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2.1 TRATTAMENTO

Le pratiche terapeutiche per la cura della GBS comprendono: metodi specifici mirati a migliorare lo stato di paralisi del paziente, misure atte a far fronte a complicazioni che si presentano soprattutto nella fase acuta della sindrome e terapie generali di supporto per controllare le complicanze comuni a qualsiasi paziente affetto da paralisi.

La cura iniziale viene offerta in un’unità di rianimazione (OCU) per poter trattare velocemente potenziali complicazioni qualora si presentassero. Negli stadi iniziali della malattia i trattamenti sono diretti a prevenire le complicazioni inerenti alla paralisi. Se i muscoli della respirazione diventano troppo deboli, viene usata una macchina per la respirazione.

Grande importanza è data al trattamento dell'insufficienza respiratoria dovuta alla paralisi del diaframma, il muscolo più importante per la respirazione. L'intubazione è spesso necessaria, soprattutto nella fase acuta della patologia.

I pazienti che vanno incontro ad insufficienza respiratoria necessitano in molti casi di una tracheotomia e di essere sottoposti a ventilazione meccanica; in altri casi possono essere trattati con il respiratore a pressione positiva (PAP, Positive airway pressure). Per garantire un supporto costante delle funzioni vitali, è necessario il monitoraggio e il controllo della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna.

L'apporto di liquidi dovrà essere sufficiente per mantenere un volume urinario di almeno 1-1,5 l/die. In pazienti non deambulanti è importante applicare la profilassi della trombosi venosa profonda con eparina e l’utilizzo di calze comprimenti.

La stanchezza persistente è un problema frequente nella fase cronica, forse derivante dalla perdita assonale. Gli arti devono essere protetti contro i traumi o le compressioni

prime terapie fisiche; deve essere evitata l'immobilizzazione che può causare anchilosi. Si dovranno praticare subito movimenti passivi ampi delle articolazioni e, non appena le condizioni cliniche lo permettano, anche gli esercizi attivi.

Il successivo trattamento consiste nel limitare l'attacco delle proprie difese immunitarie sul sistema nervoso, mediante plasmaferesi, filtrando gli anticorpi dal flusso sanguigno o somministrando immunoglobuline per via endovenosa (IVIG), al fine di neutralizzare gli anticorpi nocivi e la malattia che causa l'infiammazione. Questi due trattamenti sono ugualmente efficaci e una combinazione dei due non è significativamente migliore della scelta di uno soltanto. [35]

Il trattamento inizia generalmente subito dopo la diagnosi.

Dopo la fase acuta, il trattamento consiste nella riabilitazione con l'aiuto di un team multidisciplinare che si concentra sul miglioramento delle attività della vita quotidiana (ADL). I terapisti occupazionali possono offrire attrezzature (ad esempio: sedie a rotelle e posate speciali) per aiutare il paziente a raggiungere l'indipendenza. I fisioterapisti possono aiutare a correggere il movimento funzionale, evitando compensazioni nocive che potrebbero avere un effetto negativo a lungo termine. Vi sono anche alcune prove a sostegno della fisioterapia per aiutare i pazienti con sindrome di Guillain-Barré nel recupero della forza, resistenza e della qualità del passo. [36] I logopedisti possono essere di aiuto nella fase di recupero della capacità di parlare e deglutire, specialmente se il paziente è stato sottoposto in precedenza ad intubazione e/o tracheotomia.

A mano a mano che la forza muscolare ritorna, gli sforzi sono diretti a fa sì che l’ammalato ritorni al suo stile di vita precedente. La cura per l’ammalato consiste nella collaborazione tra neurologi, fisiatri, internisti, medici di famiglia, fisioterapisti, terapisti occupazionali, assistenti sociali, infermieri, psicologi o psichiatri. Il supporto psicologico di familiari ed amici e l’informazione a riguardo di questa rara condizione

può aiutare l’ammalato ad affrontare questa malattia frustrante, disabilitante e

potenzialmente catastrofica. Sono stati utilizzati alcuni metodi per diminuire la durata della paralisi. Comprendono

l’attuazione della plasmaferesi, la somministrazione di immunoglobuline e di corticosteroidi.

2.1.1 PLASMAFERESI

La Plasmaferesi (o ricambio del plasma) è una tecnica che permette di separare la componente liquida del sangue (plasma) da quella corpuscolata (globuli rossi, globuli bianchi e trombociti); il tutto grazie all'ausilio di un separatore meccanico automatizzato, che suddivide le due componenti tramite centrifugazione.

Il termine plasmaferesi deriva dal greco plasma (qualcosa di modellato) e aphairesis (prendere via). La procedura è stata impiegata per la prima volta negli anni ’50 nel trattamento di una macroglobulinemia di Waldenstrom. [37] Da allora l’efficacia della plasmaferesi è stata documentata in numerose malattie del sistema nervoso e dell’apparato respiratorio e in malattie vascolari, dei reni e dell’apparato emopoietico. Il volume di plasma da rimuovere dovrebbe essere determinato in base alla stima del volume plasmatico (VP) del paziente. Il metodo più comune per determinare il VP è la formula che considera il peso corporeo (PC) e l’ematocrito (Hmt): [38]

Fig. n.12: Schema illustrativo del processo di lavaggio selettivo del sangue (plasmaferesi).

Durante la plasmaferesi il sangue è inizialmente prelevato dal corpo utilizzando aghi di maggiore dimensione inseriti nelle vene degli arti, solitamente le braccia, oppure con un catetere inserito in una grande vena del collo (vena giugulare interna), nel torace (vena succlavia o ascellare), o nell’inguine (vena femorale).

Se è usato un catetere, deve essere inserito in anticipo in anestesia locale o con leggera sedazione. Il catetere di Hickman è il più comune negli USA ad essere utilizzato per questo scopo.

La plasmaferesi deve essere intrapresa rapidamente e viene generalmente effettuata secondo uno schema terapeutico che comprende lo scambio di 200-250 ml di plasma per kg di peso corporeo per ogni sessione, per un totale di 5-6 sessioni durante un periodo di 7-14 giorni.

Durante la procedura di plasmaferesi vengono utilizzati farmaci anticoagulanti per prevenire la coagulazione del sangue fuori dal corpo. Il plasma è separato dagli altri componenti del sangue attraverso uno di questi 3 metodi:

 Centrifugazione a flusso continuo: sono usate due linee venose. Questo metodo in ogni momento richiede una più ridotta quantità di sangue fuori dal corpo, rispetto al flusso discontinuo di centrifugazione. Questo è il metodo più usato attualmente.

 Centrifugazione a flusso discontinuo: è utilizzata una sola linea venosa. Usualmente a sessione una quantità di circa 300 ml di sangue viene rimossa e centrifugata per separare il plasma dalle cellule del sangue.

 Filtrazione del plasma: sono usate due linee venose. Il plasma è filtrato usando l’apparecchiatura standard per emodialisi.

Una volta che il plasma è stato rimosso, il sangue rimanente viene reinfuso nel paziente diluendolo con un sostituto del plasma come l’albumina o un composto di albumina e soluzione salina. [39]

L’anticoagulante comunemente usato nella plasmaferesi è il citrato che ha la tendenza a legarsi al calcio nel sangue, causando bassi livelli di calcio che possono essere pericolosi. Come prevenzione il calcio deve essere somministrato endovena o per bocca durante la procedura. Un’altra complicazione possibile durante il trattamento è l’abbassamento della pressione del sangue. I pazienti possono accusare vertigini, giramenti di testa, svenimenti.

Normalmente il trattamento dura circa 3 – 4 ore.

I risultati di uno studio multicentrico degli effetti della plasmaferesi su pazienti con grave GBS, pubblicati nel 1985, indicano che in genere quelli che ricevono plasmaferesi nella fase acuta, presentano un decorso migliore rispetto ai pazienti che non hanno

usufruito di tale terapia. Di conseguenza, la plasmaferesi sembra essere un metodo promettente per la terapia

Nello studio multicentrico effettuato non sono stati indicati gli effetti della plasmaferesi iniziata dopo il primo mese di malattia.

Nonostante le limitazioni suddescritte nell’uso della plasmaferesi, i dati attualmente disponibili, suggeriscono che questa modalità terapeutica dovrebbe essere presa in considerazione dall’ inizio della malattia, subito dopo la diagnosi della GBS, soprattutto in quei pazienti che presentano una forma grave di GBS o che vanno incontro ad un repentino peggioramento.

Le indicazioni alla plasmaferesi sono state definite e periodicamente ristabilite da 2 associazioni scientifiche americane: la American Association of Blood Banks (AABB) e la American Society of Apheresis (ASA), sulla base delle evidenze di efficacia del trattamento in specifiche malattie. Le Linee Guida fanno riferimento a 4 categorie di indicazioni:

1. Condizioni in cui la PE è considerata una terapia standard, accettata come trattamento di prima linea;

2. Condizioni in cui la PE è generalmente accettata come trattamento integrativo della terapia principale;

3. Condizioni in cui non ci sono sufficienti evidenze per sostenere i benefici della plasmaferesi e questa dovrebbe, quindi, essere considerata solo quando la terapia tradizionale ha fallito;

4. Condizioni in cui è documentata una mancanza di efficacia della PE.

La plasmaferesi è stata il primo trattamento per le forme gravi di GBS a dimostrarsi superiore in efficacia alla sola terapia di supporto. La logica alla base dell’uso della plasmaferesi nella GBS è quella di rimuovere gli immunocomplessi dannosi, tuttavia essa è probabilmente anche in grado di agire direttamente sul sistema immunitario attivando il complemento, influenzando i componenti cellulari e persino rimuovendo gli

auto-anticorpi legati ai tessuti. Nonostante la sua efficacia, l’utilizzo della plasmaferesi nella GBS presenta notevoli problemi, poiché necessita di personale qualificato, attrezzatura specialistica e accessi venosi adeguati, potenzialmente difficili da reperire soprattutto nei bambini. Inoltre, la plasmaferesi è associata a una frequenza non indifferente di effetti collaterali e complicanze, che possono mettere in pericolo la vita del paziente e incidono anche sulla valutazione costo-beneficio.

Nello studio di Tsai et al., la valutazione farmaco-economica del trattamento con plasmaferesi paragonato a quello con immunoglobuline ha mostrato che il costo complessivo per paziente risulta minore nel caso di terapia con immunoglobuline. Da notare che il costo delle immunoglobuline stesse, seppur non indifferente, viene significativamente superato nei pazienti trattati con plasmaferesi dai costi aggiuntivi legati alle complicanze e a una maggiore durata dell’ospedalizzazione.

2.1.2 IMMUNOGLOBULINE

Un'altra opzione terapica efficace consiste nella somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa, utile per neutralizzare gli anticorpi: l'utilità terapeutica di questa terapia è sovrapponibile a quella della plasmaferesi.

Le IgG devono essere somministrate al paziente affetto dalla sindrome di Guillain-Barré nel più breve tempo possibile dalla manifestazione dei primi sintomi: l'efficacia del trattamento è garantita quando il paziente viene sottoposto alla terapia entro 14 gg dall'esordio della malattia.

Le immunoglobuline sono proteine globulari coinvolte nella risposta immunitaria, cioè nella lotta contro microrganismi considerati estranei (detti antigeni). Le immunoglobuline sono talvolta chiamate gamma-globuline per via della loro particolare conformazione a Y.

Nel 1988-89 alcuni ricercatori hanno registrato effetti benefici nell’uso di alte dosi di immunoglobuline per via endovenosa nel trattamento di un esiguo numero di pazienti gravemente affetti dalla GBS.

Nel 1992 alcuni ricercatori olandesi hanno riportato i primi risultati di un largo studio indicando che l’immunoterapia intravenosa sembra avere un’efficacia paragonabile a quella della plasmaferesi in pazienti affetti da GBS.

La dose usata era di 0,4 g di immunoglobuline per kg di peso corporeo al giorno per 5 giorni. Se dopo una settimana l’ammalato aveva mostrato un secondo peggioramento (notato nel 10-20% dei pazienti), si ripeteva lo stesso regime di immunoglobuline per altri 5 giorni.

Attualmente la dose utilizzata è di 2 g/kg di peso corporeo, somministrata secondo diversi schemi terapeutici: 0,4 g/kg/die per 5 giorni o la dose totale di 2 g/kg distribuita su 2 giorni consecutivi. A questi dosaggi, gli effetti collaterali sono generalmente lievi e autolimitanti, e comprendono cefalea, brividi, mialgia, dolore lombare. Gli effetti collaterali gravi sono rari e compaiono principalmente in pazienti con patologie sistemiche preesistenti.

Le immunoglobuline vengono secrete dai linfociti B maturi, che le ospitano nella propria membrana cellulare (più di 100.000 per ogni linfocita B). A questo livello agiscono come recettori specifici di membrana che al contatto con l'antigene attivano il linfocita; una parte dei linfociti attivati viene stimolata a riprodursi, differenziandosi in plasmacellule capaci di sintetizzare e secernere un numero impressionante di nuovi anticorpi (fino a 2.000 immunoglobuline al secondo).

Gli anticorpi liberati dalle plasmacellule, solubili nel plasma, non distruggono direttamente l'ospite estraneo, ma si legano ad esso per renderlo maggiormente visibile e suscettibile all'azione degli altri attori del sistema immunitario (fagociti e cellule citotossiche).

Quando un antigene aggredisce l'organismo per la prima volta, le immunoglobuline impiegano un po' di tempo per accorgersi della sua pericolosità.

Tuttavia, dopo che l'estraneo è stato debellato, nel circolo sanguigno rimangono delle cellule - cosiddette "di memoria" - che conservano la capacità di riconoscere prontamente l'antigene nel caso si ripresentasse, producendo una risposta più rapida e forte.

Attualmente le immunoglobuline vengono suddivise in quattro classi generali: IgA, IgD, IgE, IgG e IgM.

 Immunoglobuline A

Le immunoglobuline A (IgA) sono un gruppo di anticorpi presenti soprattutto nelle secrezioni esterne, come saliva, lacrime, secrezioni genitourinarie, muco intestinale e bronchiale, colostro e latte materno. Rappresentano un importante mezzo di difesa contro le infezioni locali, impedendo la colonizzazione da parte dei patogeni.

 Immunoglobuline E

Le immunoglobuline E (IgE) sono associate alle reazioni allergiche; il loro legame con i recettori dei mastociti provoca infatti la massiccia liberazione di mediatori dell'infiammazione, prima tra tutti l'istamina. Le immunoglobuline E sono estremamente importanti anche nella protezione contro le infestazioni parassitarie.

 Immunoglobuline G

Le immunoglobuline G (IgG) rappresentano circa il 75% degli anticorpi plasmatici dell'adulto e costituiscono il fulcro delle risposte immunitarie secondarie (quelle che intervengono nei casi in cui vi sia già stato un precedente incontro con l'antigene). Hanno un'azione difensiva di particolare efficacia: possono neutralizzare diverse tossine, impediscono ai virus di colonizzare le cellule e facilitano la fagocitosi batterica. Durante la gravidanza, la madre trasmette al feto le proprie IgG attraverso la membrana placentare, conferendo al neonato una certa immunità durante i primi 3-4 mesi di vita.

 Immunoglobuline M

Le immunoglobuline M (IgM) sono anticorpi attivi contro gli antigeni dei gruppi sanguigni e sono associati alla risposta immunitaria primaria (esposizione iniziale all'organismo estraneo); hanno quindi una bassa affinità e intervengono per prime al contatto con un nuovo organismo estraneo. I linfociti B maturi, che non sono mai stati esposti ad un antigene, sono conosciuti come "linfociti naive" e sulla propria superficie cellulare esprimono solamente l'isoforma IgM.

Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia terapeutica delle IVIG nelle forme gravi di GBS, inclusi studi randomizzati controllati che hanno confrontato l’efficacia, la frequenza di recidiva e gli eventi avversi delle IVIG rispetto alla plasmaferesi. L’efficacia delle immunoglobuline è risultata comparabile a quella della plasmaferesi e questo dato, associato a una maggiore facilità d’uso e alla minore incidenza di effetti

collaterali, rende attualmente il trattamento con IVIG la terapia di prima scelta nella GBS.

I risultati di GBS sono migliorati con lo scambio plasmatico o IVIG, ma molti pazienti rimangono sostanzialmente disabili e soffrono di affaticamento continuo o dolore cronico e la mortalità rimane al 2-3%. [40]

La terapia immunoglobulinica presenta alcuni vantaggi intrinseci rispetto alla plasmaferesi. In particolare:

 la terapia IVIG può essere intrapresa più facilmente senza necessità di avere a disposizione una attrezzatura specializzata e personale adeguatamente abilitato;  facilità di somministrazione, per la sicurezza e perché sono disponibili in tutti gli

ospedali. [41]

L'uso di immunoglobuline per via endovenosa non è esente da rischi, infatti possono, a volte, essere causa di epatiti e in rari casi, di insufficienza renale, se somministrate per più di cinque giorni.

2.1.3 CORTICOSTEROIDI

In passato i corticosteroidi rappresentavano la terapia d’elezione nei pazienti con forme croniche di polineuropatia demielinizzante, ma la presenza degli effetti collaterali e la comparsa di una “dipendenza” dal farmaco ne fanno attualmente il farmaco di terza scelta.

I corticosteroidi sono un gruppo di ormoni, prodotti dalla corteccia delle ghiandole surrenali, appartenenti alla classe degli steroidi. Si possono far derivare tutti da successive degradazioni della catena laterale del colesterolo.

Fig. n.14: Colesterolo.

I dosaggi da utilizzare per il prednisone sono inizialmente di 80 mg/die, con una successiva riduzione al più basso dosaggio efficace nei mesi successivi. Nei casi in cui il prednisone risulti inefficace, alcuni autori raccomandano un ciclo con azatioprina al dosaggio di 3 mg/kg/die in unica somministrazione per un periodo di almeno tre mesi, [42] ma i risultati di questo trattamento sono stati deludenti.

Studi che hanno utilizzato il prednisolone a dosaggi convenzionali ed il metilprednisolone ad alte dosi non sono riusciti a dimostrare alcun effetto benefico e di conseguenza la terapia steroidea non viene più utilizzata nella GBS. [43]

La loro efficacia è ancora discutibile.

Un ampio studio condotto in Inghilterra parecchi anni fa ha suggerito che i corticosteroidi non sono particolarmente utili, anche se attualmente altri studi sono in corso per valutare gli effetti di tali sostanze soprattutto ad alte dosi nel trattamento della GBS.

I corticosteroidi, in genere, manifestano reazioni di intolleranza che possono talora portare ad aritmie (disturbi del ritmo della frequenza cardiaca) e, occasionalmente, anche un aumento sostanziale della pressione arteriosa, nei pazienti che già soffrono di ipertensione.

Possono, inoltre, insorgere stati di agitazione, ansia ed insonnia. Rari, ma descritti, sono episodi di crisi epilettiche.

La comparsa di necrosi ossea, sebbene spesso conseguenza delle alte dosi, ma estremamente rara.

Infine, gli steroidi hanno un effetto leggermente euforizzante: i pazienti riferiscono, in genere, di sentirsi meglio dopo l’assunzione di steroidi e pertanto ne richiedono spesso la somministrazione. Questo atteggiamento non è consigliabile, per la frequenza degli effetti collaterali sopra citati. [44]

2.2 COMPLICANZE

Quando si posticipa la terapia, i sintomi della sindrome di Guillain-Barré possono accentuarsi ed il quadro clinico del paziente può precipitare. Le più comuni complicanze sono:

 aritmia cardiaca;

 disturbi psichiatrici: ansia, depressione;  ileo (occlusione intestinale);

 insufficienza respiratoria (richiede la ventilazione meccanica);  ipotensione/ipertensione grave;

 paralisi permanente: nelle forme iperacute della sindrome di Guillain-Barré, la paralisi totale insorge in 24 ore;

 ritenzione urinaria grave;  tromboembolia;

 trombosi venosa profonda.

Con le moderne strategie terapiche (terapia intensiva di supporto) la prognosi è eccellente nella maggior parte dei pazienti. La morte può sopraggiungere anche dopo una grave alterazione del SNC, oppure può essere il risultato delle complicanze

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