Capitolo I – Le Agenzie e le diverse tipologie di rating
1.6. Il capitale reputazionale delle agenzie di rating ed i c.d Reputational
L'assunto di partenza è che il rating incorporerebbe non solo informazioni sul merito di credito di un certo emittente o strumento finanziario, ma anche la reputazione dell'agenzia che lo ha prodotto. In altri termini, la qualità del rating dipenderebbe in misura rilevante dalla reputazione e dalla credibilità che l'agenzia
Per lungo tempo si è creduto che il capitale reputazionale fosse il bene più prezioso per le agenzie; un bene verso il cui incremento e conservazione esse avrebbero sempre naturalmente proteso. Nel meccanismo di reputazione si vedeva un presidio pienamente capace di garantire l'obiettività, l'indipendenza e l'accuratezza dei rating dal momento che la perdita di fiducia degli investitori avrebbe significato l'azzeramento del valore del prodotto che le stesse agenzie vendono sul mercato. In ragione di ciò, l'emittente destinataria di un rating elevato da parte di un'agenzia dotata di un significativo capitale reputazionale sarebbe stata in grado di collocare il proprio debito presso una platea più ampia di investitori e ad un costo relativamente più basso di quello che avrebbe dovuto sostenere ove non avesse fatto ricorso al rating:69 in tal senso, la prospettiva della perdita di tale reputazione poteva sterilizzare i potenziali conflitti d'interesse garantendo l'obiettività e l'indipendenza delle loro valutazioni.70
Tale postulato, peraltro, non può non tener conto che le agenzie di rating- impropriamente - operano come diffusore della fiducia specialmente in quelle aree in cui il regolatore, lascia dei vuoti normativi, delle aree di incertezza o di scarsa trasparenza, espletando - secondo una ricostruzione sociologica,71 - una funzione complementare a quella del regolatore. Questa funzione complementare delle agenzie rispetto al regolatore nella diffusione della fiducia nel sistema sembra
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Cfr. FERRI e LACITIGNOLA, Le agenzie di rating, cit. pag. 16.
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Così come nell'economia dell'informazione, anche in una ricostruzione sociologica dell'economia la reputazione si pone quindi come importante correttivo all'incertezza del mercato, con la differenza che mentre in ambito economico essa ha un contenuto informativo che su base razionale completa l'informazione mancante, in ambito sociologico essa ha invece un fondamento parzialmente irrazionale, consistente in una percezione in gran parte istintiva di sicurezza che il soggetto che ne è portatore è capace di infondere negli altri attori del mercato. In altri termini, il soggetto che gode di una buona reputazione opera come un diffusore di fiducia nel sistema, riuscendo a trasmettere un impulso ottimistico alle controparti con cui si relaziona. Infatti, come in macroeconomia il moltiplicatore keynesiano consiste in uno stimolo di spesa che si autoreplica col passaggio da un soggetto all'altro, aumentando esponenzialmente la quantità di reddito prodotta e la propensione al consumo di ciascun beneficiario di tale spesa, così il soggetto avente buona reputazione agisce come un moltiplicatore di fiducia, fornendo uno stimolo iniziale alla macro-fiducia sistemica, che in virtù dell'autorevolezza del soggetto dal quale proviene lo stimolo si autoreplica e si diffonde per tutto il mercato. Sui fattori alla base delle fasi di irrazionale euforia del mercato v. l'opera fondamentale di SHILLER, R. J.,Euforia Irrazionale – Analisi dei Boom di Borsa (tit. orig. Irrational Exuberance, Princeton,Princeton University Press, 2000.), Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 39 ss.
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La rilevanza intermini sociologici di questo fenomeno è sottolineata a proposito delle anche in MUTTI, A., Le inerzie della fiducia sistemica, in Rassegna Italiana di Sociologia, 2004, 3, p. 424.
convergere con i risultati delle ricostruzioni operate da studiosi del diritto che vedono nelle agenzie di rating un soggetto con funzione para-regolamentare, al quale il regolatore stesso ha delegato parte del proprio potere normativo ovvero il potere di determinare la conformità con la normativa di vari soggetti operanti sul mercato.72
Intrinsecamente collegata a tale ricostruzione è il modello anglosassone dei c.d. Reputational Intermediaries il quale identifica, la collocazione delle agenzie di rating nei mercati finanziari e che, pur avendo un carattere meta-giuridico, appare centrale per cogliere lo stesso peculiare atteggiarsi della regolamentazione giuridica rispetto a questi soggetti e al loro modo di produrre il bene “fiducia”.
I Reputational Intermediaries sono, invero, una chiara espressione della socialità del mercato, vale a dire della presenza, al suo interno, di interessi super-individuali che accomunano l’insieme dei soggetti che si rivolgono al mercato in qualità di acquirenti o di offerenti e che non possono essere soddisfatti individualmente, all’interno dei singoli rapporti di scambio.
In modo specifico gli “intermediari reputazionali” sono operatori, anch’essi privati, che rispondono alla necessità di offrire determinati beni informativi (necessari al fine di consentire la conclusione di singoli scambi) laddove sussistano fisiologiche asimmetrie informative tra offerenti e acquirenti. In quanto la funzione dell’intermediario è volta a incrementare la fiducia negli scambi, la sua attività può risolversi anche nella segnalazione dell’idoneità del prodotto allo scopo che l’acquirente intende realizzare, al di là della concreta trasmissione delle informazioni: i meccanismi fiduciari operano, in tal senso, nel presupposto che un controllo sia stato effettivamente svolto e che quelle informazioni siano disponibili, anche se non sono concretamente trasmesse. Ne consegue che, gran parte delle certificazioni di mercato risultino articolate secondo questo meccanismo, nell’intento di offrire ai consumatori degli orientamenti segnaletici che presuppongono un’attività di verifica a prescindere dal concreto corredo informativo che le certificazioni sono in grado di trasmettere.
La specializzazione richiesta nel fornire simili informazioni crea i presupposti perché sia il mercato stesso a selezionare, mediante il meccanismo degli scambi ripetuti, gli operatori maggiormente in grado di offrire tali valutazioni, operatori che quindi fondano la propria legittimazione sulla capacità di rispondere alle esigenze del mercato e su quella di saper mantenere e migliorare simili caratteristiche nel tempo.
Il tema delle agenzie di rating è stato a lungo trascurato dalla dottrina, con la conseguenza che la vecchia e, come abbiamo visto, ormai insostenibile, “teoria reputazionale” è rimasta in piedi ben oltre la comparsa del saggio di Portnoy. La circostanza consente in parte di spiegare l’atteggiamento delle corti americane che hanno continuato - fino ad oggi - a rigettare i ricorsi promossi contro i rating emessi dalle agenzie giustificando l’attività delle stesse come opinioni protette dal I Emendamento.
L’argomento, se può reggere sulla base della teoria “reputazionale”, nata, tuttavia, in un contesto temporale diverso e cioè quando le agenzie costituivano il braccio operativo della stampa finanziaria, perde oggi ogni consistenza dopo che la legislazione ha investito le agenzie di rating di ulteriori poteri che verranno esaminati di seguito.73
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E’ vero, peraltro, che l’interpretazione del I Emendamento da parte della Corte Suprema è servito anche in altre fattispecie a coprire col sacro mantello della libertà di espressione forme di straordinario condizionamento dell’esercizio del potere da parte dei privati. Si pensi, al riguardo, al filone giurisprudenziale, che da Buckley v. Valeo (1976) a Citizens United v. Federal Electoral Commission (2010) giustifica il finanziamento virtualmente illimitato delle campagne elettorali da parte delle grandi corporations con la tesi che “Money is Speech”. Mentre in questi casi la giurisprudenza è stata notevolmente contestata, la configurazione dei rating come “opinioni” è rimasta indenne da critiche per parecchio tempo, giovandosi della disattenzione dei giuristi e dell’opinione pubblica qualificata.