partire dagli anni ottanta, durante i quali una nuova generazione di arrampicatori si sfida alzando continuamente l’asticella delle difficoltà. Parallelamente nasce e si sviluppa anche un altro aspetto dell’arrampicata: il Bouldering, che inizialmente in Italia venne denominato “sassismo”[4]. Il termine “Boulder” deriva dal nome della cittadina del Colorado dove si sviluppò questa attività. Consiste nell'arrampicare su dei massi (fino ad un massimo di circa 7-8 metri) per risolvere particolari sequenze di movimenti estremamente difficoltosi. La differenza con l'arrampicata classica consiste nel fatto che, mancando una assicurazione, si utilizzano materassi (chiamati crash pad) per attutire le cadute. I crash pad possono essere costruiti con materiali diversi e possono avere diverse misure. I più comuni sono in gommapiuma rigida e hanno uno spessore che va dagli 8 ai 10 centimetri e, quando aperti, coprono uno spazio di caduta di circa 1 metro per 1 metro e mezzo. Sono spesso muniti di cinghie a tracolla in modo da poter essere trasportati a mo' di zaino.

(10)

Esso viene posizionato al di sotto del blocco che deve venire affrontato dall'atleta, per attutire parzialmente un'eventuale caduta dello stesso. Molto spesso vengono utilizzati più crash pad contemporaneamente, soprattutto quando il terreno al di sotto del masso da boulder risulti particolarmente accidentato e quindi pericoloso in caso di caduta. L'utilizzo di questo strumento, per quanto in molti casi efficace, non è assolutamente sufficiente a garantire la totale sicurezza dei boulderisti. Infatti è fondamentale, accanto all'uso del crash pad, il ruolo dello o degli spotter, persone appositamente posizionate sotto il blocco pronte a parare l'eventuale caduta evitando che l'arrampicatore finisca per impattare il terreno fuori dai materassi.

Il Bouldering rappresenta quindi la massima ricerca della difficoltà e del gesto tecnico in arrampicata.

Figura 2. Bouldering.

Sono diversi dunque i fattori che hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo dell’arrampicata sportiva come la conosciamo oggi. Sicuramente primo fra tutti l’innovazione dei materiali tecnici.

(11)

In primis l’utilizzo dei chiodi ad espansione (spit) ha reso possibile iniziare ad attrezzare le falesie, luoghi molto più sicuri, confortevoli e talvolta vicini ai centri abitati, rispetto alle grosse pareti montane. Ciò ha fatto si che un numero sempre maggiore di persone entrasse in contatto con tale disciplina.

Un altro elemento importantissimo è stato la nascita delle scarpette di arrampicata a suola liscia, che ha reso possibile innalzare enormemente il livello di difficoltà, insieme all’innovazione di tutti gli altri materiali: imbraghi, corde, moschettoni, sistemi di assicurazione ecc.

Come in ogni altro sport, anche nell’arrampicata sono nati i primi strumenti e sistemi di allenamento specifici, le prime palestre indoor, le varie federazioni con le proprio normative e le competizioni in cui gli atleti potevano misurare le proprie capacità. Tuttavia c’è da dire che tutti questi cambiamenti si sono verificati soltanto negli ultimi 30/40 anni, e pertanto l’arrampicata sportiva è uno sport molto giovane, ancora in fase di sviluppo, non molto conosciuto dalla maggior parte delle persone e spesso identificato come pericoloso e privo di senso sulla base di pregiudizi infondati.

1.3 COMPETIZIONI SPORTIVE

Il 5 luglio 1985 i più abili scalatori dell’epoca si diedero appuntamento in Valle Stretta, a Bardonecchia, per decidere definitivamente chi fosse il più forte in parete, in un confronto che annullasse il rischio per esaltare la difficoltà. Si disputò cosi la prima gara di arrampicata sportiva della storia, nell’ambito di una manifestazione denominata “Sport Roccia 85”[5]. La gara si disputava sulla Parete dei Militi in Valle Stretta. Il fatto che le gare si svolgessero sulla roccia e non su pareti artificiali poneva gli organizzatori di fronte a diverse problematiche:

(12)

 sulla roccia venivano incollate delle bande colorate per delimitare le vie di gara e quindi gli appigli validi;

 le vie non partivano sempre dal terreno ma anche da terrazzini sopraelevati raggiungibili con scale, per sfruttare una zona di roccia più adatta;

 per rinnovare le vie tra una edizione e l'altra si ricorreva a scalpello e cemento.

Proprio per via di questi problemi le gare di arrampicata si spostarono progressivamente su pareti artificiali.

Autori della vincente intuizione di Bardonecchia furono l’architetto Andrea Mellano e il giornalista Emanuele Cassarà.

Il primo, sulla scia del successo iniziale, nel 1987 divenne presidente della nascente Federazione Arrampicata Sportiva Italiana. Dopo pochi anni FASI otteneva il riconoscimento del CONI. Al momento della sua formazione la Federazione poteva contare poche centinaia d’iscritti[6].

Sempre nel 1987 ad Arco prese vita la manifestazione che in breve sarebbe diventata cult, il Rock Master, che da allora fino ad oggi rappresenta ogni anno un appuntamento fisso, per esaltare la spettacolarità dell'arrampicata mettendo fra loro in gara i più forti atleti del mondo. La gare furono trasmesse in 7 paesi e furono seguite dal vivo da 10.000 persone. Non male per uno sport che aveva appena qualche anno di vita! Era una rivoluzione per l'epoca. Tanto più se si pensa che, dal 1988, il terreno di gioco fu una parete artificiale. Con quella intuizione, o meglio, con quella provocazione futurista si affermò definitivamente l'autonomia delle competizioni dal mondo della roccia, conferendo loro dignità di attività agonistica.

Contrariamente a quello che si crede quindi l’Arrampicata Sportiva è un prodotto made in Italy.

(13)

Nel 2007, dopo 22 anni dalla prima gara di Bardonecchia, nasce la Federazione Internazionale (IFSC), anche in questo caso sotto l’egida italiana, infatti a presiedere l’istituzione che al momento della sua comparsa raccoglieva circa 50 membri, viene chiamato il piemontese Marco Scolaris. Lo stesso anno l’IFSC è riconosciuta in via provvisoria dal CIO. A Vancouver, in occasione delle Olimpiadi invernali, c’è stato il riconoscimento definitivo che ha aperto le porte all'inserimento di questa disciplina nella lista degli sport in predicato di entrare nel programma olimpico delle Olimpiadi 2020. Attualmente fanno parte dell’IFSC 74 federazioni nazionali, in rappresentanza dei 5 continenti.

L’Arrampicata è in crescita, nel mondo ed in Italia. La F.A.S.I. negli ultimi anni ha conosciuto un boom di tesseramento. Nel 2010 ha raggiunto i 15.000 tesserati e circa 200 società sportive.

Da alcuni anni, in base ad un protocollo d’intesa CONI e Ministero della pubblica Istruzione, l’arrampicata entra a far parte del programma di “alfabetizzazione motoria“ delle scuole primarie. Si riconosce definitivamente il valore educativo di quello che è sempre stato il primo gioco per ogni bambino: arrampicare[6].

LE CARATTERISTICHE TECNICHE DEGLI ITINERARI OMOLOGATI

 Gli itinerari di gara devono essere alti almeno 10 metri e sviluppare almeno 12 metri.

 La parete di gara deve essere larga almeno 6 metri e poter ospitare almeno due itinerari da percorrersi contemporaneamente.

(14)

 Ciascun itinerario deve avere una larghezza minima di 3 metri.

 La parete di gara deve limitare al minimo i tratti verticali.

 La distanza tra gli ancoraggi deve essere tale da garantire la completa sicurezza dell'atleta in qualsiasi punto dell'itinerario secondo le metodologie di

assicurazione dinamica in uso nella disciplina sportiva.

 La parete artificiale di arrampicata deve essere corredata dai seguenti documenti firmati da un tecnico abilitato ed iscritto ad un albo professionale: a) Certificato di collaudo statico; b) Certificato di corretto montaggio; c) descrizione particolareggiata dei materiali che la compongono.

 La parete artificiale deve essere assicurata contro danni arrecati accidentalmente a chiunque e deve essere in regola con le vigenti norme antinfortunistiche.

 Le parti sporgenti della struttura artificiale devono essere protette adeguatamente per evitare contatti fortuiti o accidentali con gli utenti.

 Gli Ufficiali di Gara (Giudici e Tracciatori) devono essere in regola con le normative Federali.

(15)

LE CATEGORIE

L'attività sportiva è suddivisa nelle seguenti categorie Preagonistica - Under 8 promo - Under 10 - Under 12 Agonistica - Under 14 - Under 16 - Under 18 - Under 20 - Senior

LE SPECIALITA’ DELL’ARRAMPICATA SPORTIVA

La dimensione agonistica dell’Arrampicata Sportiva si concentra in tre diverse discipline: Difficoltà (Lead), Velocità (Speed) e Boulder.

- Lead: è la classica salita con la corda dal basso su pareti lunghe tra 15 e 25 metri; l'obiettivo è raggiungere il punto più alto possibile del tracciato. Nelle gare, la classifica viene determinata dall'ultima “presa” raggiunta.

- Speed: è la specialità dove conta il tempo di salita su una parete di 10 o 15 metri, seguendo un tracciato convalidato dalla Federazione Internazionale e dunque identico in tutte le gare del mondo.

- Boulder: è la specialità più 'esplosiva' dell'arrampicata. Prevede la salita su strutture alte massimo 4 metri, senza corda, ma con l'ausilio di materassi di protezione (crash

(16)

pad). L’obiettivo dei 'boulderisti' è raggiungere il top, ovvero l'ultima presa del 'problema' nel minor numero di tentativi.

1.4 MATERIALI TECNICI

Nel corso degli anni i materiali hanno visto uno sviluppo vertiginoso che li ha resi sempre più leggeri, sicuri e comodi da usare. Inoltre, per quanto riguarda l’arrampicata sportiva, rispetto all’alpinismo, l’attrezzatura è molto ridotta, perché l’attività viene svolta in luoghi specifici già attrezzati da esperti del settore, le falesie. Pertanto in parete sono già presenti degli ancoraggi fissi che vengono sfruttati dall’arrampicatore per salire in tutta sicurezza.

Gli ancoraggi, ovvero i chiodi, nel complesso possono essere suddivisi in 2 categorie:

1. Chiodi da fessura, che vengono piantati con il martello in fessure naturali presenti nella roccia. Iniziano ad essere utilizzati in ambito alpinistico fin dai primi anni del Novecento. Ve ne sono di diverse forme e dimensioni e inoltre possono essere distinti in base al tipo di metallo con cui sono realizzati in: chiodi in metallo tenero,che si adattano meglio alle irregolarità della fessura in cui sono piantati (usati prevalentemente sul calcare); chiodi in metallo duro, praticamente indeformabili, garantiscono la tenuta mediante l’incastro nella fenditura in cui vengono infissi (usati prevalentemente sul granito).

(17)

Figura 3. chiodi da fessura.

2. Chiodi a perforazione, che per essere infissi necessitano prima di un lavoro di

foratura della roccia stessa mediante un trapano a percussione. Possono essere distinti in: spit, composti da un’asta che viene infissa nel foro e mantenuta per effetto di pressione e dilatazione, e da una piastrina che viene imbullonata all’asta e che presenta un occhiello nel quale si inserisce il moschettone; resinati, chiodi che vengono inseriti nel foro e mantenuti in sede mediante l’applicazione di particolari resine epossidiche (offrono maggiori prestazioni sia in termini di sicurezza sia di durata rispetto ai tasselli non resinati).

(18)

Le falesie oggi vengono intermente attrezzate con chiodi a perforazione (prevalentemente fix e resinati). Chiaramente hanno bisogno di una continua opera di manutenzione per salvaguardare l’integrità degli ancoraggi, che dovrebbero essere sostituiti dopo diversi anni a causa dell’usura data dal loro utilizzo e dagli eventi atmosferici. Inoltre alcune falesie sono maggiormente esposte al deterioramento dei materiali, come quelle che si trovano vicino al mare e che risentono del salmastro che tende a far arrugginire gli ancoraggi. Chi pratica arrampicata sportiva quindi non deve preoccuparsi di portarsi dietro tutti i vari ancoraggi poiché essi sono sempre presenti nelle falesie già attrezzate. L’equipaggiamento dell’arrampicatore sportivo invece comprende:

-scarpette

Le scarpe leggere a gomma liscia sono diventate di uso comune in Italia a partire dalla fine degli anni ’70. Tuttavia già nei primi anni del ‘900 i rocciatori utilizzavano per le ascensioni pedule leggere con suola di panno compresso. Dopo l’introduzione delle suole “vibram” negli anni ’30 , si utilizzavano scarponi più pesanti, in grado di essere usati sia per l’avvicinamento che per la salita vera e propria. Per decine di anni l’uso di questi scarponi è stato assoluto, ma poi la reintroduzione delle scarpette a suola liscia ha permesso un deciso aumento dei livelli tecnici e di difficoltà dell’arrampicata, grazie alle loro maggiori caratteristiche di aderenza e alla possibilità di sfruttare piccoli appoggi, sia di lato che di punta.

Le scarpette d'arrampicata possono essere realizzate con chiusura elasticizzata, in velcro oppure con i lacci.

Le suole possono essere più o meno flessibili in funzione del tipo di utlizzo; più aumentano le difficoltà più la suola dovrà essere necessariamente morbida e flessibile per garantire aderenza e sensibilità anche sugli appoggi più piccoli.

Anche la forma spesso cambia in funzione del livello tecnico dell'arrampicatore e del tipo di utilizzo. Quelle con forma particolarmente asimmetrica e suola più arcuata, garantiscono ottima presa e massima precisione su pareti impegnative, anche

(19)

strapiombanti, quelle con forma più convenzionale e suola più piatta sono adatte a scalate su vie più semplici con appigli più grandi.

Figura 5. Scarpette da arrampicata; a sinistra un modello per principianti, a destra uno più tecnico.

-corda

Le corda per arrampicare sono chiamate “corde dinamiche”, poiché presentano un certo grado di elasticità, che gli permette di allungarsi quando sono sottoposte ad un carico. Questo perché l’arresto di un’eventuale caduta dell’arrampicatore deve avvenire con gradualità, dissipando per quanto possibile l’energia trasmessa dal volo.

Le corde, realizzate in fibra poliammidica (nylon, perlon ecc.) sono strutturalmente composte da 2 parti principali:

 L’anima, la parte interna, che rappresenta circa il 70% della corda. Essa è formata da un insieme di trefoli, a loro volta formati da una terna di stoppini, ottenuti da 6 fascetti più sottili costituiti da un insieme di monofilamenti fortemente torsionali tra loro. I numero totale di monofilamenti è di circa 40.000.

(20)

 La calza, a struttura tubulare, è il rivestimento esterno e rappresenta circa il 30% della corda. E’ composta da circa 20.000 monofilamenti intrecciati tra loro e disposti a circa 45° rispetto all’asse longitudinale della corda. La calza ha la duplice funzione di protezione dell’anima e di bilanciamento delle caratteristiche dinamiche della corda.

Le corde oggi in commercio hanno diametri variabili da 8 a 11 mm e sono lunghe da 50 a 100 metri. Le principali caratteristiche che una corda deve possedere (anche per poter soddisfare le norme vigenti e gli standard di sicurezza) sono:

resistenza alla rottura per un certo numero di cadute al limite delle

caratteristiche per cui la corda stessa è certificata;

deformabilità dinamica in grado di ridurre la forza d'arresto massima, che in caso

di caduta si ripercuote sul corpo del caduto e sugli ancoraggi;

notevole maneggevolezza anche nelle peggiori condizioni ambientali (ghiaccio, neve, acqua..);

elevata scorrevolezza nei moschettoni;

buona annodabilità.

Lo stato di efficienza di una corda dipende dal tipo di uso che ne viene fatto. Le prestazioni dinamiche, cioè il numero massimo di cadute sopportabili, si riducono a causa dei seguenti fattori: usura durante le ascensioni, luce solare, acqua, polvere che la corda raccoglie. La corda dovrebbe essere sostituita quando si notano lesioni evidenti alla calza, o comunque dopo circa 10.000 metri di arrampicata[7].

(21)

Figura 6. Corda arrampicata.

-imbrago

L'imbrago è un indumento costituito da larghe cinture di stoffa collegate tra loro, che permettono l'assicurazione alla corda e lo svolgimento di tutte le manovre di sicurezza. In caso di caduta l’imbrago ha il compito principale di ripartire la sollecitazione data dal volo soprattutto sul bacino e sulla parte superiore delle cosce. Tale strappo, secondo le attuali normative, deve essere trasmesso al corpo dell'arrampicatore tramite un punto di applicazione posto superiormente al suo baricentro; le norme prevedono altresì che non debba essere possibile, in nessun caso, lo sfilamento del corpo di chi cade.

(22)

-moschettoni

L’aggancio della coda all’ancoraggio fisso in parete è possibile tramite il moschettone. Questo attrezzo, inventato nel 1912 da Otto Herzog, oggi è costituito in lega leggera, ha la forma di un anello schiacciato che varia alquanto secondo l’impiego specifico dell’attrezzo. E’ apribile da un lato per mezzo di una leva azionabile manualmente, la quale ritorna in sede per effetto di una molla. Secondo le norme, sul corpo del moschettone devono essere riportati in modo indelebile: il tipo di moschettone, i valori della resistenza (in kN) lungo le diverse direzioni in cui può essere sollecitato, il nome o il marchio del costruttore. Anche se differenti da tipo a tipo, il carico minimo lungo l’asse maggiore a leva chiusa è stabilito di almeno 20 kN, quello a leva aperta di 7kN, quello lungo l‘asse minore è di 7kN.

Nell’arrampicata sportiva vengono usati 2 tipi di moschettoni:

1. Un moschettone a ghiera che viene utilizzato dall’assicuratore che sta alla base della parete per agganciare il freno automatico (lo strumento che serve per bloccare la corda dell’arrampicatore in caso di volo e per calare alla base il compagno una volta arrivato in cima).

(23)

2. Diversi moschettoni di tipo B (base) a leva dritta uniti per mezzo di una fettuccia (carico di rottura minimo di 22kN secondo normativa) ad altrettanti moschettoni di tipo B a leva curva. Tale strumento nel complesso prende il nome di rinvio e viene venduto già assemblato. I rinvii vengono utilizzati dall’arrampicatore che mano a mano che sale li aggancia agli ancoraggi fissi (dalla parte del moschettone B a leva dritta) e vi passa dentro la corda (dal lato del moschettone B a leva curva, per agevolare l’entrata della corda). Il numero di rinvii necessari è in funzione degli ancoraggi presenti lungo la via e quindi prima di affrontare una via bisogna accertarsi di avere un numero sufficiente di rinvii per poter arrivare fino in cima. In questo modo l’arrampicatore sfrutta i diversi ancoraggi fissi per proteggersi mentre sale fino a raggiungere la sommità della via dove è presente un punto di sosta (formato solitamente da 2 spit piantati nella roccia collegati tra loro da una catena che presenta un moschettone) in cui l’arrampicatore si ferma, e viene poi calato alla base dal compagno. Un eventuale volo da parte dell’arrampicatore può verificarsi quando esso si trova in una posizione intermedia tra 2 rinvii.

(24)

-freno automatico

Questi dispositivi sono stati ideati e messi in commercio con la diffusione dell’arrampicata sportiva, e vengono utilizzati per assicurare l’arrampicatore da parte del compagno che sta alla base. La caratteristica principale di questi dispositivi è quella di essere i più possibile “automatici”, cioè funzionanti con “poca” attenzione da parte di chi esegue l’assicurazione (cosa che non accade nel caso dell’utilizzo di altri dispositivi non automatici che vengono utilizzati in ambito alpinistico). Questi dispositivi bloccano staticamente la corda, e quindi la forza di arresto che viene trasmessa agli ancoraggi è piuttosto elevata (ragion per cui non vengono utilizzati in ambito alpinistico, dove sono spesso presenti chiodi da fessura e altre protezioni che non garantiscono la medesima tenuta dei chiodi a perforazione che si trovano in falesia).

In commercio ne esistono diversi tipi, ma che svolgono comunque la stessa funzione. Quelli più famosi sono il GriGri e il Click Up.

(25)

-casco

Il casco è costituito da una calotta di materiale sintetico talvolta rafforzato mediante fibra di vetro o carbonio, che deve resistere a urti e colpi di una certa entità. Deve essere aerato e avere una struttura portante interna che permetta di regolare la distanza testa-involucro. La funzione principale è quella di proteggere la testa e la colonna vertebrale dell’arrampicatore da sollecitazioni violente che possono derivare da caduta di pietre dall’alto o da urti contro la parete durante la caduta.

Figura 11. Casco da arrampicata.

-sacchetto porta magnesite

Pur non essendo uno strumento indispensabile come quelli citati sopra, anche il sacchetto porta magnesite riveste un ruolo molto importante nell’arrampicata sportiva. Viene agganciato posteriormente all’imbrago con un piccolo moschettoncino o direttamente legato in vita con un cordino. La magnesite è molto utile per asciugare il sudore alle mani, poichè nei casi più estremi l'aderenza dei polpastrelli è decisiva tanto quanto quella delle scarpette[8].

(26)

Figura 12. Sacchetto portamagnesite.

1.5 I GRADI DI DIFFICOLTA’

Fin da quando gli alpinisti hanno iniziato a salire le prime montagne in un’ottica di sfida fine a sé stessa, svincolata da qualsiasi scopo scientifico, la continua ricerca del superamento di difficoltà sempre maggiori è stata, ed è tuttora, il filo conduttore che ha guidato l’evoluzione di questa pratica, ed ha permesso la nascita delle varie discipline moderne. Inoltre definire la difficoltà di una salita è uno strumento utile per avere un riferimento del proprio livello di prestazione e per trasmettere informazioni corrette agli altri:

“Le difficoltà si devono definire sia per agevolare la scelta di un’ascensione sia per evitare che l’alpinista o l’arrampicatore si trovi di fronte a passaggi tecnici o a situazioni ambientali superiori alle sue capacità” (Gino Buscaini).

Non è sempre facile stabilire quanto è difficile un passaggio appena superato; nella maggior parte dei casi lo scalatore confronta la situazione attuale con altre già vissute, ma ovviamente il giudizio è fortemente soggettivo.

Cosi sono state create varie scale per valutare la difficoltà dei vari tipi di arrampicata. La classificazione delle difficoltà alpinistiche è stata codificata per la prima volta dall' alpinista tedesco Willy Welzenbach nel 1925[9].

(27)

La scala di Welzenbach definiva sei gradi di difficoltà crescente dal I (elementare) al VI (limite delle possibilità umane). La classificazione, di solito riconoscibile per l'uso dei numeri romani, aveva però il problema di essere una scala "chiusa": così, con il progredire delle tecniche di arrampicata, quello che pareva essere il "limite umano" negli anni Trenta e Quaranta, e quindi classificato VI grado, venne abbondantemente superato da scalate di difficoltà nettamente ed evidentemente superiori negli anni Sessanta e poi Settanta. I gradi Welzenbach, limitati al VI grado, risultavano dunque sempre meno omogenei e non comparabili nel tempo.

Dopo grandi discussioni, essa venne dunque aperta verso l'alto dall'UIAA (Union Internationale des Associations d'Alpinisme) e, attualmente, il livello superiore della classificazione è il XII grado.

Grado Descrizione

I

E' la forma più semplice dell'arrampicata: si devono usare frequentemente le mani per mantenere l'equilibrio e richiede una valutazione preventiva della qualità della roccia prima di apporgiarvi il piede

II

Inizia l'arrampicata vera e propria: è necessario spostare un arto per volta con una corretta impostazione dei movimenti. Appigli (per le mani) ed appoggi (per i piedi) sono abbondanti.

III La struttura rocciosa è più verticale, appigli e appoggi sono più radi ma con

una certa possibilità di scelta nei passaggi e nei movimenti.

IV

Appoggi ed appigli cominciano ad essere esigui: è richiesta una certa tecnica nel superare passaggi con strutture rocciose particolari (camini, fessure, spigoli...).

(28)

V

L'arrampicata diventa delicata e tecnica (placche ecc.) e richiede anche forza fisica (opposizione di forze con i diversi arti). Il passaggio deve essere esaminato preventivamente.

VI

Richiede una buona preparazione fisica completata da un minimo di tecnica ed esperienza: l'arrampicata può essere molto delicata con combinazione di movimenti ben studiati, o di forza per la presenza di strapiombi.

VII

Appoggi e appigli sono molto distanziati: doti di equilibrio e tecniche di aderenza sono fondamentali unite ad una preparazione specifica che sviluppi molta forza anche nelle dita.

VIII - XII

A partire da questo grado ci si misura senza dubbio con vie estremamente difficili, composte da appigli esigui. Il XII Grado è riservato a poche persone, appigli e appoggi obbligati di una difficoltà estrema. Chi le chiude è sicuramente tra i migliori al mondo!

Tabella 1. Scala UIAA.

La scala numerica (ossia la classificazione della difficoltà da superare) descrive e riassume l'impegno massimo richiesto nei passaggi o nei tratti dell'itinerario di roccia che viene rappresentato. In altre parole, il grado di difficoltà viene strettamente correlato alle capacità tecniche e motorie richieste all'alpinista/arrampicatore per compiere quell'itinerario.

Tale tipo di classificazione, tuttavia, può risultare insufficiente a descrivere percorsi di carattere molto vario o di particolare complessità. Ne sono un esempio le vie di roccia in alta quota o quella di stampo prettamente alpinistico nelle quali si alternano tratti di arrampicata su roccia a tratti di arrampicata su neve o ghiaccio.

Per portare a termine un tale genere di salite, infatti, può non essere sufficiente godere della necessaria tecnica arrampicatoria e "padroneggiare" il grado massimo previsto dalle asperità della roccia. Questo perché, in un percorso di stampo alpinistico, possono incidere sulla difficoltà della salita sia i pericoli oggettivi sia altri fattori legati a lunghezza

(29)

della via, tipo di chiodatura, possibilità di ritirata, isolamento, difficoltà di avvicinamento e di discesa, pericoli oggettivi, reperibilità della via e altri fattori.

Per fornire un riassunto della difficoltà complessiva di tali salite, ossia per dare una valutazione d'insieme in cui il "grado tecnico" sia solo una delle tante componenti, è stata adottata dall'UIAA un’ulteriore scala di valutazione delle “difficoltà alpinistiche di insieme”:

Grado Significato (FR-IT) Descrizione

F (facile - facile)

Nessuna difficoltà particolare, ma l'utilizzo di materiale d'alpinismo (casco, corda, ramponi, piccozza) può essere necessario.

PD (peu difficile - poco

difficile)

Alcune difficoltà alpinistiche su roccia e/o neve; pendii di neve e ghiaccio fino a 35°-40°, passaggi di arrampicata elementare.

AD (assez difficile - abbastanza

difficile)

Difficoltà alpinistiche sia su roccia che su ghiaccio; pendii di neve e ghiaccio tra 40 e 50°, passi di arrampicata di III grado.

D (difficile - difficile)

Difficoltà alpinistiche più sostenute sia su roccia che su ghiaccio; pendii di neve e ghiaccio tra 50° e 70°, arrampicata di grado 4c-5a-5b.

TD (trés difficile - molto

difficile)

Difficoltà alpinistiche molto sostenute sia su roccia che su ghiaccio; pareti di ghiaccio tra 70° e 80°, arrampicata di grado 5c-6a.

(30)

ED (extremement difficile -

estremamente difficile)

Difficoltà alpinistiche estreme sia su roccia che su ghiaccio; pareti di ghiaccio fino a 90°, arrampicata di grado 6b-6c-7a.

ABO (EX) (abominable - abominevole) (exceptionnellement difficile - eccezionalmente difficile)

Difficoltà alpinistiche eccezionali sia su roccia che su ghiaccio; pareti di ghiaccio e roccia strapiombanti, arrampicata di grado 7b e superiore. Protezioni particolarmente precarie.

Tabella 2. Scala delle difficoltà alpinistiche d'insieme.

Infine le caratteristiche che definiscono la difficoltà di una via possono essere implementate considerando anche il tipo di protezione adottata, la distanza fra le protezioni e il grado di proteggibilità ovvero dalla possibilità di integrare le protezioni esistenti e l'affidabilità delle stesse.

Viene quindi introdotta una scala di “proteggibilità” che tiene conto della distanza ed affidabilità degli ancoraggi[10].

R1

Facilmente proteggibile con protezioni sempre solide, sicure e numerose. Limitati tratti obbligatori. Lunghezza potenziale caduta qualche metro e volo senza conseguenze.

R2

Mediamente proteggibile con protezioni sempre solide e sicure ma più rade. Tratti obbligatori tra le protezioni. Lunghezza potenziale caduta qualche metro al massimo e volo senza conseguenze.

(31)

R3

Difficilmente proteggibile con protezioni non sempre buone e distanti. Lunghi tratti obbligatori. Lunghezza potenziale caduta fino a 7-8 metri al massimo, e volo con possibile infortunio.

R4

Difficilmente proteggibile con protezioni scarse o inaffidabili e/o distanti che terrebbero solo una piccola caduta. Lunghi tratti obbligatori. Lunghezza potenziale caduta fino a 15 metri con possibilità di fuoriuscita di ancoraggi e volo con probabile infortunio.

R5

Difficilmente proteggibile con protezioni scarse, inaffidabili e distanti che terrebbero solo una piccola caduta. Lunghi tratti obbligatori. Possibilità di lunghe cadute e di fuoriuscita di ancoraggi che può determinare un volo fino a terra con infortunio sicuro.

R6 Improteggibile se non per brevi e insignificanti tratti lontani dai passaggi

chiave del tiro. Una eventuale caduta può avere conseguenze anche letali.

Tabella 3. Scala della proteggibilità.

La scala di Welzenbach, oggi conosciuta come scala UIAA, è nata per classificare unicamente le scalate su roccia in montagna. Non risulta dunque adatta a descrivere itinerari di arrampicata in falesia. Questo perché per le vie classiche la logica era (ed è) quella della “ricerca del facile nel difficile” (Bruno Detassis) e quindi nelle varie lunghezze di corda è presente discontinuità di passaggi, mentre per le vie sportive la ricerca della via di salita è data dalla continuità delle difficoltà. Perciò nel caso delle salite sportive dovrà essere usato un sistema di valutazione adatto.

La scala di difficoltà sicuramente più conosciuta in Italia, rispetto all'arrampicata in falesia, è la cosiddetta "scala francese", in genere riconoscibile per l'utilizzo di numeri

(32)

arabi dal 3 al 9, seguiti dalle lettere minuscole "a", "b" e "c". Viene inoltre usato il simbolo "+" per i gradi intermedi[10].

In America viene utilizzata invece la scala YDS (Yosemite Decimal Sistem)[11]. Inizia con il numero 5, cui seguono altri numeri (da 5.0 a 5.13) che vanno dalle difficoltà minime dell'arrampicata (corrispondenti al primo grado della scala UIAA) fino ai limiti tecnici raggiunti al momento dagli atleti di punta. La classificazione è ulteriormente precisata da una lettera da "a" a "d", che suddivide ogni classe in quattro. In questo modo una via classificata 5.10 sarà più difficile di una classificata 5.8 e una via classificata 5.10c sarà più difficile di una classificata 5.10°.

Il bouldering ha delle proprie scale di difficoltà: le più utilizzate sono la Hueco e la Fontainebleau (quest'ultima utilizzata in Italia). La scala di Fontainebleau usa dei nomi simili ai gradi della scala francese di arrampicata sportiva (numeri seguiti da lettere) ma rispetto a questa la difficoltà sono maggiori (un 8A di boulder è molto più difficile di una via di 8a). Per sottolineare la differenza la scala di Fontainebleau utilizza le lettere in maiuscolo.

Nella seguente tabella vengono riportate e messe a confronto tutte le diverse scale di difficoltà dell’arrampicata:

TABELLA COMPARATIVA DELLE DIFFICOLTA’

ALPINISMO ARRAMPICATA SPORTIVA BOULDERING

UIIA FRANCESE YDS FONTAINEBLEAU

I 1 5.2

II 2 5.3

III 3 5.4

IV 4 5.5

(33)

V 5b 5.6 4+

V+ 5c 5.7 5

VI- 6a 5.8 5+

VI 6b 5.9 6A

VI+ 6c 5.10a 6A+

VII- 6c+ 5.10b 6B

VII 7a 5.10c 6B+

VII+ 7a+ 5.10d 6C

VIII- 7b 5.11a - 5.11b 6C+

VIII 7b+ 5.11c - 5.11d 7A

VIII+ 7b+/7c 5.12a 7A+

IX- 7c 5.12b - 5.12c 7B

IX 7c+/8a 5.12d 7B+

IX+ 8a+ 5.13a 7C

X- 8b/8b+ 5.13b - 5.13c 7C+ X 8c 5.13c - 5.13d 8A X+ 8c+ 5.13d - 5.14a 8A+ XI- 9a 5.14b - 5.14c 8B XI 9a+ 5.14c - 5.14d 8B+ XII- 9b 5.15a 8C XII 9b+ 5.15b - 5.15c 8C+ 9A Tabella 4. Confronto tra le diverse scale di difficoltà.

(34)

2. LE COMPONENTI DELL’ARRAMPICATA

Al pari di tutti gli altri sport anche l’arrampicata poggia le proprie basi su specifiche componenti, che stanno alla base di qualunque disciplina sportiva; attraverso la corretta gestione di queste componenti è possibile migliorare la prestazione. Nel corso di poche decine d’anni gli arrampicatori hanno pertanto capito che per spostare il limite in arrampicata è fondamentale agire in più direzioni quali:

 Capire meglio il “come fare per salire” (tecnica, capacità coordinative e tattiche);

 L’esigenza di integrare tecnica e tattica con un supporto in chiave “energetica” (allenamenti mirati allo sviluppo delle capacità condizionali);

Ricercare nuovi materiali e strumenti per l’allenamento.

2.1 ARRAMPICARE: UNO SCHEMA MOTORIO DI BASE

Ogni gesto motorio presuppone l’acquisizione di vari tipi di movimento del corpo e dei suoi segmenti. I movimenti possono essere raggruppati in tre ordini:

1. Movimento riflesso: risposta muscolare stereotipata ad uno stimolo adeguato. 2. Movimento volontario: gesto cosciente di un soggetto per raggiungere un

determinato fine.

3. Movimento automatico: gesto che viene effettuato senza una scelta precisa tra le tante possibilità di movimento e che non è sempre sotto il controllo della coscienza.

(35)

Lo sviluppo del movimento volontario nelle sue varie componenti è fondamentale per compiere un qualsiasi gesto motorio. Il movimento volontario si sviluppa mediante l’acquisizione di schemi motori (dinamici) e posturali (statici) detti anche schemi di base, in quanto appaiono per primi durante l’evoluzione di un individuo. Gli schemi motori di base sono: rotolare, strisciare, arrampicarsi, camminare, correre, saltare, afferrare, lanciare, calciare. Gli schemi posturali sono: addurre, abdurre, flettere, estendere, ruotare, inclinare, circondurre, slanciare.

L’”arrampicarsi” è dunque uno schema motorio di base fondamentale e, al pari di strisciare e rotolare, precede l’apprendimento della stazione eretta. Per ogni bambino arrampicarsi rappresenta una naturale esperienza che quotidianamente si può osservare nelle sue attività di “scoperta” , ma anche un momento di superamento della paura, una sorta di sfida con un oggetto esterno che si sviluppa verticalmente.

L’”arrampicarsi” è uno schema che purtroppo la maggior parte delle persone dimentica progressivamente, in quanto non viene coltivato perché spesso messo in relazione con la paura del vuoto e conseguentemente con la paura di cadere. Tale schema può essere successivamente recuperato attraverso la pratica d dell’arrampicata, che negli ultimi anni è divenuta un vero e proprio sport, suddiviso in varie specialità (bouldering, arrampicata sportiva, alpinismo, arrampicata su ghiaccio) che pur essendo distinte e ognuna con le proprie specificità, hanno fra loro un aspetto che le accomuna: la gestualità motoria arrampicatoria.

Questo aspetto “motorio” indica non solo che l’arrampicata non è diversa da tutte le altre attività sportive, ma anche che l’atleta-arrampicatore attraverso una pratica costate sia sul piano motorio (coordinazione), che su quello fisico e mentale, può acquisire e gestire in modo appropriato le proprie capacità “sportive” per raggiungere un certo risultato, definito con il termine “prestazione”[12].

(36)

2.2 TECNICA INDIVIDUALE

Nell’insegnamento dell’arrampicata per anni si è adottato il metodo per “prove ed errori”, mentre in seguito si è compreso come tale approccio risultasse metodologicamente sbagliato, e come alla base di tutti i movimenti arrampicatori ci fossero dei principi comuni che li sostenevano[12].

Tra i soggetti che si sono occupati di tecnica di arrampicata spicca il nome di Paolo Caruso, che con le proprie osservazioni era riuscito a definire i prerequisiti ed i principi base da sviluppare per arrivare all’”Arte di Arrampicare”, dando vita ad un metodo, oggi comunemente noto come “Metodo Caruso”. Il pregio di tale metodo è quello di essere facilmente strutturato secondo una programmazione didattica, che si presta all’impostazione di un programma per l’insegnamento dell’arrampicata, in quanto vengono studiate tutte le posizioni delle varie parti del corpo in rapporto con la parete durante la progressione.

IL METODO CARUSO

“Agli albori dell’arrampicata sportiva era diffusa l’idea preconcetta che si sarebbe potuto imparare a scalare grazie ad una non meglio precisata facoltà “istintiva”. Di conseguenza si riteneva che una vera e proprio tecnica non dovesse essere studiata, insegnata e appresa con un metodo e tramite un programma didattico. Si trattava in realtà di una convinzione senza fondamento, derivante da una scarsa conoscenza dei principi generali che regolano il movimento, specialmente quelli inerenti la dimensione verticale. C’era per la verità anche un’altra teoria in base alla quale si aggirava l’intera questione propriamente tecnica in favore di un esasperato sviluppo delle capacità condizionali e , in particolar modo, di uno specifico potenziamento tendineo-muscolare degli arti superiori. In molti casi ne sono nati degli arrampicatori certamente strutturati

(37)

nella parte muscolare specifica, ma con lacune vistose sul fronte della tecnica del movimento. Per raggiungere il massimo livello nell’apprendimento motorio è necessario armonizzare le capacità tecniche e coordinative, dette anche capacità “interne” (coordinazione, equilibrio, tattica, sensibilità ecc.) con quelle condizionali o “esterne” (resistenza, forza, scioltezza ecc.), evitando di sacrificare le prime in favore di un’esaltazione univoca delle seconde” (Paolo Caruso).

CONCETTI BASE

Equilibrio

Possono essere individuate 2 capacità differenti e complementari che permettono di conseguire l’equilibrio ottimale nella dimensione verticale:

1. Capacità di ricercare l’equilibrio attraverso lo spostamento del peso del corpo, in particolar modo del baricentro. In questo caso l’equilibrio è determinato dallo spostamento del bacino in relazione agli arti;

2. Capacità di spostare gli arti in modo da favorire l’equilibrio del corpo grazie ad una maggiore stabilità del bacino. In questo secondo caso l’equilibrio è determinato dallo spostamento degli arti in reazione al bacino.

Movimenti del bacino nell’arrampicata

Nell’arrampicata si possono individuare 4 principali movimenti del bacino:

1. Destra/sinistra (spostamento del peso del corpo da un piede all’altro); 2. Avanti/dietro (avvicinamento e allontanamento del bacino alla parete);

(38)

3. Rotazione intorno all’asse longitudinale (posizionamento del bacino di fianco

rispetto alla parete);

4. Rotazione intorno all’asse trasversale (antiversione e retroversione del bacino; quest’ultima è importantissima perché permette di avvicinare il bacino alla parete caricando il peso del corpo sugli arti inferiori).

Movimento degli arti nell’arrampicata

Gli schemi di movimento degli arti si possono dividere in 3 differenti gruppi:

1. Incrociato (movimento della gamba sinistra e del braccio destro o viceversa); 2. Omologo (movimento delle due braccia oppure delle due gambe);

3. Omolaterale (movimento della gamba destra e del braccio destro, oppure della gamba sinistra e del braccio sinistro).

Caricare i piedi: appoggio e aderenza

Con il termine caricare un piede s’intende l’atto di esercitare una spinta con la relativa gamba, in modo tale da arrivare a sollevare il corpo soltanto dopo aver trovato l’equilibrio sull’appoggio. Per appoggio si intende una superficie netta, anche molto piccola, in grado di sostenere il peso del corpo a seguito di una pressione esercitata con un piede lungo l’asse verticale dell’appoggio stesso. Nel caso dell’aderenza, invece, il piede poggia su una superficie liscia più o meno inclinata (talvolta anche verticale). A differenza di quanto avviene per gli appoggi, che devono essere sollecitati sulla verticale, nel caso dell’aderenza si ottiene una maggior tenuta dei piedi allontanando il bacino dalla parete, in modo tale da aumentare la componente di spinta perpendicolare alla parete generando una forza di attrito tra la suola della scarpetta e la roccia.

(39)

Lavorando in aderenza, nel caso in cui si possiedono buoni appigli per le mani, risulta facile portare il bacino in fuori per aumentare l’aderenza dei piedi. Le difficoltà nascono quando gli appigli per le mani sono piccoli: è importante sviluppare una particolare capacità atta a individuare il punto limite di tenuta delle scarpette, in modo tale da consentire il lavoro in aderenza.

Uso dei piedi

Imparare a utilizzare i piedi in modo ottimale è probabilmente il traguardo più importante da raggiungere nell’apprendimento della tecnica in arrampicata. Il corretto uso dei piedi permette di diminuire lo sforzo delle braccia e favorisce l’azione di spinta delle gambe, che grazie alla loro mole sono più idonee allo scopo.

Innanzitutto non è conveniente poggiare la punta della scarpetta alzando il tallone, poiché in tal modo si favorisce il tremore dei polpacci a causa della loro contrazione isometrica, che tende a far flettere le gambe e conseguentemente a far spostare il bacino in fuori, allontanandolo dalla parete. Questa posizione ostacola il caricamento ottimale del peso del corpo sugli appoggi.

Per quanto riguarda gli appoggi grandi, è bene posizionare il piede perpendicolarmente alla parete coinvolgendo tutto l’avampiede e in particolar modo la linea costituita dalle articolazioni che uniscono il metatarso alle falangi. Risulta sconveniente poggiare una parte maggiore del piede fino a coinvolgere l’arco plantare poiché in tal modo si porta in avanti la base di appoggio, riducendo il sostegno offerto al baricentro.

Per quanto riguarda gli appoggi piccoli, si appoggia il piede con il lato interno coinvolgendo l’alluce, o nelle tecniche più avanzate con il lato esterno in corrispondenza del mignolo (vedi più avanti posizione laterale).

Nel caso dell’aderenza poggeremo il piede perpendicolarmente alla parete cercando sempre di tenere il tallone basso. In questa situazione infatti tenere alto il tallone risulta

(40)

ancora più sconveniente poiché cosi facendo diminuiamo la componente di spinta perpendicolare alla parete, compromettendo cosi l’aderenza stessa.

Nel caso di buchi o di appoggi molto piccoli è necessario utilizzare i piedi di punta. E’ importante comprendere che la necessità di sollevare il tallone è inversamente proporzionale alla forza che siamo in grado di sviluppare con le dita dei piedi e soprattutto con l’alluce.

Quando si inizia ad arrampicare si ha generalmente poca forza nelle dita dei piedi ed è importante svilupparla adeguatamente per evitare di automatizzare un assetto che vede i talloni alti. Per rinforzare le dita dei piedi mediante l’arrampicata stessa è opportuno che si utilizzino delle scarpette non eccessivamente strette, con una forma che ci permetta di mantenere le dita dei piedi distese o quasi. Se le scarpette ci costringono a tenere le dita piegate con le nocche verso l’alto, risulta impossibile fare qualsiasi tipo di movimento con le dita stesse e di conseguenza non possono essere allenate in modo adeguato. Il movimento completo dei capi articolari è molto importante per aumentare la forza di qualsiasi muscolo e tendine e pertanto utilizzare una giusta misura delle scarpette darà alle dita dei piedi la possibilità di rinforzarsi, migliorando le capacità individuali a prescindere dalla scarpetta.

Uso delle mani

In parete possiamo trovare svariate tipologie di appigli per le mani, diversi per forme e dimensioni. A seconda del tipo di roccia o del luogo dove stiamo scalando, alcune prese sono più frequenti di altre. Ogni appiglio deve essere tenuto con la giusta impugnatura da parte della mano, per poterlo sfruttare al meglio durante la progressione e per evitare di farsi male alle dita (categoria di infortunio più diffuso negli arrampicatori). Le principali tipologie di prese e le relative impugnature sono:

(41)

tacca: sicuramente il tipo di appiglio più diffuso, rappresentato da una superficie

generalmente orizzontale più o meno grande. Può essere impugnata in diversi modi a seconda delle dimensioni:

o a dita stese: dal punto di vista fisiologico questo tipo di impugnatura consente una maggior durata; questo perché i muscoli flessori della mano rimangono meno contratti durante lo sforzo. Questo tipo di presa va “imparata”, poiché bisogna abituarsi a lavorare con l’aderenza della pelle sulla roccia, piuttosto che con la tensione muscolare. E’ consigliata su tacche di grandi dimensioni.

Figura 13. Presa a dita stese.

o a dita semi-arcuate: usata su tacche di medie dimensioni, è

un’impugnatura “di forza”, in quanto bisogna costantemente mantenere la posizione con una forte tensione isometrica dei flessori , ma permette di sprigionare una grande potenza.

(42)

Figura 14. Presa a dita semi-arcuate.

o a dita arcuate: è l’impugnatura più efficace e più usata su tacche di

piccole dimensioni; il pollice va a chiudere contro l’indice creando una sorta di “blocco” meccanico, che impedisce alla mano di aprirsi. Questo permette di utilizzare il pollice in modo da esercitare una forza addizionale, nella stessa direzione delle altre dita[13]. Tuttavia bisogna ricordare che questa è anche l’impugnatura più pericolosa dal punto di vista traumatico, poiché l’angolo cosi accentuato crea un grande sovraccarico all’articolazione tra la prima e la seconda falange[14].

Figura 15. Presa a dita arcuate.

Spallata: non è altro che una tacca, però disposta obliquamente. Per impugnarla

quindi si dovrà intraruotare il braccio, piegando e sollevando il gomito, andando a creare una forte tensione a livello della spalla. L’impugnatura delle dita è in funzione delle dimensioni dell’appiglio, come nel caso delle tacche orizzontali.

(43)

Figura 16. Spallata.

Verticale o canna: si tratta di una tipologia di appiglio disposto in maniera

verticale. In questo caso il tipo di impugnatura corretta per mantenere la presa viene definito pinzata, e si ottiene afferrando l’appiglio e facendo opposizione con il pollice. Talvolta possiamo trovare anche delle formazioni rocciose di forma cilindrica, chiamate canne, che possono solcare la parete anche per diverse decine metri, e che costringono l‘arrampicatore ad effettuare una successione di pinzate consecutive per progredire.

(44)

Svaso: un appiglio caratterizzato da una superficie piuttosto liscia, che può

essere disposta in maniera più o meno inclinata rispetto alla parete, e talvolta anche quasi verticale. In questo caso l’impugnatura viene definita a mano

aperta, e come nel caso di quella a dita stese, la presa viene mantenuta grazie

all’aderenza e all’attrito della pelle sulla roccia.

Figura 18. Presa a mano aperta su svaso.

Buco: un’atra tipologia di appiglio molto diffuso, rappresentato da un buco nella

parete. Possono essere impugnati in modi diversi, sostanzialmente in base alle dimensioni del buco stesso. Possiamo fare una distinzione tra:

o Buchi medio grandi: hanno delle dimensioni tali che si riescono a

impugnare comodamente con tutte le dita di una mano o addirittura con entrambe e mani.

(45)

Figura 19. Buco grande impugnato con tutte le dita della mano.

o Buchi medio piccoli: hanno delle dimensioni tali che non permettono di

essere impugnati con tutte le dita. Pertanto vengono utilizzate tre, due o talvolta anche un solo dito e in gergo vengono chiamati rispettivamente

triditi, biditi e monoditi. Quest’ ultimi è bene impugnarli a dita stese,

poiché un bidito o un monodito preso con le dita arcuate è molto pericoloso per il tendine.

(46)

Rovescio: tipologia di appiglio spesso rappresentato da un buco, disposto però in

modo tale da dover essere impugnato dal basso verso l’alto, con il palmo della mano rivolto in supinazione.

Figura 21. Rovescio.

Previsione

La capacità di “prevedere”, nel senso di scegliere in anticipo gli appigli e gli appoggi da utilizzare visualizzando il movimento da eseguire, è una tecnica vera e propria. Questa contribuisce a determinare un atto motorio pienamente consapevole, basato su una scelta volontaria e non casuale degli appigli e degli appoggi da utilizzare, e quindi un’esecuzione precisa del movimento che si vuole compiere. Per cominciare a lavorare sulla previsione si consiglia di individuare da una posizione statica di equilibrio (sicuramente favorevole all’osservazione) gli appoggi finali sui quali si intende portare a termine la fase dinamica della progressione, andando a ricercare una nuova posizione di equilibrio statico. Allenando la previsione si riuscirà ad estendere tale capacità ad una sequenza di movimenti sempre più ampia.

(47)

Respirazione

Nelle discipline sportive la respirazione è un momento fondamentale che favorisce la funzionalità dell’organismo e l’esecuzione del gesto specifico. In arrampicata è importante contrastare il fenomeno dell’apnea, che si verifica generalmente quando si è sotto sforzo, dopo aver inspirato. A tal proposito è preferibile dare maggiore importanza alla fase di espirazione piuttosto che a quella di inspirazione, in modo da evitare il rischio di bloccare la funzione respiratoria rimanendo appunto in apnea. Si espira:

 quando si sposta il peso;

 quando si effettua lo sforzo;

 durante la contrazione muscolare;

 nei passaggi più difficili, delicati e precari.

TECNICHE DI PROGRESSIONE

Tutte le tecniche sono caratterizzate da peculiarità diverse ma tra loro complementari e hanno lo scopo di favorire lo sviluppo della capacità che si concretizza in un movimento sicuro ed efficace, basato sul minimo sforzo. Le differenti progressioni si basano sull’alternanza di una posizione statica (posizione base) e di un movimento dinamico.

Fase statica

Le posizioni base più vantaggiose sono quattro e dipendono dal differente assetto degli arti inferiori, mentre le mani utilizzano appigli situati più o meno alla stessa altezza. Possiamo pertanto distinguere quattro tipi di progressione che si differenziano, appunto, per la diversa posizione di partenza (e di arrivo) degli arti inferiori:

(48)

1. Con due appoggi: posizione base a gambe distese, con i piedi su due appoggi non

eccessivamente lontani (larghezza delle spalle).

2. Con bilanciamento: posizione base a gambe distese, in cui si carica con un piede

un solo appoggio che deve essere sufficientemente grande. L’altro piede è in bilanciamento. Il peso del bacino cade quindi totalmente sull’appoggio mentre il piede in bilanciamento determina stabilità grazie alla rotazione del bacino che imprime, attraverso la gamba e con la parte interna del piede, una spinta perpendicolare alla parete. Questa posizione permette di avvicinare completamente il bacino alla parete, mantenendo le gambe distese ed i piedi alla stessa altezza, anche quando vi è un solo appoggio a disposizione.

3. Con spaccata: posizione base a gambe distese, con i piedi su due appoggi

distanti, anche ad altezze differenti.

4. Con sfalsata: posizione base con una gamba distesa (il piede è su un appoggio in basso) e l’altra completamente piegata al fine di utilizzare un appoggio in alto, situato ad un’altezza compresa tra il ginocchio e l’anca della gamba tesa. I piede è in appoggio sotto al gluteo; viene sfruttata la mobilità articolare dell’anca per caricare in modo adeguato il peso del corpo su due appigli molto distanti tra loro. Si ricorre a questa posizione quando non è possibile utilizzare le prime tre. Queste posizioni sono le più vantaggiose in quanto permettono di caricare nel modo migliore il peso del bacino sui piedi. Le quattro posizioni ci permettono inoltre di evitare l’unica altra posizione possibile, la quinta, che è la peggiore e la più svantaggiosa. In questa posizione, infatti, ci si viene a trovare con una gamba distesa e con l’altra leggermente piegata, in una sorta di sfalsata incompleta, che non consente di distribuire il peso del corpo su entrambi i piedi in modo omogeneo. Infatti, a causa della conformazione dell’articolazione coxofemorale, il bacino non potrà essere accostato adeguatamente alla parete e rimarrà al’infuori, sovraccaricando così le braccia. Dato che lo scopo della tecnica è quello di abituarci a trovare le soluzioni più vantaggiose, il bravo

Riferimenti

Documenti correlati

NB-3 - Il personale docente cui il medico competente ha certificato l’inidoneità temporanea (e di conseguenza sostituito con nomina del supplente per l’intera durata del certificato)

Quando si verifica un abuso sessuale o una violazione dell’integrità da parte dei dipendenti o dei volontari, oppure se si hanno dei sospetti che vanno in questa direzione, tutti

a) MUTEVOLE: i problemi posti dagli insediamenti e dal loro SVILUPPO sono cambiati e con loro il modo di AFFRONTARLI. Inoltre le esigenze del momento non possono precludere

Consente la messa in tensione di un carico applicando una temporizzazione che viene avviata alla chiusura di un contatto ausiliario (pulsante di comando). Ritarda la

Infine lo sviluppo del packaging, adatto al mantenimento delle caratteristiche organolettiche e nutritive del prodotto finito e la distribuzione ai canili rappresenta l’ultima fase del

Il regolamento prevede l’obbligo del datore e datrice di lavoro di predisporre e pubblicizzare, in un luogo visibile a tutti i dipendenti, una politica di prevenzione della violenza

Sia che la rete sia costituita mediante PRP (Parallel Redundancy Protocol) sia tramite HSR (High-availability Seamless Redundancy), l’analisi di sicurezza offerta si

Ponti e viadotti accolgono infine una porzione non trascurabile dei nidi censiti (8,2%); questa tipologia di collocazione del nido è ricorrente soprattutto nella Bassa Valle