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4. AFFRONTAMENTO

4.6 Casi d’affrontamento

Contini (2019) racconta uno dei casi più complessi con cui ha avuto a che fare negli anni. Il caso è quello di “Bea”, una bambina di otto anni che, a poco a poco, si rifiuta di andare a scuola e di uscire di casa. Dopo due mesi, che Bea portava avanti questo comportamento di chiusura, di isolamento, una neuropsichiatra infantile cominciò a seguire il suo caso. Ma non riusciva a capire quale potessero essere i motivi di questa sua chiusura.

La madre di Bea conosceva Claudia, fondatrice della “Casina dei bimbi”, amica e collaboratrice di Contini nei casi che riguardano soprattutto i minori. Parlò del problema con lei, Claudia, che poi lo riferì a Contini, che d’accordo con la neuropsichiatra infantile combinò un incontro con la bambina, in presenza della madre.

Parlandoci, Contini aveva capito che la bambina sentiva le voci, e di fatto quando le chiese quante voci sentiva, rispose:

“<<ne sento undici>>” (Contini, 2019, p. 103).

A quel punto, si creò una èquipe con pediatra, assistente sociale, genitori e neuropsichiatra. Una collaborazione necessaria per portare avanti il processo di identificazione delle voci, che durò per lungo tempo. Quello che emerse, dalle loro caratteristiche, fu la voce di un uomo di trent’anni, e un’altra voce, tra quelle femminili, che era identificabile con quella della babysitter. La voce maschile sembrava appartenere, per età e per nome, a un amico della donna.

Dunque, poiché le voci tendono a corrispondere a persone conosciute nel passato o nel presente, Contini, insieme alla neuropsichiatra, tentò di descriverle ai genitori della bambina. Quando emersero le caratteristiche, descritte sopra, i genitori scoppiarono a piangere. Dopodiché Contini si interrogò anche sul fatto che la bambina ogni volta che faceva la doccia sentiva il bisogno di asciugarsi le parti intime in modo quasi compulsivo, arrivando persino ad utilizzare il phon. Le dava fastidio la sensazione di sentirsi bagnata.

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“<<Guardate, qui è accaduto qualcosa di grave. Se Bea ha iniziato a sentire le voci a otto anni vuol dire che quando aveva tre o quattro anni è accaduto qualcosa. Ditemi cosa è successo>>” (Contini, 2019, p. 104).

I genitori confermarono a Contini che effettivamente era accaduto qualcosa, un episodio che speravano che la bambina avesse dimenticato. Raccontarono che la babysitter s’intratteneva con un ragazzo, che loro non conoscevano, invece che occuparsi delle bambine. Fecero sesso davanti a loro, e Bea fu incidentalmente macchiata dello sperma di quel ragazzo su una gamba.

Ecco il motivo, dice Contini (2019), del “fastidio per la sensazione di bagnato, la somatizzazione di un trauma che in sé non ricordava” (p. 104).

Questo episodio traumatico, a quel tempo, fu raccontato ai genitori dalla sorella più grande, che quel giorno aveva assistito alla scena. Quando seppero del fatto, quindi si parla di anni fa, sporsero denuncia, cambiarono casa, ma non credevano che quell’episodio avrebbe potuto avere ripercussioni gravi sulla bambina in futuro.

Una volta individuato il trauma, “venne il momento di affrontare le voci, cercare di disciplinarle” (Contini, 2019, p. 105).

Bea avrebbe dovuto iniziare una terapia farmacologica programmata dalla neuropsichiatra, ma Contini le chiese un periodo di circa sei mesi per portare avanti il suo intervento senza medicinali, in modo tale che fosse possibile lavorare sulle voci. Tuttavia, dopo tre mesi Bea era già tornata a scuola, rimaneva solo il problema di farla uscire di casa.

Per aiutarla a tornare a scuola è stato necessario collaborare con la Casina dei Bimbi, anche se per farla uscire di casa è stato più complicato. Bea sentiva delle voci che le “ripetevano frasi come <<Se lo dici alla mamma io la uccido>>, <<Se fai le scale, rotoli giù e muori>>” (Contini, 2019, p. 105).

Il coraggio di uscire è venuto fuori pian piano con l’aiuto di una bambola, che doveva essere quell’oggetto che in qualche modo doveva darle sicurezza, doveva farle comprendere che poteva uscire senza incorrere in un reale pericolo. In altre parole, la bambola le è servita da strategia di controllo.

Dopo che Bea è tornata nuovamente ad una vita sociale, è stata inviata da una psicoterapeuta per un trattamento EMDR, un intervento specifico per traumi.

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Bea, comunque, grazie all’affrontamento, nonché all’intervento di Contini, aveva già imparato a disciplinare le sue voci e a riappropriarsi della sua vita sociale e scolastica.

Ha avuto solo una ricaduta qualche tempo dopo, con le sue prime relazioni amorose, ma la situazione è stata risolta, questa volta, inviandola da uno psicoterapeuta maschio, per consolidare una maggior fiducia nella figura maschile.

Ad oggi, dice Contini (2019):

“Bea ha diciotto anni e sta bene” (p.106). Secondo caso

Questo è il caso di un bambino che fu bullizzato dai suoi compagni di classe, che gli spalmarono escrementi in faccia e lo minacciarono, dicendo:

“<<Se lo dici ai tuoi genitori ti bruciamo la casa>>” (Contini, 2019, p. 96).

Sempre quattro anni dopo, come nel caso di Bea, cominciò a sentire le voci e queste gli dicevano le stesse parole: “<<Ti bruciamo la casa>>”.

Interrogandolo sulle voci, “sulle loro caratteristiche, se fossero maschili o femminili, se conosceva i nomi di coloro a cui appartenevano queste voci, se corrispondevano a quelle di persone che lui conosceva” (Contini, 2019, p. 97), emerse che le voci corrispondevano proprio ai suoi vecchi compagni di classe.

Da qui dovrebbe partire un lavoro di affrontamento con strategie di controllo volte a far tacere le voci.

Questo è un altro esempio di come le voci parlino del trauma e del fatto che in genere passano circa quattro anni dall’evento traumatico, al primo manifestarsi delle voci.

Terzo caso

Un altro caso è quello raccontato dalla Dott.ssa Chiara Donati, neuro-psicomotricista, in un’intervista guidata da Cristina Contini (2017) e pubblicata sul suo canale Youtube di “Sentire Le Voci” (Cfr., https://www.youtube.com/watch?v=FpgAOkuJxPE).

Il video si apre con un disegno della bimba, del caso in questione. Una bimba di sei anni. Viene mostrato un autoritratto e una freccia che indica il punto in cui sente le voci, ovvero la testa. Subito

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dopo, viene mostrato un altro disegno in cui indica da dove provengono, a volte da destra e a volte da sinistra.

La Dott.ssa Donati racconta che una sera ricevette una chiamata dalla madre di questa bimba, raccontandole quanto segue:

“Mamma le senti anche tu queste voci?”. Lei avrebbe risposto in modo perplesso:

“Veramente io non le sento…”

“No, io invece, nella mia testa le sento queste voci, però volevo essere sicura che anche tu le sentissi”.

A questo punto, Donati, cercò un modo adeguato per poter parlare con la bimba delle sue voci. Giocarono con una casetta di legno e dei personaggi che aveva nel suo studio, inventando insieme una favola. E da lì la bimba riuscì ad aprirsi, dicendo:

“Anch’io sento una voce buona e una voce cattiva”.

Poiché la Dott.ssa Donati non era sicura di avere gli strumenti adeguati per aiutare la bimba si rivolse a Contini, la quale le dette delle indicazioni su come lavorare, una strategia.

Siccome la bimba diceva di non poter parlare delle voci con nessuno, se non in un angolo segreto della stanza, Donati creò questo luogo protetto con una tenda da circo, e le disse:

“Guarda, dentro la tenda le voci non possono entrare. Ci siamo solo noi due dentro la tenda. Le voci non entrano”.

Quindi, la bimba entrò nella tenda e la Dott.ssa Donati la chiuse. A quel punto la bimba si sentì libera di parlare delle proprie voci, di dire che sentiva una voce buona (Chiara) e una voce cattiva. La strategia suggerita per aiutare la bimba, fu quella di spostare l’attenzione solo sulla voce buona e di ascoltare solo quella. La voce buona, Chiara, era proprio quella della Dott.ssa Donati. La bimba, diceva, appunto:

“Allora, devo ascoltare te?”

Come indicato nel video da Contini (2017), “quasi sempre l’uditore sente la voce del proprio terapeuta”.

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Nel giro di due/tre mesi, visitandola regolarmente una volta a settimana, la bimba arrivò a sentire soltanto la voce buona, mentre quella cattiva sparì completamente. Dopo un po’ di tempo, andò a scemare anche quella.

Quindi, la strategia di affrontamento aveva funzionato, tantoché la Dott.ssa osservò una vera e propria crescita personale e anche a livello scolastico.

Il finale del video si chiude con un ultimo disegno della bimba, dove vengono illustrate due porte dalle quali escono le sue voci: una per la voce buona e una per quella cattiva.

In più aggiunge alcune parole:

“Il mio cuore un po’ piange perché le voci se ne sono andate… e io mi sento un po’ sola”. E da qui, come suggerito da Contini (2017) nello stesso video, dovrebbe continuare il lavoro dello psicoterapeuta.

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