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Le caratteristiche dell’autotutela

Dopo aver tentato di delineare il perimetro di una nozione quanto più possibile univoca di autotutela, bisogna ora dar conto – almeno a grandi linee – dei suoi tratti caratterizzanti, in merito ai quali le opinioni dottrinali e giurisprudenziali continuano a divergere.

5.1) La natura giuridica.

In primo luogo, ci si è interrogati sulla natura giuridica dell’autotutela privata. Vi è chi97 ha sostenuto che apparirebbe calzante la qualificazione in termini di

positivo: «è verso questa “nuova frontiera” che, sia pure con molta cautela, si muove la più recente giurisprudenza della Corte Suprema» (ibidem, p. 15).

97 Si intende qui richiamare, in particolare, la posizione in proposito di Bigliazzi Geri, op. cit., p. 60 e ss., la quale ha precisato che «la già sottolineata piena coincidenza, sotto il profilo teleologico, tra tutela diretta e tutela giurisdizionale giustifica la natura potestativa dei diritti di autotutela, sia che questi (analogamente al diritto potestativo d’azione) tendano all’affermazione (benché sul piano sostanziale) di un diritto o di altra situazione soggettiva, sia che, invece, (in via di eccezione, ma sempre sul medesimo piano) siano diretti a respingere una richiesta altrui». Tale ricostruzione è stata adottata altresì da Rappazzo, op. cit., p. 16 e ss.

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diritto potestativo98, motivando tale opzione interpretativa mediante il richiamo dei caratteri di unilateralità della tutela e di impossibilità per il soggetto passivo di opporsi in modo efficace all’esercizio dell’autodifesa.

In effetti, il meccanismo proprio dell’esercizio dei diritti potestativi risulta calzante in tutte quelle ipotesi in cui al ricorso a una misura di autotutela da parte di un soggetto corrisponda la soggezione della controparte (vale a dire chi ha in qualche modo reso necessaria l’autodifesa), la quale non può quindi sottrarsi a provvedimenti (presi in diretta conseguenza di un suo comportamento illecito o, in ogni caso, non iure) che incidono direttamente la sua sfera giuridica, alterandola99.

Tuttavia, anche solo passando in rassegna i numerosi istituti riconducibili all’autotutela previsti dal codice civile e dalle leggi speciali, risulta evidente che il modello di funzionamento del diritto potestativo non è l’unico rinvenibile, mal adattandosi in particolare a tutte quelle ipotesi in cui la condotta in autodifesa si concretizza in un atto di mero arginamento del comportamento aggressivo altrui, senza per questo arrecare un danno o comunque provocare una modificazione diretta nella situazione giuridica dell’altro soggetto100.

98 I diritti potestativi, nel nostro ordinamento, rappresentano una categoria di diritti soggettivi e si caratterizzano per il fatto di attribuire al loro titolare il potere di costituire, modificare o estinguere situazioni soggettive correlate a rapporti con uno o più soggetti, senza che questi ultimi possano opporsi o debbano attivarsi per prestare la propria cooperazione per l’attuazione del citato diritto (come avviene, invece, nel caso dei diritti relativi in generale). Quali figure esemplificative di diritti potestativi si possono richiamare il diritto di ciascuno dei comproprietari di un bene indiviso appartenente a una pluralità di soggetti di chiedere e ottenerne la divisione (ex art. 1111 c.c.), ovvero il diritto di recesso unilaterale del committente da un contratto di appalto (ex art. 1671 c.c.), ovvero ancora la libera revocabilità del mandato, salvo i casi particolari previsti dall’art. 1723 c.c. stesso. Sul tema si vedano altresì Carpino, voce Diritti potestativi, in Enc. Giur., XI, 1988 e Torrente - Schlesinger., op. cit., p.80.

99 Tra i molti esempi possibili, si richiamano ovviamente la legittima difesa (ex artt. 2044 c.c. e 52 c.p.), la vendita e l’acquisto del bene per autorità del creditore (ex artt. 1515 e 1516 c.c.), l’uccisione dei volatili altrui che danneggiano il fondo (ex art. 638 c.c.), il taglio delle radici e dei rami protesi (ex art. 896 c.c.), etc.

100 Si richiamano, tra gli altri, l’eccezione di inadempimento (ex art. 1460 c.c.), la sospensione dell’esecuzione della prestazione per mutate condizioni patrimoniali dell’altro contraente (ex art.

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Pertanto, se questa similitudine tra autotutela e diritto potestativo può fornire spunti suggestivi non è possibile affermare una vera e propria riconduzione della prima al secondo; come è stato sottolineato101, le due figure differiscono altresì per i risultati ottenibili e per gli obiettivi prefissati. Da un lato, se l’effetto tipico del diritto potestativo è, in definitiva, quello di consentire l’imposizione di un soggetto giuridico su di un altro, intervenendo sulla sfera giuridica di quest’ultimo e apportandovi dei cambiamenti, l’esito dell’autotutela è quello di proteggere e mantenere inalterata la situazione giuridica del soggetto agente avverso le minacce di modificazioni provenienti dall’esterno; dall’altro lato, se il fine proprio dell’esercizio del diritto potestativo è quello di porre in essere il relativo potere e soddisfare così direttamente chi ne è titolare, nel caso dell’autotutela si prescinde dal soddisfacimento e dall’attuazione delle pretese dell’agente, risolvendosi piuttosto nella salvaguardia dello status quo.

D’altro canto, altrettanto suggestiva pur se non pienamente condivisibile senza alcune precisazioni è l’interpretazione di chi102 ha voluto assimilare l’autotutela a una surrettizia forma di sanzione, o meglio l’ha intesa come un insieme di poteri derivanti da norme di tipo sanzionatorio; tali poteri, pertanto, sarebbero consentiti solo ove e in quanto espressamente tipizzati dal diritto positivo e non sarebbero suscettibili di interpretazione estensiva analogica.

Il recupero del concetto di sanzione è sicuramente calzante nella misura in cui in tale categoria si ricomprendano alcuni strumenti di conservazione del sistema

1461 c.c.), la ritenzione dell’usufruttuario per imposte, pesi e passività gravanti sul nudo proprietario (ex art. 1011 c.c.), etc. Inoltre, aderire alla tesi del diritto potestativo implicherebbe altresì negare che possano sussistere fattispecie di autotutela in mancanza di una previsione espressa, di origine legale o negoziale, mentre l’opzione ricostruttiva che pare più convincente è quella secondo cui esista invece «l’autotutela libera, non regolata da alcuna norma, che vive nello spazio giuridico, come un animale selvatico che non sia ancora stato scoperto e condotto in cattività» (cfr. Ferrante, op. cit., p. 204-205), optando così per l’ammissibilità di comportamenti atipici in virtù del loro intento di autotutela.

101 Cfr. Dagnino, op. cit., p. 74. 102 Cfr. Betti, op. cit., p. 531.

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(quale ordinamento giuridico nel suo complesso) caratterizzati dal fatto di costituire una qualche forma di reazione o di risposta ad una violazione dell’equilibrio del sistema stesso103. Anche le singole fattispecie in cui si esplica il potere di autotutela, infatti, possono considerarsi accomunate dal fatto di essere volte al rafforzamento del c.d. ordine costituito104 e, quando si renda necessario, a porre rimedio alle conseguenze dell’inosservanza delle norme che costituiscono il fondamento dell’ordinamento giuridico, consentendo agli individui di limitare gli effetti dannosi di un illecito altrui105 ovvero di tutelare i propri interessi dalle minacce esterne106.

Tuttavia, pur avendo il pregio di porre in luce la comunanza di scopo che presentano l’autotutela e la sanzione giuridica, tale impostazione estende alla prima caratteristiche proprie della seconda che, in realtà, non sono rinvenibili nelle ipotesi di autodifesa. Le sanzioni giuridiche, infatti, presuppongono la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa nonché dell’imputabilità107 in capo al soggetto che ha posto in essere una condotta

103 Nel tentativo di afferrare il significato e il ruolo del termine «sanzione» all’interno della teoria generale del diritto e del nostro ordinamento giuridico è imprescindibile partire da Bobbio, voce Sanzione, in Nov. Dig. It., XVI, 1969, p. 530 e ss.

104 Ordine costituito da intendersi nel senso suggerito da Torrente - Schlesinger, op. cit., p. 16, quale insieme degli interessi e dei valori condivisi da una collettività che l’ordinamento giuridico tende a salvaguardare mediante la predisposizione di un apparato coercitivo, ovvero mediante l’attribuzione ai singoli del potere di autotutela.

105 L’esecuzione coattiva per inadempimento del compratore o del venditore, a difesa del creditore dell’obbligazione, ex artt. 1515 e 1516 c.c., sembra essere il caso più paradigmatico, ma ad esempio anche l’azione surrogatoria ex art. 2900 c.c. svolge la medesima funzione.

106 Classiche ipotesi di autotutela che hanno tale manifesto scopo sono la sospensione dell’esecuzione della prestazione dovuta in caso di mutamento nella condizione patrimoniale della controparte (ex art. 1461 c.c.) ovvero la chiusura del fondo da parte del proprietario che intende impedirne l’acceso ai terzi (ex art. 841 c.c.).

107 Sul tema dell’irrilevanza dell’elemento psicologico cfr. Bigliazzi Geri, op. cit., 1971, p. 23-24, nota n. 45; per quanto riguarda la capacità legale si vedano Scognamiglio R., Responsabilità civile e danno, Giappichelli, Torino, 2010. L’art. 2046 c.c., rubricato «Imputabilità del fatto dannoso», subordina la risarcibilità del danno extracontrattuale alla sussistenza dell’imputabilità, ossia alla capacità di intendere e di volere dell’autore del fatto lesivo, non rilevando invece la sussistenza della capacità legale. Quest’ultima è richiesta in materia di obbligazioni, mentre, in caso di fatto illecito, l’ordinamento ritiene che anche un minore, purché capace di intendere e di

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contraria ai dettami dell’ordinamento; inoltre, la sanzione trova la propria origine unicamente in una norma espressa108 e la sua comminazione spetta, ordinariamente, agli organi giurisdizionali dello Stato, costituendo per questi ultimi un vero e proprio atto necessitato, una volta accertata la violazione di una norma109, derivando da norme imperative e non da norme permissive o facoltative.

L’autotutela, invece, richiede elementi diversi da quelli sinora citati: difatti, non presuppone affatto la presenza di un elemento psicologico particolare in capo al soggetto che ha realizzato la minaccia o la lesione cui l’atto di autodifesa risponde, e nemmeno la stessa capacità legale di costui, ben potendosi configurare invece legittime forme di autotutela nei confronti di un soggetto minore ovvero affetto da patologia mentale (ciò che rileva, infatti, è l’elemento oggettivo dato dal pericolo o dalla realizzazione di un’offesa ingiusta, nel senso di non iure, in quanto non legittimata o giustificata da alcuna norma giuridica)110. Per di più, come già indicato in precedenza, l’esercizio dell’autodifesa costituisce sempre e solo una possibilità, per il singolo individuo,

volere, sia in grado di comprendere le conseguenze dannose che da un certo comportamento possono derivare e, per converso, che un maggiore d’età, anche se legalmente capace, può non essere in condizione di capire il significato delle proprie azioni e di autodeterminarsi. Per quanto riguarda, invece, le regole che riguardano l’imputabilità all’interno della disciplina della responsabilità contrattuale, si rinvia a quanto disposto dagli artt. 1176 e 1218 c.c.: vi sarà inadempimento imputabile quando non sussista un’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore (cfr. Iorio, Ritardo nell’adempimento e risoluzione del contratto, Giuffrè, Milano, 2012, p. 35 e ss.).

108 Bobbio, a tal proposito (riprendendo la distinzione già proposta da Kelsen, in Lineamenti di dottrina pura del diritto, Einaudi, Torino, 1967, p. 70), distingue tra norme giuridiche di primo e di secondo grado, riconducendo a queste ultime la previsione di eventuali sanzioni: «l’ordinamento giuridico può essere considerato come un sistema normativo complesso, come un sistema in cui non vi sono soltanto norme regolatrici della condotta dei consociati o norme di primo grado, ma vi sono anche norme di secondo grado, che regolano il modo di produrre e il modo di far rispettare le norme di primo grado», cfr. op. cit., p. 538. La medesima distinzione è richiamata anche da Di Majo, op. cit., 1993, p. 59.

109 In merito alle critiche mosse all’impostazione del Betti si veda ancora, in particolare, Dagnino, op. cit., p. 75 e ss.

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e giammai un obbligo: ciò, logicamente, si collega al fatto che l’autotutela costituisce solo uno dei diversi mezzi predisposti dall’ordinamento per ricomporre l’equilibrio infranto dalla condotta di un soggetto, residuando in ogni caso la possibilità, per la persona lesa o messa in pericolo dalla suddetta condotta, di agire in giudizio per ottenere tutela dagli organi statali a ciò preposti111.

Quanto alla natura giuridica dell’autotutela, pare più appropriato allora rifarsi alle conclusioni offerte sul tema da un altro Autore112, il quale – ben conscio delle difficoltà ricostruttive sinora esposte – ritiene che debba riconoscersi all’istituto in esame una natura complessa, in cui possono cogliersi almeno tre profili distinti. Vi è, in primo luogo, una componente reattiva rispetto alla lesione o all’esposizione al pericolo di un interesse giuridicamente rilevante, che mira a riaffermare quest’ultimo e a disinnescare gli effetti dannosi di una condotta altrui, conferendo così all’autotutela un profilo di natura sostanziale quale

sanzione privata. In secondo luogo, non si può negare che, conferendo almeno in

astratto a un individuo la possibilità di incidere direttamente sulla sfera giuridica di altri individui, i quali non possono opporvisi, l’autotutela abbia altresì natura di potere, almeno in parte. In terzo e ultimo luogo, non configurandosi mai come atto necessitato ma sempre quale strumento ulteriore a favore dei singoli, applicabile ai rapporti tra pari e non a quelli caratterizzati dalla supremazia di una parte sull’altra, l’autotutela partecipa anche della natura delle facoltà113.

111 A proposito della facoltatività del potere di autotutela, Rappazzo, op. cit., p. 19, precisa non solo che non vi sono vincoli che obblighino il soggetto a ricorrere all’autotutela, potendo egli sempre, in alternativa, rivolgersi subito al giudice, ma anche che, viceversa, il mancato esercizio del potere di autotutela non può comportare delle conseguenze negative per il soggetto che vi sarebbe autorizzato; in tal senso, la decisione di non avvalersi degli istituti di autodifesa non giustifica eventuali lamentele da parte del soggetto passivo circa la scelta tra i vari strumenti a disposizione dell’agente, né tantomeno richieste di risarcimento o analoghe iniziative.

112 Cfr. ancora Dagnino, op. cit., p. 82. 113 Ibidem.

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Se l’impostazione ora riportata presta il fianco a delle critiche, in quanto non riesce a fornire una risposta univoca alla questione avente ad oggetto la natura giuridica dell’autotutela, bisogna comunque riconoscerle il merito di aver messo in luce la dimensione problematica, dinamica e in un certo qual modo caleidoscopica della suddetta categoria, che cambia aspetto a seconda del punto di vista adottato dall’interprete e dal concreto contesto in cui vi si fa ricorso114.

Una volta enucleate le differenze che impediscono di assimilare l’autotutela a figure giuridiche analoghe ma distinte, si può ora tentare di individuarne i presupposti, vale a dire gli elementi posti alla base (e dunque sempre ricorrenti) delle numerose ed eterogenee fattispecie riconducibili a tale categoria e previste dal codice civile e dalle leggi speciali.

5.2) Presupposti e limiti.

Prendendo le mosse dalla concezione dell’autotutela or ora illustrata, che la inscrive tra i mezzi che l’ordinamento predispone e utilizza al fine di rafforzare e riaffermare se stesso ogniqualvolta ne venga messa in dubbio l’autorità, si evince immediatamente che ciò che ne costituisce l’elemento caratteristico qualificante115 è la lesione ovvero l’esposizione al pericolo di un bene giuridicamente qualificato, provocata da un agente esterno. Anche l’autotutela, in fondo, altro non è che una forma particolare di tutela, uno dei compiti primari dell’ordinamento giuridico116, e in quanto tale mira a garantire efficacia alle norme che ne costituiscono l’impianto organizzativo e a potenziarne il momento applicativo contro le deviazioni e le infrazioni compiute dai consociati117.

114 Cfr. Ferrante, op. cit., p. 195.

115 Chi usa tale terminologia è ancora Bigliazzi Geri, op. cit., 1971, p. 18. 116 Cfr. ancora Di Majo, op. cit., p. 1.

117 È sempre Bobbio, op. cit., p. 530, a spiegare che «l’ordinamento giuridico è tra i sistemi normativi uno di quelli che per la complessità della sua funzione, che consiste nell’organizzare la

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Insieme alle norme sanzionatorie, le norme che prevedono la possibilità di ricorrere all’autotutela, insomma, partecipano della funzione del diritto come «specifica regola sociale»118, contribuendo a salvaguardare la convivenza civile degli individui che compongono la collettività di riferimento e a coordinare gli interessi privati con quelli dello Stato.

Affinché si assista al concreto operare dei meccanismi di autotutela, tuttavia, è indispensabile il confronto con una condotta posta in essere in modo mediato o immediato da un soggetto che sia in qualche maniera pregiudizievole per gli interessi di un altro individuo, il quale sarà allora legittimato a ricorrere a mezzi di autodifesa; oppure, deve sussistere perlomeno un fatto giuridico che, pur riguardando principalmente la sfera giuridica di un certo soggetto, colpisca altresì negativamente la posizione di un terzo119. In taluni casi, tuttavia, basta persino un evento di origine naturale120 (che, per esempio, può aver creato per un soggetto le condizioni di cui all’art. 2045 c.c., in tema di stato di necessità) a giustificare il ricorso a misure di autodifesa.

Al di là dell’intensità del collegamento esistente tra l’evento potenzialmente dannoso e il comportamento di che ne è, in un modo o nell’altro, l’autore o il

vita di gruppo al fine di permetterne la sopravvivenza e la continuità, consta di norme la cui osservanza è generalmente penosa ed è spesso messa in questione».

118 Cfr. Kelsen, op. cit., p. 68.

119 Così si esprime, ad esempio, Bigliazzi Geri, op. cit., p. 17.

120 Una parte minoritaria della dottrina, in realtà (quali Bigliazzi Geri, op. cit., 1971, p. 17 e Bianca, op. cit., 2000, p. 132) tendono a escludere che nel concetto di tutela rientrino altresì le misure di protezione contro fatti lesivi non causati dall’uomo, nemmeno in via mediata. Nondimeno, vi sono diversi argomenti che inducono a non condividere tale esclusione, quali la pacifica possibilità di avvalersi della legittima difesa (di cui all’art. 2044 c.c.) anche per difendersi dal fatto della persona non imputabile, dell’animale o perfino della cosa, nonché la già accennata irrilevanza dell’elemento psicologico proprio dell’autore del fatto lesivo (cfr. ancora Scognamiglio, voce Responsabilità civile, cit., p. 654). Di questo secondo parare è anche Dagnino, op. cit., p. 10. Quali esempi paradigmatici di strumenti di autotutela ontologicamente pensati contro «eventi naturali» si possono citare gli articoli 924 e 925 c.c. (rispettivamente riguardanti la fuga di sciami di api o di animali mansuefatti).

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propulsore, è opportuno rimarcare che non è necessario, invece, che la lesione121 si sia effettivamente realizzata per l’attivazione del potere di autotutela, ben potendo quest’ultimo essere esercitato anche da chi intende solo cautelarsi contro un possibile danno futuro122. Sarà, quindi, sufficiente il mero pericolo dell’offesa, vale a dire la concreta possibilità che un determinato fatto comprometta il mantenimento di una situazione giuridica protetta ovvero l’acquisto di un’utilità pacificamente spettante, per legittimare l’utilizzo delle ipotesi di autodifesa. Anche in forza di ciò, a maggior ragione si comprende come mai non sia necessario il verificarsi di un danno e come ciò non contrasti con quanto sinora affermato, in quanto ben vi può essere una compiuta lesione pur senza che si crei un pregiudizio economicamente valutabile123 (che andrebbe in ogni caso risarcito secondo le regole proprie della responsabilità civile).

121 Circa il significato da attribuire al concetto di «lesione rilevante», pare esaustivo quanto indicato da Bigliazzi Geri, op. cit., 1971, p. 19-20, ove lo collega a «tutte le volte in cui l’interesse di un soggetto (…) ovvero la posizione complessiva che, più in generale, il soggetto stesso riveste in uno specifico rapporto giuridico o in una diversa situazione di rilevanza di interessi, vengano pregiudicati – in quanto ne sia impedito in toto o messo in pericolo il soddisfacimento in via fisiologica ovvero rischi di esserne alterato l’equilibrio – da un «fatto» proveniente dalla sfera giuridica altrui, che, in definitiva, si esaurisca o trovi la sua causa od il suo possibile sviluppo in un comportamento (attuale o soltanto possibile) non corrispondente all’esercizio – perché non sorretto da ovvero eccedente i limiti – di una situazione libera (diritto soggettivo) o, rispettivamente, necessitata sull’an (potestà, obbligo), ovvero non altrimenti «autorizzato»; sia, poi, che l’autore di questo assuma, rispetto alla situazione lesa o messa in pericolo, la posizione di controparte, sia che si presenti, invece, come assolutamente estraneo (terzo)».

122 Tra i numerosi strumenti di autotutela con spiccata funzione preventiva rispetto a una lesione non ancora occorsa si possono citare il diritto di ritenzione (si veda ad esempio la previsione dell’art. 748 c.c.: il coerede che conferisce un immobile in natura può ritenerne il possesso sino all’effettivo rimborso delle somme dovute dagli altri coeredi per le spese e i miglioramenti), la possibilità di sospendere il pagamento del prezzo per il compratore di un bene soggetto a pericolo di rivendica da parte di terzi (ex art. 1481 c.c.), o anche l’eccezione di inadempimento, di cui all’art. 1460 c.c., e la possibilità di sospendere l’esecuzione della propria prestazione a fronte di un mutamento nelle condizioni patrimoniali del coobbligato che mettano a rischio l’adempimento di quest’ultimo, ex art. 1461 c.c.

123 Cfr. Bigliazzi Geri, op. cit., 1971, p. 24. A tale ultimo proposito, tuttavia, Dagnino, op. cit., p. 10, precisa che, pur in mancanza di danno, l’interesse deve essere leso almeno sotto il profilo del suo possibile soddisfacimento o comunque che sia ostacolata la pretesa che ne scaturisce.