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6. ALTRI METODI D’INTERVENTO

6.3 Gruppi di Auto-aiuto

I gruppi di auto-aiuto sono incontri collettivi dove si riuniscono persone con lo stesso problema, in questo caso persone che sentono le voci. La tecnica dell’affrontamento (Contini, 2013), ad esempio, oltre che offrire colloqui personali con esperti per esperienza, quale è Cristina Contini, con psicologi e psichiatri, consente di lavorare in gruppo con altri uditori. Dunque, attraverso la condivisione delle esperienze, all’interno di questi gruppi di auto-aiuto, l’obiettivo è quello di aiutare l’uditore a raggiungere una propria autonomia nella vita di tutti i giorni, con o senza voci. L’uditore quando chiede aiuto, perché non conosce ancora bene la sua realtà, ha in realtà un solo obiettivo, dice Contini (2013):

“riuscire ad avere informazioni, acquisire realtà simili alle proprie condividendo con altri uditori di voci e imparare a controbattere alle proprie voci” (p. 186), acquisendo strategie di controllo.

Quindi, all’interno di questi gruppi, gli uditori, anzitutto scoprono di non essere gli unici ad avere questo problema, e poi, grazie alla condivisione delle esperienze, possono imparare nuove strategie di controllo sulle voci. Strategie che gli serviranno a riacquisire potere nella vita, come racconta Giovanni Ficarelli:

“La mia strategia per mettere a tacere le voci è quella di ascoltare la musica con la cuffia sdraiato sul divano della sala” (Contini, 2013, p. 191).

E come già visto in precedenza, le strategie aiutano contemporaneamente ad affrontare l’evento traumatico, in quanto le voci sono portatrici del trauma. La loro messa in atto, infatti, aiuterà l’uditore a trasformare il trauma in un’esperienza sopportabile. La voce si trasformerà, da negativa in positiva. In altre parole, la voce negativa scompare.

Inoltre, quando l’attuazione di una strategia, suggerita nel gruppo, ha ottenuto successo, l’uditore infonde negli altri partecipanti una sensazione positiva, perché questo successo viene valorizzato, come racconta ancora Giovanni Ficarelli:

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“Non vedevo l’ora di incontrarmi col gruppo per comunicare loro che la strategia stava funzionando benissimo, sapevo che sarebbero stati felici per me” (Contini, 2013, p. 194).

Per quanto riguarda Romme (2011), anche lui suggerisce, nel suo piano di trattamento a tre fasi, la partecipazione dell’uditore a gruppi di auto-aiuto, in quanto ritiene siano uno strumento importante per sviluppare nuove relazioni con le voci.

Escher (1993), attraverso delle interviste, ci offre un riassunto, in sei punti, di quali possono essere i vantaggi che l’uditore riscontra nel condividere le proprie esperienze all’interno di un gruppo di auto-aiuto:

“. Aiuta a cominciare a pensare più positivamente sulle voci riconoscendo modelli, come ad esempio, “quando penso in modo negativo, inizio a sentire una voce negativa”.

. Diminuisce la paura delle voci. Contrariamente lo sfuggire porta a mancanza di potere e ansia nell’attesa del loro ritorno.

. Può essere utile per le persone riconoscere la propria situazione nelle esperienze di altri. Capiscono che non sono gli unici e pertanto possono interrompere le loro sensazioni d’isolamento e trovare aiuto anche da altre persone.

. Può aiutare le persone ad accettare le voci.

. Può mostrare loro aspetti positivi delle loro voci: “Parlandone ho imparato ad accettare che c’è una parte negativa e positiva dentro di me. Accettando la negativa posso prestare più attenzioni a quella positiva ed amarmi di più.

. Può aiutare a riconoscere il significato delle proprie voci ascoltando ciò che le voci di altri dicono riguardo, per esempio, all’essere spaventati, all’espressione di aggressività, all’eccitazione sessuale, ad un senso di insicurezza o a prendere le proprie decisioni (“ho gli stessi problemi!”)” (Romme & Escher, 2011, p. 157).

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Queste piccole realtà, che offrono assistenza agli uditori di voci, sia attraverso colloqui individuali che attraverso la loro compartecipazione ai gruppi di auto-aiuto, sono presenti in molti paesi del mondo:

Australia, Austria, Finlandia, Germania, Giappone, Olanda, Inghilterra, Italia, Svezia, Svizzera, USA e via dicendo (Cfr., Romme & Escher, 2011, p. 184).

In Italia per esempio, se andiamo sul sito di “Associazione Nazionale Sentire le Voci”, della quale è presidente e fondatrice Cristina Contini, vediamo che le reti di supporto sul territorio italiano sono innumerevoli (Umbria, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino, Emilia Romagna, Lazio, Sicilia) e l’associazione stessa si offre di aiutare, a chiunque fosse interessato ad aprire un nuovo gruppo, a fare rete sul territorio (Cfr., https://www.sentirelevoci.it/cosa-facciamo/auto-mutuo- aiuto/).

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Conclusioni e prospettive future

Il tema centrale della tesi è stato affrontato ampiamente. È stato argomentato in dettaglio come funziona il metodo dell’affrontamento di Contini (2013) ed è stato, altresì, messo a confronto con quello di Romme & Escher (2011).

I due metodi non sono molto diversi tra loro, se non forse per il fatto che il primo non ha evidenze scientifiche. In entrambi i casi comunque si tratta di un processo di recovery, che si divide in delle precise fasi di lavoro:

Nel primo caso, i tre colloqui, da dove comincia il percorso d’affrontamento, rappresentano in linea generale tre fasi di lavoro: Delineare un profilo delle voci, offrire strategie di controllo e dare un senso alle voci, con l’obiettivo ultimo di riabilitare l’uditore alla vita quotidiana, con o senza voci. Nel secondo caso, sono sempre tre, le fasi di trattamento proposte da Romme (2011):

Fase iniziale, in cui viene somministrata l’intervista; fase organizzativa, in cui si discute del report e si scambiano opinioni sul costrutto; fase di stabilizzazione, in cui si discute del costrutto.

In altre parole, nella prima fase si fa conoscenza delle voci, quindi si cerca di delineare un profilo per ognuna di esse, attraverso l’intervista “Maastricht”. Nella seconda fase, si offrono delle strategie di fronteggiamento delle voci e nella terza si cerca di dare un senso alle voci (discutere del costrutto). Il tutto, sempre con l’obiettivo di riabilitare l’uditore alla vita quotidiana.

Nel corso dei capitoli, è stato fatto cenno anche ad altri metodi di intervento alle voci. Oltre che all’approccio psicofarmacologico, che può essere in combinazione o meno con questi approcci, si è fatto cenno al voice dialogue, all’open dialogue e ai gruppi di auto-aiuto in generale.

Per quanto riguarda il trattamento psicofarmacologico, gli uditori di voci quasi sempre seguono una terapia a base di neurolettici (Romme et al., 2009; Romme, 2011). Una terapia che delle volte sembra non aiutare nel processo di recovery, soprattutto quando il dosaggio prescritto è troppo alto. Per esempio, da 50 interviste su casi di recovery (Romme et al., 2009), è risultato che 44 uditori su 50 hanno ricevuto un trattamento a base di neurolettici, e che soltanto 14 uditori, di questi 44, hanno

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dichiarato che il trattamento è stato in parte d’aiuto, nel senso che il trattamento da solo non avrebbe aiutato; 12 uditori su 44 continuano a prendere farmaci e 6 uditori, di questi 12, spiegano come questi farmaci siano stati d’aiuto; per contro, ci sono 30 uditori, di questi 44, che hanno preso farmaci e che dichiarano il contrario.

Anche con l’open dialogue, è stato visto che i farmaci non sempre hanno l’effetto desiderato: Solo un 33 % dei pazienti trattati con l’open dialogue ha usato i neurolettici, rispetto ad un 100 % del gruppo di controllo. E confrontando gli outcome dei due gruppi, i pazienti trattati con l’open dialogue sembravano aver recuperato meglio dalla crisi. Circa l’81 % è tornato alla propria vita quotidiana (lavoro, studi, o ricerca attiva di un lavoro), rispetto ad un 43 % dei pazienti del gruppo di controllo.

Anche dal Caso di Bea, esposto da Contini (2019), si evince che i farmaci siano preferibilmente non somministrati durante il processo d’affrontamento. Somminstrare i farmaci, dice Romme (2011), diventa necessario soltanto dal momento in cui il comportamento e le risposte emotive dell’uditore lo richiedono (Romme, 2011).

Tuttavia, tornando al fatto che il metodo d’affrontamento non abbia alcuna evidenza scientifica, Contini (2019) ci fa sapere che è in corso una ricerca che ha l’obiettivo di valorizzare scientificamente il loro metodo di affrontamento. Contini (2019), afferma questo:

“Effettueremo la ricerca su due gruppi di uditori di voci significativi in termini di numeri, uno che seguirà il classico iter di cura delle psichiatrie, l’altro che seguirà il nostro protocollo di affrontamento. Prima di iniziare li sottoporremo a un questionario volto a fotografare la situazione, quindi a un anno di distanza effettueremo la seconda valutazione, in modo da stabilire la validità del nostro metodo” (p. 127).

L’idea della presente tesi, per una futura ricerca in merito, segue la stessa linea ed è la seguente: Proporre un questionario di auto-valutazione che vada a misurare, su una scala likert da 1 a 5, il miglioramento percepito da parte del soggetto durante e dopo il trattamento, a due gruppi di uditori: uno trattato con il metodo di affrontamento e uno trattato con il metodo tradizionale. Queste domande sono state pensate in base a ciò che il metodo di affrontamento si propone di raggiungere, ovvero riabilitare l’uditore alla vita quotidiana, con o senza voci.

82 1) Quante voci sento

….Una ….Da due a cinque ….Da Sei a dieci ….Più di dieci 2) Da quanti anni sento le voci

….Da uno a tre ….Da quattro a otto ….Da nove a dodici ….Da più di dodici 3) Le voci le sento

….Dentro di me (testa, o altre parti del corpo) ….Al di fuori di me ….Dentro e fuori 4) Le voci sono

….Positive ….Negative ….Positive e negative DURANTE IL PERCORSO CON …

5) Il mio livello d’umore è migliorato

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 6) La fiducia in me stesso/a è aumentata

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 7) Le voci negative sono diminuite

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 8) La paura delle voci è diminuita

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 9) Il rapporto con le voci è migliorato

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 10) Riesco a gestire meglio le voci

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 11) Posso decidere quando ascoltare le voci

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo DURANTE IL PERCORSO CON …

12) Parlare delle mie voci ad altri è diventato più facile

83 13) La fiducia negli altri è aumentata

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 14) Scopro che alcune relazioni che prima non erano possibili adesso lo sono 1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 15) Scoprire nuove relazioni mi fa sentire meglio

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 16) Lavorare e/o studiare è diventato più semplice

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 17) Mi dedico più volentieri ai miei hobby o interessi

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 18) Gli altri mi vedono migliorato/a

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 19) I miei familiari capiscono meglio la mia situazione

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 20) Mi sento meno giudicato/a dagli altri

1 Per nulla 2 Poco 3 Moderatamente 4 Molto 5 Moltissimo 21) Il mio livello di soddisfazione per il trattamento ricevuto è

1 Per nulla buono 2 Poco buono 3 Moderatamente buono 4 Molto buono 5 Moltissimo buono

Come è possibile notare, se le prime quattro domande hanno la funzione di fare una sorta di profilo delle voci, le domande seguenti, invece, sono state suddivise per dimensioni.

In quella psicologica:

Gli item 5, 6, 7 e 8 valutano quanta fiducia il soggetto sente di avere in sé e se effettivamente le voci negative sono diminuite o fanno meno paura. Queste, se accompagnate dalla scala sull’autostima di Rosenberg (1965), per esempio, potrebbero andare sotto la dimensione di Autostima/fiducia in sé. Per quanto riguarda gli item 9, 10 e 11 che fanno riferimento alla relazione

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e alla capacità di padroneggiare le voci, se accompagnate dalla scala sullo stress percepito di Cohen (1983), potrebbero andare sotto la dimensione di consapevolezza di sé/problem solving.

Nella dimensione socio-relazionale:

Gli item 12 e 13 fanno riferimento alla percezione di fiducia negli altri; 14 e 15 al fatto che il soggetto abbia instaurato nuove relazioni; 16 e 17 alle attività quotidiane; 18, 19 e 20 a come il soggetto percepisce gli altri nei suoi riguardi.

Mettendo a confronto i due gruppi di trattamento, durante e dopo, l’intento è quello di osservare una differenza significativa nel miglioramento percepito da parte del soggetto che ha seguito un percorso di affrontamento.

In conclusione, l’obiettivo era quello di mettere luce su un nuovo tipo di approccio alle voci. Il manuale di affrontamento di Cristina Contini, che nasce da un lavoro che dura da più di vent’anni e che tuttora continua, offre strategie efficaci per affrontare le voci e per far sì che l’uditore si riappropri della vita quotidiana.

Ad ogni modo, questa proposta di ricerca in tale direzione, spero possa essere vista come spunto per eventuali ricerche future sul fenomeno del sentire le voci.

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