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Casi nazionali

Nel documento ALMA MATER STUDIORUM (pagine 57-63)

PARTE I – Inquadramento della questione

I.3 QUADRO NORMATIVO E POLITICHE ABITATIVE

I.3.4 Casi nazionali

Svezia: politiche abitative universalistiche e mix sociale.

Le politiche abitative svedesi rappresentano un importante caposaldo del sistema di welfare cosiddetto “universalistico”, poiché l'obiettivo è quello di garantire un alloggio di buona qualità all'intera popolazione. Il principio che regge questo tipo di intervento è che un miglioramento complessivo della situazione abitativa migliori le condizioni dei gruppi più svantaggiati. Le politiche pubbliche svedesi appaiono orientate a supportare la popolazione immigrata attraverso interventi non specificamente indirizzati a tale gruppo sociale, ma potenzialmente rivolti a tutti i soggetti in condizione di disagio socio-economico. Il fatto che le politiche abbiano un'impostazione universalistica prevede infatti l'assegnazione degli alloggi sulla base di liste d'attesa, non su soglie di reddito o altri meccanismi. Da segnalare nel caso svedese è l'aumento della percentuale di alloggi pubblici a partire dal secondo dopoguerra, e il relativo declino della percentuale di affitti privati.

Gli immigrati vivono spesso concentrati in aree residenziali di recente costruzione, risalenti agli anni '60-'70; di conseguenza pagano affitti più alti in confronto ai cittadini autoctoni che risiedono in edifici privati mediamente più vecchi e con affitti meno costosi (Van Kempen, 2003:7). Per evitare eccessive concentrazioni territoriali di immigrati, la Svezia ha adottato nel corso degli anni strumenti che, direttamente o indirettamente, hanno contrasto fenomeni di segregazione. Uno su tutti è

il dispositivo di “Sostegno per l'affitto e per l'acquisto”: le famiglie con redditi bassi possono ottenere un aiuto finanziario tale da poter usufruire del diritto della libertà di scelta della soluzione abitativa considerata migliore dai diversi soggetti. Sono state inoltre attivate politiche d'intervento sociale nei quartieri che presentavano le più alte concentrazioni di disagio: l'obiettivo è stato quello di promuovere un generale sviluppo delle popolazioni residenti nell'area, con una particolare attenzione alla qualità degli spazi pubblici e delle strutture.

In Svezia l'organizzazione del sistema di housing sociale è di diretta competenza municipale. Il governo centrale definisce le politiche abitative nel loro complesso, fissando le regole legali e finanziarie generali, mentre le amministrazioni comunali sono responsabili della pianificazione e dell'offerta degli alloggi a livello locale. Ciò avviene attraverso l'istituzione di aziende municipali. In questo modo il settore pubblico rimane il settore protagonista, promuovendo interventi sulla base della logica universalistica e rivolti a contrastare la segregazione delle aree abitative, con effetti positivi sulla condizione abitativa dei cittadini immigrati.

Paesi Bassi: politiche abitative dal futuro incerto.

In Europa spiccano i Paesi Bassi in quanto di unico paese in cui il settore di

social housing arriva a coprire il 35% del patrimonio abitativo complessivo. Il settore

che assicura una risposta a questo bisogno sociale è, a differenza della Svezia, il terzo settore, incarnato dalle oltre cinquecento housing associations riconosciute e sostenute dalle amministrazioni comunali. Queste associazioni gestiscono il processo di assegnazione degli alloggi, sulla base delle dimensioni della struttura e del nucleo familiare e del livello di reddito. Gli stessi comuni possono però intervenire per regolare l'assegnazione, anche attraverso procedure orientate a garantire una maggior libertà di scelta ai richiedenti.

Trattandosi di alloggi in affitto, il 95% circa ricade nel settore “regolato”, caratterizzato da un affitto mensile inferiore alla soglia definita “limite di liberalizzazione”. Il canone regolato è stabilito dal governo centrale, mentre gli affitti liberalizzati sono definiti da ciascun locatario in base al mercato. Nonostante la disponibilità di housing sociale sia molto alta, le abitazioni a basso canone non riescono

a soddisfare ovunque la domanda, favorendo così le situazioni di segregazione in quelle aree caratterizzate appunto da grossa concentrazione di alloggi sociali (oltre il 60% in alcune aree metropolitane). In particolare, alcune aree sono caratterizzate dalla concentrazione di individui in condizione di disagio socio-economico, fenomeno provocato dall'esodo di famiglie benestanti più orientate ad acquistare casa in periferia. I più colpiti da questa condizione sono appunto gli immigrati, tra cui è diffuso anche il problema dell'affollamento abitativo (Alietti, 2010:71).

La ragione di questa crisi abitativa trova la sua origine, molto probabilmente, nei tagli ai finanziamenti diretti alle housing associations che sono stati operati nell'ultimo decennio, fattore che ha condotto ad un aumento delle vendite di abitazioni pubbliche a privati. Ciò è avvenuto in conseguenza della valutazione di un eccesso di disponibilità di alloggi a canoni sociali nelle aree urbane, a discapito di alloggi in affitto e in vendita di livello medio-alto (Alietti, 2010:71).

Nel complesso, nei Paesi Bassi si assiste alla tendenza a favorire gli interventi rivolti a spostare le preferenze della popolazione verso l'acquisto dell'abitazione, rispetto all'accesso alle abitazioni sociali. La disponibilità di alloggi delle housing associations rimane comunque estremamente significativa rispetto alle realtà degli altri paesi europei; tuttavia, le difficoltà principali si osservano nella reticenza a realizzare politiche rivolte a contrastare i limiti di accesso ad abitazioni poco costose.

Gran Bretagna: “casa di proprietà” e condizioni sfavorevoli per gli immigrati.

Anche in Gran Bretagna il settore dell'housing sociale è molto sviluppato e occupa un ruolo di rilievo, pur avendo subito alcuni cambiamenti dovuti ad atti legislativi e a trasformazioni negli atteggiamenti della popolazione. Fino agli anni '80 il settore abitativo pubblico ha avuto un'espansione notevole grazie all'intervento diretto delle istituzioni, impegnate a favorire il settore pubblico distogliendo interesse dal mercato privato della locazione. Anche nell'ultimo trentennio la Gran Bretagna ha registrato un incremento dell'importanza e del patrimonio abitativo sociale disponibile, con una crescita di sette punti percentuali di stock abitativo – favorita da una politica di trasferimenti dagli enti locali alle associazioni e dalla costruzione di nuove strutture, oltre che ad un investimento finanziario nazionale pari al 5% del Pil (dati Cresme, 2003

e Whitehead e Scanlon, 2007 in Alietti, 2010).

Una considerevole inversione di tendenza è cominciata però proprio con le riforme degli anni '80, continuando poi negli anni successivi. La principale trasformazione avvenuta è rappresentata dall'affermazione del diritto all'acquisto della casa in locazione, sancita dal right to buy: l'atto legislativo rendeva possibile acquistare a prezzi scontati l'abitazione in cui si risiedeva in affitto da almeno cinque anni. Questo strumento ha contribuito a modificare il modello abitativo della popolazione britannica, che da allora ha preferito la modalità della “casa di proprietà” – arrivata a coprire il 70% dello stock abitativo (Alietti, 2010:74).

Il settore del social housing è quindi maggiormente orientato a soddisfare la domanda residuale, di quella fascia di popolazione con redditi bassi e scarso potere di acquisto, nel rispetto però di alcune modalità di accesso che Baldini e Federici individuano: preferenza per i senzatetto o chi è a rischio di diventarlo; preferenza per chi vive in condizioni insalubri o di sovraffollamento; precedenza a chi si trova in condizioni di “bisogno prioritario” (donne incinte, disabili, famiglie con figli a carico, giovani). Gli immigrati sono di fatto esclusi dall'accesso agli alloggi sociali, fino al momento dell'ottenimento della residenza; ciò dimostra che la condizione abitativa degli stranieri in Gran Bretagna è più problematica di quelli che si trovano in Svezia e Paesi Bassi. I dati rilevati da Rutter e Latorre nel 2007 registravano la locazione del 90% delle abitazioni pubbliche a cittadini autoctoni e una crescente tendenza della popolazione straniera a rivolgersi al mercati privato, nei contesti locali dove i costi degli affitti lo permettono; altrove, invece, la popolazione immigrata è spinta ad inserirsi nelle lunghe liste d'attesa per gli alloggi pubblici. La condizione degli alloggi pubblici in cui alloggiano gli immigrati è inoltre spesso caratterizzata da qualità scadente delle strutture, sovraffollamento e concentrazione spaziale di gruppi “etnicamente” omogenei, fattore che – come già sostenuto – alimenta il fenomeno della segregazione.

Germania: dalle quote per il mix sociale alla crescente segregazione.

Le premesse da fare riguardo a questo caso nazionale sono due: la prima è che le politiche abitative possono essere efficacemente ricostruite solo a partire dalla riunificazione; la seconda è che la competenza del settore a partire dal 2007 appartiene

ai singoli Länder, il che rende difficile disegnare un quadro unitario.

Nel complesso è possibile affermare che il sistema di alloggi pubblici tedesco sia regolato in buona parte da meccanismi di mercato. La tendenza comune ha preso piede a partire da un sistema di finanziamenti e incentivi nato nella Germania federale, che sostanzialmente favoriva l'investimento pubblico e privato per la riqualificazione di alloggi destinati al sociale. Ciò ha condotto alla nascita di molte aziende municipali che, nel corso degli anni e col venir meno di sgravi previsti dalla legge, hanno progressivamente perso potere nel settore abitativo. La conseguenza è stata, a partire dagli anni '90, la diminuzione dello stock abitativo pubblico e la diffusione sia della locazione privata sia dell'acquisto della casa (Glock e Haussermann, 2004 in Alietti, 2010:77).

Per quanto riguarda la condizione degli stranieri, la buona disponibilità di alloggi presente precedentemente agli anni '90 aveva permesso un discreto accesso di immigrati nei quartieri di edilizia sociale. Ciò ha portato però a diffondersi un'idea sulla necessità di garantire un mix sociale nelle aree a maggiore concentrazione di stranieri, idea che nel 1975 ha partorito il sistema delle quote: il numero di migranti non avrebbe dovuto superare il 12% della popolazione locale. Questo sistema non è stato mai concretamente rispettato, a causa di regolamenti comunitari che ne impedivano l'esecuzione. A partire dagli anni Novanta il disagio abitativo degli immigrati si è fatto ancora più incombente, a causa della riunificazione che ha destabilizzato il sistema tedesco, per via dei numerosi rientri di cittadini espulsi o rifugiatisi all'estero, oltre che per i sempre maggiori flussi migratori. Data l'inaccessibilità del mercato privato ai gruppi sociali più svantaggiati e la crescente difficoltà del settore pubblico a rispondere alle loro esigenze abitative, la strategia adottata è stata quella di favorire gli investimenti degli attori privati. La principale conseguenza è stata quella di non basare le procedure di allocazione su criteri di mescolanza sociale: questo ha favorito la creazione di aree omogenee da un punto di vista “etnico” e la diffusione di dinamiche segregative in aree urbane con abitazioni mediamente più fatiscenti e per cui gli stranieri pagano affitti più cari degli autoctoni (Alietti, 2010:79; Van Kempen, 2003:7). Solo agli inizi degli anni 2000 l'opinione pubblica avversa alla creazione di quartieri “etnici” ha condotto molte aziende private e pubbliche a porre nuovamente attenzione alla questione del social mix,

ricreando così una quota per le assegnazioni: l'80% degli alloggi sociali è da destinarsi a cittadini comunitari (Alietti, 2010:79).

Considerato che nelle principali aree urbane le amministrazioni locali hanno sempre inserito nei loro programmi degli interventi di contrasto al disagio abitativo degli immigrati, la situazione complessiva a livello federale è caratterizzata da forte criticità, a causa di una regolamentazione delle politiche pubbliche fortemente dipendente da dinamiche di mercato e da atteggiamenti discriminatori nell'ambito della locazione privata.

Nell'elaborato redatto da Guerra sono chiaramente individuati i fattori che evidenziano la convergenza nelle politiche abitative dei paesi presi in considerazione: 1) diminuzione dell'offerta diretta di case da parte del settore pubblico, a causa di una diminuzione dell'intervento diretto dello stato. L'intervento statale ha invece assunto forme diverse e indirette, come misure legislative, fiscali o urbanistiche;

2) cambiamento del meccanismo e del processo di realizzazione delle politiche, che è stato progressivamente decentralizzato e assegnato alle istituzioni locali;

3) rafforzamento del ruolo degli attori privati nell'offerta e nella gestione del patrimonio abitativo, accompagnato da una crescita dell'attenzione rivolta alle dinamiche e alle risorse del mercato privato.

Nel contesto europeo, la funzione fondamentale che sta assumendo lo stato è quella di agevolare e supportare l'accesso alla casa di quelle fasce di popolazione che non riescono ad inserirsi nel mercato privato. Contemporaneamente, dovrebbe occuparsi della gestione e manutenzione del patrimonio abitativo residuo del periodo in cui la sfera pubblica era leader del settore. Il mercato privato invece è ormai ritenuto essere l'alternativa preferita in quanto offre le migliori risorse al prezzo più conveniente, oltre ad essere più efficiente nel fornire una più ampia possibilità di scelta, diversificazione, mobilità e innovazione (Guerra, 2008:20-21).

La condizione degli immigrati appare in generale critica in tutta Europa, per le seguenti ragioni:

-l'affermazione del mercato privato a discapito di quello pubblico mette spesso la fascia di popolazione immigrata – che ovunque rientra tra quelle più svantaggiate – nella

condizione di non riuscire a reggere i costi e le spese;

-sia nel mercato privato che in quello sociale e pubblico, spesso gli immigrati subiscono differenze di trattamento per quanto riguarda le strutture messe a disposizione (quantità, qualità, spese di affitto, ecc.), o non ne hanno accesso per mancanza di requisiti specifici;

-dove i nuclei stranieri hanno accesso ad alloggi pubblici, i rischi che maggiormente corrono sono che le condizioni non siano adeguate e che le disposizioni logistiche favoriscano la concentrazione – di singole “etnie” o di migranti in generale – e la probabile segregazione sociale.

Nel documento ALMA MATER STUDIORUM (pagine 57-63)