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Tesi di Laurea IL MARKETING DEI VINI DI ALTA GAMMA: IL CASO DELL AMARONE DELLA VALPOLICELLA

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Academic year: 2022

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA

FACOLTÀ DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E COMMERCIO

DIPARTIMENTO DI ECONOMIE, SOCIETÀ E ISTITUZIONI

Tesi di Laurea

IL MARKETING DEI VINI DI ALTA GAMMA:

IL CASO DELL’AMARONE DELLA VALPOLICELLA

Relatore:

Ch.mo Prof. DIEGO BEGALLI

Laureando:

Antonio Mosca

Anno Accademico 2004/2005

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Ringraziamenti

Desidero ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile la stesura di questa tesi.

Voglio ringraziare in primis il Prof. Diego Begalli per la sua preziosa collaborazione.

Voglio poi esprimere la mia gratitudine ai miei genitori, Graziella e Giuseppe che hanno sempre creduto nel mio obiettivo, aiutandomi e spronandomi durante tutto il suo percorso.

Un grazie di cuore alla mia “compagna” Elisa, che mi ha sempre incoraggiato e stimato in questi anni accademici.

Infine non posso dimenticare il mio caro amico Daniele, senza il cui prezioso contributo, non avrei portato a termine questo elaborato.

Una dedica speciale la faccio a mia zia Irene e ai miei Nonni Materni, che purtroppo non sono più vicino a me.

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Indice

-Introduzione………....pag. 6 -Capitolo Primo

Strumenti del Marketing del vino ……… pag. 7 1.1 Premessa………. pag. 7

1.2 Le caratteristiche del prodotto vino……… pag. 8

1.2.1 La bottiglia……….. pag. 9

1.2.2 L’etichetta... pag. 10

1.2.2.1 Progettare il desiderio: il messaggio sulla bottiglia.. pag. 17

1.2.3 La capsula e il tappo... pag. 22

1.2.4 La marca... pag. 23

1.2.4.1 La strategia della marca... pag. 23

1.2.5 La Storia... pag. 24

1.2.5.1 I servizi... pag. 24

1.2.6 La distribuzione... pag. 25

1.2.6.1 La vendita diretta...pag. 25

1.2.6.2 La grande distribuzione... pag. 26

1.2.6.3 Il circuito HORECA...pag. 26

1.2.6.4 La vendita per corrispondenza e il commercio on- line......pag. 26

1.2.6.5 L’esportazione: il commercio internazionale... pag. 27

1.2.7 La comunicazione...pag. 27

1.2.7.1 Strategia per una buona comunicazione...pag. 28

1.2.8 Il prezzo...pag. 29

1.2.8.1 La sensibilità al prezzo... pag. 31

1.2.8.2 La presentazione di un prezzo... pag. 32

1.2.8.3 Quando la qualità si giudica dal prezzo, analisi del mercato del vino... pag. 33

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1.2.8.4 Gli ingredienti per fare un vino di successo: gli “icons wines” o vini di alta gamma... pag. 35

1.2.8.5 Prezzo al consumo e costo di produzione: il conflitto tra extra-profitto e rendita del consumatore, nel mercato

vinicolo... ...pag. 38

- Capitolo Secondo ………...pag. 41 Costruzione di un vino di alta gamma

2.1 Premessa... pag. 40

2.2 Costruzione di un marchio di alta gamma... pag. 41

2.3 Il processo d’acquisto e la fedeltà al brand... pag. 44

2.4 Il modello della costruzione del brand...pag. 46

2.5 Come nasce un brand di successo... pag. 47

2.6 Come portare la marca a divenire un’icona....pag. 50

2.7 Strategie per l’elaborazione del vino di alta gamma... pag. 54

2.7.1 Gli obiettivi di mercato: profili aromatici e gustativi in differenti momenti dell’elaborazione e della

commercializzazione... pag. 55

2.7.2 I mezzi viticoli: varietà, terroir, modo allevamento, indici di maturità polpare e pellicolare... pag. 57

2.7.3 I mezzi enologici principali: assaggio dell’uva, macerazione, estrazione, preparazione del mosto, fermentazione,

affinamento... pag. 59

2.8 Alta qualità del vino vista dal prezzo... pag. 61

2.8.1 Il segmento qualità/prezzo: la chiave per comprendere

l’industria del vino...pag. 62

Capitolo Terzo………...pag. 68 Caratteristiche di produzione e del terroir del vino Amarone

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Capitolo Quarto………...pag. 80 Interviste e statistiche del mercato

4.1 Le cantine produttrici del vino Amarone...pag. 81 4.2 Costruzione e sviluppo del questionario...pag. 83 4.3 Caratteristiche tecniche dei vini Amaroni e descrizione delle aziende analizzate. ( Appendice)...pag.92

Conclusioni………...pag.119 Bibliografia………...pag.121

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Introduzione

Questo lavoro si concentra sull’analisi dei fattori che determinano un vino di alta gamma.

L’analisi è stata sviluppata su un caso studio, unico nel suo genere, l’Amarone della Valpolicella. Prodotto da secoli, sia pure con tecniche estemporanee che lo rendevano diverso dall’attuale, l’Amarone è stato imbottigliato a fini commerciali solamente a partire dal 1953.

La vera e propria rivoluzione commerciale avvenne con l’eccezionale annata del 1990. Da questo momento in poi l’Amarone, è diventato un vino icona della produzione italiana.

E così anche le aziende hanno cambiato strategie di mercato, visto che il loro vino era diventato un prodotto di eccellenza.

Uno sforzo per rendere l’Amarone un marchio vincente e di alta classe, dove collegare una filosofia che negli anni precedenti non esisteva. Per operare in tale direzione e quindi tendere all’eccellenza spesso è necessario attivare cambiamenti guidati da una dirigenza innovativa, capace di determinare forte coesione su questi obiettivi da parte di tutta l’organizzazione.

Tutto ciò è avvenuto nella verdeggiante Valpolicella, dove i produttori credono in un vino che interpreti al massimo la propria terra, un prodotto ricco di qualità intrinseche e capace di soddisfare pienamente i gusti e le aspettative dei consumatori.

Lo scopo della mia ricerca, è stato dunque quello di analizzare tutto il percorso, che ha fatto il vino Amarone per diventare un icona del mercato vinicolo mondiale.

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Capitolo Primo

Strumenti di Marketing del vino

1.1. Premessa

Si può affermare in generale, che un cliente, all’atto di acquisto, acquista soprattutto una soddisfazione di un bisogno, sulla base di motivazioni ed apprezzamenti soggettivi.

La disponibilità del prodotto, il modo con cui viene presentato, il prezzo, il suo aspetto, la comunicazione , sono tutti elementi che il consumatore tiene in considerazione nel suo processo di decisione.

In effetti, ciò che il cliente compra non è soltanto un prodotto nel senso stretto del termine ma un mix di caratteristiche materiali ed immateriali, contenuto in servizi e condizioni di vendita, che danno origine al cosiddetto sistema di prodotto.

fig. 1 IL Vino nel marketing.

Figura 1.1 - fattori che contribuiscono a determinare il sistema di prodotto vino (fonte: Emmanuelle Rouzet- Gerard Seguin 2003)

Servizi post vendita

Altri servizi

Consegna

Vendita, Prezzo Bottiglia

Forma,colore Etichetta

Contro-etichetta Marca

Nome

Packaging Storia

VINO Caratteristiche tecniche, varietà, vinificazione, gradazione, ecc.

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Con tutta probabilità il prodotto vino si può definire semplice all’inizio, nel suo approccio concettuale, ma diviene sempre più complesso nella sua realizzazione e sofisticato attraverso le tecniche di commercializzazione e di comunicazione utilizzate per “sedurre”

il cliente finale.

Differenti interventi si realizzano lungo il percorso affinché il prodotto possa presentare la migliore attrattiva commerciale nel momento in cui incontra il consumatore.

Per il cliente, il sistema vino, è pertanto costruito da un insieme alquanto complesso di fattori che sono stati compendiati nella figura 1.

1.2 Le caratteristiche del prodotto vino

IL vino può essere definito, inizialmente, come il contenuto della bottiglia o della botte: il prodotto della fermentazione del succo d’uva, frutto di una specifica varietà, vinificato, invecchiato, con un certo grado di alcol, con degli aromi particolari, caratterizzato quindi da tutto un insieme di caratteristiche tecniche ed organolettiche. Ciò che promette al cliente deve essere percepibile al colore, al naso ed al gusto. Ogni individuo ha una percezione unica di queste caratteristiche sensoriali. Per uno stesso vino, nelle medesime condizioni di degustazione, alcuni troveranno per esempio degli aromi di frutta, altri saranno più sensibili agli aromi derivanti dal legno, ecc.

Difatti, i consumatori hanno una percezione spesso differente alla degustazione riguardo lo stesso prodotto, ed è questa percezione che serve più di ogni altro a permettere al cliente di decidere. Siamo sicuri che in nessun caso il marketing può far vendere prodotti di cattiva qualità, anche se questa nozione concerne soprattutto la qualità tecnologica.

Se la qualità del prodotto è un criterio essenziale, non è comunque sufficiente per vendere dato che deve essere percepita come tale

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leve di marketing utilizzabili da singole aziende e sistema istituzionale che verranno ora di seguito esaminate.

1.2.1 La bottiglia

L’80% dell’acquisto di un vino nella grande distribuzione è condizionato dalla bottiglia, ancor prima dell’etichetta. La bottiglia, la sua forma, il suo colore, il design, la sua composizione, riflettono immediatamente al cliente una percezione del prodotto.

Il tipo di bottiglia, originariamente faceva riferimento ad uno specifico prodotto. Per esempio la bordolese era utilizzata per i vini di bordeaux, mentre la Frascati era in uso nella zona omonima, e così di seguito. Queste bottiglie, come la bordolese, sono divenute generiche e si può trovare oggi qualsiasi tipo di vino in queste bottiglie. Ciò pone quindi un reale problema di riconoscibilità del prodotto da parte del cliente.

Nonostante la bottiglia, come tutto il packaging, abbia una primaria utilità tecnica, quella di conservare e confezionare il prodotto vino, essa è soprattutto un primo riflesso della promessa che L’azienda fa al cliente attraverso il prodotto.

Fig. 1.2 Bottiglie bordolesi Bottiglie borgognone (fonte WWW.Google/immagini.it)

L’aspetto della bottiglia riveste un’importanza capitale nella scelta del vino sullo scaffale. Ciò è tanto più evidente nella grande distribuzione ove il prodotto si vende da sé, senza che alcuno possa presentarlo o consigliarlo.

La scelta di un tipo di bottiglia da parte delle aziende vinicole si rifà, il più delle volte, alla tradizione, agli obblighi della produzione

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(utilizzo, costi) ma assai più raramente ad una concreta strategia di marketing. Tenuto conto del costo di creazione di una bottiglia originale, sempre più filiere sviluppano delle bottiglie in cui è inciso il simbolo della denominazione o il nome del vino.

Ci sono inoltre, altre caratteristiche fondamentali da prendere in considerazione nella nascita di una bottiglia. Per esempio la forma, il fondo, il peso, il colore, la qualità del vetro, l’incisione, il formato.

La scelta di una bottiglia deve seguire una riflessione di marketing orientata al posizionamento scelto ed alla clientela target.

1.2.2. L’etichetta

Esiste una regolamentazione in merito a questo elemento molto precisa. Si consiglia, al momento della creazione dell’etichetta, di far controllare la bozza prima della stampa dagli uffici dell’ICRF (Ispettorato Centrale della Repressione Frodi). Un’etichetta è soprattutto uno strumento di comunicazione e deve essere trattata come tale. Le linee, i colori, il carattere tipografico presenti sull’etichetta vengono percepiti in modo differente a seconda del tipo di acquirente. Gli elementi che la compongono sono presentati di seguito a titolo indicativo, dato che sono attualmente oggetto di discussione fra gli organismi socioprofessionali e gli uffici preposti dello Stato.

Ci sono delle menzioni obbligatorie:

- il nome della DOCG o della DOC nei modi prescritti dall’apposito disciplinare; poi abbiamo le IGT seguita immediatamente dal nome della zona di produzione ed infine i Vini di tavola.

- l’indicazione del grado alcolico.

- il nome o la ragione sociale dell’imbottigliatore, l’indirizzo o il codice specifico che lo identificano.

- il volume del vino contenuto.

-il numero di lotto.

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- il paese d’origine nel caso di esportazione.

- le indicazioni ecologiche.

Infine le menzioni che si possono utilizzare riguardano:

- Le sotto categorie della denominazione.

- Le varietà utilizzate in accordo col disciplinare della denominazione.

- Il millesimo (annata) per i vini provenienti totalmente dall’annata citata.

- La marca commerciale.

- Un logotipo che può essere un disegno, un simbolo, ecc.

- Il nome dell’azienda vitivinicola, che può essere anche un castello, ecc.

- Menzioni relative al metodo di vinificazione.

- Il luogo dell’imbottigliamento: es. imbottigliato all’origine (presso il produttore).

- Le distinzioni attribuite da un organismo ufficiale.

La forma, i colori, la qualità del supporto sono liberi. Questo strumento permette di informare il cliente circa il prodotto, di comunicare un’immagine coerente con il posizionamento scelto e la clientela cui si rivolge.

È altresì importante avere un’etichetta con qualità di carta consona alla gamma desiderata. Il top di gamma in materia è la carta di tipo Chromoloux. La tecnologia dell’etichetta “autoadesiva” o “secca da incollare” posiziona altrettanto chiaramente il prodotto.

La tendenza per i vini posizionati in media e alta gamma è l’etichetta autoadesiva che figura meglio che non l’etichetta secca da incollare. Cito ad esempio il caso della cantina Montresor, che da sempre cerca di proporre alla sua clientela qualcosa di nuovo. In questo caso due neo prodotti: Valpolicella 99 Primo Ripasso e l’Amarone 98, provenienti dal nuovo cru “Castelliere delle Guaite”, hanno adottato un packaging davvero innovativo. Hanno un’etichetta a tasca con fronte trasparente, contente una scheda

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promemoria, da estrarre dalla sua custodia, riempire e conservare, con i dati del vino e la impressioni del degustatore.

L’idea nasce dalla costatazione di quanto sia laborioso mettersi a staccare etichette (operazione, fra l’altro, dall’esito incerto) e quanto poco pratico sia conservare bottiglie vuote. A meno che non siano oggetti di per sé significativi. Questa innovazione, ha portato alla Montresor anche un premio in occasione del Vinitaly 2003;

l’etichetta del Castelliere delle Guaite, ha vinto come “etichetta dell’anno”.

Talvolta viene utilizzata la serigrafia. Facilita la produzione data la minore manutenzione, ma spesso posiziona il prodotto in bassa gamma. Le forme e i colori delle etichette stanno evolvendosi sotto l’impulso dei vini del Nuovo Mondo, coloro che sviluppano la maggior parte delle attuali strategie di marketing. Come per la bottiglia, etichetta non deve essere quella che più piace al produttore ma quella preferita dal consumatore finale.

Viene anche usata la contro-etichetta, che è divenuta indispensabile dato che permette di alleggerire l’etichetta di numerose informazioni facoltative e di spiegare al cliente finale cosa andrà a scoprire aprendo la bottiglia. La presentazione del luogo di produzione del vino, sotto forma di bigliettino, è utile, tanto come le indicazioni relative ai vitigni utilizzati, gli aromi che prevalgono e i vari modi consumo consigliati o ancora le modalità di conservazione.

Inoltre per l’esportazione, adattata agli usi di consumo del paese e della clientela target, permette di presentare il vino nella lingua del cliente finale. Non bisogna dimenticare al momento della creazione, lo spazio riservato al futuro codice a barre, secondo il canale di distribuzione scelto.

Purtroppo si vedono spesso dei vitivinicoltori scegliere le loro etichette solo in funzione del gusto personale, se non talvolta in funzione del gusto dello stampatore.

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L’etichetta del vino è un potente simbolo della società moderna.

Essa è un oggetto funzionale dell’arte che simbolizza e dissemina la cultura e valori spirituali del territorio dove il vino è nato.

Il disegno dell’etichetta del vino ha subito una rinascita, dove l’arte incontra il marketing in molti punti fondamentali, penetrando nel subconscio e utilizzando il potere di suggestione per influenzare il gusto e la qualità.

Un rapido esempio in tal senso è quello fornito dal lavoro fatto dopo 10 anni di esperienza, da due studiosi dell’etichetta dei vini di alta gamma, Jeffrey Caldewey e Chuck House.

L’etichetta è la carta d’identità del vino.

Dal primo momento in cui il vino è stato venduto nelle bottiglie o messo nelle anfore, poteva avere un senso dargli un’etichetta.

Quello che diceva questa ultima, determinava il suo valore, chi lo avrebbe aperto e quando. Nelle piccole anfore conservate nella tomba del Re Egizio Tutankhamun, erano incise l’annata, la zona di produzione e il produttore di un certo Kha’y. Altrimenti come avrebbero fatto i sommeliers a capire quale sarebbe stato il vino da versare!

Non possiamo fare teorie esatte sulle tipologie di vino Greco e Romano. Sicuramente sono esistite, ma non sono state tra le più durevoli dell’arte classica. Le anfore di Pompei erano marchiate in argilla con i nomi dei commercianti. Ma non sappiamo come facessero ad indicarne il contenuto.

Plinio era il grande conoscente di vino del primo secolo di nascita di Roma. Il vino leggendario in questo periodo era il Falerniano.

Questa annata pre-imperiale, che era nota quanto un Cheval Blanc del ’47 o Porto Waterloo, era chiamata “Opimiam” perché Opimius era console all’inizio della prima evoluzione. Anche se ci sono sospetti se questo vino straordinario fosse veramente esistito un, in ogni caso questo prodotto era più simile ad una miscela. Potremmo

Jeffrey Caldewey and Chuck House. Icon, Art of the wine label

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dire un cocktail prezioso, perché siamo sicuri che la bottiglia non era una qualunque, visto che l’etichetta era fatta con oro solido.

Le prime etichette dell’età moderna erano occasionalmente in oro, e più spesso d’argento. Essi erano dei “cartellini per bottiglie” sulle catene fatte per essere appese intorno ai colli dei “decanter”.

I loro disegni erano di fantasia e le loro descrizioni rappresentavano Porto e Lisbona. Queste bottiglie conservate nei secchi, ancora non avevano etichette. L’identità del vino si poteva conoscere dal contenitore o dalla botte. Nei giorni quando il vino si comprava dalle botti, era raro per una cantina offrire molte varietà.

Andiamo ora ad analizzare chi ha creato l’etichetta dell’età moderna.

Ma non sappiamo neanche chi ha inventato il cavatappi, anche se le due cose sembrerebbero andare insieme. L’etichetta è arrivata lentamente. Non c’era una carta che durasse a lungo e che non assorbisse. Non esisteva un collante per attaccare la carta al vetro.

Fig. 1.3 Aeros 2002Cabernet Sauvignon 750ml- Etichetta in piombo

Neanche ai tempi di Thomas Jefferson la carta da etichetta era conosciuta. La prima vendemmia di Bordeaux che Jefferson ha

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comprato, era stata messa nelle bottiglie e con le incisioni delle iniziali non del vino, ma del compratore, Thos J.

Nella sua collezione, la prima etichetta è datata 1870 è “Prince Metternich’s Castle Johannisberg, First Growth”.

Era imbottigliato da un mercante di Francoforte, Manskopf, “ Per un appuntamento speciale dell’imperatore della Germania”.

Nel 1870, i mercanti erano ancora responsabili per l’imbottigliamento e l’etichettatura del vino, questo tipo di processo sarà utilizzata nel futuro.

Era la Germania che aveva le più gradevoli e ricche incisioni delle prime etichette, e i loro vini insieme ai Tokay Ungheresi erano i più prestigiosi e costosi.

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Vintage Reserve 1981 Cabernet

Sauvignon Vintage Reserve 1982 Cabernet

Sauvignon Vintage Reserve 1983 Cabernet Sauvignon

Vintage Reserve 1984 Cabernet

Sauvignon Vintage Reserve 1985 Cabernet

Sauvignon Vintage Reserve 1986 Cabernet Sauvignon

Vintage Reserve 1987 Cabernet

Sauvignon Vintage Reserve 1988 Cabernet

Sauvignon Vintage Reserve 1989 Cabernet Sauvignon

Vintage Reserve 1990 Cabernet

Sauvignon Vintage Reserve 1991 Cabernet

Sauvignon Vintage Reserve 1992 Cabernet Sauvignon

Vintage Reserve 1993 Cabernet

Sauvignon Vintage Reserve 1994 Cabernet

Sauvignon Vintage Reserve 1995 Cabernet Sauvignon

Fig. 1.4 Etichette delle Riserve della cantina Gundlach Bundschu

Molte etichette francesi erano disegnate e stampate dal tipografo del posto. A dire il vero, le famiglie della provincia ancora oggi continuano le vecchie tradizioni, e fa parte del loro fascino.

Bordeaux va verso una più precisa arte tipografica, specialmente

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permettono di utilizzare dei filamenti d’oro, e le etichette di Sauterne sono spesso stampate completamente in oro. Le Cot d’Or usano con meno certezza un altro tipo di tipografia. Questo tipo di stampa è popolare lungo il Reno e la Loira.

Queste etichette prototipi avevano più prestigio che personalità.

Alcuni in particolare, i bordeaux di prima vendemmia, erano disegnati così bene che solamente piccoli cambiamenti hanno dovuto fare. Ma il ruolo di una moderna etichetta, è differente tanto quanto, come per i produttori di oggi, la distanza che c’era tra gli aristocratici e i contadini. Per la vecchia serie di etichette, la natura del vino era al primo posto. Nel mondo nuovo del vino di oggi, si usano messaggi più complessi. Il nome rimane solo un nome, finchè hanno un contenuto grafico. Il concetto del vino e il disegno dell’etichetta sono nuove concezioni , e originali quanto l’idea per il progettista.

L’etichetta è in parte simbolo, in parte memoria e in parte cantastorie.

La confezione non personifica solo il vino, ma ha anche il potere di trasformare il nostro personale senso d’identità.

-Jeffrey Caldeway

1.2.2.1. Progettare il desiderio: il messaggio sullabottiglia

La maggior parte delle persone vive trascurando le cose;

fondamentale per me è fermarsi invece a notare i dettagli.

Un’etichetta di successo attira da lontano, in seguito stimola una personale scoperta mano a mano che ti avvicini. Come la rivelazione degli indizi in un romanzo giallo, il messaggio il messaggio sulla bottiglia deve attirare il lettore, mantenere abilmente la suspense, ed essere abbastanza coinvolgente da guidarti all’interno del mistero.

L’identità di un vino è rivelata o nascosta innanzitutto attraverso la sua confezione. Ogni giorno milioni di bottiglie sono acquistate

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unicamente grazie al fascino del loro design. Per altri beni di lusso la confezione completa semplicemente il prodotto, per il vino invece la confezione fornisce l’unico indizio visivo relativo al contenuto. Il design della confezione di un vino influenza la decisione di acquisto, anticipa il piacere della degustazione, e rappresenta l’unico ricordo che rimane alla fine dell’ultimo bicchiere.

Da un punto di vista teatrale, le confezioni sono degli intrattenitori che prendono vita di fronte ad un pubblico.

A) Teoria della creazione

Un design di successo deve defamiliarizzare l’ordinario, smontando e riassemblando gli elementi in un nuovo linguaggio che sia allo stesso tempo intrinsecamente familiare. Per creare la differenza la confezione di un vino, deve proiettare l’individualità e il significato in mezzo ad un mare di somiglianze. Basandomi sull’istinto, intuizione ed improvvisazione, la sfida è escogitare nuove combinazioni di simboli in grado di rilevare la personalità unica, nel cuore del marchio.

Ogni design, è un processo di caos e di creazione, un’occasione di rinnovamento. Ci si deve avvicinare ad ogni progetto con l’atteggiamento di un principiante pieno di stupore e di curiosità, e privo di preconcetti.

Il modo per capire ed esprimere l’identità originale di un vino, è svelare il dettaglio che contiene l’essenza della sua personalità.

Entrambi i processi di creazione di un vino e della sua etichetta, seguono degli inevitabili schemi, ma il modo in cui un progetto si allontana da un schema, offre l’indizio che porta alla sua peculiare identità nel cuore di ogni problema giace la chiave di ogni soluzione, ed è la ricerca di quella chiave che mantiene il metodo autentico e vivo.

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B) Lo studio del carattere

I produttori di vino sono tra le persone visionarie e passionali, ogni annata porta rinnovate possibilità nella ricerca dell’ideale. La sfida consiste nel tradurre la visione che il cliente ha di stesso del suo senso di appartenenza di ciò che sta cercando di ottenere, in un’espressione filosofica, un racconto visivo. Con un metodo squisitamente personale, bisogna agire come un tramite tra la vita interiore del cliente e di quella delle persone che berranno il suo vino.

Fig. 1.5 Etichetta di bottiglia di alta gamma della cantina Beringer (fonte:

www.beringer.com)

L’unico scopo quando si comincia un nuovo progetto è di riconoscere la propria ignoranza, e di sfruttarla come un punto di forza. Bisogna cercare di guardare alle cose come sono, senza avere pregiudizi. Non c’è nulla di paragonabile ad un consumatore. Siamo tutte persone alla ricerca di un significato nella nostra vita quotidiana, per quello che mangiamo, beviamo, ecc. Lo scopo è cambiare la vita delle persone migliorandola con ciò che creiamo.

Bisogna fornire al cliente l’entusiasmo con qualcosa che va oltre alle sue aspettative, con qualcosa che suggerisce nuove possibilità.

Con ogni progetto si deve cercare di esprimere il significato di ciò che clienti, produttori di vino, grafici, distributori, consumatori,

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stanno costruendo insieme. Una delle chiavi per un marketing di successo e di avere l’abilità di infondere nelle persone l’energia del loro stesso prodotto. Quando si interpreta la visione del cliente, sbloccando la personalità unica del progetto ed esprimendo la passione genuina del cliente, si sta contribuendo a realizzare un sogno.

Fig. 1.6 Etichetta di una bottiglia di alta gamma, Tenuta Ornallaia-Ornellaia (fonte www.ornellaia.com)

C) Trasformazione

La trasformazione dei concetti in realtà richiede non solo talento creativo e acume intellettuale, ma anche una rilevante esperienza tecnica. Il processo di progettazione fisica di un’etichetta rappresenta il più alto livello di stampa concepibile. Alcune etichette sono attualmente stampate ricorrendo alle medesime tecniche che si adoperano per le banconote.

Gli elementi visivi e tattili per una confezione di successo sono subordinati alla sua integrità strutturale. L’essenza del lavoro di un designer di confezioni è stabilire un legame tra la superficie grafica e le fondamenta della tecnica incisoria; rappresenta la connessione decisiva tra l’arte e l’artefatto, tra la cultura contemporanea e il mito dell’archetipo.

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Fig. 1.7 Etichetta di bottiglia di alta gamma, Tenuta Ornellaia-il Masseto (fonte:

www.ornellaia.com)

Strumenti troppo sofisticati rischiano di sovvertire il metodo grafico se chiamati in causa troppo presto. Disegnare confezioni per il vino è allo stesso tempo un mestiere metodico e un arte estemporanea.

La superficie limitata dell’etichetta è un universo circoscritto, ma all’interno di quel universo le possibilità sono infinite.

D) Arte ed artefatto

È molto intrigante l’idea che il vino, si sia sviluppato di pari passo alla civiltà, e che sia lui stesso un grande indicatore di livello di cultura. Il vino ha sempre avuto un ruolo cerimoniale così come una funzione culinaria. Forse è a causa di questo consumo ritualizzato e alla sua capacità di alterare la coscienza, che il vino è diventato un talismano tanto potente, e la sua etichetta un qualcosa di simile ad un’icona.

Come pezzi d’arte da collezione le etichette possono chiedere un prezzo che supera di molto il reale valore del vino

La confezione di un vino si comprende meglio se vista come un’esperienza a quattro dimensioni: un esempio bidimensionale di arte grafica e commerciale; una scultura tridimensionale; e un evento teatrale che si svela con il tempo. Un’esperienza multidimensionale che coinvolge tutti i sensi, è il tempo passato in compagnia degli amici che rende l’etichetta di un vino unica.

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Il vino ha la capacità di metterci in contatto con il senso più profondo della nostra stessa identità, e di farci comprendere meglio la natura umana. Il nostro impulso verso il rituale è profondamente radicato. La confezione di un vino è una potente evocazione di questa caratteristica. È la scultura del momento, il riflesso genuino del suo tempo. Il vino, i vigneti, la serate in compagnia, tutto fa parte del nostro retaggio, e questo senso di comunione permea ciò che facciamo conferendogli significato, profondità e gioia.

1.2.3. La capsula e il tappo

La capsula, è individuata soprattutto per il supporto della fascetta fiscale, ossia la prova che si possiedono i diritti a circolare e la eventuali autorizzazioni. Se la bottiglia non è stata fiscalizzata, deve essere accompagnata da un documento commerciale emesso dall’esattoria specializzata più vicina, o dal venditore.

In Europa, la corona verde è riservata ai vini DOCG e DOC, la blu ai vini IGT e a quelli da tavola, quella arancio per i vini liquorosi e i vini dolci passiti DOC, la grigia per gli altri prodotti intermedi, ecc.

Ma è anche un elemento aggiuntivo della presentazione estetica del vino. Il colore e il modello di capsula devono essere in armonia con la bottiglia, la sua forma e colore ed anche con l’etichetta e la contro etichetta.

Il riempimento della bottiglia da 75 cl, che si fa tradizionalmente a 63 mm o a 55 mm in dalla sommità della bottiglia, deve, secondo il tipo di capsula, permettere di lasciare uno spazio libero significativo.

Anche il tappo, è funzione come tutti gli altri elementi, della definizione del livello di marketing del vino. Se si raggiunge una clientela di specialisti con un vino da invecchiamento, il tappo di sughero è d’obbligo. Se invece si raggiunge una clientela di neofiti

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Così anche l’imballaggio deve essere parte integrante della strategia globale in funzione del posizionamento scelto. Il cartone, che ha anche una funzione tecnica importante nel condizionamento dei pallet e nello stoccaggio, è contemporaneamente un vettore di immagine. Quindi i vari tipi di cofanetti realizzati i cartone, legno o altro, sono dei mezzi di riconoscimento importanti e fanno parte integrante del prodotto vino.

1.2.4. La marca

“La marca di fabbrica , di commercio o di servizio è un segno suscettibile di rappresentazione grafica che serve a distinguere i prodotti o i servizi di una persona fisica o morale.” Secondo la legge, quindi ogni segno che può dare luogo ad una rappresentazione grafica può quindi costituire una marca. La marca permette al cliente di riconoscere il prodotto. Essa reca con sé numerosi significati simbolici. È un vero e proprio concentrato di informazioni che rassicurano il cliente.

La marca nel settore vitivinicolo è spesso la firma del produttore, il nome del viticoltore, della sua cantina o di quello di uno dei suoi antenati, il nome dell’azienda o della località, o quello del casale.

La marca riflette al cliente un dato prodotto o azienda. È uno dei supporti d’immagine del posizionamento scelto.

La marca talvolta diviene il nome stesso del prodotto. I francesi parlano in questo caso di “branduit” ( brandizzazione).

1.2.4.1 La strategia della marca

La filiera vitivinicola europea, opera in un contesto di offerta superiore alla domanda: essa scopre l’importanza del marketing al momento della commercializzazione dei prodotti vitivinicoli. Il marketing traspare più spesso nella denominazione strategica della marca. La marca è un elemento inscindibile della stessa definizione del prodotto vino.

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Il marchio (nome dell’azienda del prodotto) deve corrispondere al target di clientela ed al posizionamento desiderato. La strategia della marca nel mondo vinicolo riguarda in generale la comunicazione circa un nome. Essa omette, talvolta, di associarvi l’adozione di un marketing mix coerente.

Come evidente, sviluppare una strategia di marca richiede tempo e mezzi. Questo tipo di sviluppo riguarda soprattutto delle aziende la cui massa critica corrisponde alle esigenze del mercato target. Ciò non impedisce alle aziende di dimensioni piccoli di sviluppare delle opportune strategie di marketing su dei mercati meno estesi. Per accompagnarle, le filiere devono mettere in opera delle strategie di marketing di prodotto decise disponendo ovviamente di budget adeguati.

1.2.5. La storia

Si può differenziare un vino da un altro grazie alle proprie qualità intrinseche e alla sua presentazione. Ma la sua storia permette di ricondurlo ad una dimensione affettiva e di raccontarlo con la sua quota di sogno. La storia va poi declinata su tutti i supporti di comunicazione che accompagnano il prodotto.

1.2.5.1. I servizi

La qualità dei servizi associati al prodotto entra nella definizione di marketing prodotto. Per certi consumatori, questi servizi divengono anche il fattore di differenziazione, come la possibilità di degustare il vino in compagnia del produttore.

Si trovano dei servizi accessori legati al turismo (visita della cantina, percorsi all’aperto, ecc.) o alle facilità di trasporto (consegna a domicilio o sul luogo di lavoro, possibilità di ordinativi cumulativi, ecc.). Questi servizi, ben adattati alla clientela target, sono in seguito utilizzati per adottare delle azioni commerciali specifiche.

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1.2.6. La distribuzione

La scelta dei canali di distribuzione dipende dalla clientela mirata e dal posizionamento.

1.2.6.1. La vendita diretta

La vendita diretta, particolarmente sviluppata per lo sfuso in Italia (più dell’85% del vino distribuito sfuso viene commercializzato tramite vendita diretta e per l’autoconsumo), si orienta a poco a poco verso la vendita del vino in bottiglia.

La vendita diretta è un elemento prioritario nella scelta del modo di commercializzazione per un’azienda singola. Inoltre questa modalità di distribuzione è utilizzata dalle cooperative, che hanno in dotazione un punto vendita. Questa formula è la più diffusa nel mondo vitivinicolo dato che permette di assicurare un contatto esclusivo fra produttori e clienti proprio nell’azienda stessa.

Per assicurare una migliore distribuzione del prodotto tramite la vendita diretta, certi produttori non esitano a raggruppare le proprie attività attorno ad uno stand di vendita creato su un luogo terzo rispetto alle singole aziende, cito ad esempio l’azienda Montresor che ha da poco inaugurato un nuovo punto vendita, in provincia di Modena.

Questo tipo di produttori raggruppano le loro attività di degustazione-vendita e assicurano una promozione comune dei loro prodotti.

Abbiamo inoltre gli enotecari e i dettaglianti, che rappresentano circa il 20% della distribuzione del vino in Italia. Gli enotecari sono organizzati per assicurare una vendita tradizionale dei prodotti.

Possiamo dividerli in enotecari indipendenti, dove si privilegia un’attività commerciale basata sul consiglio diretto; ed enotecari in franchising,i quali esercitano la loro attività all’interno di organizzazioni e commercializzano una quota della gamma in catalogo, proposta dell’organizzazione stessa.

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1.2.6.2. La grande distribuzione

È sempre più fondamentale nella distribuzione dei prodotti vitivinicoli. Sia che si tratti di GMS ( grande e medie superfici), di superette, di hard-discount, queste catene raggruppate sotto alcune insegne sono il principale luogo d’acquisto del vino da parte del cliente finale, secondo una fonte Federvini il 53% delle famiglie italiane si affida alla grande distribuzione.

1.2.6.3. Il circuito HORECA

È rappresentato dagli hotel, ristoranti e caffé, si tratta di un circuito particolarmente dinamico che rappresenta una quota importante della commercializzazione dei prodotti viticoli. Più del 20% dei pasti principali sono consumati dagli italiani al di fuori del domicilio. Questo mercato può rappresentare quindi fino a 10 milioni di ettolitri di vino all’anno.

1.2.6.4. La vendita per corrispondenza e il commercio on-line La corrispondenza, formula di vendita diretta dei prodotti viticoli ha conosciuto un buon successo ma è oggi in concorrenza con quella su internet.

Il commercio on-line si è sviluppato grazie a due interventi sul mercato:

o I produttori singoli e gli associati si possono assicurare direttamente l’immissione sul mercato dei propri prodotti grazie alla creazione di un sito Internet.

o Le società commerciali e la strutture di distribuzione specializzate hanno possibilità di vendere grazie alla messa in linea dell’intero catalogo di prodotti. Mercato molto fiorente negli Stati Uniti ed in Australia.

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1.2.6.5. L’esportazione: il commercio internazionale

Le esportazioni rappresentano un terzo degli sbocchi dei vini italiani di cui il 73% in volume nella Comunità europea. I primi tre paesi clienti dell’Italia sono la Germania (33%), la Francia (17%) e gli Stati Uniti (12%).

1.2.7. La comunicazione

Essa permette al cliente di visualizzare, conoscere, percepire, i messaggi elaborati, ma non sempre può bastare; “non serve a nulla comunicare se il prodotto non è definito, se il prezzo non è coerente con il canale di distribuzione e la clientela target.” È attraverso la comunicazione in senso lato che l’impresa può indirizzarsi alla sua clientela ed ai propri sostenitori.

Per essere efficiente la comunicazione deve essere completa sia a livello interno che esterno, in un’azienda.

Una buona comunicazione interna, cioè una buona collaborazione tra i dipendenti, è parte integrante della costruzione dell’immagine.

È fondamentale che l’insieme del personale conosca gli obiettivi e la strategia dell’impresa, qualunque siano la sue dimensioni.

La comunicazione esterna, invece, è caratterizzata dall’ambiente dell’impresa, che deve riflettere la sua scelta di posizionamento (sala di vendita, uffici, allestimenti), e il nome dell’impresa o tenuta, che insieme alla marca specifica, sono elementi essenziali per la vendita dei prodotti di un’azienda.

Elemento preponderante ormai della comunicazione d’impresa è l’utilizzazione di internet, che permette in tempo reale di comunicare e di presentare, con i siti Web, in maniera divertente ed interattiva i prodotti e la stessa impresa.

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1.2.7.1. Strategia per una buona comunicazione

Viste alcune caratteristiche globali della comunicazione, si può definire nel mercato vinicolo, quale siano le finalità di un buon programma comunicativo:

Acquisire una notorietà di prodotto Acquisire una notorietà di marchio Rinforzare una immagine prodotto Rinforzare una immagine di marchio

Per essere efficace, la comunicazione deve rispettare uno schema logico che ha per obiettivo di attirare l’attenzione del consumatore, al fine di suscitare il suo interesse, coinvolgerlo e far scattare l’atto di acquisto.

Esistono vari canali per rendere efficiente la comunicazione, che in particolare utilizza quattro grandi media: la stampa, la televisione, l’affissione e la radio.

Quando invece si intende comunicare al di fuori dei media, si utilizzano delle tecniche complementari quali il marketing diretto, la promozione delle vendite, la pubblicazioni relazioni, le sponsorizzazioni. Può essere importante per un’azienda vinicola pubblicizzare un avvenimento per sviluppare notorietà del suo marchio e dei suoi prodotti.

La sponsorizzazione è una tecnica interessante di posizionamento dato che permette di creare una dimensione affettiva fra i valori insiti nell’avvenimento e i valori della marca o del prodotto.

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1.2.8 Il prezzo

Il prezzo differisce dalle altre tre variabili del marketing, in quanto produce ricavi, mentre le restanti producono costi. Di conseguenza le imprese si impegnano a fondo nel cercare di spingere il livello dei prezzi dei propri prodotti al livello più elevato sostenibile dalla propria capacità di differenziazione. Nello stesso tempo, le imprese si rendono conto della necessità di valutare l’impatto del prezzo sul volume delle vendite. A tal fine, esse cercano di definire quel livello di ricavi (vale a dire il prezzo unitario per il numero dei pezzi venduti) che, una volta detratti i costi sostenuti, produce il profitto più elevato.

IL PREZZO

Il prezzo per il marketing è quel controvalore che il consumatore è disposto a pagare per soddisfare un bisogno, al di là dei costi che il produttore deve sopportare per produrre il bene.

Vanno definiti i prezzi, gli sconti, le condizioni di pagamento.

Le imprese cercano di valutare l’impatto sul profitto di un prezzo più elevato.

È necessario inoltre distinguere fra il prezzo di listino e prezzo realizzato. Il fenomeno degli sconti è oggi così diffuso che difficilmente un acquirente paga il prezzo di listino.

Egli può infatti ottenere uno sconto, un ribasso, un omaggio, un servizio aggiuntivo gratuito, tutti elementi che riducono il livello del prezzo realizzato. Molte imprese cercano di misurare e controllare gli effetti a cascata di queste riduzioni del prezzo. L’applicazione di tecniche quali l’Activity Based Costing1 può mettere in evidenza come certi clienti ritenuti profittevoli, in realtà non lo siano affatto.

Infatti un cliente importante il quale ottenga una quantità di riduzioni di prezzo e di facilitazioni di vario tipo può rilevarsi una fonte di perdite, piuttosto che di profitti.

1 Fonte: il marketing secondo Kotler. Il sole 24 ore.

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Nel definire i propri prezzi, molte imprese aggiungono un ricarico alle proprie stime di costo. Una tecnica del genere si definisce come determinazione del prezzo base al costo. Nell’industria alimentare, produttori e distributori applicano un ricarico standard a ogni categoria di prodotto, almeno come base di partenza.

In alternativa, le imprese possono ricorrere alla determinazione del prezzo in funzione del valore. Viene innanzi tutto stimatoli livello di prezzo massimo che un acquirente può essere disposto a pagare per un determinato prodotto. Viene poi fissato un prezzo inferiore, tale da lasciare all’acquirente un certo surplus del consumatore. Il venditore ovviamente si augura che i propri costi siano molto inferiori rispetto al prezzo in funzione del valor, il che gli consente di conseguire un discreto profitto. Se i costi sono prossimi o addirittura superiori al prezzo così definito, il venditore difficilmente troverà conveniente realizzare l’offerta.

Se esiste un soggetto al quale la filiera viticola è sensibile, quello è il prezzo del prodotto. Noi parleremo qui principalmente del prezzo che permette di posizionare un prodotto, del prezzo che valorizza la qualità del vino senza intaccare il prezzo del costo.

Il prezzo di costo è una componente essenziale per il produttore.

Esso deve evidentemente essere inferiore al prezzo di vendita ma quello che importa realmente, è il prezzo al quale il cliente compra il prodotto, il prezzo posizionato in rapporto al mercato e ai prodotti concorrenti.

In virtù del cambiamento del modo di consumo, il vino non è più un prodotto di prima necessità nei confronti del quale la variabile prezzo è capitale. Noi registriamo piuttosto un consumo di piacere, di risposta a dei bisogni di appartenenza sociale, di riconoscenza e di stima, come definito dalla piramide di Maslow. Il prezzo di vendita del prodotto è da scegliere i funzione della clientela target, della scelta del posizionamento voluto e in funzione dei prodotti concorrenti presenti sul mercato. Il prezzo comprende anche i diritti sull’alcol e l’Iva.

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Le tre variabili più importanti nella determinazione del prezzo sono la domanda, la concorrenza ed il prezzo di acquisto.

Politica di prezzo

• posizionamento di prezzo

• politica di cartellino

• sistema dei prezzi nel tempo e nelle quantità

• condizioni di pagamento

1.2.8.1. La sensibilità al prezzo

Si tratta in questo caso di determinare il prezzo psicologico, cioè quel prezzo che il cliente target è disposto a pagare per acquistare un vino. Non bisogna dimenticare che la maggior parte dei clienti non conosce il prezzo esatto dei prodotti, in particolare il prezzo dei prodotti che non giudica indispensabili. Per contro, i clienti interpretano il prezzo nel quadro di una forbice di accettabilità.

In una forbice prezzo minimo-prezzo massimo , il cliente associa sistematicamente un prezzo elevato ad un simbolo di qualità. Nel caso di un mercato di lusso, più un prodotto è costoso, più si vende (effetto Veblen).

L’importante è dunque determinare quale è la forbice adeguata al target individuato. Per comprendere l’essenza della nozione di prezzo psicologico, bisogna presentare anzitutto le sue differenti componenti, espresse in euro.

Abbiamo quindi, il prezzo tondo,si presenta in cifre intere (5 euro, 10 euro, 50euro…). Sono prezzi facilmente memorizzabili, originano immediatamente un calcolo presso il cliente che li associa a un “non è abbastanza costoso, quindi è di cattiva qualità” oppure

“è troppo caro”. È evidente che questo prezzo dipende dal canale di distribuzione, comunque si tratta di un tipo di prezzo che non valorizza il prodotto. È associato principalmente (e ciò qualunque

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sia l’importo), al limite della forbice accettabile per dei vini di bassa gamma.

Il prezzo aggressivo, invece si avvicina, grazie ai decimali, al valore superiore;in sostanza il celebre 99 che non è 100. questo tipo di prezzo è principalmente utilizzato nella grande distribuzione, ed è, d’altra parte, completamente connaturato a questo canale.

È preferibile lasciare questo di tipo di prezzo alla grande distribuzione. In euro, i prezzi giudicati aggressivi sono spesso sotto la forma decimale, associata ad una conversione esatta dalla lira, per esempio 3,38 euro, 5,59 euro o 10,71 euro.

Il prezzo rassicurante, si tratta di quel tipo di valore che associa immediatamente una qualità al prodotto senza ingenerare una riflessione del tipo “ è caro non è caro”. In euro, questo risultato si ottiene con dei prezzi presentati con dei decimali terminanti per 0 per 5 (es. 3,25euro; 7,30euro).

Lo studio della presentazione del prezzo di vendita può essere realizzato dall’azienda che commercializza i prodotti presso una determinata clientela, a seconda del canale di distribuzione. Per le filiere che realizzano delle strategie di marketing concertate fra produttori e commercianti, in seno ad esempio a consorzi, questo tipo di studio su grande scala permette di fissare le soglie minime e massime accettabili per ogni canale di distribuzione.

1.2.8.2 La presentazione di un prezzo

La presentazione di un prezzo, qualsiasi sia il mercato target o il tipo di clientela professionale mirata, può scomporsi nella maniera seguente: il prezzo di vendita proposto ad una clientela professionale deve tenere conto dei tassi di margine praticati dalla professione in esame, perché il prezzo praticato al consumatore corrisponda al posizionamento scelto.

Il margine di negoziazione integra questi parametri. Qualunque esso sia il commerciale o il produttore non potranno scendere al disotto

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del prezzo di vendita minimo. È importante lasciarsi sempre un margine di negoziazione.

Commercialmente, è indispensabile allontanarsi dalla nozione di prezzo di costo. I commerciali dell’azienda in pratica non lo conoscono. L’unico componente che conoscono è il prezzo di vendita e il prezzo minimo.

Vendere senza avere del margine, è vendere in perdita.

1.2.8.3. Quando la qualità si giudica dal prezzo, analisi del mercato del vino.

Operatori del settore e consumatori abituali sembrano condividere una comune consapevolezza: il prezzo del vino è significativamente aumentato negli ultimi dieci anni. Non solo.

L'aumento di prezzo, in decisa controtendenza con il generale clima antinflazionistico del paese, è tuttora un fatto di cronaca.

Questa tendenza non costituisce una caratteristica peculiare del nostro paese. E', anzi, un fenomeno registrato anche a livello internazionale.

Su tutti i principali mercati diminuisce progressivamente il consumo di vino ma aumenta la disponibilità di spesa del consumatore per singola bottiglia.

Aumenta, in altre parole, la domanda di "qualità".

Siamo di fronte ad un cambiamento importante nelle preferenze del consumatore di vino. Naturalmente, se questi è disposto a spendere di più per una bottiglia di vino, il produttore e la catena di distribuzione sono lì per accontentarlo. Non possiamo dire, ben inteso, che a maggior prezzo non corrisponda maggiore qualità; ma neanche il contrario - che ad un maggior prezzo corrisponderà maggiore qualità - è necessariamente vero.

Per un prodotto come il vino l'equivalenza tra prezzo e qualità è difficilmente dimostrabile.

Questo per il suo forte contenuto soggettivo e psicologico (la terra, il produttore, la storia); per l'evidente difficoltà di definire un

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criterio univoco e oggettivo di "qualità"; per la natura - anche - di bene di lusso e, di conseguenza, la funzione di ostentazione (il

"nettare per pochi eletti").

Niente di più facile, allora, che accada ciò che gli economisti considerano "un caso particolare": il consumatore giudica la qualità dal prezzo.

Si tratta di un caso, in verità, molto meno particolare nella realtà quotidiana di quanto non possa sembrare dalla lettura dei manuali di microeconomia, fondati sui principi di razionalità e di perfetta informazione del consumatore. Non si può pretendere infatti che il consumatore sia allo stesso tempo un esperto in elettronica, enologia, meccanica, informatica, telefonia e così via.

Tutte le volte che egli non ha conoscenze sufficienti per giudicare il prodotto che desidera acquistare, ha due scelte: assumere il prezzo quale indice di qualità oppure "delegare" ad altri la valutazione del prodotto.

Potrebbe risultare un groviglio inestricabile, invece in un recente speciale sul mercato del vino pubblicato dall'Economist si legge:

"Può sembrare un'eresia suggerire che le differenze di prezzo tra vini diversi non riflettano accuratamente la qualità oggettiva, anche se molte persone del settore sarebbero facilmente d'accordo". E ancora: "alti prezzi per il vino possono spesso generare domanda piuttosto che agire come deterrente".

Ernest J.Gallo, anziano patriarca del commercio internazionale di vino, racconta di quando presentò ad un acquirente di New York lo stesso vino in due caraffe diverse. Assaggiato il primo vino il commerciante chiese il prezzo. Gli fu risposto 5 dollari. Assaggiato il secondo vino chiese nuovamente il prezzo. Gli fu risposto 10 dollari.

Neanche a dirlo, l'acquirente comprò quello più caro.

Significativo anche il "paradosso tedesco".

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La Germania, soffrendo più di altri la concorrenza dei vini bianchi provenienti dal "nuovo mondo", ha scelto di abbassare il prezzo dei propri prodotti. Invece di migliorare la situazione la scelta tedesca ha ridotto ulteriormente la domanda di vino domestico, poiché il consumatore ha in realtà associato al più basso prezzo una minore qualità.

Il fenomeno ha trovato addirittura conferme in ambito accademico.

Uno studio scientifico dall'eloquente titolo, "Does Quality Matter?", condotto da tre autori su 60 vini del Médoc, ha dimostrato che i prezzi dei prodotti esaminati hanno seguito la classificazione storica di quei vini, risalente come è noto al 1855, anziché la valutazione di qualità appena condotta da uno speciale panel di esperti.

In qualche modo la logica degli acquirenti ha quindi seguito percorsi diversi da quelli di una verifica, anche se soggettiva, della qualità del prodotto.

Infine, un esempio Italiano. Il prezzo dei nostri vini non è stato legato, negli ultimi anni, alla presunta qualità dell'annata, nonostante le differenze fossero vistose e in più segnalate dalle principali guide all'acquisto.

La conclusione cinica ed estrema potrebbe essere quella di comprare semplicemente il vino che costa meno; l'alternativa, decisamente più intrigante, è trovare dei punti di riferimento per poter giudicare la qualità del prodotto. E qui il discorso si fa dannatamente più complicato.

1.2.8.4.Gli ingredienti per fare un vino di successo: gli "icons wines" o vini di alta gamma.

Alcuni critici temono che le più recenti tendenze del mercato internazionale stiano gradualmente riducendo la "diversità" e il senso del territorio, tradizionalmente i due elementi distintivi del prodotto vino.

fonte sito: www.porthos.it-trimestrale di vino e cultura

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Un fenomeno presente nel nuovo mondo, dove operano imprese più rilevanti per dimensione, ma anche nel vecchio mondo, dove la proliferazione di produttori, riflesso della natura frammentata e localistica del settore vitivinicolo, non contrasta questa tendenza.

Sotto accusa è il vino "globalizzato", concepito utilizzando la medesima formula: produzione in scarsa quantità per dare concentrazione; caratteristiche organolettiche adattate alle più facili preferenze del pubblico (passaggio in barrique per conferire una certa facilità di beva e gusto "internazionale"); consulenza di un enologo di grido.

Meglio se fatto con uvaggio bordolese, in quanto più conosciuto anche ai meno esperti.

Dice l'Economist: "l'ultimo espediente in America è quello di creare artificiosamente la scarsità producendo dei vini "trofeo" in quantità esageratamente ridotte, preferibilmente impiegando un enologo di alto profilo, e quindi organizzando una degustazione per pochi, influenti critici.

Il produttore non farà una cosa così volgare come vendere il vino attraverso i negozi. Esso sarà disponibile esclusivamente attraverso sottoscrizione e andrà solo a pochi fortunati in lista di attesa. Tutto ciò è sufficiente per creare una frenesia di acquisto per un vino cult".

È nata così una sindrome da classifica: dalla classifica di qualità alla classifica del prezzo.

Come si è visto, i consumatori di vino desiderano naturalmente ricevere suggerimenti o indicazioni su cosa comprare.

Dietro questa "domanda" di indicazioni all'acquisto sta il successo delle principali valutazioni e classifiche di merito del vino, il cosiddetto "Robert Parker factor".

L'idea di dare al vino un punteggio numerico può essere per molti versi criticabile ma è certamente un'idea "operativa". Non vi è dubbio che Parker, come Wine Spectator, importanti riviste

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americane, o le altre iniziative analoghe che hanno preso piede nei diversi paesi, hanno il merito di aver accompagnato una fase importante di crescita del mercato.

In linea teorica, le valutazioni di critici competenti danno maggiore potere ai consumatori impedendo ai produttori un marketing slegato dalla qualità del prodotto. E' certamente grazie a questo tipo di iniziative che anche i più inesperti consumatori hanno capito l'importanza della qualità dell'annata.

Non sono mancati, tuttavia, effetti distorsivi.

Ad un commerciante di vino americano è stato chiesto chi potrebbe esercitare, a suo giudizio, un potere sul prezzo di mercato di un bene analogo a quello esercitato dalla rivista di Robert Parker sul prezzo dei vini. La risposta è stata Alan Greenspan, il governatore della FED, la banca centrale americana che determina in regime evidentemente monopolistico l'offerta di moneta.

Influendo sulla domanda di vino e creando, per questa via, un ulteriore "effetto scarsità", la valutazione dei critici influisce enormemente sul prezzo. Di per sé, questo è comprensibile. Il problema, come sempre, nasce dall'influenza dominante.

Poiché le classifiche enologiche o i punteggi costituiscono per i produttori importanti elementi di marketing, il gusto particolare del critico influente o, in generale, i criteri adottati per i giudizi di qualità finiscono con l'influenzare le caratteristiche del prodotto e, in ultima analisi, le scelte di produzione.

In altre parole, molti produttori si preoccupano di creare nel vino un gusto adatto a compiacere un critico piuttosto che, magari, valorizzare le caratteristiche del territorio.

Sarà un'impressione, ma capita sempre più spesso di bere una sorta di "vino globale" che sotto nomi diversi, marchi diversi, storie diverse e persino vitigni diversi, potrebbe essere prodotto, sempre uguale a se stesso, nello stesso luogo e dalle stesse mani, con la medesima idea.

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Un riequilibrio del "mercato" sarà possibile solo grazie a maggiore concorrenza, sia sul fronte della produzione che su quello della critica specializzata. Un passo in avanti, in questo secondo caso, può essere compiuto sia adottando criteri innovativi di valutazione del vino e sia passando dalla valutazione della qualità alla valutazione del prezzo.

Quando il prezzo di un vino diventa "costosità onorifica" bisogna avere il coraggio di dire al consumatore che sta comprando status sociale e che, in una ideale classifica a doppia dimensione qualità/prezzo, quel vino occupa una posizione inferiore.

1.2.8.5. Prezzo al consumo e costo di produzione: il conflitto tra extra-profitto e rendita del consumatore, nel mercato vinicolo.

Il prezzo di un bene nel nostro sistema economico dipende dalla sua scarsità relativa ovvero, in ultima analisi, dal rapporto tra domanda e offerta.

Non dipende, invece, dal costo di produzione, anche se questo elemento resta evidentemente la discriminante essenziale per la convenienza a produrre. Questo significa che generalmente sarà chiesto al consumatore di pagare tutto quello che lui è disposto a pagare per un determinato bene. Non una lira di meno. In modo abbastanza semplicistico, la differenza tra quello che il consumatore sarebbe disposto a pagare e quello che paga si può definire "rendita del consumatore".

Un dato, a questo proposito, ci sembra interessante. Sulla base delle valutazioni e di testimonianze raccolte tra produttori del nostro paese, la rivista Porthos è giunta alla conclusione che nessun vino possa costare a chi lo fa molto di più di 10 euro a bottiglia, quale che sia la selezione e il lavoro a monte.

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Dando una rapida occhiata ai prezzi sugli scaffali di una qualsiasi enoteca, non vi è dubbio quindi che vi sia una certa dialettica tra il profitto del produttore e la rendita del consumatore.

Se il consumatore non ha elementi per giudicare il prodotto che compra e assume il prezzo quale indice di qualità, con grande probabilità sta finanziando quello che in economia si chiama extra- profitto.

La sensazione è che il mondo della produzione/distribuzione di vino nel nostro paese stia oggi incassando notevoli extra profitti.

Il "glamour" è di casa in ogni manifestazione enologica e non è il potere di spesa che sembra mancare al consumatore. Ma tutto questo costituisce quasi un passaggio obbligato nella evoluzione di un mercato complesso come può esserlo quello di un prodotto così restio, come il vino, a farsi valutare.

L'extra profitto, di per sé, non è un concetto negativo. E' solo il premio guadagnato da quei produttori che per primi intraprendono una certa iniziativa rispetto a quelli che non lo fanno o lo fanno in ritardo. Non per questo il consumatore deve essere contento di pagarlo.

Di solito, tuttavia, il riassorbimento dei cosiddetti extraprofitti non avviene perché il consumatore diventa più bravo a giudicare un prodotto, ma piuttosto per merito di nuove imprese che entrano nel mercato aumentando l'offerta.

Il prezzo, allora, si fa più rispondente alla qualità del bene e all'utilità del consumatore.

Anche il consumatore, tuttavia, svolge un ruolo importante.

Determina, attraverso le proprie scelte, il tipo di prodotto che si affermerà sul mercato; ed è quindi su questo fronte che vale la pena di combattere.

Le scelte di questi anni si trascineranno avanti nel tempo se è vero che una determinata filosofia di vigna dura molto a lungo nel tempo. Il pericolo è che lo sviluppo del mercato avvenga su

(40)

impostazioni generalizzate di vigna e di produzione in funzione di una uniforme dimensione del gusto: in un'era in cui, invece, la tecnologia consente di valorizzare più che in passato scelte locali e di conseguenza le specificità del territorio.

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Capitolo Secondo

Costruzione di un vino di alta gamma

2.1. Premessa

Puntare ad essere il numero uno è un aspetto essenziale di una strategia di successo della marca. Va riconosciuto che il numero due, o peggio, il tre in qualsiasi competizione non fa mai storia e cade rapidamente in oblio. Chi rinuncia al primo posto, in un ambiente altamente competitivo, rischia di indebolirsi al punto tale da compromettere la propria capacità di sopravvivenza.

Di contro l’azienda la cui marca sia al top, è in grado di guidare il mercato e sarà profondamente rispettata sia dai fornitori sia dai clienti.

L’azienda leader è portata a sfidare costantemente non solo i concorrenti ma soprattutto se stessa per restare al primo posto.

Questa tensione ideale determina una notevole forza che aiuta a sbaragliare gli avversari; essere primi non significa necessariamente essere più grandi.

Ciò che è veramente cruciale è la capacità di diventare il marchio preferito dai consumatori , la prima scelta: basta menzionare un prodotto ed automaticamente la mente del consumatore lo associa al marchio da lui amato.

2.2. Costruzione di un marchio di alta gamma

In buona sostanza costruire una marca forte determina un notevole vantaggio competitivo. In un ambiente mutevole, discontinuo, ipercompetivo e dove si affacciano sempre nuovi soggetti, costruire e mantenere una marca capace di conservare sempre il primo posto è davvero una grande sfida che implica, la costruzione di una cultura inimitabile.

Infatti, la forza di un brand si basa sui seguenti quattro assi portanti:

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1. essere portatori di principi e valori in cui il consumatore si riconosca;

2. differenziarsi, soprattutto in termini culturali;

3. sviluppare un’elevata capacità di attrattività;

4. avere un’identità forte e chiara.

Dunque il brand vincente deve rispettare regole specifiche capaci di influenzare le motivazioni d’acquisto nella mente dei consumatori.

Tali regole hanno dimensione universale e sono quindi appliccabili ad ogni prodotto o servizio e in buona sostanza afferiscono a cinque macro aree, che potremmo chiamare anche Star.

Fig. 1.2 - Schema delle cinque Star (Fonte: Buchholz A., Wordemann W., 2000)

- Promesse e benefici: la prima area deve dare una risposta alla Valori

Emozioni Percezione

Identità Promesse

e Benefici

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afferente ad una certa marca?”. Il consumatore preferisce il brand in quanto offre un beneficio. A volte la scelta non è fatta in funzione di un’evidente superiorità di qualità.

Stiamo parlando non solo di benefici reali ma anche virtuali. Quelli reali sono strettamente associati alla qualità e all’idoneità d’impiego del prodotto.

Il beneficio virtuale è attinente la dimensione emotiva che conferisce davvero forza ed unicità al brand. Ci deve essere quindi una filosofia portante ed un’anima ovvero una cultura originale e distintiva.

- Valori: la seconda area risponde alla domanda “Qual è la cosa giusta da fare?”. Qui si può verificare la conferma di valori in cui il consumatore si riconosce.

Il consumatore preferisce il brand perchè si riconosce nei principi che esso esprime e gli permette di superare conflitti circa valori e regole interiorizzate quali: senso di responsabilità, onore, orgoglio, disciplinare, fedeltà, rispetto della natura e dell’ambiente.

- Percezione: la terza area offre una risposta alla percezione circa il tipo di utilizzo del prodotto/servizio. Il consumatore assegna la sua preferenza al brand in quanto percepisce che l’offerta e le promesse fatte rappresentano la scelta migliore possibile sotto ogni profilo.

Qui domina la credibilità oltre che l’unicità dell’offerta legata al brand.

- Identità: la quarta area risponde ad esigenze latenti di espressione o d’identità quindi di status o stile di vita.

Il consumatore sceglie la marca in quanto si riconosce nella stessa e desidera fortemente entrare nel suo mondo in quanto vi ritrova gratificazione e affermazione della propria personalità.

Aspetti fortemente emotivi come lo stato sociale, lo stile di vita e la simbologia legati al brand giocano un ruolo fondamentale.

-Le emozioni: la quinta area offre risposte nell’ambito emotivo fino a toccare le corde profonde del consumatore che può arrivare ad amare un certo brand.

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Ricerche rigorose hanno rilevato che circa il 70% delle preferenze di un brand è legato ad aspetti che afferiscono la dinamiche emotive, anche se i consumatori ritengono di aver fatto una scelta razionale.

Il consumatore sceglie quel certo brand semplicemente perché lo ama profondamente superando ogni aspetto razionale ed in ogni caso si va ben oltre gli aspetti afferenti la dimensione del piacere.

Se pensiamo al piacere e poi all’amore, il salto qualitativo circa il grado di coinvolgimento e i sentimenti correlati, è formidabile. Il piacere è una sensazione non sempre in grado di toccare le corde più profonde di un individuo.

2.3. Il processo d’acquisto e la fedeltà al brand

Una situazione d’acquisto può essere correlata ad un primo acquisto oppure ad un acquisto ripetuto, ovviamente la modalità decisionale varia e di conseguenza anche il relativo mix di marketing e processo comunicativo differiscono. Nella situazione di un primo acquisto il cliente deve affidarsi completamente a ciò che l’azienda comunica facendo un atto di fiducia.

È chiaro che il livello d’attrazione qui gioca un ruolo importante.

Naturalmente un brand di successo deve essere in grado di fidelizzare il cliente e quindi assicurare la ripetitività dell’acquisto.

Tale fidelizzazione e ripetitività si basa sulla capacità di superare le aspettative dei clienti.

Oggi in un contesto caratterizzato da ipercompetizione non è più sufficiente soddisfare un cliente. In proposito si è verificato che un cliente soddisfatto non è necessariamente fedele.

Quindi può essere utile fare una distinzione fra le due dimensioni di fedeltà.

La prima è correlabile ad una semplice valutazione aritmetica incentrata sulla percentuale di clienti che ripetono l’acquisto ed è definita customer retetion.

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