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La variazione delle mansioni: il problematico concetto di equivalenza professionale, gli obiettivi e le tecniche di tutela

AUTOTUTELA INDIVIDUALE, CLAUSOLA GENERALE DI BUONA FEDE E PRINCIPI COSTITUZIONALI

2) La variazione delle mansioni: il problematico concetto di equivalenza professionale, gli obiettivi e le tecniche di tutela

449 In merito alla c.d. mobilità orizzontale e all’elaborazione del concetto di mansioni equivalenti si è sbizzarrito il dibattito e si sono moltiplicate le proposte interpretative da parte tanto della dottrina quanto della giurisprudenza almeno sino alla radicale modifica della norma apportata dal D.Lgs. n. 81/2015: cfr. paragrafi successivi.

450 Un incisivo intervento a favore di una maggiore valorizzazione del ruolo delle organizzazioni sindacali e della contrattazione collettiva al fine di introdurre una prospettiva più dinamica e duttile della norma è rinvenibile nella nota pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite, n. 25033 del 24.11.2006 (in RIDL, 2007, 2, II, p. 336 e ss., con nota di Occhino, La clausola collettiva di fungibilità tra mansioni contrattualmente, ma non legalmente, equivalenti è valida per esigenze aziendali temporanee, ma anche in ADL, 2007, II, p. 660, con nota di Borzaga, Principio di equivalenza delle mansioni e ruolo della contrattazione collettiva: verso nuovi spazi di flessibilità?). In tale pronuncia, la Corte prevede, infatti, la possibilità per il contratto collettivo di introdurre clausole di fungibilità tra mansioni diverse, che «esprimono distinte professionalità» e che costituiscono« lo sbocco di percorsi formativi distinti, in ipotesi anche di livello diverso», dando vita alla figura della «equivalenza contrattuale», purché ciò avvenga nel rispetto dell’art. 2103 c.c. e dunque solo in presenza di specifiche esigenze aziendali temporanee che coinvolgano una pluralità di lavoratori e favorendo, comunque, la professionalità acquisita e quella potenziale di questi ultimi.

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La norma risultante dall’intervento dell’art. 13 St. Lav. ammetteva esplicitamente che il datore di lavoro potesse decidere in modo unilaterale di adibire il proprio dipendente a mansioni corrispondenti a quelle concordate nel momento dell’assunzione451 ovvero equivalenti alle ultime effettivamente svolte (realizzando un’ipotesi di mobilità c.d. «orizzontale»), ovvero a mansioni superiori (integrando il caso di mobilità c.d. «verticale»). Soffermandoci più specificamente sulla prima ipotesi, emerge immediatamente come le indicazioni fornite dal diritto positivo ai fini dell’applicazione della norma alle fattispecie concrete fossero piuttosto scarse e soprattutto generiche, considerato che l’espressione «equivalenza» era di per sé «neutra» e «aperta»452 all’azione definitoria soprattutto della giurisprudenza e dell’autonomia collettiva. Tale formulazione appariva così il frutto di una precisa opzione di politica del diritto operata dal legislatore, affinché gli interpreti non concentrassero la propria attenzione unicamente sull’astratta comparazione tra i compiti di destinazione e quelli di provenienza, bensì si spingessero a compiere una valutazione più ampia, che comprendesse un esame del senso che la modifica delle mansioni aveva assunto all’interno di quella specifica organizzazione imprenditoriale.

451 Tuttavia, come rilevato da Liso, op. cit., 1982, p. 166, tale nozione non doveva essere intesa in senso eccessivamente formale, per cui nel caso (sin troppo frequente, nella prassi) in cui le espressioni utilizzate in contratto fossero di ardua comprensione o talmente generiche da risultare poco indicative del contenuto concreto delle mansioni, si sarebbe dovuto aver riguardo alla posizione professionale concretamente rivestita dal lavoratore all’interno dell’organizzazione aziendale. Nel caso in cui addirittura mancasse del tutto un’espressa previsione negoziale avente ad oggetto i contenuti della prestazione lavorativa, Brollo, op. cit., 1997, p. 127 e ss., proponeva di ricorrere ai dati esperienziali (cfr. la nozione di “dati di tipicità ambientale” di cui alla nota seguente) al fine di prendere in considerazione «i posti forgiati all’interno dell’azienda che il lavoratore andrà ad occupare nella concreta divisione del lavoro in uno specifico contesto produttivo».

452 Questo è l’aggettivo prescelto da Brollo, op. cit., 1997, p. 169 e ss., ove l’Autrice precisa che l’equivalenza è una nozione elastica, «espressa in forma analoga a quella di una clausola generale ‘in bianco’ che rinvia a ‘dati di tipicità ambientale’, cioè alla razionalità materiale dell’economia e ai rapporti di mercato». Il concetto di «dati di tipicità ambientale», invece, è stato utilizzato tra i primi da Liso, op. cit., 1982, p. 180-181, al fine di indicare quei fattori desumibili dal contesto lavorativo fattuale che dovevano essere presi in considerazione dagli operatori del diritto per riempire di significato il criterio dell’equivalenza

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Se, da un lato, i limiti «esterni» dell’equivalenza potevano rinvenirsi nel richiamo dei compiti svolti da ultimo, dall’altro i limiti «interni» si rinvenivano proprio nella ratio della norma, cioè deducendo il bene fatto oggetto della tutela predisposta dall’ordinamento e andando a verificare, nel caso di specie, se il provvedimento datoriale lo avesse rispettato o meno453. Uno dei principali criteri454 seguiti dagli studiosi per individuare l’interesse del lavoratore che si è voluto tutelare in via privilegiata mediante l’art. 2103 c.c. è stato quello di prendere in considerazione la collocazione sistematica dell’art. 13 St. Lav. che ha dettato la relativa disciplina nel 1970 (norma sita, come noto, nel Titolo I dello Statuto, rubricato “Della libertà e dignità del lavoratore”) nonché nell’intento garantista-promozionale ispiratore dell’intero testo normativo. Si è così concluso che il principale bene che si intendeva salvaguardare mediante la norma in questione fosse un aspetto particolare della dignità della persona-lavoratore, vale

453 Quella appena riportata è, in particolare, la ricostruzione che effettua De Feo, La nuova nozione di equivalenza professionale, in ADL, 2015, 4-5, p. 855, proprio per spiegare l’origine e i primi utilizzi del concetto di professionalità del lavoratore come valore considerato meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.

454 Non è stato invece seguito il criterio, proposto da alcuni studiosi, della mera omogeneità di trattamento economico: la retribuzione è stata qualificata, piuttosto, come un limite, ulteriore e diverso, al potere di modifica delle mansioni, dal momento che proprio al dettato dell’art. 2103 c.c. si riconduce l’affermazione del principio di irriducibilità della retribuzione (cfr. ancora Brollo, op. cit., 1997, p. 136). Secondo quanto già affermato da Giugni, op. cit., p. 264 - 265, tuttavia, al tempo della vigenza del testo pre-statutario, tale previsione era stata considerata alquanto rilevante e niente affatto scontata, in quanto implicava «la rigorosa osservanza del principio di corrispettività tra le due prestazioni, ove la variazione dei compiti implichi lo svolgimento di mansioni di maggior valore, e, al contrario, la deviazione dallo stesso, qualora i compiti siano di minor valore. Tale soluzione legislativa appare solidamente sostenuta da principi di equità, ma l’acquisizione di essa non manca di porre seri problemi applicativi (…) di più agevole applicazione pratica, ma nel contempo di più difficile costruzione appare il secondo di tali criteri; quello, cioè, che inerisce all’assegnazione di mansioni inferiori. (…) a volte giustificata, anche in carenza di una esplicita norma, con la considerazione che all’imprenditore è attribuito il potere di modificare la prestazione, ma non la retribuzione convenuta. Il che è certamente esatto, ma con l’esattezza propria delle petizioni di principio (…). È vero, invece, che se all’esercizio dello jus variandi nel rapporto di lavoro subordinato segue la conservazione degli effetti del contratto, anche di fronte all’alterazione intervenuta nel sinallagma funzionale, ciò deriva da una ben precisa valutazione di politica legislativa dapprima intuita dall’esperienza, di poi consapevolmente formulata dal legislatore. (…) in quanto con tale soluzione si realizza, nel modo più economico per la certezza dei rapporti, la tutela del contraente più debole di fronte alle vicende sfavorevoli del rapporto».

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a dire la sua «dignità professionale» o anche più, semplicemente, la sua «professionalità»455.

Adottando questa prospettiva, si comprende perché l’equivalenza sia considerata «metro di controllo» del rispetto della normativa in caso di assegnazione a mansioni diverse da quelle di assunzione o precedentemente svolte, nonché un «criterio di identificazione di posti di lavoro riconducibili ad una determinata figura professionale oppure ad un’area professionale»456. La professionalità, invece, in questa sede è intesa perlopiù come «capacità di esecuzione di prestazioni più o meno complesse» nonché come «possesso di risorse cognitive e tecniche atte a consentire, previa breve formazione, l’esecuzioni di altre prestazioni»457.

Si ammetteva, pertanto, un mutamento dei compiti assegnati, purché si tenesse conto e si rispettasse il bagaglio esperienziale e tecnico-cognitivo di cui si era dotato il lavoratore durante il periodo in cui aveva svolto le precedenti mansioni, vale a dire il suo patrimonio professionale, appunto. La giurisprudenza raccoglie gli spunti ricostruttivi offerti dalla dottrina sul punto e lo spazio interpretativo volutamente458 lasciato dal legislatore (quest’ultimo, in particolare, ben consapevole dell’estrema mutevolezza delle situazioni caratterizzanti la sfera imprenditoriale e della sostanziale imprevedibilità dei fattori di rischio per la professionalità dei lavoratori): così il doveroso paragone tra mansioni precedentemente rivestite e mansioni assegnate ex novo si compone di due distinti momenti, una valutazione di tipo oggettivo volta a prendere in considerazione le qualificazioni formali date dai livelli di inquadramento e dalle

455 Cfr. ancora Brollo, op. cit., 1997, p. 137 e ss., De Feo, op. cit., p. 855; in senso più critico rispetto all’esclusività del criterio della professionalità nel più ampio giudizio riguardante l’equivalenza tra le mansioni assegnate, tuttavia, Liso, op. cit., 1982, p. 175 e ss.;

456 Entrambe le definizioni provengono da Liso, op. cit., 1982, rispettivamente p. 172 e p. 184. 457 Così si è efficacemente espresso Mengoni, La cornice legale, in QDLRI, 1987, 1, L’inquadramento dei lavoratori, p. 46.

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declaratorie previste, in astratto, nei contratti collettivi, ma anche una valutazione di tipo soggettivo, destinata a calare i principi sinora enunciati nel caso concreto al fine di verificare che i nuovi incarichi consentissero al lavoratore di utilizzare, perfezionare o accrescere le competenze, la perizia e le capacità in suo possesso in quel momento459.

Il giudizio sull’effettiva equivalenza tra mansioni di origine e di destinazione assume così uno spiccato carattere empirico, del tutto coerente con la scelta di non tipizzare a priori il bene protetto dall’art. 2103 c.c. A parte tale punto fermo, tuttavia, si sviluppa un vivacissimo dibattito tra gli studiosi che non si arrendono all’indeterminatezza della norma e tentano di determinare e declinare meglio i concetti sopra richiamati, anche con l’obiettivo di adattare la regolazione alle innovazioni tecnologiche, ai mutamenti economici e ai nuovi modelli organizzativi interni alle imprese che si diffondono nel frattempo.

Questo è il clima culturale e politico in cui si inserisce il dibattito sulla possibilità di ricostruire il concetto di professionalità in una dimensione statica460

ovvero dinamica461, il filone giurisprudenziale462 (piuttosto restrittivo) orientato ad impedire che a causa dell’esercizio dello ius variandi il lavoratore perdesse – o anche solo sottoutilizzasse – parte delle proprie capacità professionali, cui si

459 Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. lav., 4.10.1995; Cass. civ., sez. lav., 24.6.2013, n. 15769. 460 Vale a dire, unicamente come professionalità pregressa, già sedimentata e perfettamente dominata dal lavoratore grazie all’esperienza passata; gli indici valorizzati in tale ottica erano la posizione gerarchica raggiunta, il grado di autonomia decisionale, la responsabilità operativa, il fatto di avere a sua volta altri lavoratori sotto il suo potere e controllo, il prestigio all’interno e all’esterno dell’azienda, etc.: cfr. ancora Brollo, op. cit., p. 143 e ss.

461 Il suddetto concetto veniva propugnato proprio da quanti ritenevano che fosse sempre più inevitabile cercare nuovi punti di equilibrio tra le esigenze di tutela della sfera personale del lavoratore e quelle economiche, organizzative e produttive dell’impresa, nel senso di fortificare la posizione professionale del lavoratore sul mercato valorizzando le sue capacità di reimpiegarsi e di acquisire nuove competenze arricchendo il proprio bagaglio esperienziale e rendendosi più appetibile nel caso di ristrutturazioni o crisi aziendali: cfr. ancora Brollo, op. cit., p. 150 e ss. 462 Cfr., ad esempio, Cass. civ., sez. lav., 17.7.1998, n. 7040; Cass. civ., sez. lav., 26.7.2006, n. 17022; Cass. civ., sez. lav., 15.2.2003, n. 2328.

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contrappone una parte degli studiosi463, i quali ritengono invece che sia preferibile – anche nell’interesse del lavoratore, oltre che del datore di lavoro – svincolarsi da una concezione troppo rigida della professionalità in favore di una nozione più flessibile, in grado di rispondere meglio alle esigenze del mercato.

3) Le principali modifiche apportate all’art. 2103 c.c. dal D.Lgs. n. 81/2015

Dopo quarantacinque anni di onorato servizio, l’art. 2103 c.c. è stato nuovamente sottoposto a un’integrale rivisitazione e riscrittura, ad opera dell’art. 3 del D.Lgs. n. 81/2015464, scompaginando il quadro di riferimento entro il quale

463 Cfr. Liso, L’incidenza delle trasformazioni produttive, in QDLRI, 1987, 1, p. 169, che teorizzava una nozione “plurima” del concetto, a flessibilità crescente a seconda che il mutamento di mansioni fosse unilaterale e definitivo, unilaterale ma temporaneo, su accordo delle parti; si veda altresì Mengoni, La cornice legale, ivi, p. 46, che, come già citato, richiama il concetto di professionalità potenziale, al fine di tutelare altresì le opportunità di arricchimento esperienziale e l’adattabilità dei lavoratori alle nuove mansioni.

464 Il nuovo testo, rubricato nuovamente «Prestazione del lavoro», recita: «Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può esser assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale.

Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione alle nuove mansioni.

Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi. Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al

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era sorto e si era in parte consolidato l’apparato di limiti, precisazioni e interpretazioni di matrice dottrinale e giurisprudenziale sopra descritto, che sino ad allora concorreva ad adattare la norma alla realtà mutevole e alle sempre nuove esigenze di giustizia sostanziale.

La riforma dell’art. 2103 c.c. si inscrive nella più ampia cornice data dalla manovra di complessiva risistemazione della materia giuslavoristica passata sotto il nome di Jobs Act, avviata con l’emanazione della legge delega 10.12.2014, n. 183. L’obiettivo dichiarato del legislatore, nell’intraprendere tale vasta manovra che ha investito molti aspetti della disciplina giuslavoristica, è stato principalmente quello di fronteggiare la crisi economica e sociale che si sta prolungando, ormai da quasi dieci anni, quantomeno in Europa, e i fattori di cambiamento dati dal passaggio dall’era analogica a quella digitale e da un’organizzazione del lavoro imperniata sul modello industriale tayloristico-fordista a quella, quasi del tutto immateriale, spesso dai tratti sovranazionali e fondata sullo scambio di servizi sempre più variegati, che si è andata affermando negli ultimi trent’anni. In vista di ciò, l’ultimo Governo ha deciso di investire sulla capacità degli imprenditori di accogliere e gestire tali cambiamenti, incentivandoli a puntare nuovamente su istituti criticati in quanto ritenuti troppo rigidi e gravosi rispetto al contesto465 e concedendo loro, in cambio, un margine

miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Nel caso di assegnazione a mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salva diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi. Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive.

Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo.»

465 Esempio paradigmatico è, naturalmente, l’incentivo all’utilizzo del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, tanto che la L. n. 183/2014, al suo art. 1, comma 7, lett. b) indica, fra i principi e i criteri direttivi, quello di «promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro

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di operatività e di flessibilità organizzativa anche nei confronti dei propri dipendenti quasi senza precedenti.

Come si sono apportate delle rilevanti modifiche alla disciplina del rapporto di lavoro sia quanto al momento di «ingresso» sia in riferimento al momento di «uscita», analogamente il legislatore ha provveduto a intervenire sull’organizzazione e sulla gestione del rapporto «durante» lo svolgimento dello stesso466, anche per distribuire in modo più omogeneo il «costo sociale»467 della riforma anche sui lavoratori in forza, oltre che sui neo-assunti e sui licenziati.

La nuova regolazione468 dettata per la variazione delle mansioni dei lavoratori e per il loro trasferimento si è estrinsecata in una norma ampia e dettagliata, vero e proprio «patchwork»469 in cui il legislatore ha dato prova di esser ben conscio del ricco vissuto dell’istituto, talvolta mostrando la volontà di essere una netta

rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti». E la successiva legge di stabilità 2015, vale a dire la L. n. 190/2014, al suo art. 1, comma 118, prevede l’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori «con riferimento alle nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato» effettuate nel periodo 1° gennaio- 31 dicembre 2015.

466 Evidenzia la pervasività dell’intervento riformatore in tutte le fasi evolutive del rapporto di lavoro Brollo, in Disciplina delle mansioni (art. 3), compreso nel Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, Carinci F. (a cura di), ebook Adapt n. 48/2015, p. 30.

467 Cfr. ancora De Feo, op. cit., 2015, p. 853.

468 Sono stati moltissimi gli interventi dottrinali che si sono succeduti dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2015 a commento critico della riforma apportata all’art. 2103 c.c.: cfr., ad esempio, Garilli, La nuova disciplina delle mansioni tra flessibilità organizzativa e tutela del prestatore di lavoro, in DLRI, 2016, I, p. 129 e ss.; Cester, La modifica in pejus delle mansioni nel nuovo art. 2103 c.c., in DLRI, 2016, I, p. 167 e ss.; Liso, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, n. 257/2015; Brollo, La disciplina delle mansioni dopo il Jobs Act, in ADL, 2015, 6, p. 1156 e ss.; De Feo, op. cit., 2015, p. 853 e ss.; De Angelis, Note sulla nuova disciplina delle mansioni ed i suoi (difficilissimi) rapporti con la delega, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, n. 263/2015; Vidiri, La disciplina delle mansioni nel Jobs Act: una (altra) riforma mal riuscita, in ADL, 2016, 3, p. 465 e ss.; Gargiulo, Lo ius variandi nel «nuovo» art. 2103 cod. civ., in RGL, 2015, n. 3, p. 619 e ss.; Raffi, Ideologia e regole nella nuova disciplina del mutamento di mansioni, in RGL, 2016, 4, p. 845 e ss.; Nuzzo, Il nuovo art. 2103 Cod. Civ. e la (non più necessaria) equivalenza professionale, in RIDL, 2015, 4, II, p. 1047 e ss.; Bini, Dall’equivalenza professionale all’equivalenza economica delle mansioni. Questioni ermeneutiche e prime osservazioni, in ADL, 2015, 4, p. 1240 e ss.

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soluzione di continuità, altre volte rielaborando o riconfermando soluzioni passate. Restringendo il campo d’indagine alle modifiche rilevanti per il presente elaborato, si illustreranno brevemente solo le disposizioni relative alla mobilità orizzontale e all’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori.

Ciò che salta agli occhi, già a una prima lettura del nuovo testo dell’art. 2103 c.c. è la cancellazione del riferimento all’equivalenza quale criterio legittimante il passaggio di mansione «laterale», sostituito da quello – di certo meno indeterminato – delle mansioni riferibili allo stesso livello di inquadramento contrattuale e alla stessa categoria legale470 degli ultimi incarichi svolti. Il legislatore ha dunque deciso di abbandonare un sistema regolativo basato su un giudizio sostanzialistico, avente ad oggetto una valutazione empirica, in favore di un sistema formale471, costretto nei confini tracciati dall’autonomia collettiva in sede di contrattazione collettiva e da un elemento qualificatorio ormai quasi desueto quale la «categoria legale»472, che riporta alla mente i tempi di aspra contrapposizione tra operai e impiegati473.

470 Come è stato fatto notare da più voci, in questo modo si è introdotto nel sistema di lavoro privato un meccanismo proprio del lavoro pubblico, in quanto richiama la previsione di cui