2. LE COMPONENTI DELL’ARRAMPICATA
2.2 TECNICA INDIVIDUALE
Nell’insegnamento dell’arrampicata per anni si è adottato il metodo per “prove ed errori”, mentre in seguito si è compreso come tale approccio risultasse metodologicamente sbagliato, e come alla base di tutti i movimenti arrampicatori ci fossero dei principi comuni che li sostenevano[12].
Tra i soggetti che si sono occupati di tecnica di arrampicata spicca il nome di Paolo Caruso, che con le proprie osservazioni era riuscito a definire i prerequisiti ed i principi base da sviluppare per arrivare all’”Arte di Arrampicare”, dando vita ad un metodo, oggi comunemente noto come “Metodo Caruso”. Il pregio di tale metodo è quello di essere facilmente strutturato secondo una programmazione didattica, che si presta all’impostazione di un programma per l’insegnamento dell’arrampicata, in quanto vengono studiate tutte le posizioni delle varie parti del corpo in rapporto con la parete durante la progressione.
IL METODO CARUSO
“Agli albori dell’arrampicata sportiva era diffusa l’idea preconcetta che si sarebbe potuto imparare a scalare grazie ad una non meglio precisata facoltà “istintiva”. Di conseguenza si riteneva che una vera e proprio tecnica non dovesse essere studiata, insegnata e appresa con un metodo e tramite un programma didattico. Si trattava in realtà di una convinzione senza fondamento, derivante da una scarsa conoscenza dei principi generali che regolano il movimento, specialmente quelli inerenti la dimensione verticale. C’era per la verità anche un’altra teoria in base alla quale si aggirava l’intera questione propriamente tecnica in favore di un esasperato sviluppo delle capacità condizionali e , in particolar modo, di uno specifico potenziamento tendineo-muscolare degli arti superiori. In molti casi ne sono nati degli arrampicatori certamente strutturati
nella parte muscolare specifica, ma con lacune vistose sul fronte della tecnica del movimento. Per raggiungere il massimo livello nell’apprendimento motorio è necessario armonizzare le capacità tecniche e coordinative, dette anche capacità “interne” (coordinazione, equilibrio, tattica, sensibilità ecc.) con quelle condizionali o “esterne” (resistenza, forza, scioltezza ecc.), evitando di sacrificare le prime in favore di un’esaltazione univoca delle seconde” (Paolo Caruso).
CONCETTI BASE
Equilibrio
Possono essere individuate 2 capacità differenti e complementari che permettono di conseguire l’equilibrio ottimale nella dimensione verticale:
1. Capacità di ricercare l’equilibrio attraverso lo spostamento del peso del corpo, in particolar modo del baricentro. In questo caso l’equilibrio è determinato dallo spostamento del bacino in relazione agli arti;
2. Capacità di spostare gli arti in modo da favorire l’equilibrio del corpo grazie ad una maggiore stabilità del bacino. In questo secondo caso l’equilibrio è determinato dallo spostamento degli arti in reazione al bacino.
Movimenti del bacino nell’arrampicata
Nell’arrampicata si possono individuare 4 principali movimenti del bacino:
1. Destra/sinistra (spostamento del peso del corpo da un piede all’altro); 2. Avanti/dietro (avvicinamento e allontanamento del bacino alla parete);
3. Rotazione intorno all’asse longitudinale (posizionamento del bacino di fianco
rispetto alla parete);
4. Rotazione intorno all’asse trasversale (antiversione e retroversione del bacino; quest’ultima è importantissima perché permette di avvicinare il bacino alla parete caricando il peso del corpo sugli arti inferiori).
Movimento degli arti nell’arrampicata
Gli schemi di movimento degli arti si possono dividere in 3 differenti gruppi:
1. Incrociato (movimento della gamba sinistra e del braccio destro o viceversa); 2. Omologo (movimento delle due braccia oppure delle due gambe);
3. Omolaterale (movimento della gamba destra e del braccio destro, oppure della gamba sinistra e del braccio sinistro).
Caricare i piedi: appoggio e aderenza
Con il termine caricare un piede s’intende l’atto di esercitare una spinta con la relativa gamba, in modo tale da arrivare a sollevare il corpo soltanto dopo aver trovato l’equilibrio sull’appoggio. Per appoggio si intende una superficie netta, anche molto piccola, in grado di sostenere il peso del corpo a seguito di una pressione esercitata con un piede lungo l’asse verticale dell’appoggio stesso. Nel caso dell’aderenza, invece, il piede poggia su una superficie liscia più o meno inclinata (talvolta anche verticale). A differenza di quanto avviene per gli appoggi, che devono essere sollecitati sulla verticale, nel caso dell’aderenza si ottiene una maggior tenuta dei piedi allontanando il bacino dalla parete, in modo tale da aumentare la componente di spinta perpendicolare alla parete generando una forza di attrito tra la suola della scarpetta e la roccia.
Lavorando in aderenza, nel caso in cui si possiedono buoni appigli per le mani, risulta facile portare il bacino in fuori per aumentare l’aderenza dei piedi. Le difficoltà nascono quando gli appigli per le mani sono piccoli: è importante sviluppare una particolare capacità atta a individuare il punto limite di tenuta delle scarpette, in modo tale da consentire il lavoro in aderenza.
Uso dei piedi
Imparare a utilizzare i piedi in modo ottimale è probabilmente il traguardo più importante da raggiungere nell’apprendimento della tecnica in arrampicata. Il corretto uso dei piedi permette di diminuire lo sforzo delle braccia e favorisce l’azione di spinta delle gambe, che grazie alla loro mole sono più idonee allo scopo.
Innanzitutto non è conveniente poggiare la punta della scarpetta alzando il tallone, poiché in tal modo si favorisce il tremore dei polpacci a causa della loro contrazione isometrica, che tende a far flettere le gambe e conseguentemente a far spostare il bacino in fuori, allontanandolo dalla parete. Questa posizione ostacola il caricamento ottimale del peso del corpo sugli appoggi.
Per quanto riguarda gli appoggi grandi, è bene posizionare il piede perpendicolarmente alla parete coinvolgendo tutto l’avampiede e in particolar modo la linea costituita dalle articolazioni che uniscono il metatarso alle falangi. Risulta sconveniente poggiare una parte maggiore del piede fino a coinvolgere l’arco plantare poiché in tal modo si porta in avanti la base di appoggio, riducendo il sostegno offerto al baricentro.
Per quanto riguarda gli appoggi piccoli, si appoggia il piede con il lato interno coinvolgendo l’alluce, o nelle tecniche più avanzate con il lato esterno in corrispondenza del mignolo (vedi più avanti posizione laterale).
Nel caso dell’aderenza poggeremo il piede perpendicolarmente alla parete cercando sempre di tenere il tallone basso. In questa situazione infatti tenere alto il tallone risulta
ancora più sconveniente poiché cosi facendo diminuiamo la componente di spinta perpendicolare alla parete, compromettendo cosi l’aderenza stessa.
Nel caso di buchi o di appoggi molto piccoli è necessario utilizzare i piedi di punta. E’ importante comprendere che la necessità di sollevare il tallone è inversamente proporzionale alla forza che siamo in grado di sviluppare con le dita dei piedi e soprattutto con l’alluce.
Quando si inizia ad arrampicare si ha generalmente poca forza nelle dita dei piedi ed è importante svilupparla adeguatamente per evitare di automatizzare un assetto che vede i talloni alti. Per rinforzare le dita dei piedi mediante l’arrampicata stessa è opportuno che si utilizzino delle scarpette non eccessivamente strette, con una forma che ci permetta di mantenere le dita dei piedi distese o quasi. Se le scarpette ci costringono a tenere le dita piegate con le nocche verso l’alto, risulta impossibile fare qualsiasi tipo di movimento con le dita stesse e di conseguenza non possono essere allenate in modo adeguato. Il movimento completo dei capi articolari è molto importante per aumentare la forza di qualsiasi muscolo e tendine e pertanto utilizzare una giusta misura delle scarpette darà alle dita dei piedi la possibilità di rinforzarsi, migliorando le capacità individuali a prescindere dalla scarpetta.
Uso delle mani
In parete possiamo trovare svariate tipologie di appigli per le mani, diversi per forme e dimensioni. A seconda del tipo di roccia o del luogo dove stiamo scalando, alcune prese sono più frequenti di altre. Ogni appiglio deve essere tenuto con la giusta impugnatura da parte della mano, per poterlo sfruttare al meglio durante la progressione e per evitare di farsi male alle dita (categoria di infortunio più diffuso negli arrampicatori). Le principali tipologie di prese e le relative impugnature sono:
tacca: sicuramente il tipo di appiglio più diffuso, rappresentato da una superficie
generalmente orizzontale più o meno grande. Può essere impugnata in diversi modi a seconda delle dimensioni:
o a dita stese: dal punto di vista fisiologico questo tipo di impugnatura consente una maggior durata; questo perché i muscoli flessori della mano rimangono meno contratti durante lo sforzo. Questo tipo di presa va “imparata”, poiché bisogna abituarsi a lavorare con l’aderenza della pelle sulla roccia, piuttosto che con la tensione muscolare. E’ consigliata su tacche di grandi dimensioni.
Figura 13. Presa a dita stese.
o a dita semi-arcuate: usata su tacche di medie dimensioni, è
un’impugnatura “di forza”, in quanto bisogna costantemente mantenere la posizione con una forte tensione isometrica dei flessori , ma permette di sprigionare una grande potenza.
Figura 14. Presa a dita semi-arcuate.
o a dita arcuate: è l’impugnatura più efficace e più usata su tacche di
piccole dimensioni; il pollice va a chiudere contro l’indice creando una sorta di “blocco” meccanico, che impedisce alla mano di aprirsi. Questo permette di utilizzare il pollice in modo da esercitare una forza addizionale, nella stessa direzione delle altre dita[13]. Tuttavia bisogna ricordare che questa è anche l’impugnatura più pericolosa dal punto di vista traumatico, poiché l’angolo cosi accentuato crea un grande sovraccarico all’articolazione tra la prima e la seconda falange[14].
Figura 15. Presa a dita arcuate.
Spallata: non è altro che una tacca, però disposta obliquamente. Per impugnarla
quindi si dovrà intraruotare il braccio, piegando e sollevando il gomito, andando a creare una forte tensione a livello della spalla. L’impugnatura delle dita è in funzione delle dimensioni dell’appiglio, come nel caso delle tacche orizzontali.
Figura 16. Spallata.
Verticale o canna: si tratta di una tipologia di appiglio disposto in maniera
verticale. In questo caso il tipo di impugnatura corretta per mantenere la presa viene definito pinzata, e si ottiene afferrando l’appiglio e facendo opposizione con il pollice. Talvolta possiamo trovare anche delle formazioni rocciose di forma cilindrica, chiamate canne, che possono solcare la parete anche per diverse decine metri, e che costringono l‘arrampicatore ad effettuare una successione di pinzate consecutive per progredire.
Svaso: un appiglio caratterizzato da una superficie piuttosto liscia, che può
essere disposta in maniera più o meno inclinata rispetto alla parete, e talvolta anche quasi verticale. In questo caso l’impugnatura viene definita a mano
aperta, e come nel caso di quella a dita stese, la presa viene mantenuta grazie
all’aderenza e all’attrito della pelle sulla roccia.
Figura 18. Presa a mano aperta su svaso.
Buco: un’atra tipologia di appiglio molto diffuso, rappresentato da un buco nella
parete. Possono essere impugnati in modi diversi, sostanzialmente in base alle dimensioni del buco stesso. Possiamo fare una distinzione tra:
o Buchi medio grandi: hanno delle dimensioni tali che si riescono a
impugnare comodamente con tutte le dita di una mano o addirittura con entrambe e mani.
Figura 19. Buco grande impugnato con tutte le dita della mano.
o Buchi medio piccoli: hanno delle dimensioni tali che non permettono di
essere impugnati con tutte le dita. Pertanto vengono utilizzate tre, due o talvolta anche un solo dito e in gergo vengono chiamati rispettivamente
triditi, biditi e monoditi. Quest’ ultimi è bene impugnarli a dita stese,
poiché un bidito o un monodito preso con le dita arcuate è molto pericoloso per il tendine.
Rovescio: tipologia di appiglio spesso rappresentato da un buco, disposto però in
modo tale da dover essere impugnato dal basso verso l’alto, con il palmo della mano rivolto in supinazione.
Figura 21. Rovescio.
Previsione
La capacità di “prevedere”, nel senso di scegliere in anticipo gli appigli e gli appoggi da utilizzare visualizzando il movimento da eseguire, è una tecnica vera e propria. Questa contribuisce a determinare un atto motorio pienamente consapevole, basato su una scelta volontaria e non casuale degli appigli e degli appoggi da utilizzare, e quindi un’esecuzione precisa del movimento che si vuole compiere. Per cominciare a lavorare sulla previsione si consiglia di individuare da una posizione statica di equilibrio (sicuramente favorevole all’osservazione) gli appoggi finali sui quali si intende portare a termine la fase dinamica della progressione, andando a ricercare una nuova posizione di equilibrio statico. Allenando la previsione si riuscirà ad estendere tale capacità ad una sequenza di movimenti sempre più ampia.
Respirazione
Nelle discipline sportive la respirazione è un momento fondamentale che favorisce la funzionalità dell’organismo e l’esecuzione del gesto specifico. In arrampicata è importante contrastare il fenomeno dell’apnea, che si verifica generalmente quando si è sotto sforzo, dopo aver inspirato. A tal proposito è preferibile dare maggiore importanza alla fase di espirazione piuttosto che a quella di inspirazione, in modo da evitare il rischio di bloccare la funzione respiratoria rimanendo appunto in apnea. Si espira:
quando si sposta il peso;
quando si effettua lo sforzo;
durante la contrazione muscolare;
nei passaggi più difficili, delicati e precari.
TECNICHE DI PROGRESSIONE
Tutte le tecniche sono caratterizzate da peculiarità diverse ma tra loro complementari e hanno lo scopo di favorire lo sviluppo della capacità che si concretizza in un movimento sicuro ed efficace, basato sul minimo sforzo. Le differenti progressioni si basano sull’alternanza di una posizione statica (posizione base) e di un movimento dinamico.
Fase statica
Le posizioni base più vantaggiose sono quattro e dipendono dal differente assetto degli arti inferiori, mentre le mani utilizzano appigli situati più o meno alla stessa altezza. Possiamo pertanto distinguere quattro tipi di progressione che si differenziano, appunto, per la diversa posizione di partenza (e di arrivo) degli arti inferiori:
1. Con due appoggi: posizione base a gambe distese, con i piedi su due appoggi non
eccessivamente lontani (larghezza delle spalle).
2. Con bilanciamento: posizione base a gambe distese, in cui si carica con un piede
un solo appoggio che deve essere sufficientemente grande. L’altro piede è in bilanciamento. Il peso del bacino cade quindi totalmente sull’appoggio mentre il piede in bilanciamento determina stabilità grazie alla rotazione del bacino che imprime, attraverso la gamba e con la parte interna del piede, una spinta perpendicolare alla parete. Questa posizione permette di avvicinare completamente il bacino alla parete, mantenendo le gambe distese ed i piedi alla stessa altezza, anche quando vi è un solo appoggio a disposizione.
3. Con spaccata: posizione base a gambe distese, con i piedi su due appoggi
distanti, anche ad altezze differenti.
4. Con sfalsata: posizione base con una gamba distesa (il piede è su un appoggio in basso) e l’altra completamente piegata al fine di utilizzare un appoggio in alto, situato ad un’altezza compresa tra il ginocchio e l’anca della gamba tesa. I piede è in appoggio sotto al gluteo; viene sfruttata la mobilità articolare dell’anca per caricare in modo adeguato il peso del corpo su due appigli molto distanti tra loro. Si ricorre a questa posizione quando non è possibile utilizzare le prime tre. Queste posizioni sono le più vantaggiose in quanto permettono di caricare nel modo migliore il peso del bacino sui piedi. Le quattro posizioni ci permettono inoltre di evitare l’unica altra posizione possibile, la quinta, che è la peggiore e la più svantaggiosa. In questa posizione, infatti, ci si viene a trovare con una gamba distesa e con l’altra leggermente piegata, in una sorta di sfalsata incompleta, che non consente di distribuire il peso del corpo su entrambi i piedi in modo omogeneo. Infatti, a causa della conformazione dell’articolazione coxofemorale, il bacino non potrà essere accostato adeguatamente alla parete e rimarrà al’infuori, sovraccaricando così le braccia. Dato che lo scopo della tecnica è quello di abituarci a trovare le soluzioni più vantaggiose, il bravo
arrampicatore tenderà a usare la quinta posizione solo e quando non è possibile ricorrere alle prime quattro.
Talvolta è possibile che non vi siano due appigli disponibili (uno per ogni mano) e quindi una mano rimane libera. In questo caso si assume con il corpo la cosiddetta posizione a
“triangolo”, in cui si hanno tre soli punti di contatto con la roccia (una mano, che
rappresenta il vertice del triangolo, ed i due piedi che rapprendano la base). Tale situazione si può verificare in una qualsiasi delle posizioni base descritte prima (nel caso del bilanciamento, i punti di appoggio diventano due: la mano ed il piede opposto, mentre il piede omolaterale rimane in bilanciamento).
La posizione a "triangolo" è una posizione economica in quanto il corpo non subisce alcuna forza di rotazione ed è pressochè stabile, a patto che la proiezione (perpendicolare) a terra della mano con cui lo scalatore rimane attaccato vada a cadere sempre in mezzo ai piedi; quando invece la proiezione della mano esce dalla base d'appoggio dei piedi si crea un movimento rotatorio del corpo che può essere contrastato solo con grande dispendio energetico.
Dalla posizione base dunque si esegue una fase dinamica fino ad individuare degli appoggi che ci consentono di effettuare un’altra posizione statica. Chiaramente durante la progressione si effettueranno diverse posizione statiche, in base alla conformazione della roccia e alla disposizione degli appigli. Sta all’arrampicatore capire in base alla situazione quale posizione sia più conveniente adottare.
Fase dinamica
La fase dinamica è caratterizzata dal movimento degli arti, sia inferiori che superiori. Dalla posizione di base, per prima cosa, se le mani sono troppo in basso, le solleviamo su appigli più alti, avendo l’accortezza di non sollevarle eccessivamente per non accostare troppo il petto alla parete (in questa situazione infatti in campo visivo è nettamente ridotto poiché siamo troppo accostati alla roccia con il volto). Successivamente comincia
il movimento degli arti inferiori, che rappresenta la parte più importante della fase dinamica. Dalla posizione base si spostano i piedi con almeno tre passi, di cui il primo al centro e gli ultimi due sugli appoggi finali. Il primo passo deve essere piccolo sia in senso verticale (non deve superare il ginocchio della gamba in appoggio) che in senso orizzontale (deve poggiare possibilmente vicino alla gamba in appoggio). A seconda della posizione base in cui ci troviamo è preferibile spostare i piedi in un ordine preciso:
- Nel caso della posizione base con due appoggi situati alla stessa altezza si può muovere per primo un piede qualsiasi.
- Nel caso della posizione base con bilanciamento si muove per primo il piede in bilanciamento.
- Nel caso della posizione base con spaccata, se i due piedi sono situati alla stessa altezza si può muovere per primo un piede qualsiasi; se i due piedi sono situati ad altezze differenti è preferibile spostare per primo il piede più in alto, cioè quello su cui grava un minor carico, riportandolo al centro chiudendo la spaccata.
- Nel caso della posizione base con sfalsata si sposta per primo il piede sfalsato, riportandolo in basso in modo da poter utilizzare l’azione di spinta della gamba. Durante la progressione il bacino si sposta lateralmente da una gamba all’altra ma anche verso l’esterno: il bacino, infatti, viene dapprima spostato in fuori per permettere di vedere gli appoggi e per favorire l’aderenza dei passi intermedi, successivamente viene riavvicinato alla parete per caricare i piedi in modo ottimale nella posizione base. La fase dinamica della progressione è caratterizzata sostanzialmente da tre gruppi di movimenti:
1. Movimenti nei quali il peso è distribuito maggiormente su un sola gamba
Questa rappresenta la principale e più comune classe di movimenti. In questi casi si utilizza uno schema di movimento incrociato, in cui si spinge con una gamba e si tira con il braccio opposto, mantenendo un buon equilibrio. Possiamo distinguere tre categorie di movimenti fondamentali:
Frontale con piede opposto in asse
Tipico delle pareti verticali o poco strapiombanti, ben appigliate e con buoni appoggi per i piedi. Si utilizza spesso questo tipo di progressione laddove ci siano appigli orizzontali.
Laterale
Posizione che si ottiene mediante una rotazione del bacino attorno all’asse longitudinale, che ci permette di posizionarsi di fianco rispetto alla parete. Si usa spesso su pareti di qualsiasi inclinazione, quasi sempre se l’appiglio per la mano è verticale, obliquo o rovescio. Se l’appiglio da raggiungere è molto lontano, permette un maggiore allungo rispetto alla posizione frontale. Il piede carica l’appoggio utilizzando la parte