Grafico 2.1 Alunni stranieri Cni in Lombardia per aree di provenienza
5. Percorsi di formale integrazione degli immigrati extracomunitari in Lombardia: brevi considerazion
5.2 Caratteristiche degli immigrati a integrazione formale “lenta”
Per approfondire la riflessione si sono ulteriormente interrogati i dati della survey per cercare di capire le caratteristiche di quegli immigrati che risultano particolarmente lenti nel percorso di integrazione forma- le (di seguito breviter definiti come “lenti”); caratteristiche che, consi- derato comunque l’orientamento all’integrazione formale di cui si è detto sopra per quanto ricollegabili a situazioni di difficoltà nell’integrazione sostanziale, vanno ragionevolmente considerate co- me cause della lentezza.
Si è assunto a tal proposito che rientrino nella categoria dei lenti tut- ti quegli immigrati extracomunitari presenti da più di nove anni in Ita- lia – ma per non pochi tra essi gli anni di presenza sono addirittura quindici-venti – e che non hanno né la cittadinanza né un permesso permanente; si tratta, si noti, di circa il 20% degli immigrati presenti da più di nove anni.
C’è una qualche correlazione tra lentezza e provenienza? Sì. Dalla combinazione dei dati, su condizione giuridica/anno di arrivo con quelli sulla provenienza, emerge ad esempio che la lentezza è molto rara tra gli albanesi (è lento tra loro solo il 10%) ed è invece relativa- mente frequente tra i cinesi (più di un terzo di loro è lento). In generale la lentezza è più rara tra i provenienti dall’Europa e dal Nord Africa, e più comune invece tra gli asiatici e i provenienti dall’africa subsaha- riana e dall’America latina (essa riguarda infatti circa un terzo degli immigrati con tali provenienze).
Come in parte già si può intuire da quanto appena detto, non c’è invece correlazione tra appartenenza religiosa e lentezza: in particolare i mussulmani non si discostano a questo proposito dalla media degli immigrati extracomunitari. Anche il genere e l’età non paiono colle- garsi alla lentezza. Pare invece legarsi alla lentezza lo stato civile: tra i celibi, infatti, i lenti sono più comuni, essendo il 30%.
Livello di istruzione, lavoro, reddito e condizione abitativa appaio- no poi in qualche modo legati alla lentezza.
Dal collegamento tra i dati quanto a condizione giuridica/anno di arrivo e quelli quanto a livello di istruzione, tipo di condizione lavora- tiva, reddito, e condizione alloggiativa, emerge in particolare quanto segue.
La lentezza è molto più comune tra coloro che non hanno un titolo di studio o hanno solo un titolo di scuola primaria (riguarda circa il 30% di costoro), ed è invece molto rara tra i laureati (nemmeno il 10% dei quali è lento).
La lentezza è molto comune tra i lavoratori agricoli (in tale ambito i lenti arrivano al 50%), ed è diffusa anche tra i domestici fissi (riguarda in questo caso circa il 30%), e probabilmente tra coloro che hanno diffi- coltà occupazionali (a voler considerare indicativo il dato per cui il 30% circa dei disoccupati al momento della rilevazione rientra nella ca- tegoria dei lenti). Essa è invece molto rara tra gli impiegati, i medici e i paramedici, e le altre persone impiegate in attività intellettuali (per queste categorie essa riguarda meno del 10% degli appartenenti).
La lentezza è poi inversamente correlata al reddito ed è, infine, condizione rara tra coloro che abitano in casa di proprietà (riguarda meno del 10%) e, invece, abbastanza comune tra coloro che dichiarano di abitare sul posto di lavoro (quasi il 50% della persone che vivono in tale situazione rientrano tra i lenti) e ancor più tra coloro che abitano in centri di accoglienza o in alloggi di fortuna (tra questi circa i due terzi rientrano tra i lenti).
5.3 Conclusioni
I dati inducono a una serie di considerazioni.
Anzitutto, come già rilevato nel paragrafo 2, gli immigrati extraco- munitari appaiono per lo più orientati a ottenere sia il permesso per- manente sia, poi, la cittadinanza.
Per entrambi i titoli c’è però in molti casi uno scostamento tra la tempistica di legge e i tempi reali.
A proposito della cittadinanza lo scostamento è peraltro nettamente maggiore di quello che si riscontra a proposito del permesso perma- nente, e tale differenza non è imputabile solo alla maggior durata della procedura amministrativa; nemmeno, si noti, si può pensare di attri- buirla più di tanto al problema dell’eventuale perdita della cittadinan- za del paese di provenienza e nemmeno si può pensare di attribuirla a mancanza di requisiti essendo, si noti, i requisiti per il permesso per- manete e quelli per la cittadinanza oggi assai simili.
Si può perciò ipotizzare che abbia un certo peso un dato emerso dalla sopra citata survey del 2011-2012, ossia che il permesso perma- nente risulta per gli immigrati un titolo di estrema importanza perché decisivo per avere la sicurezza del soggiorno, anche a causa della pre- carietà-problematicità della condizione di chi ha un permesso tempo- raneo, mentre la cittadinanza non appare capace di determinare una svolta nell’esistenza, cosicché non stupisce che nella stessa indagine un terzo degli immigrati che non ha né la cittadinanza né il permesso permanente si dichiara interessato solo a quest’ultimo. Insomma, men- tre ci sarebbe ragione di affrettarsi lungo la via del permesso perma- nente, non vi sarebbe una pari urgenza quanto alla cittadinanza. Que- sto, è chiaro, può indurre a qualche riflessione di carattere generale su come gli immigrati avvertano relativamente poco il fascino dell’Italia come comunità politica e, o avvertano relativamente poco l’utilità della partecipazione politica. Anche considerato il fatto che comunque, co- me si è visto, gli immigrati nel lungo periodo accedono alla cittadinan- za, varrebbe la pena di interrogarsi su vie possibili per attenuare almeno tale atteggiamento in qualche modo negativo.
Ma è senza dubbio quella che sopra si è identificata come la catego- ria dei lenti – che, non lo si dimentichi, comprende il 20% degli immi- grati extracomunitari giunti in Italia da più di nove anni – a suscitare più preoccupazione. Il non avere nemmeno un permesso permanente dopo oltre nove anni, e per non pochi addirittura dopo 15-20 anni di soggiorno, segnala senza dubbio di per sé una situazione complessi- vamente difficile. E del resto come si è visto nel paragrafo 3 questa condizione corrisponde spesso in misura significativa a elementi che parlano di difficoltà grave nell’integrazione sostanziale: reddito mode- sto, se non disoccupazione; alloggio nel luogo di lavoro, se non addi- rittura in strutture di accoglienza o in baracche.
Sulla base delle considerazioni sopra sviluppate possiamo afferma- re che dai dati emerge a riguardo uno scenario molto netto.
Per anni in Italia si è pensato che l’essere albanese o l’essere mu- sulmano fosse d’ostacolo all’integrazione: i dati invece mostrano che questi elementi non contano almeno per quel che riguarda l’integrazione formale. A livello etnico è più “frenante” a tal proposito un’origine cinese o sudamericana.
A pesare negativamente sull’integrazione formale sono invero so- prattutto gli stessi fattori che penalizzano molti italiani: lo scarso livel-
lo di istruzione, le difficoltà occupazionali, il basso reddito, le difficoltà alloggiative. Sinteticamente potremmo dire che l’immigrato lento nell’integrazione formale è anzitutto l’immigrato povero; e per quanto detto nella premessa, tale lentezza è poi a sua volta fattore (anche se certo non l’unico) di povertà.
La riflessione sulla lentezza nell’integrazione formale degli immi- grati, come invero accade spesso quando si va a fondo nello studiare i problemi degli immigrati, chiama perciò in causa un tema di per sé non peculiare dell’immigrazione bensì drammatico anche per molti italiani, la povertà appunto.
Riferimenti bibliografici
Groenendijk K. (2007), The Long-Term Residents Directive, Denizenship and inte- gration, in Baldaccini A., Guild E., Toner H. (eds.), Whose freedom, security and justice?: EU immigration and asylum law and policy, Hart. Oxford, pp. 429-450.