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Territorializzazione

Nel documento ALMA MATER STUDIORUM (pagine 35-38)

PARTE I – Inquadramento della questione

I.2 IMMIGRAZIONE E DISAGIO ABITATIVO

I.2.4 Criticità relative alla condizione abitativa

I.2.4.3 Territorializzazione

Significativo è il processo di territorializzazione, quello che Golinelli definisce come «l'appropriazione del territorio da parte degli immigrati». Questo processo indica il percorso di inserimento della popolazione immigrata in una parte del territorio, con particolare riferimento alla tendenza da parte degli stranieri – che sia per necessità, per desiderio di sentirsi parte, appunto, di un territorio, o per ricreare una sorta di ordine nella propria vita e in quella del nucleo familiare – a prendere parte a quelle che sono le normali attività quotidiane. Inizialmente questo processo può essere ostacolato da svariati fattori, come quello di trovarsi in un nuovo paese o la difficoltà di comprensione della lingua. Successivamente, il processo comincia a prendere piede a partire da gesti semplici e di tutti i giorni, come possono essere frequentare luoghi pubblici o instaurare relazioni con il vicinato. Questo processo, quindi, si compie con la ricerca di un lavoro, con lo sviluppo di attività ed esercizi gestiti dagli stessi stranieri, oltre che con la creazione di una catena di relazioni sociali tra stranieri, spesso del medesimo gruppo nazionale, inserite perfettamente nel territorio di accoglienza. Il commercio gestito da stranieri può in alcuni casi essere affiancato anche dalla nascita di attività artigianali, favorendo l'avvio di un'economia caratterizzata “etnicamente”. I gruppi, le associazioni e i comitati formati da immigrati, che si rifanno alla tradizione e cultura del Paese d'origine, possono favorire l'inserimento dei nuovi residenti sul territorio, oltre che la conoscenza della realtà straniera alla popolazione autoctona, ad esempio attraverso la creazione di eventi. Si crea così un circolo virtuoso per cui quello spazio “etnicamente” connotato richiama altri nuclei della stessa comunità, o di altri, grazie al processo di inserimento abitativo connesso allo sviluppo di un'area commerciale. Questi nuovi arrivati consentono la sopravvivenza delle attività commerciali “etniche” e possono favorire lo sviluppo di nuove attività, così che il risultato sarà l'evolversi di un quartiere sempre più etnicamente caratterizzato.

Per quanto riguarda il processo di territorializzazione, esiste però una differenza sostanziale tra centri storici e periferie delle città. Nel primo caso gli

immigrati riescono a ricostruire abbastanza facilmente una vita modellata sulle proprie origini, ricreando alcuni ambienti e relazioni comunitarie, grazie alla presenza di spazi e strutture adeguati e alla maggiore presenza di stranieri che favoriscono quindi un “mix

di etnie”(Golinelli, 2008:61). Si presume qui che i centri storici e i quartieri limitrofi a queste aree dispongano di maggiori spazi che favoriscono le relazioni interpersonali, e che i medesimi quartieri siano quelli maggiormente abitati dagli stranieri.

L'insediamento degli immigrati nei centri storici attiva spesso dei processi minimali di manutenzione di un patrimonio edilizio in abbandono e degradato, quando questo insediamento avviene in quartieri di vecchia data, ormai spopolati. Anche grazie alle forme di affiancamento «tra lavoro artigianale e residenza, nonché la ricostituzione di una vita di strada e vicinato, si rende possibile arricchire il paesaggio urbano superando i fenomeni di sterilizzazione e banalizzazione che lo affliggevano» (Lanzani in

Ares2000, 2000:12). Ripopolare delle zone della città precedentemente trascurate, sempre se questo avviene in maniera ponderata e seguendo delle logiche precise, a partire dalla ristrutturazione delle strutture esistenti e alla progettazione di nuove aree o edifici, permette di riqualificare quartieri che fino a poco tempo prima potevano essere considerati zone “off-limits”.

Il medesimo meccanismo stenta a mettersi in moto nelle periferie delle città. Nelle periferie appare più difficile connotare “etnicamente” un determinato territorio, a causa della presumibile poca presenza di immigrati e ad una inevitabile convivenza con la popolazione autoctona in spazi ridotti, che non garantisce la creazione di aree a maggioranza di stranieri (Golinelli, 2008:61). Nelle aree periferiche, dove anche la popolazione locale si è mossa alla ricerca di un alloggio vicino al luogo di lavoro, oppure perché mossa dal desiderio di trovare facilmente casa ad un prezzo accessibile, la costruzione di edifici residenziali limita notevolmente l'organizzazione e la gestione degli spazi: questi edifici, infatti, spesso hanno come obiettivo solo quello di ospitare nuclei familiari, e non attività commerciali. Contrariamente ai centri storici, i quartieri residenziali periferici sono caratterizzati da una rigidità tra tipi di alloggi offerti ed esigenze della popolazione, specialmente tra gli immigrati. A differenza della

popolazione italiana, quella straniera ha tra le sue esigenze quella di offrire ospitalità temporanea a connazionali, quella di una più intensa vita in pubblico e negli spazi aperti; in particolare, l'esigenza di aprire spazi commerciali od artigianali specifici, che può trovare realizzazione soltanto in alcune strutture e strade, spesso nelle vie adiacenti al quartiere dove si svolge la vita pubblica. Pertanto, mentre nei centri storici la

presenza di abitanti immigrati può contribuire al recupero di alcuni spazi altrimenti abbandonati, nei quartieri periferici esiste «un profondo scarto tra la rigidità delle strutture edilizie, sia tipologica che normativa, e le pratiche di vita degli immigrati residenti nelle periferie, rigidità che impedisce ogni processo spontaneo di

trasformazione e adeguamento degli spazi alle mutevoli necessità degli abitanti» (Novak in Ares2000, 2000:12).

L'inserimento degli immigrati in territori urbani o periferici non deve però illudere sulla sorte di queste aree e dei loro inquilini. Spesso i meccanismi che si

instaurano sono perversi e possono condurre «ad un aumento del degrado in una sorta di profezia che si autorealizza»:

«solitamente gli immigrati vanno a vivere in quartieri già in declino, dove è iniziato un esodo da parte degli strati più abbienti della popolazione residente; al loro arrivo, che può, degli autoctoni, tende a sua volta ad andarsene, trasferisce i figli nelle scuole di un altro quartiere, non frequenta più volentieri caffè, negozi, spazi pubblici in cui si concentrano stranieri che parlano lingue

incomprensibili. Parte dei negozi e degli uffici chiudono o si trasferiscono. La qualità dei servizi scolastici o sanitari declina. La manutenzione degli edifici pubblici viene trascurata. Rimangono i residenti più poveri e socialmente deboli. Costoro, sempre più “circondati” da immigrati, tendono a leggere questa presenza come la causa dei problemi sociali del quartiere, del deterioramento degli immobili, del peggioramento dei servizi pubblici locali. Il meccanismo si chiude “incolpando” gli immigrati del degrado. I residui residenti autoctoni cercano di andarsene anch'essi e non vengono sostituiti se non da altri immigrati: nell'arco di un certo periodo si formano i ghetti» (Ambrosini in Golinelli, 2008:62).

Questo estratto rende l'idea, forse in maniera fin troppo catastrofica, di come il processo di “ghettizzazione” può prendere forma, in quali contesti e attraverso quali passaggi. Laddove il territorio sembra presentare le caratteristiche più favorevoli ad

un'integrazione della popolazione straniera, possono invece avere la meglio dinamiche negative che di fatto ne impediscono la realizzazione; altrimenti, l'inserimento di una fetta di popolazione straniera può inaspettatamente influire positivamente sulla vita del territorio ospitante e dei residenti, attraverso un atteggiamento di incontro e apertura reciproca. Sebbene i centri storici siano stati individuati come l'area più favorevole

all'insediamento di immigrati e al loro inserimento, è possibile che si trasformino in veri e propri ghetti di stranieri, divisi per “etnie”, separati tra loro e dalla popolazione

autoctona che ha abbandonato il quartiere o che frequenta altre zone. Per contro, nelle aree extra-urbane la condizione di convivenza “forzata” tra popolazione autoctona e immigrata può potenzialmente favorire un inserimento maggiore del previsto, che trova la sua ragione proprio nel maggiore incontro tra le due fasce della popolazione.

Nel documento ALMA MATER STUDIORUM (pagine 35-38)