2.9 “Islands of expertise”
3. Casi di studio
Introduzione
I fenomeni relativi alla conversazione descritti nella parte teorica si verificano pratica- mente in ogni museo e in qualsiasi situazione di visita; allo stesso modo, in ogni scam- bio di idee ed esperienze tra i visitatori si possono rintracciare gli elementi di dialogo che la ricerca è in grado di identificare. Ovviamente, non tutte le mostre sono uguali e certo alcune sono in grado di suscitate maggiore o minore coinvolgimento, così come si è visto che uno stesso allestimento non ha lo stesso effetto per ciascun visitatore, né per lo stesso visitatore come membro di gruppi differenti. Alcune mostre però risultano par- ticolarmente efficaci e significative perché, indirettamente e in modo implicito, o come obiettivo dichiarato ed evidente, la conversazione e il dialogo al loro interno hanno un ruolo di primo piano.
Come casi di studio particolarmente rappresentativi sono state considerate tre mostre (The secret life of the home, Jeux sur je, Dialogo nel buio), molto diverse per contenuti e modalità espositive, ma accomunate dalla forza con cui sono in grado di suscitare gli scambi verbali e le interazioni tra i visitatori.
The secret life of the home è una galleria permanente inaugurata nel Science Mu-
seum di Londra nel 1995. Al suo interno sono esposti numerosi oggetti di varie epoche
che illustrano la storia delle tecnologie e degli utensili di uso domestico.
Il secondo caso considerato è Jeux sur Je, mostra temporanea aperta dal 2 aprile 2003 al 4 gennaio 2004 alla Cité des Sciences et de l’Industrie di Parigi. Definita come “expo-expérience”, era allestita come una vera e propria sala da gioco in cui i visitatori, nel ruolo di giocatori, si confrontavano per vivere insieme un’esperienza in grado di far scoprire le dinamiche del vivere sociale.
Il terzo e ultimo caso di studio, Dialogo nel buio, è invece una mostra che permette di far vivere al visitatore la dimensione della cecità. L’oggetto della mostra è l’esperienza che il pubblico si trova a vivere in modo diretto, coinvolto nella scoperta dei propri sensi e nell’interazione con gli altri attraverso il dialogo. Aperta per la prima volta ad Amburgo nel 1988, ben presto si è diffusa in tutto il mondo. La mostra visitata per questo lavoro è quella di Milano, ospitata presso la Fondazione dei ciechi.
In riferimento all’idea di Roschelle (1995) relativa ai tre diversi gradi di cambiamen- to indotti dall’apprendimento elaborato attraverso la conversazione e in un contesto so- ciale (Cap. 1), queste mostre possono costituire un esempio significativo per i vari livel- li: The secret life of the home, tramite il confronto che nasce dal contatto con gli oggetti, realizza un aumento della conoscenza e dell’esperienza; Jeux sur Je, attraverso l’interazione in forma di gioco, consente al visitatore di rielaborare i propri schemi in un modo leggermente diverso in seguito al confronto con gli altri; Dialogo nel buio, infine, realizza il livello di cambiamento più profondo e raro, provocando cambiamenti forti che coinvolgono anche atteggiamenti e comportamenti.
Da un punto di vista pratico, la scelta è caduta su queste realtà anche per la possibili- tà di visitarle e di conoscere e vivere quindi l’esperienza in prima persona (a eccezione di Jeux sur Je, mostra temporanea chiusa nel 2003), per la disponibilità di materiali, do- cumenti originali e dati di evaluation specifiche e, come nel caso di Dialogo nel buio, per l’ampio successo di pubblico e la grande diffusione che ha ormai consolidato in quasi venti anni dalla sua nascita.
Come per la parte teorica, il materiale relativo alle diverse mostre è stato analizzato cercando di identificare gli elementi in grado di sottolineare e confermare (ed eventual- mente smentire) il ruolo delle conversazioni e le variabili che influiscono sui dialoghi, con lo scopo di rintracciare le loro dinamiche e gli effetti sui visitatori. Anche in questo caso si è cercato di ricondurre il caso specifico al più generale quadro teorico di riferi- mento di cui a volte i curatori, come emerge dalle loro parole nei documenti redatti du- rante la progettazione, sono solo in parte consapevoli.
Nel caso di Dialogo nel buio, grazie anche alla ricchezza del materiale disponibile, è stato dato spazio alla disamina delle conseguenze che la mostra ha dimostrato di avere sia sui visitatori che sulle guide. Gli effetti di questa particolare esperienza, frutto dell’interazione e dei dialoghi scambiati tra coloro che l’hanno vissuta, sono molto si- gnificativi e profondi e continuano a essere presenti anche molto tempo dopo la visita. Infine, si è ritenuto opportuno introdurre e descrivere i principi che animano il progetto del social lab, di cui Dialogo nel buio è la prima e attualmente la più riuscita realizza- zione e Jeux sur Je un altro importante prodotto.
Everything is illuminated in the light of the past. Safran Foer
3.1. Gli oggetti al museo
Che cos’è che fa dei musei ambienti di apprendimento unici? I musei sono luoghi in cui gli oggetti e i messaggi sono selezionati perché singolari e di elevato valore culturale. Talvolta gli oggetti sono inseriti in un museo perché possiedono una qualche ecceziona- le caratteristica: il più antico, il più raro, il più complesso tra gli esemplari della catego- ria cui appartengono. A volte gli oggetti sono presentati esattamente per la ragione op- posta: esemplari comuni sono esposti perché evocativi di un particolare gruppo, epoca o luogo o per qualche aspetto particolarmente interessante. Manufatti, attrezzi, strumenti, cimeli sono esposti secondo modalità concepite per incoraggiare i visitatori a considera- re una particolare prospettiva di una disciplina, per incoraggiare reazioni come stupore, meraviglia, consapevolezza, per attivare un senso di connessione personale con l’oggetto (Leinhardt, Crowley, 2002).
Come si è visto, all’interno di un museo il pubblico è solito seguire percorsi di visita scelti in base ai propri interessi e obiettivi. Anche quando l’allestimento prevede un iti- nerario in qualche modo “obbligato”, è comunque il visitatore a scegliere cosa osservare e cosa no, quanto soffermarsi davanti a un pannello, se e quanto farsi coinvolgere nell’interazione con un exhibit, e così via. Inoltre, se nei libri di testo e nei saggi gli ar- gomenti possono essere esposti in modo organico e lineare, i contenuti di un exhibit non possono essere basati sull’assunzione certa di ciò che i visitatori hanno già visto o senti- to in una mostra precedente.
I musei sono in grado di trasmettere i loro contenuti tramite le narrazioni meno effi- cacemente di quanto invece possano fare i libri e i racconti, i film o gli spettacoli televi- sivi. Le mostre comunque raccontano delle storie, ma solitamente si tratta di racconti in un più ampio senso socio-culturale, con l’intenzione di coinvolgere i visitatori in con- versazioni e dibattiti piuttosto che come narrazione di storie in senso più strettamente drammatico o storico (Leinhardt, Crowley, 2002).