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Caratteristiche di produzione e del terroir del vino Amarone

L’Amarone è un vino pregiato, che trabocca di aromi e sensazioni.

Il suo colore è un rosso rubino vellutato ed intenso. All’olfatto ci appare morbido e caldo, con fragranze attraenti e in evoluzione che si ritrovano poi in bocca e che possono ricordare le amarene, le prugne mature, le confetture, i lamponi, le viole, le ciliegie appassite e la frutta sotto spirito, con affascinanti sentori di uva passa misti ad uno speziato che ricorda la cannella.

E’ un vino secco, che grazie al suo abbondante estratto e per il suo alto grado alcolico, avvolge il palato con una gradevole sensazione amabile. La ricchezza del fruttato compensa ed addolcisce i suoi tannini morbidi e continua persistente fino ad un finale pieno di sensazioni.

Guardando indietro nella storia già i romani bevevano un antenato dell’Amarone. Probabilmente avevano bisogno di un vino che avesse un alto grado alcolico, in modo tale da sopportare le difficoltà dei trasporti e che fosse anche ricco di sapori e zuccheri, per poterlo poi abbinare senza problemi al loro modo di cucinare, una cucina che privilegiava cibi speziati e piccanti. Da questo deduciamo che ci voleva un vino decisamente robusto per abbinarsi al garum, tipica pietanza fatta con interiora di pesce, che oggi ci potrebbe apparire disgustosa, ma che all’epoca era uno dei condimenti più diffusi.

Infatti i vini prodotti con uve fresche non potevano arrivare all’alta gradazione alcolica di quelli fatti con uve semi-appassite. Per esempio i Romani nelle loro colonie nel sud Italia, lasciavano le uve essiccare sulla vite. Quando poi si spostarono verso nord, il clima

problema raccogliendo i grappoli e mettendoli al riparo nei solai.

Questi grappoli venivano spesso intrecciati ed appesi al soffitto: più tardi, nella Valpolicella, vennero messi ad appassire sui graticci.

I Romani, quindi coltivavano i loro vigneti e i loro frutteti nelle zone collinose che oggi sono chiamate Valpolicella Classica, Valpantena, valle di Mezzane e Val d’Illasi, e l’intera area vinicola non superava con probabilità i 500 ettari.

I vini del Veronese, erano particolarmente apprezzati da Cesare Augusto, venivano trasportati a Verona in grosse anfore lungo il fiume Adige e da qui al porto di Aquileia, a quei tempi uno dei maggiori centri di distribuzione. Queste anfore venivano spesso cosparse all’interno, di una pasta di mandorle o di altre sostanze aromatiche, in particolare la resina che, oltre a conservare il vino, rendevano i suoi profumi più intensi.

Alcuni studiosi ritengono che anche all’epoca i vini secchi venissero lavorati con uve semi-appasite. Se ciò fosse vero, essi venivano probabilmente usati in campo in campo farmacologico, mentre i vini “dolci” rimanevano la bevanda prediletta e maggiormente prodotta.

Oggi, questo vino dolce e tuttavia ben equilibrato e di corpo, prodotto nella Valpolicella con uve semi-appasite, viene chiamato Recioto. Mentre la versione secca e chiamata invece Amarone.

Dunque le origini di questo grande vino non sono ancora chiare, ma la lunga ed affascinante storia della Valpolicella ci riporta la creazione di un vino passito di tipo secco.

La Valpolicella si può definire il posto ideale per il buon vino, il prodotto che da sempre rappresenta questo territorio. Tanto che, secondo alcuni storici dell’ambiente, il nome stesso della zona vuol dire Valli dalle molte cantine, facendolo derivare dal Vallis-polis-cellae.

Fig. 1 -La Valpolicella (fonte: www.google/immagni.it)

Infatti reperti di vite, sotto forma di antichi vinaccioli, sono state trovati in insediamenti di palafitte posti sulle rive del Garda, risalenti all’età del bronzo. Vini di chiara impronta veronese ( vino Retico, ovvero della Retia, regione compresa allora tra Bergamo e Verona) appaiono sulle mense dei Romani, che iniziano a far appassire le uve proprio approfittando del ventilato clima locale.

Ne viene fuori un vino chiamato Acinaticum, che sembra essere l’antenato di quelli che si sarebbero prodotti, per appassimento, molti secoli dopo, ovvero il Recioto e l’Amarone. Una similitudine niente affatto campata per aria. Lo storico latino Cassiodoro ne dà una descrizione che è quasi una poesia: “ L’uva scelta d’autunno nelle vigne viene appesa capovolta e si conserva nei suoi recipienti naturali. Si appassisce , non corrompe per la vecchiaia e, trasudando gli insipidi umori, si addolcisce con grande soavità. Si conserva fino al mese di dicembre, finché la stagione invernale completa l’essiccazione, e in modo mirabile in cantina si ha un vino nuovo, mentre in tutte le altre si incontra un vino vecchio”.

Vini ancor più pregiati sbocciano nel Medioevo, quando le viti cominciano ad essere legate ad alberi e pali per favorire la coltivazione.

Vini da convento, ovvero da messa, da osteria, da scambio tra le

commerciale e sociale. Si cominciarono a dettare regole, statuti, leggi su misura per il vino e i suoi addetti. Ci si preoccupava gia dei fondi cantina, perciò era vietato conservarlo dopo la vendemmia.

Tra le corporazioni di arti e mestieri del Veronese, in alta considerazione erano tenute quelle degli hosterii , i locandieri, dei tabernarii, gli osti, dei torcolotti. Questi ultimi erano i portatori di vino, i quali chissà come mai svolgevano il compito di “protezione civile”, cioè avevano l’obbligo di spegnere gli incendi, probabilmente per proteggere anche le vigne, spesso al limitare dei boschi. In fondo erano quelli che giravano di più tra le campagne e dunque per primi avvistavano i pericoli. Ma sono solo deduzioni.

Fig. 2 - Vigneto nelle Valpolicella. (fonte:www.google/immagini.it)

Nel Rinascimento il vino diventa un bene ancor più importante, uva e tralci sono protagonisti delle arti figurative e della medicina. Per la quale, forse un po’ sbrigativamente ma con una certa

preveggenza sugli effetti salutari del vino, niente di meglio c’era per guarire o ritemprarsi di un buon bicchiere di rosso “ provenienti dai piccoli racemi dell’uva Retica”.

Approfondiamo quindi, con un ulteriore richiamo le caratteristiche dei grappoli della produzione locale.

Nell’800 si comincia a parlare di vino Recioto, ottenuto dopo che le uve sono state fatte appassire.

L’origine del nome pare derivi dal termini dialettale recia, orecchia, che è la parte alata, alta del grappolo. Molti contadini la preferivano al resto del grappolo perché era la parte che maturava prima, più ricca di zuccheri.

Alcuni sostengono però nell’origine del nome sia coinvolto in qualche modo il termine antico di retico, poi nel tempo adattato.

Fig. 3 -Uve Negrara e Rondinella.(Fonte www.google/immagini.it)

Altri ancora, e sembrano godere in questi ultimi anni della maggiore credibilità, dicono che la parola derivi dal latino racemus, grappolo.

In molte ordinanze pubbliche del XIII e XIV secolo con il termine recis, venivano indicati proprio i grappoli staccati e appesi.

Era comunque un vino dolce, per la presenza di zucchero non fermentato nel vino, ottenuto dopo un appassimento dei grappoli, raccolti ad ottobre ed esposti nei fruttai, all’aria delle valli (o sistemati in moderni essiccatoi a temperatura e ventilazione controllata) per almeno 120 giorni, prima di essere pigiati. Grappoli di uve locali, in prevalenza corvina, rondinella e molinara.

Fig. 4 -Uva molinara (fonte: www.google/immagini.it)

Possibile l’aggiunta, in percentuali ridotte, di altre uve del posto, come rossignola e negrara, e di altri vitigni di origini italiche ma ben adattati ai luoghi, come barbera e sangiovese, che però sono oggi quasi del tutto inutilizzati.

Fig. 5 - uve rossignola, barbera e sangiovese.(fonte: www.google/immagini.it)

Il Recioto è stato a lungo, e rimane ancora, un vino caratteristico del territorio.

Poi qualcuno, non si sa per sperimentare qualcosa o per errore, se per dimenticanza o curiosità, ha lasciato proseguire la fermentazione degli zuccheri del Recioto. Questi si sono trasformati tutti in alcol e hanno fatto perdere al vino la dolcezza, dando vita ad un vino secco, al quale, per contrapposizione a quello che avrebbe dovuto essere, è stato dato il nome di Amarone.

Un vino che venne messo ufficialmente in vendita intorno al 1953.

La sua nascita è ufficialmente decretata dalla presenza sul mercato del “ Recioto Amarone Riserva del Nonno, annata 1950 “, prodotta da Bolla (fig.7). Anche se la Cantina Sociale della Valpolicella documenta la commercializzazione di fiaschi di vino chiamato Amarone già nel 1938.

Fig. 6 -Recioto Amarone Riserva del Nonno, 1950. (Fonte: www.bolla.com)

Forse l’intuizione di qualcuno che con due decenni d’anticipo aveva capito le potenzialità di questo vino assolutamente nuovo rispetto alla storia enologica antichissima della zona. Fatta la

scoperta, non è che l’Amarone fu subito perfetto. Anzi, a volte veniva fuori per combinazione, per fortuna, ancora dolce ma con un sapore finale di mandorla, magari risultato di una partita di Recioto in cui la fermentazione era sfuggita al controllo del produttore.

Tanto da essere chiamati Recioto scapà, scappati appunto. Nel 1946, per esempio , la cantina Giacomo Montresor mise in vendita un Recioto Rustego, un rosso amaro, molto vicino all’attuale Amarone. Presso la Cantina Sociale di Negrar è conservata una bottiglia etichettata Amarone e datata ancora prima, 1940.

Sempre a Negrar, nella cantina di villa Mosconi, dei Bertani, sembra aver avuto il suo battesimo il nome Amarone. Era il 1936.

Fig. 7 -Villa Mosconi (fonte: www.google.immagini.it)

Quando, appunto a partire dal 1953, venne imbottigliato e distribuito con una certa regolarità, l’Amarone vero quello fatto per scelta e non per fortuna, non più sottoprodotto ma vino autonomo, ottenne subito un grande successo.

Anche presso un pubblico di appassionati, un pubblico contenuto, come era , e rimane, la produzione di questo vino, che copre il 10%

di tutta la produzione dei vini del territorio,dominati dal Valpolicella e dal Valpolicella Superiore , rossi giovani e profumati, spesso da bere subito, freschi e gustosi.

Fig. 8 - Produzione viticola della Valpolicella. (Fonte: www.google/immagini.it)

Anche se derivano dalle stesse uve del Recioto e dell’Amarone, sono più facili da fare ( non c’è un determinante appassimento di mezzo ), da commercializzare e da bere.

Non se ne produce molto, per essere uno dei campioni rossi che ci rappresentano in tutto il mondo: circa 3 milioni 100mila bottiglie nel 1999, comunque il doppio rispetto a dieci anni prima. E tutti i produttori sia grandi che piccoli hanno raggiunto un ottimo livello di qualità di produzione.

Facendo quindi un’analisi di libri e guide specializzate che arricchiscono le informazioni sul territorio e sul vino, e facendo poi una statica sintetica, scopriamo che moltissime aziende hanno una storia davvero lunga e interessante alle spalle, con una partecipazione alle vicende dell’Amarone fin dal debutto di questo vino.

L’Amarone, insomma, è un vino che ha acquisito prestigio da tempi relativamente recenti, rispetto ad altri suoi compagni di grandi

avventure come Barolo, Barbaresco, Brunello di Montalcino e Chianti. Ma è lavorato da produttori di grande capacità ed esperienza.

Cioè quello che serve per portare al giusto appassimento le uve destinate a questo prezioso vino. Appassimento fondamentale, tanto che qualcuno ha definito questa fase una seconda vendemmia. E’

capitato che i frutti selezionati di raccolte eccezionali, capaci di dare un grande rosso Valpolicella, siano poi stati rovinati da un appassimento non corretto, non in grado cioè di offrire Recioto e Amarone all’altezza.

Fig. 9 - cassette di legno. (fonte: www.google/immagini.it)

Le uve, sane e perfettamente maturate non solo sulla buccia ma anche internamente, sono selezionate già al momento della raccolta, nelle prime due settimane di ottobre, scegliendo i grappoli spargoli, con gli acini non troppo vicini tra loro, in modo che lascino circolare l’aria.

Queste piccole pepite sono distribuite sui plateaux, ampie cassette di legno, sempre più spesso sostituite da plastica traforata, per l’aerazione e per garantire una più rapida lavabilità dopo l’uso. I plateaux sono messi, impilati, nei fruttai, locali areati in genere sopra le abitazioni e la cantine.

Fig. 10 -fruttai.(fonte: www.google/immagini.it)

Posizione utile per chi deve girare e controllare periodicamente le uve e poi lavorarle in fretta, al momento giusto. I fruttai devono essere sistemati in posizioni in cui sia consentita una costante aerazione, controllata da finestre opportunamente predisposte, dove la temperatura possa cambiare con gradualità e dove non ci siano ristagni di umidità.

Fig. 11 - fruttai ben areati. (fonte: www.google/immagini.it)

Per questo certe cantine storiche sono costruite su dossi e fianchi di colli in posizioni a volte improbabili, al di fuori delle regole di praticità spicciola. Sarebbe stato più facile probabilmente costruirle su un tratto pianeggiante, ma sicuramente non sarebbe giunta la brezza giusta per la stagionatura delle uve; è dunque la posizione del fruttaio a decidere la collocazione dell’intero edificio.

Per far fronte ad un appassimento corretto, per tenere sotto controllo temperatura, aerazione, umidità, che non sono costanti ma variano man mano che all’esterno il clima cambia per via dell’inverno che si avvicina, molti produttori hanno ritenuto opportuno termocondizionare i loro fruttai.

Tutte le fasi, insomma, sono tenute sotto controllo da apparecchiature, soprattutto per evitare attacchi di muffe e inizi di marciume, e in sostanza per modificare eventuali condizioni e di riportare il processo di appassimento sulla retta via. C’è anche chi ha in progetto la costruzione di un grande fruttaio superautomizzato da condividere con diversi produttori. L’appassimento dura circa 120 giorni, ma anche qualcuno di più, secondo la percentuale d’acqua contenuta in origine nelle uve.

E’ l’acqua infatti a sparire dagli acini per via dell’appassimento, lasciando quasi intatti gli zuccheri .

La più evidente conseguenza visibile di questa fase, oltre all’avvizzimento degli acini, è la perdita di peso dei grappoli, che varia secondo il tipo di uva: dal 35% al 45% cala corvina, dal 30%

al 40% la molinara, dal 27% al 40% la rondinella.

A fine gennaio, inizi di febbraio, l’uva viene pigiata e la macerazione delle bucce è lunga. Lenta,lentissima anche la fermentazione a bassa temperatura, per 30/50 giorni.

Questo serve a fare in modo che gli zuccheri, per effetto dei lieviti, si trasformino in alcol. Se il vino finale mantiene una presenza di zuccheri inferiore a 4 grammi per litro, potrà definirsi Amarone. Se la quantità è superiore a 4, si ottiene invece il Recioto. La gradazione alcolica dell’Amarone deve raggiungere i 14°.

Dalla vinificazione all’imbottigliamento devono passare almeno due anni, periodo che il vino trascorre in botti grandi o nelle barrique.

Il contatto del vino con il legno cambia la sua struttura chimica e di conseguenza, i suoi aromi ed i suoi sapori. Questi cambiamenti sono il risultato di un processo lento e continuo e di ossigenazione

antociani (ovvero le sostanze coloranti del vino) si condensano ed i tannini vengono estratti dal legno.

L’ossigenazione attraverso la botte è direttamente proporzionale alle sue dimensioni. Nella botte più piccola il rapporto tra legno e vino è più alto rispetto alla botte più grande e di conseguenza il vino riceve più ossigeno e subisce le trasformazioni chimiche più rapidamente. Le botti nuove cedono molti tannini e quindi e quindi daranno sapore e struttura più robusti al vino.

Fig. 12 - Barricaia. (Fonte: www.google.immagini.it)

Oggi molti produttori tendono a mettere il vino direttamente in queste ultime piccole botti da 225 litri preferendole alle botti più grandi. Il tutto per dare un vino corposo, alcolico, di gran sapore, dal profumo di lamponi e amarene, come quelle che crescono nei frutteti che spesso abbracciano la vigne.