Piante del genere Capsicum: classificazione, principi attivi e proprietà biologiche
C. annuum var annuum, in cui ritroviamo i seguenti gruppi e varietà:
2.1.6 Capsicum frutescens
Capsicum frutescens significa “a forma di arbusto”. E’ una pianta perenne,
molto diffusa in India. Necessità di temperature piuttosto elevate, ma resiste anche a -5 °C per brevi periodi; ha il fusto legnoso che può superare il mezzo metro d’altezza; le foglie sono ovali, ma hanno cinque punte; i frutti sono dei piccoli peperoni in miniatura; i fiori sono bianchi con il centro di un bel giallo arancio e appaiono in estate; i frutti coriacei e commestibili, hanno colore verde quando sono acerbi, giallo, rosso vivo, viola, porpora o marrone quando giungono a maturazione. Il C. frutescens pur raccogliendo peperoncini che hanno dei gradi di piccantezza variabili, rimane secondo alla specie C. chinense (la più piccante). In questa specie ritroviamo le seguenti varietà:
a) C. frutescens var. fasciculatum, in cui ritroviamo peperoncini noti come “Santaka”. I frutti sono diritti e sottili molto piccanti.
b) C. frutescens var. malagueta, nota semplicemente come “Malagueta”.
c) C. frutescens var. tabasco, molto diffusa in tutto il continente americano e in parte anche nel bacino asiatico. Sono peperoncini che a maturazione hanno una colorazione rosso vivo, sono di forma allungata, molto succosi e con un elevato grado di piccantezza.
Altre varietà sono: C. frutescens var. abbreviatum; C. frutescens var. baccatum;
23 2.2 La piccantezza dei peperoncini
La piccantezza dei peperoncini si misura abitualmente tramite la Scala di Scoville (o più brevemente Scala Scoville). Il numero di unità di Scoville della scala (SHU, Scoville Heat Units) indica la quantità di capsaicina equivalente contenuta.
La scala di Scoville prende il nome dal suo ideatore, Wilbur Scoville, che sviluppò il SOT (Scoville Organoleptic Test) nel 1912. Questo test originariamente prevedeva che una soluzione dell’estratto del peperoncino venisse diluita in acqua e zucchero finché il “bruciore” non fosse più percettibile ad un insieme di assaggiatori (generalmente 5); il grado di diluizione, posto pari a 16.000.000 per la capsaicina pura, dava il valore di piccantezza in unità di Scoville. Il valore 16.000.000 per la capsaicina fu deciso arbitrariamente da Scoville.
Un peperone dolce, che non contiene capsaicina, ha un valore 0 sulla scala Scoville, a significare che l’estratto di peperone non è piccante anche se non diluito. Al contrario, uno dei peperoncini più piccanti, l’Habanero Red Savina, fa misurare un valore superiore a 300.000 sulla scala Scoville. Oltre alle varietà di Habanero e Scotch Bonnet, anche altre varietà sono in lizza per il riconoscimento ufficiale come varietà più piccante: il Naga Jolokia o Bih Jolokia indiano (C.
chinense), il Naga Dorset ed il Thai verde.
Il peperoncino italiano ha un valore che va da 100 a 500 sulla scala Scovil le. Il SOT dipende, però, dalla soggettività umana, per cui sono stati sviluppati anche altri tipi di test, molto più sofisticati, tra cui il“Metodo Gillette”, che prevede l’impiego dell’HPLC (High performance liquid chromatography) per valutare direttamente la quantità di capsaicinoidi in un estratto di peperoncino.
24 2.3 Cenni storici
Il peperoncino piccante è un alimento consumato sin dall’antichità. Dalla testimonianza di reperti archeologici sappiamo che era conosciuto in Messico 9.000 anni fa, presente in quelle zone come pianta coltivata ed era la sola spezia usata dagli indiani del Cile e del Messico. Una precisa testimonianza è contenuta nella biografia di Montezuma, ultimo signore degli Aztechi, che mentre era prigioniero di Cortez, passava il tempo scherzando con le sue concubine e mangiando pietanze con peperoncino rosso.
In Europa il peperoncino è arrivato con Cristoforo Colombo (Beutler et al., 2004) dalle Americhe nel suo secondo viaggio, nel 1493, anche se prima di quella data si era già diffuso in Asia e Africa “per vie diverse da quelle dei bianchi”. Vinigi Grottanelli, infatti, ricorda che: “alcune spezie ebbero una spiccata fortuna presso molti popoli lontanissimi e del tutto diversi gli uni dagli altri, dando luogo a fenomeni di diffusione in gran parte estranei alle correnti mercantili dei bianchi. Un esempio tipico è offerto dalla più piccante fra tutte le spezie nata da noi come pepe di Cayenna o paprika: originaria dell’America tropicale e conosciuta quindi nel vecchio mondo prima della scoperta, questa spezia fu precocemente trasportata e trapiantata in Asia e Africa, ove si propagò da una tribù all’altra con tanto successo da esservi considerata come ingrediente della cucina tradizionale, quando gli Europei penetrarono più tardi in queste regioni”.
Colombo, approdando su un’isola caraibica, molto probabilmente incontrò un
Capsicum chinense, delle varietà Scotch Bonnet o Habanero, i peperoncini più
diffusi del luogo. Sul diario di bordo della prima spedizione di Colombo, Bartolomeo de Las Casas scriveva: “La spezia che essi mangiano è abbondante e più importante del pepe nero”. Introdotto quindi in Europa dagli Spagnoli, ebbe un immediato successo, ma i guadagni che la Spagna si aspettava dal commercio di tale frutto (come quello di altre spezie orientali) furono deludenti, poiché il peperoncino si acclimatò benissimo nel vecchio continente, diffondendosi in tutte le regioni meridionali e venne così adottato come spezia anche da quella parte
25
della popolazione che non poteva permettersi l’acquisto di cannella, noce moscata. Nicolò Monardes diceva: “le spezie aromatiche costano molti ducati, l’altro (il peperoncino) non costa altro che seminarlo”. Diventò così la droga dei poveri, di tutti quelli che non potevano permettersi le costosissime spezie orientali.
Un destino popolare e democratico, dunque, in pochissimo tempo diffonde il peperoncino in tutto il mondo, soprattutto tra le popolazioni povere con regimi alimentari monotoni, carenti di proteine. Con il peperoncino i Messicani impararono a insaporire le “tortillas”, gli Africani la manioca, gli Asiatici il riso. In Italia, soprattutto i meridionali e in special modo i calabresi hanno reso più vivace e gradevole una cucina povera, vegetariana, fatta d’ingredienti umili e di pochissima carne.
Il nome del frutto deriva dalla somiglianza nel gusto, sebbene non nell’aspetto, con il pepe (piper in latino). Il nome con il quale era chiamato nel nuovo mondo in lingua nahuatl era “chili”, e tale è rimasto nella lingua inglese e in alcuni nomi di varietà, come il chiltepin. Il chiltepin è ritenuto l’antenato di tutte le altre specie. Nei paesi del Sudamerica di lingua spagnola e portoghese, invece, viene comunemente chiamato ají, modernizzazione dell’antillano asci. La parola in lingua quechua per i peperoncini è uchu, come nel nome usato per il rocoto dagli Inca: rócot uchu, peperoncino spesso, polposo.